Casa, come cambiano le scelte degli italiani

Che la casa rimanga, per gli italiani, l’investimento principe, è un dato difficilmente controvertibile. Una certezza che fa il paio con il mutamento di abitudini d’acquisto e una certa dinamicità dei pressi registrata dal bene casa.

Lo dimostrano alcuni dati del Centro Studi Tecnocasa, dai quali emerge come negli ultimi anni il mercato immobiliare ha visto i prezzi scendere progressivamente, con il conseguente cambiamento a livello di tipologie immobiliari richieste.

Dal 2013 in poi si nota nelle grandi città una diminuzione delle percentuali sui tagli più piccoli della casa, come monolocali e bilocali. Al contrario, si segnala un aumento per le tipologie più ampie, dal trilocale in poi. Questo è avvenuto proprio a causa del ribasso dei prezzi che ha reso possibile l’acquisto di una casa più ampia, soprattutto il trilocale, scelto da tante giovani coppie che hanno saltato la fase in cui si acquistava prima il bilocale per poi passare all’appartamento con una camera in più.

Anche chi investe nella casa, da sempre orientato sul bilocale, tende ora a preferire il trilocale, di piccole dimensioni se ubicato in località turistiche. Nelle città universitarie si sceglie perché, in questo modo, c’è una camera in più da poter affittare.

Sempre maggiore l’attenzione al contenimento delle spese legate all’immobile, soprattutto quelle condominiali. Inoltre, in base alle indicazioni rilevate da La Ducale SpA, società di sviluppo immobiliare del Gruppo Tecnocasa, l’acquirente oggi, soprattutto in riferimento a una casa nuova, risulta molto sensibile a tematiche ambientali quali l’utilizzo di energie rinnovabili e la classe energetica, da cui discende un’attenzione verso il risparmio sui costi di gestione.

Un’architettura moderna, verde condominiale (soprattutto in città) ma con un occhio sempre ai costi e parti comuni curate sono plus che attirano i potenziali acquirenti. Terrazzi o pertinenze esterne fruibili, ormai intesi come un continuum dell’appartamento, e luminosità sono le richieste più frequenti dei clienti durante la ricerca della loro casa ideale. Per quanto riguarda gli interni, la differenza maggiore rispetto al passato riguarda la superficie dei locali e la gestione degli spazi della casa, con la tendenza a eliminare ciò che non è funzionale e a far crescere le superfici open.

Tutto ciò è stato reso possibile anche grazie a un cambiamento nel mondo dell’arredo, che privilegia il design a scapito della funzionalità o della praticità. Il design risulta essere molto amato dagli italiani, lo dimostra il continuo e sempre maggiore successo delle esposizioni e delle fiere che riguardano questo tema.

L’idea che hanno oggi gli acquirenti di casa, in definitiva, è strettamente legata all’idea di benessere personale. La casa viene intesa come un rifugio sicuro, un luogo dove isolarsi dal lavoro e dallo stress del mondo esterno. Oggi la tendenza è quella di voler vivere all’interno di una casa, di un condominio che funga da micro-habitat riparato ma dotato di tutti i comfort.

Crisi, ecco come reagiscono gli artigiani

Se la crisi ha avuto dei meriti, uno di questi è l’aver contribuito a ridisegnare in maniera netta i confini del mercato del lavoro, con imprese e tipologie di artigiani che sono spariti, a beneficio di altre nuove figure professionali che si sono affacciate sul mercato.

Un trend testimoniato anche da un rapporto stilato da Unioncamere e InfoCamere, secondo il quale, dall’inizio della crisi gli artigiani sono la categoria che ha pagato il prezzo più alto: dal 2009 al 2015 ne sono spariti 117mila, con un calo dell’8%.

Il settore più interessato dall’emorragia di artigiani è quello dell’edilizia: a scendere, si contano 35.800 muratori in meno, -6.100 carpentieri, -3.500 idraulici, -3.450 falegnami, -2.600 imbianchini, -2.000 serramentisti.

Fortunatamente, però, al calo di artigiani in questi settori storici devastati dalla crisi (ricordiamo che quello dell’edilizia è stato, in senso assoluto, il più colpito) ha fatto da contraltare la crescita di nuove imprese e di nuove figure artigianali in settori diversi. Nello specifico, si è impennato in sette anni il numero di imprese di pulizia di edifici (+10.898), quelle specializzate nell’attività di cura del paesaggio (+4.904), quelle operanti nel settore dei takeaway (+3.240) e dell’estetica (+1.140).

Unioncamere e InfoCamere hanno rilevato come questo cambio della guardia tra le fila degli artigiani sia dettato principalmente dalle nuove abitudini di consumo, che hanno spinto a un sempre maggiore sviluppo delle imprese specializzate nell’erogazione di servizi alla persona.

I dati – sostiene il Presidente di Unioncamere, Ivan Lo Bellodimostrano che gli artigiani hanno messo in campo nuovi modelli di sviluppo per reagire alla crisi. Ma ora è necessario preservare quelle tradizioni e quelle competenze che sono l’espressione più elevata del nostro saper fare e che rendono i nostri prodotti unici e riconoscibili al mondo“.

Traslochi italiani tra i più cari d’Europa

Come al solito, noi italiani facciamo la figura dei cornuti e dei mazziati. Sono tantissimi i beni e i servizi che, nel nostro Paese, costano più che in altri Paesi in Europa. Ora sappiamo che è così anche per quanto riguarda i traslochi.

Immobiliare.it, il più importante portale italiano di annunci immobiliari, e Movinga.it, sito specializzato nei traslochi nazionali ed internazionali hanno provato a capire quanto costa in Italia trasferirsi, considerando che le statistiche dimostrano che, in media, ogni italiano cambia casa 4 volte durante la vita, il più delle volte in estate.

Ebbene, l’analisi di un osservatorio congiunto tra i due siti ha fissato in 585 euro il costo medio da sostenere per i traslochi urbani in Italia effettuati tramite professionista. Il calcolo è stato effettuato per un immobile tipo di 78 metri quadrati e la movimentazione di 42 colli, non comprensivi di eventuali trasporti speciali e assicurazione.

I 585 euro italiani sono circa il 27% in più di quanto si paga nel Regno Unito (460 euro) e appena superiore alla somma dovuta in Germania (575 euro). Se non altro, a noi italiani va meglio che ai francesi, che per i loro traslochi devono sborsare in media 615 euro.

L’analisi, condotta su un campione di oltre 15mila casi registrati nei primi quattro mesi del 2016, ha evidenziato come il prezzo che si paga in Italia sia decisamente più alto anche nel caso di traslochi extra urbani. Chi cambia città, rimanendo dentro i confini nazionali, spende in media 1.450 euro in Italia, 1.160 euro nel Regno Unito, 1.325 euro in Germania e 1.430 euro in Francia, stavolta più economica di noi.

Altri dati interessanti emersi dall’analisi dell’Osservatorio congiunto Immobiliare.it e Movinga.it emergono dalle tipologie di traslochi più comuni nelle quattro nazioni usate come campione. Prendendo in esame i traslochi effettuati all’interno della stessa nazione, pur con il 57% di extra urbani gli italiani sono il popolo che meno di tutti si trasferisce in un’altra città; in Germania i traslochi verso un altro comune sono il 59% del totale, il 60% in UK e il 63% in Francia.

Italiani più “pigri” anche nello spostare mobili e suppellettili da una nazione a un’altra. In Italia, i traslochi internazionali sono il 2,1% del totale, il 2,9% in Germania, il 3% nel Regno Unito e il 3,2% in Francia.

Euro 2016 fa bene alle imprese

Aspettando di capire quanta strada faranno gli Azzurri a Euro 2016 e se vinceranno il trofeo, qualcuno che ha già vinto c’è di sicuro. Sono i negozi e i locali milanesi e nazionali, ai quali Euro 2016 porta nuovi affari, secondo i dati delle Camere di commercio di Milano e di Monza e Brianza.

Positiva l’influenza delle partite per il 26% secondo circa 70 negozianti e titolari di locali sentiti a giugno. Il 9% organizza iniziative per le partite. La principale attività che offrono sono sconti e promozioni legate alle partite e nei giorni in cui gioca la Nazionale. In alcuni casi c’è anche crescita di fatturato, per il 6% degli operatori.

Con la fase degli scontri diretti sale la febbre di calcio e di Azzurri, e sale anche l’indotto generato dalle partite di Euro 2016. L’indotto generato dall’ultima fase del torneo, stimato dalla Camera di commercio di Monza e Brianza, è di circa 180 milioni di euro, tra pubblici esercizi e shopping sportivo, generato dalle partite proiettate sui maxischermo allestiti nelle diverse città e dalle serate di tifo in compagnia tra bar, pizzerie e pub. Un indotto che potrà essere più alto in caso di vittoria azzurra.

Al di là del calcio e di Euro 2016, lo sport è anche impresa. Sono infatti quasi 5mila le imprese legate allo sport in Lombardia, secondo i dati elaborati dalle Camere di commercio di Milano e di Monza e Brianza al primo trimestre 2016, tra imprese che gestiscono impianti sportivi e palestre e negozi di attrezzature sportive. Crescono del 3% in un anno e del 13% in cinque anni. Prima Milano con 1400 attività circa, poi Brescia con quasi 1000, Bergamo con oltre 500, Varese e Monza con oltre 300.

Marina resort, ecco il nuovo decreto attuativo

La Conferenza Stato-Regioni ha approvato il nuovo decreto attuativo dei Marina resort, che rende nuovamente operativa l’applicazione dell’Iva turistica al 10% agli ormeggi a breve, quelli inferiori all’annualità.

Il decreto attuativo stabilisce i requisiti minimi che i Marina resort devono possedere ai fini dell’equiparazione alle strutture ricettive all’aria aperta, ossia i servizi di accoglienza e messa a disposizione dello specchio acqueo per il pernottamento dei turisti.

L’emanazione del decreto sui Marina resort si è resa necessaria dopo che la Corte Costituzionale aveva parzialmente accolto il ricorso della Regione Campania contro il decreto attuativo della legge che riconosce l’applicazione dell’Iva al 10%, nella parte in cui non prevedeva la previa intesa nella Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano.

Il nuovo decreto attuativo identifica i servizi da offrire, senza indicare le quantità erogate, che potranno quindi essere oggetto di un’ulteriore, autonoma, disciplina regionale.

Il commento di Carla Demaria, presidente di UCINA Confindustria Nautica, sul decreto attuativo dei Marina resort: “Siamo molto soddisfatti di questo importante risultato ottenuto alle porte della stagione estiva. UCINA aveva richiesto con forza che il decreto attuativo fosse approvato al più presto possibile per non rischiare di perdere il vantaggio e la spinta economica che tale norma è già stata in grado di garantire al turismo nautico nel 2015. Lo scorso anno, al suo primo anno di applicazione, la norma ha prodotto un aumento del 4% dei contratti di ormeggi stagionali Rendendo nuovamente più appetibile la sosta presso gli ormeggi in transito nei porti turistici italiani verrà attirato nelle nostre acque un numero maggiore di imbarcazioni che potranno così godere della bellezza delle coste italiane a prezzi concorrenziali nel Mediterraneo”.

Auto, una manna per il fisco

Qual è il settore, in Italia, più tartassato dal fisco? Con tutta probabilità quello dell’automotive, che comprende sia gli autoveicoli, sia le moto, sia i veicoli commerciali. Secondo i calcoli della Cgia, il settore auto è zavorrato da un peso fiscale complessivo di 71,6 miliardi di euro.

Un totale che, come ricorda la Cgia, soffoca il settore auto perché è più che doppia rispetto al gettito versato dalle imprese attraverso l’Irap (pari a 30,4 miliardi) e 20 volte superiore a quanto hanno pagato fino nel 2015 i proprietari di prima casa con la Tasi (3,5 miliardi).

Si tratta di un bacino sterminato a cui il fisco attinge: oltre 37 milioni di auto e 6,8 milioni di moto. Secondo la Cgia, la situazione è al limite del collasso, anche perché dal 2009 il prelievo fiscale sul settore auto è cresciuto di 5,3 miliardi (+8%), nonostante si sia registrato un crollo delle vendite.

Per la propria elaborazione, l’Ufficio studi della Cgia si è basato su dati Anfia (l’Associazione nazionale filiera industria automobilistica) e ha calcolato che quasi l’82% dei 71,6 miliardi di euro di tasse sull’automotive viene dall’utilizzo del parco circolante, il 9,5% dall’acquisto e l’8,5% dalla tassa di possesso (il bollo auto).

Franchising, numeri buoni anche per il 2016

Non delude neanche nella prima parte del 2016 il mercato italiano del franchising. Secondo i primi dati sull’andamento del settore nel 2016 ricavati dal Centro Studi del Salone Franchising Milano, elaborando le statistiche provenienti dalle 1.000 aziende del comparto che fatturano annualmente 23 miliardi di euro, il primo trimestre dell’anno è in crescita dello 0,3%, rispetto al primo trimestre del 2015.

Una crescita ancora poco marcata, sottolineano dal Salone Franchising Milano, che però conferma il rinnovato interesse delle aziende italiane per la formula della vendita in affiliazione.

Contemporaneamente, si assiste a una serie di cambiamenti significativi nei settori di maggior interesse del franchising: prosegue la crescita del food (+9%), crescono gli articoli per la persona (+12%) e l’abbigliamento (+11%), mentre calano di molto i servizi alle imprese (-29%) e il commercio specializzato (– 27%).

Salone Franchising Milano ha sentito, sulle prospettive di mercato dei tre settori più performanti (food, abbigliamento, articoli per la persona), tre aziende che hanno deciso di esporre alla 31esima edizione del Salone, in programma dal 3 al 5 novembre prossimi a Fieramilanocity.

Tutto il comparto food sta crescendo, sia nella distribuzione ordinaria sia nel franchising – conferma Paolo Aruta, di Fratelli La Bufalae pensiamo possa crescere ancora, sia in Italia sia all’estero. Abbiamo 70 ristoranti, di cui circa 15 all’estero, di cui 30 sono gestiti direttamente e il resto in franchising. Abbiamo aperto a Londra, Dubai, Shanghai, Il Cairo e puntiamo ad incrementare i piani di sviluppo internazionale. Presentiamo la tradizione gastronomica napoletana rivisitata in chiave moderna, con tante novità, come il Menù per Bambini elaborato dai nutrizionisti”.

Abbiamo oltre 300 negozi ‘Motivi’ in Italia, di cui 60 in affiliazione – gli fa eco Massimo Arnaldi, responsabile franchising di Miroglio Fashione vediamo che esistono ampi margini per uno sviluppo dei punti vendita in franchising. Quindi siamo ben lieti di interagire con i potenziali affiliati interessati al nostro marchio e il Salone milanese è la vetrina perfetta”.

La gioielleria rappresenta una delle eccellenze manifatturiere del nostro Paese – conclude Nicola Sarni di Sarni Oroed è molto apprezzata dagli italiani. Abbiamo già 100 negozi in Italia, ma abbiamo deciso di entrare nel franchising per poter aumentare le aperture e coprire tutte le regioni italiane. E’ una sfida, ma il nuovo progetto si basa su una linea di gioielli artigianali molto qualificata, oltre che oreficeria, orologeria, argenteria, bijoux ed altro”.

Consulenti del lavoro e welfare aziendale

La tematica del welfare aziendale è sempre più al centro della discussione di quanti si occupano di mercato del lavoro e di strategie aziendali, in quanto tema di grande valore sociale prima ancora che d’impresa.

Ecco perché assume un particolare valore la recente circolare n. 10 emanata dalla Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro, nella quale si analizzano le modifiche apportate dal Legislatore e le condizioni introdotte dalla Legge di Stabilità 2016 alla normativa sul welfare aziendale.

Nella circolare sul welfare aziendale, una vera e propria guida, i consulenti sottolineano come potranno essere considerate retribuzione in natura, con relativo trattamento fiscale agevolato, alcune voci come: spese sanitarie e per l’assistenza a disabili e anziani, rette degli asili nido, erogazioni per attività sportive o ricreative a favore di dipendenti o familiari.

Inoltre, sostengono i consulenti, l’erogazione di servizi di welfare aziendale può essere effettuata anche utilizzando appositi voucher. Le erogazioni, altro vantaggio, sono poi completamente deducibili ai fini fiscali da parte dei datori di lavoro.

Tutti elementi che danno, secondo i consulenti del lavoro, benzina al welfare aziendale per ricoprire un ruolo sempre più rilevante all’interno delle imprese nei prossimi anni, poiché il quadro che lo caratterizza è piuttosto competitivo.

Inoltre, dal momento che le modifiche apportate dalla Legge di Stabilità 2016 vanno nella direzione della piena detassazione del welfare aziendale erogato dalle aziende ai lavoratori anche, anche se inquadrato in un ambito contrattuale, secondo i consulenti la prospettiva è quella di un azzeramento del cuneo fiscale, poiché l’esclusione dalla base imponibile fiscale comporta il conseguente esonero ai fini contributivi.

Pagamento della quattordicesima? C’è il finanziamento

Il mese di giugno per le imprese e per i lavoratori è sinonimo di quattordicesima. Spesso, però, per molte Pmi dover erogare questo emolumento rappresenta uno sforzo importante. Il mondo delle banche lo sa, e mette in campo iniziative come quelle di Banca Sella, che ha previsto un finanziamento ad hoc per le piccole e medie imprese che devono pagare ai dipendenti la quattordicesima o l’anticipo della retribuzione per le ferie.

Si tratta di un finanziamento di 1800 euro per ciascun dipendente cui erogare la quattordicesima, rimborsabile in quattro rate mensili a partire dal prossimo mese di settembre.

Il finanziamento per la quattordicesima a disposizione delle Pmi è reso possibile grazie al plafond creato dal Gruppo Banca Sella utilizzando le risorse ottenute alle aste Tltro indette dalla Bce.

A differenza di quanto hanno fatto altri istituti di credito, queste risorse sono state integralmente destinate da Banca Sella alla creazione di un plafond per sostenere il credito delle imprese, con condizioni di finanziamento vantaggiose.

In una nota, il gruppo ha affidato il commento al finanziamento per la quattordicesima al responsabile Mercati Commerciali, Luca Ferrarese: “Questa soluzione è uno strumento che può essere utile per le piccole e medie imprese che si trovano ad affrontare scadenze importanti e consistenti, in termini di impegno economico, in questo periodo estivo che tradizionalmente vede un rallentamento degli ordini e della produzione. Un finanziamento ad hoc può essere una soluzione valida per affrontare più agevolmente queste scadenze e rappresenta un gesto di attenzione verso le esigenze e le necessità delle aziende”.

Sportelli d’oro

Le banche italiane hanno i costi più elevati d’Europa. Calcolando l’incidenza delle spese operative del 2014 (49,5 mld), sul totale delle attività (2.701 mld), il risultato è dell’1,83%, superiore a tutte le incidenze delle prime 10 economie bancarie dell’Ue.