Il Congresso nazionale dei periti agrari

Importante appuntamento il prossimo ottobre per i periti agrari italiani, che si ritroveranno dal 6 all’8 a Barga (LU) per il 18esimo Congresso nazionale dei periti agrari e dei periti agrari laureati.

Il congresso metterà al centro il tema della filiera agroalimentare nella sua interezza: dalla produzione alla trasformazione, fino alla commercializzazione, alla qualità e alla sicurezza alimentare.

Come ben sanno i periti, oggi la filiera agroalimentare è sempre più al centro dell’interesse generale e nel futuro di una professione che, tra le altre cose, ha il compito di valorizzare, tutelare e migliorare i prodotti agroalimentari, dalla produzione primaria al consumo finale.

Ecco perché, durante il congresso, saranno approfondite le caratteristiche e le opportunità della professione di perito agrario nel contesto nazionale e internazionale, con un focus speciale sui percorsi di produzione di cibo, sulle sue qualità e sostenibilità.

Oggi il perito agrario – ha spiegato il presidente del Collegio nazionale dei periti agrari e dei periti agrari laureati, Lorenzo Benanti durante la presentazione del congresso – può occuparsi con successo di gran parte dei problemi tecnici ed economici del comparto agricolo. Un’attività che trova particolare corrispondenza con due settori sempre più contemporanei e attuali come quello del mondo della trasformazione agroindustriale e quello dell’applicazione delle normative dell’Unione europea in materia di supporto e affiancamento alle imprese. Quella del perito agrario è una figura professionale sempre più moderna e innovativa di cui l’agricoltura ha bisogno“.

Industria 4.0 in pochi, semplici concetti

Dopo una settimana passata a parlare di Industria 4.0, ricapitoliamo in sintesi alcune informazioni di base su un fenomeno che nasce dalla cosiddetta “quarta rivoluzione industriale” e che dovrebbe portare all’automatizzazione e alla interconnessione totale dei processi di produzione industriale.

Intanto bisogna ricordare che l’espressione Industria 4.0 deriva dall’omologa tedesca Industrie 4.0, coniata in Germania dall’associazione di ingegneri Vda. La Germania, infatti. È la patria dell’ Industria 4.0, ormai da anni al centro delle strategie produttive nazionali.

Uno dei pilastri fondativi dell’ Industria 4.0 insieme ai Big Data (la raccolta, la razionalizzazione e l’analisi di una ingente mole di dati in tempi molto rapidi) e al Cloud Computing (disponibilità di dati in remoto, accessibili ovunque e sempre tramite web) è l’Internet of Things, (IoT, internet delle cose). In sostanza, l’IoT è la tecnologia che consente di connettere in rete tra loro e far dialogare tanto gli oggetti di uso quotidiano (dal frigo alla lavatrice), quanto le macchine di sistemi produttivi industriali complessi.

Proprio l’applicazione di queste tre componenti alla produzione industriale farà in modo che i processi aziendali diventino più rapidi, economici e razionali. Le macchine non si limiteranno a produrre, ma diventeranno dei veri server in grado di immagazzinare dati, rielaborarli e inviare alle varie unità dell’azienda informazioni in tempo reale sullo stato dei processi produttivi, in modo da variarli e renderli più efficaci se necessario.

Sulla carta, quindi, l’ Industria 4.0 sembra la dimensione ideale e meravigliosa per far sì che le aziende producano meglio, di più, risparmiando sui costi. Tutto bello e fantastico, quindi? Non proprio.

Intanto, passare dall’enunciazione di piani e scenari teorici alla messa in pratica dei processi in un vero ecosistema industriale non è cosa immediata. Specialmente in Italia. Poi c’è la questione delle ricadute sull’occupazione.

Al World Economic Forum 2016 dello scorso gennaio è stato infatti presentato il rapporto The Future of the Jobs, in tema di robotica e fabbriche interconnesse. Ebbene, secondo il WEF, l’ Industria 4.0 potrà creare nei prossimi anni 2 milioni di nuovi posti di lavoro nel mondo ma, contemporaneamente, farne perdere 7 milioni, specialmente nei settori amministrativi e produttivi delle aziende. Ai sindacati piacerà l’ Industria 4.0?

Le imprese nelle aree a rischio terremoto

A poco più di un mese dal terremoto che ha devastato l’Italia centrale, puntiamo l’attenzione su una interessante elaborazione della Camera di commercio di Milano sulle imprese che, in Italia, si trovano in aree a rischio sismico.

Secondo l’elaborazione, effettuata su dati del registro delle imprese al secondo trimestre 2016, 2015 e 2011, sulle zone sismiche, livello 1, secondo la classificazione sismica al 2015 della Protezione Civile, sono quasi 240mila (239.917) le imprese nei comuni più soggetti a terremoto, il 5% dei circa 5 milioni di imprese italiane con 439mila addetti, il 3% del totale nazionale e un fatturato da 26 miliardi.

Si tratta di aree la cui economia è in ripresa, con circa 1.000 imprese in più in un anno grazie al turismo. Sono infatti 400 le imprese in più nel settore alloggio e ristorazione, +2,5%, a dispetto del rischio terremoto.

Rispetto al dato nazionale si tratta di un’economia più agricola (24% delle imprese dell’area, il 9% in più che in Italia) e commerciale (primo settore con 30% delle imprese dell’area, il 2,7% in più che in Italia). Minore il peso delle costruzioni (12,4%, il 2,3% in meno della media italiana) e del manifatturiero (8%, 1,7% in meno).

Come si diceva, l’economia di queste aree è aumentata nell’ultimo anno di circa mille imprese, +0,4% rispetto al +0,2% registrato in Italia. In crescita anche gli addetti, + 5% dai 418 mila di un anno fa. Una ripresa che si stava verificando prima del terremoto e che interrompeva il calo di imprese in cinque anni, 6mila in meno del 2011.

Primi comuni per numero di imprese nelle aree più soggette a terremoto sono Messina, con quasi 14mila, Reggio Calabria, con circa 13mila, Cosenza, Lamezia Terme (CZ) e Potenza, con 6mila, Benevento e Foligno (PG) con circa 5mila.

Primi comuni per fatturato nelle aree a rischio terremoto sono Messina e Melfi (PZ) con quasi due miliardi, Benevento, Osoppo (UD), Foligno (PG) e Potenza con oltre un miliardo. Tra i Comuni con maggiore crescita di imprese in cinque anni vi sono Reggio Calabria con 600 imprese in più, Lamezia Terme (CZ) e Rende (CS) con 400. Tra quelli meno grandi ci sono Viggiano (PZ) con un +17%, Pozzilli (IS) e Zumpano (CS) con un +12%, Falconara Albanese e Pedace (CS) con un +20%.

Congresso tributaristi, il dibattito sulle riforme

Nell’ambito del V Congresso Nazionale INT 1997-2016 “Riformare per Modernizzare”, che si terrà il 7 e l’8 ottobre 2016 e che vedrà riuniti a Roma tributaristi da tutta Italia, uno dei momenti che si preannunciano più interessanti sarà il dibattito a “Il Confronto: le riforme di settore e non…”, previsto per il venerdì pomeriggio.

Dopo inviti, conferme, disdette si è delineato il parterre dei protagonisti che, alla corte dei tributaristi dell’INT, animeranno il dibattito che si svolgerà nell’ambito degli appuntamenti del pomeriggio della prima giornata congressuale.

Si dibatterà di riforme di settore, ma non si potranno non citare anche quelle relative ad altri ambiti della vita sociale come quella costituzionale.

Modererà il confronto la giornalista Rai Elena Carbonari, che avrà al tavolo, come partecipanti, Enrico Morando, Vice Ministro dell’Economia e delle Finanze, Anna Cinzia Bonfrisco, Presidente della Commissione per la vigilanza sulla Cassa Depositi e Prestiti, Carlo Bonomi, Presidente del Gruppo Tecnico per il Fisco di Confindustria, Angelo Deiana, Presidente di Confassociazioni (Confederazione delle Associazioni Professionali) e Giorgio Del Ghingaro, Vice Presidente dell’Istituto Nazionale Tributaristi.

Non mancherà un intervento del presidente dell’Istituto Nazionale Tributaristi Riccardo Alemanno, che con ogni probabilità, anche se non previsto dal programma, trarrà le conclusioni del dibattitto che, anche grazie alla caratura dei protagonisti e alla tematica affrontata, si preannuncia molto interessante.

Industria 4.0 e start-up

Il concetto di Industria 4.0 è in parte sovrapponibile al quello di smart manufacturing. Un settore nel quale il numero di nuove imprese innovative finanziate a livello mondiale da fondi o da venture capital, è aumentato del 15% per tre anni consecutivi, tra il 2012 al 2014, secondo quanto emerge dalla più recente ricerca su Industria 4.0 realizzata dagli Osservatori del Politecnico di Milano.

Si stima che, nel periodo in esame la loro raccolta sia salita oltre gli 1,5 miliardi di dollari, il 39% dei quali destinato a start-up nell’area delle industrial analytics, sulle quali vi è stato un investimento medio di 12,5 milioni di dollari.

Come si vede, dunque, a livello globale l’ Industria 4.0 a suo modo l’economia la muove già. A conferma di questo vi sono anche i dati elaborati da Cb Insights sul comparto dell’Industrial IoT (Internet of Things), uno dei pilastri dello smart manufacturing e dell’ Industria 4.0.

Secondo le rilevazioni di Cb Insight, negli ultimi 5 anni le start-up del comparto hanno visto i finanziamenti loro destinati quadruplicare, fino a superare, nel 2015, il miliardo di dollari. Si tratta principalmente di imprese attive nei progetti cosiddetti early-stage (oltre il 50% di quelli conclusi in campo Indutrial IoT dal 2012 in poi), che hanno raccolto tra il 2013 e il 2015 il 27% dei finanziamenti totali. I progetti cosiddetti “mid-stage” sono circa il 25% del totale, ma a loro è andata la metà dei capitali investiti a livello globale.

Sempre secondo il Politecnico, delle start-up attive nel settore dello smart manufacturing, il 60% si trova negli Stati Uniti (con un valore medio dei finanziamenti di 10 milioni di dollari) e il 30% in Europa (con un valore medio dei finanziamenti di 2,7 milioni di dollari). Se le start-up americane di Industria 4.0 sono il doppio di quelle europee, esse assorbono però finanziamenti 4 volte superiori.

Un discorso a parte, in merito a Industria 4.0, merita l’Italia, dove sono state individuate 20 start-up (tra finanziate e non) che operano nei suoi diversi settori. Più interessante in termini di finanziamenti risulta il settore del cloud manufacturing. L’auspicio è che il Piano Industria 4.0 annunciato dal governo possa contribuire al moltiplicarsi di queste realtà locali, proiettate in una dimensione globale.

Vinitaly protagonista in Cina

L’Italian Style a tavola è stato protagonista in Cina dal 23 al 25 settembre con Vinitaly International al Shanghai Wine & Dine Festival. Il braccio operativo di Vinitaly ha organizzato per il secondo anno consecutivo l’Italian National Pavilion, che ha presentato sotto un’unica bandiera i prodotti e i marchi più rappresentativi dell’agroalimentare nazionale.

È da un anno che programmiamo questa iniziativa a Shanghai e i risultati danno ragione al lavoro svolto – ha commentato Maurizio Danese, presidente di Veronafiere -. 150 prestigiose etichette in degustazione, una presenza espositiva tra le più importanti con i principali marchi dell’agroalimentare italiano, 8 media partner di alto livello, il coinvolgimento di alcuni dei più conosciuti ristoranti italiani della metropoli, quattro associazioni regionali e qualificati partner nazionali. Tornare in questa città a due settimane dal 9.9 Wine Festival di Alibaba e dell’evento “E-commerce: the new gateway for Italian wine in China”, organizzato da Ice, Ambasciata d’Italia, Mise e Mipaaf, ci offre l’occasione di dare continuità all’azione di consolidamento su questo mercato di grande potenzialità, anche attraverso il piano di promozione del made in Italy di cui siamo protagonisti”.

Gli ha fatto eco Giovanni Mantovani, direttore generale di Veronafiere: “Il Shanghai Wine & Dine Festival è un evento completamente B2C, visitato alla sua prima edizione del 2015 da 70mila visitatori, con capacità di spesa medio-alta e una età compresa tra i 25 e i 45 anni. Questo lo rende particolarmente interessante per sviluppare quella cultura del prodotto di qualità a cui si ispira Vinitaly nelle sue attività di promozione all’estero”.

Paese target fin dal 1998, quando Veronafiere organizzò proprio a Shanghai il China Wine, fiera dedicata al vino e alle attrezzature per la vinificazione, la Cina è un mercato ricco di opportunità, che l’Italia, con una quota del 5% e il quinto posto tra i Paesi importatori, non ha ancora saputo cogliere pienamente facendo sistema.

Buoni però i segnali di mercato, grazie all’ottima performance dei primi mesi di quest’anno, che ha visto crescere del 30% le importazioni di vino italiano nel grande Paese asiatico. Una miniera da esplorare per il sistema Vinitaly.

Quarto buyer mondiale di vino, nei primi 4 mesi del 2016 la Cina ha segnato una crescita delle importazioni del 42% contro il +4,5% degli Usa, che la proietta verso la terza posizione entro fine anno. L’Italia è partita tardi rispetto alla Francia, Paese top exporter con il 43% di quote di mercato, e oggi sta pagando anche gli accordi di sistema tra Canberra e Pechino che hanno favorito l’exploit nel 2015 (+111%) del prodotto australiano, secondo Paese fornitore, davanti a Cile e Spagna.

Invalidità e deducibilità delle spese mediche, risoluzione delle Entrate

L’Agenzia delle Entrate ha chiarito alcuni aspetti della disciplina che regola le spese mediche di cui beneficiano invalidi gravi o disabili e che sono sostenute dei familiari.

Il chiarimento è arrivato dopo che all’Agenzia stessa era stato richiesto se, per poter dedurre queste spese, fosse sufficiente presentare il certificato di invalidità o se fosse necessario presentare il riconoscimento dello stato di portatore di handicap, ai sensi della legge 104.

Ebbene, con una risoluzione ad hoc, le Entrate hanno chiarito che devono essere considerati disabili ai fini della deducibilità delle spese mediche e di assistenza necessarie, in presenza di disabilità grave e permanente, invalidità o menomazione:

  • quanti hanno ottenuto le attestazioni dalla Commissione medica, a norma della legge 104;
  • quanti sono stati ritenuti “invalidi” da Commissioni mediche pubbliche preposte a riconoscere l’invalidità civile, di lavoro o di guerra.

In sostanza, le Entrate chiariscono che, nei casi di invalidità grave, la certificazione rilasciata ai sensi della legge 104 è sufficiente per poter usufruire della deduzione discale, ma non nei casi di quella civile.

Perché siano dedotte dai familiari le spese mediche sostenute a beneficio di soggetti con disabilità, non è sufficiente il solo riconoscimento dell’ invalidità civile, per due ragioni:

  • l’accertamento della invalidità civile riguarda la valutazione del grado di capacità lavorativa;
  • l’accertamento dell’handicap riguarda invece lo stato di gravità delle difficoltà sociali e relazionali di un soggetto che, se accertato, consente a quest’ultimo di fruire dei servizi sociali e previdenziali e di particolari trattamenti fiscali.

Qualora sia riconosciuta la civile occorre quindi accertare anche la grave e permanente invalidità o la menomazione perché possano essere dedotte le spese mediche sostenute dai familiari.

Periti industriali: case italiane vecchie e a rischio

L’Italia è un Paese di abitazioni vecchie e a rischio. Ciò che viene drammaticamente alla luce dopo ogni calamità naturale, terremoti in primis, è ora certificato dai dati presentati nei giorni scorsi dal Centro studi Opificium del Consiglio nazionale dei periti industriali.

I periti industriali hanno infatti rilevato che, in Italia, solo lo scorso anno ci sono stati oltre 150mila interventi negli edifici da parte dei vigili del fuoco (+20% rispetto al 2010) per problemi di statica, impiantistica o fughe di gas.

Inoltre, il Consiglio nazionale dei periti industriali ha rilevato che circa 3 milioni di famiglie vivono in case danneggiate e non sicure, con un numero di infortuni e decessi per incendi o esplosioni in casa, superiore rispetto a quello provocato da un terremoto.

La realtà messa in luce dai periti industriali deriva dal fatto che, in Italia, per oltre il 50% degli edifici storici non si conosce la consistenza volumetrica, né lo stato di conservazione dei materiali. Inoltre, in base ai dati del Centro studi Opificium, il 74,1% degli edifici residenziali italiani è stato costruito prima degli Anni ’80 e il 25,9% prima della Seconda guerra mondiale.

Per quanto riguarda lo stato di conservazione degli edifici residenziali, i periti industriali sottolineano che oltre 2 milioni di essi (il 16,9% del totale) sono in mediocre (15,2%) o pessimo (1,7%) stato di conservazione, specialmente per quanto riguarda le abitazioni più antiche.

Il commento del Consiglio nazionale dei periti industriali non lascia dubbi: “Cifre drammatiche, che mettono in evidenza un dato allarmante: non sono solo i danni strutturali (dovuti ad eventi sismici) la causa di vittime e infortuni, ma una molteplicità di fattori (fughe di gas, esplosioni elettriche, impianti non a norma, ecc), spesso poco considerati dall’opinione pubblica“.

Per questo, lo studio commissionato dal Consiglio nazionale dei periti industriali contiene diversi parametri di riferimento e procedure operative per rendere il libretto del fabbricato più efficace rispetto a una valutazione puntuale delle criticità che lo interessano.

Nello studio si individua un indice di efficienza composto da due parametri – indice documentale e indice tecnico – i quali, associati al fascicolo, rendono lo strumento facile da consultare e da aggiornare, anche subito dopo un intervento manutentivo.

Industria 4.0 e filiera dell’automotive

Una delle filiere industriali che più potrebbero giovare di una svolta verso l’ Industria 4.0 è quella dell’automobile che, peraltro, in diversi casi è già avviata da tempo lungo questa strada.

Non è un caso, quindi, che uno dei commenti più tempestivi e positivi nei confronti del Piano Nazionale Industria 4.0 presentato nei giorni scorsi dal governo arrivi dall’Anfia (Associazione Nazionale Filiera Industria Automobilistica). Positivo sì, ma anche con qualche distinguo.

Approviamo l’impostazione del Piano, che punta a potenziare in chiave 4.0 strumenti incentivanti già in vigore e di dimostrata efficacia – commenta Aurelio Nervo, presidente di Anfia -. Rinnoviamo, inoltre, la nostra disponibilità al dialogo con le istituzioni – nello specifico con la cabina di regia che coordinerà l’attivazione e la gestione degli strumenti previsti – e al coinvolgimento nel progetto di implementazione del Piano, per la definizione della lista dei beni legati alla manifattura 4.0 e delle misure al contorno”.

Facciamo notare, tuttavia – prosegue Nervo -, che la riduzione al 120% della maggiorazione del superammortamento per i veicoli e altri mezzi di trasporto penalizza ingiustamente solo questa categoria di beni strumentali, a cui è stato riservato un trattamento non paritario nell’ambito di una politica di ammodernamento delle strutture produttive trasversale ai vari settori. Del superammortamento beneficiano, infatti, gli utilizzatori finali, in questo caso le imprese che impiegano i veicoli come beni strumentali d’impresa (ad esempio le imprese di autotrasporto e le PMI dotate di piccole flotte aziendali)”.

Riteniamo che il trend di ripresa che dal 2015 caratterizza il mercato degli autoveicoli – conclude Nervoabbia bisogno di essere sostenuto su un orizzonte temporale più lungo, attraverso misure strutturali che diano continuità al lento rinnovo del parco circolante italiano, uno dei più anziani d’Europa. Un sostegno che, quindi, va a beneficio della sicurezza sulle strade e della riduzione dell’impatto ambientale della circolazione, in linea con gli ambiziosi obiettivi ambientali fissati dai regolamenti comunitari”.

Nel commentare il Piano Industria 4.0, Anfia ricorda che, per chi investe in innovazione, è previsto un iperammortamento che passa dall’attuale 140% al 250% per i beni legati alla manifattura 4.0.

L’automotive è considerato il settore pilota di questo paradigma, in quanto presenta caratteristiche che ne facilitano e ne rendono immediatamente efficace e visibile l’applicazione. Per questo è già avviato lungo la strada dell’ Industria 4.0.

Infatti, è un comparto che opera verticalmente lungo l’intera catena del valore, con filiere lunghe ma trasparenti e tracciabili; include già oggi settori di competenza e addetti nativi digitali; lavora su tempi stretti di ingegnerizzazione del prodotto e rapide evoluzioni dello stesso; deve rispondere a crescenti esigenze di customizzazione attraverso una gestione snella e versatile delle varianti di prodotto, facendo dialogare le divisioni R&D e Produzione in modo intelligente.

La digitalizzazione nel settore auto, ricorda Anfia, è già in corso non soltanto sul piano del manufacturing e del prodotto finale, ma anche in termini di nuovi modelli di mobilità. Tuttavia, tra le coperture previste per il Piano Industria 4.0 viene citata la riduzione della maggiorazione del superammortamento per i veicoli ed altri mezzi di trasporto dal 140% al 120%. Di qui l’amara considerazione di Nervo.

Italia-Svizzera, quanto vale la guerra dei frontalieri?

Il referendum che, nel Canton Ticino, ha visto prevalere quanti chiedono che sia data priorità ai residenti in Svizzera nell’assegnazione dei posti di lavoro, a scapito soprattutto dei frontalieri, sta rischiando di diventare un caso diplomatico.

Sono infatti oltre 60mila i frontalieri italiani che, ogni giorno, varcano il confine per andare a lavorare in Svizzera. A quanti volessero seguire le loro orme un domani, il 58% dei ticinesi ha di fatto detto stop.

La regione maggiormente esposta in questo senso e che vanta il maggior numero di frontalieri è la Lombardia. Ecco perché la Camera di commercio di Milano ha provato a calcolare quanto vale, attualmente, il rapporto commerciale tra la regione e lo Stato elvetico.

Secondo la CamCom milanese, gli scambi tra Lombardia e Svizzera valgono quasi 11 miliardi di euro all’anno, circa un terzo del totale nazionale (oltre 30 miliardi di euro). Un dato abbastanza stabile rispetto all’anno precedente (-1%)..

Milano è la protagonista lombarda degli scambi verso la Svizzera, con oltre sei miliardi di euro. Seconda è Monza con 1,2, seguita da Varese con 701 milioni e Como con 649 e un gran numero di frontalieri.

Metallurgia, tessile, elettronica e macchinari, sono i primi settori dell’export. L’import è invece per la maggior parte farmaceutico. I primi settori dell’export lombardo sono infatti i metalli di base e i prodotti in metallo (1,2 miliardi), seguiti da prodotti tessili, abbigliamento, pelli e accessori (836 milioni), computer, apparecchi elettronici e ottici (817 milioni), macchinari (591 milioni). L’import farmaceutico vale invece 1,1 miliardi. Al secondo posto ci sono computer e apparecchi elettronici (946 milioni).