A Bolzano, workshop tra scuola e lavoro

Un’asse di collegamento tra scuola e mercato del lavoro, che dovrebbe rappresentare la normalità, è stata pensata da Philipp Achammer, Assessore provinciale all’Istruzione del Comune di Bolzano, il quale ha proposto presso la Camera di Commercio di Bolzano, in collaborazione con il Dipartimento di Istruzione tedesca, una serie di eventi dedicati al Laboratorio sul futuro Scuola – Economia.

Questi workshop si sono svolti a Bolzano, Merano e Brunico, ed hanno riunito i rappresentanti delle scuole e delle imprese per facilitare un proficuo scambio sulla reciproca collaborazione. I partecipanti hanno discusso dei loro desideri e delle loro visioni in materia di cooperazione tra scuola ed economia, avanzando anche diverse proposte.

Sicuramente questo tipo di collaborazione ha effetti positivi sulle possibilità di ingresso dei giovani nel mondo del lavoro, soprattutto dal punto di vista pratico, ma anche sulle imprese che in questo modo entrano in contatto con i programmi didattici proposti nelle scuole.
Si tratta di un espediente di sicuro successo, che porta, come primo ed importante beneficio, la diminuzione della disoccupazione giovanile.

Essendo un esperimento che riguarda in particolare la scuola di derivazione tedesca, in Alto Adige è attivo da diversi anni e viene modificato e migliorato con il variare delle esigenze.
Uno dei punti fermi, sottolineato anche dalle tavole rotonde organizzate durante la manifestazione, è l’importanza sempre più urgente del plurilinguismo, che andrebbe incentivato con maggiore insistenza e su larga scala.
Inoltre, i tirocini rappresentano una chiave di svolta per gli studenti, poiché permette loro di mettere in pratica quanto appreso e di specializzarsi ulteriormente, considerando che è quanto viene chiesto insistentemente dalle aziende.

Per chi volesse consultare la sintesi dei risultati del laboratorio, può farlo scaricandola dal sito Camcom.bz.it.

Vera MORETTI

Confassociazioni contro il ddl sul lavoro autonomo

Paolo Righi, presidente Confassociazioni Immobiliare e presidente Fiaip, in occasione della sua audizione in commissione Lavoro alla Camera, ha chiesto che venga soppresso “l’obbligo del fascicolo di fabbricato dall’ambito di applicazione del disegno di legge che prevede misure per la tutela del Lavoro Autonomo”, in riferimento al ddl per il lavoro autonomo (A.C. 4135) recante misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato.

Ecco quanto dichiarato dal Presidente Fiaip: “Partendo dall’assunto che il tentativo di introdurre tale nuovo adempimento a carico dei proprietari si tradurrebbe in una nuova tassa che deprimerebbe la lentissima ripresa che si sta cominciando ad intravedere nel settore delle compravendite immobiliari, vi è chi continua purtroppo a proporre il fascicolo di fabbricato come la soluzione salvifica in tema di fenomeni simici, nonostante in varie sedi, giudiziarie e tecniche, se ne sia dichiarata l’incostituzionalità oltre che l’inutilità ai fini della prevenzione dei dissesti ad opera degli eventi sismici. Sostenere ulteriori obblighi e nuovi oneri a carico dei professionisti è del tutto ingiustificato. Per questo riteniamo pretestuoso l’inserimento, all’interno della disposizione sulla “Rimessione degli atti pubblici alle professioni ordinistiche”, dell’obbligo del fascicolo di fabbricato. Non si comprende, oltretutto, perché un disegno di legge che tutela e prevede altre finalità debba introdurre norme che non hanno nulla a che vedere con la ratio della proposta di legge”.

Sempre nello stesso ambito, sono state illustrate anche alcune proposte emendative che potrebbero migliorare il testo, tramite la Vice Presidente con delega alle pari opportunità, Federica De Pasquale, la quale ha dichiarato: “Il nostro obiettivo è soprattutto quello di continuare la fattiva collaborazione con le Istituzioni e in particolare con le Commissioni Lavoro di Camera e Senato, perché crediamo sia fondamentale per tutto il settore che rappresentiamo, che si arrivi ad una legge in grado di garantire pari dignità e tutele anche al lavoro autonomo. Anche per questo tra gli emendamenti proposti al testo sul Lavoro Autonomo c’è l’introduzione di un nuovo articolo che garantisca alle lavoratrici autonome la stessa indennità già erogata dall’Inps alle lavoratrici dipendenti nel caso dovessero subire una comprovata violenza, così come alcune precisazioni sull’erogazione dell’indennità di maternità. Infine, vorremmo che, per garantire un effettivo diritto alla formazione e all’aggiornamento professionale, venisse estesa la deducibilità delle spese a quelle di viaggio e di soggiorno. Abbiamo chiesto, non meno, che venga agevolato, anche dal punto di vista fiscale, l’accesso alla previdenza complementare. Una vera svolta in una legge di questo tipo sarebbe stata quella di svincolare il lavoratore autonomo dall’obbligo dei versamenti contributivi nelle casse dell’INPS lasciandolo libero di scegliere”.

Vera MORETTI

Export Made in Italy in forte ripresa

Buone, anzi, buonissime notizie per il Made in Italy arrivano dall’export, che finalmente si presenta in congiunzione positiva con dati che fanno ben sperare anche per il prossimo futuro.

Si tratta di un recupero che coinvolge tutte le aree, a cominciare dai Paesi più abituali, come Stati Uniti e Cina, ma anche Francia, Spagna e Germania, quest’ultima in pole position tra i dati positivi registrati, perché la ripresa riguarda anche i paesi extra Ue e, in generale, l’Europa intera.

L’impennata è iniziata a novembre 2016, con uno scatto del 5,7% su base annua, che ha dunque evidenziato il miglior dato dallo scorso agosto.
Si tratta di un progresso importante, visibile anche nel dato mensile destagionalizzato (+2,2%), che è riuscito a migliorare il bilancio del 2016, fino a quel momento non particolarmente brillante, se consideriamo che nei primi 11 mesi la crescita è pari allo 0,7%, che raddoppia all’1,5% escludendo dal calcolo l’energia.

Ma quali sono i settori che hanno saputo trainare il Made in Italy verso questo risultato positivo?I dati resi noti dall’Istat dicono che in vetta ci sono i mezzi di trasporto, poi gli autoveicoli, rispettivamente a 18,4 e 13,7%, seguiti da sostanze e prodotti chimici (13,4), farmaceutica (12%) e abbigliamento (9,6%).

Vera MORETTI

Italiani automobilisti piu’ attenti nel 2016

Il 2016 è stato un anno positivo per la sicurezza sulle strade, con un calo sia del numero di incidenti sia di vittime, come dimostrano i dati appena resi noti sia da Aci sia da Istat.
Ma, nonostante questo, Facile.it ha stabilito che, per almeno 1,4 milioni di automobilisti, nel 2017 le tariffe RC auto aumenteranno, perché sono stati riconosciuti responsabili di sinistri che faranno peggiorare la loro classe di merito.

Il portale leader per la comparazione di assicurazioni auto, è giunto a questa conclusione analizzando più di 500mila preventivi richiesti nell’ultimo mese dello scorso anno, arrivando così alla conclusione che per il 4,12% degli utenti l’RC auto aumenterà. La percentuale è comunque in diminuzione dello 0,31%, poiché, a quanto pare, gli automobilisti italiani sono stati più attenti rispetto al 2015.

Approfondendo maggiormente i dati ricavati, si nota che in caso di incidente tra le donne si conferma un maggior ricorso alle compagnie assicurative (4,68%) con il conseguente peggioramento della classe di merito; fra gli uomini la percentuale si ferma al 3,81%.

Tra le professioni dei guidatori, infermieri e medici sono i più distratti, poiché tra loro il 4,66% nel 2017 pagherà premi maggiori, seguiti da pensionati (5,21%), insegnanti (4,58%) e impiegati (4,38%).
I più attenti, invece, si confermano i vigili urbani e gli appartenenti alle forze dell’ordine: soltanto il 2,76% ha denunciato sinistri con colpa.

Dal punto di vista territoriale, il maggior numero di denunce è la Toscana, in cui ben il 5,78% del campione si è reso colpevole di sinistri, anche se in calo comunque dello 0,10% rispetto all’anno scorso. A seguire si trovano Liguria (5,40%) e Lazio (5,21%).

La regione in cui sono aumentate maggiormente le denunce è la Valle d’Aosta, con un +1,79%, mentre chiudono la classifica Basilicata (2,05%) e Molise (2,15%), dove sono diminuiti più che altrove i sinistri con colpa denunciati, con percentuali pari rispettivamente al -1,35% e -1,93%. Buone anche le prestazioni di chi guida in Umbria, dove c’è stato un calo del -1%.

Mauro Giacobbe, Amministratore Delegato di Facile.it, ha dichiarato: “Se l’obiettivo dell’Europa è quello di dimezzare il numero di vittime della strada entro il 2020, l’Italia è ancora lontana dal traguardo. Gli ultimi anni hanno rappresentato una svolta nel comparto assicurativo che ha visto rivoluzionare non solo le pratiche burocratiche, ma anche l’atteggiamento dell’automobilista. Contrassegno elettronico e scatole nere sono stati cambiamenti importanti, e nonostante per qualcuno l’RC auto aumenterà, auspichiamo che questi strumenti creino circoli virtuosi che si amplificheranno nei mesi a venire, sommandosi a quelli provenienti dalla comparazione, ormai largamente sfruttata dagli italiani”.

Vera MORETTI

Deiana: “Italia, Confassociazioni c’è!”

Confassociazioni ha presentato oggi a Roma le più importanti iniziative in cantiere per il 2017. “Sono grato agli oltre 466mila soci di Confassociazioni e ai loro delegati per la riconferma, per acclamazione, alla presidenza della nostra Confederazione – ha dichiarato il Presidente Angelo Deiana, a margine della conferenza stampa che si è svolta stamane -. È anche per questo che la programmazione delle iniziative di Confassociazioni per il 2017 e per i prossimi anni includerà una serie di progetti volti ad azioni concrete e condivise per un futuro di sviluppo e benessere del nostro Paese. Siamo in un momento cruciale in cui non possiamo sottrarci al nostro ruolo di azionisti del nostro Paese”.

I numeri della nostra crescita dimostrano che il nostro modello di rete si è dimostrato vincente – ha continuato Deiana -. In tre anni e mezzo siamo cresciuti oltre ogni nostra aspettativa. 273 organizzazioni professionali tra soggetti di primo e secondo livello che riuniscono più di 466mila professionisti, circa 122mila imprese (con dimensione media di 4,5 addetti) e rappresentano una parte fondamentale del sistema nervoso dell’economia italiana. Un sistema che genera il 9% del PIL del Paese (il 21% se si considerano le aziende collegate) di cui il 43% è fatto di professioniste donne e il 57% di professionisti maschi”.

Senza dimenticare – ha proseguito Deianache è di grande interesse anche la nostra distribuzione degli iscritti per fasce d’età. Una distribuzione che rende merito del nostro essere una parte importante della classe dirigente del nostro Paese”.

Questa, nello specifico, la distribuzione cui fa riferimento Deiana:

Fascia 1 – Tra 0 e 18 anni – 100 iscritti circa

Fascia 2 – Tra 18 e 24 anni – 7.000 iscritti circa

Fascia 3 – Tra 24 e 30 anni di età – 28.000 iscritti circa

Fascia 4 – Tra 30 e 36 anni di età – 27.000 iscritti circa

Fascia 5 – Tra 36 e 42 anni di età – 71.000 iscritti circa

Fascia 6 – Tra 42 e 48 anni di età – 101.000 iscritti circa

Fascia 7 – Tra 48 e 54 anni di età – 98.000 iscritti circa

Fascia 8 – Tra 54 e 60 anni di età – 72.000 iscritti circa

Fascia 9 – Tra 60 e 66 anni di età – 61.000 iscritti circa

Fascia 10 – Tra 66 e 100 anni di età – 5.000 iscritti circa

È per questo che Confassociazioni ha condiviso e deciso di mettere in campo iniziative così importanti per i prossimi anni con la piena consapevolezza che il peso della responsabilità aumenta notevolmente. Il progetto Fondazione, il progetto Previdenza, il progetto Accademia della Politica e della Rappresentanza 4.0, il nuovo profilo di Confassociazioni Giovani con lo sviluppo della visione relativa alle Start-Up presentati oggi sono il frutto di un lavoro intenso, meditato e condiviso tra i vertici della Confederazione. Insomma abbiamo voluto delineare una programmazione ad hoc considerando le esigenze specifiche dei nostri professionisti, concreta rappresentanza di una parte fondamentale del sistema nervoso dell’economia italiana“, ha detto ancora Deiana.

Viviamo in un paese che non ha più una scuola alta di politica e noi abbiamo dei doveri nei confronti della nostra Italia. Con il progetto Accademia della Politica e della Rappresentanza 4.0 vogliamo formare la nostra dirigenza e soprattutto i giovani con appuntamenti formativi costanti e un confronto aperto, competente e adeguato con gli attori della politica“.

Confassociazioni ha nel proprio DNA la ricerca dell’innovazione calata nel panorama professionale del nostro Paese – gli ha fatto eco il Vice Presidente vicario della Confederazione, Riccardo Alemanno -. Ciò significa non solo fare rappresentanza per le problematiche di categoria, che ovviamente restano prioritarie per la nostra mission, ma cercare di contribuire, a 360 gradi, alla crescita culturale, umana e politica di coloro che formano o formeranno la cosiddetta classe dirigente. Da qui, l’ambizioso ma entusiasmante progetto dell’Accademia della Politica e della Rappresentanza 4.0, intesa come governo della polis per il bene comune, e cioè la politica nella sua accezione positiva. Un progetto, questo nostro, che vuole contribuire a colmare un pericoloso vuoto etico-culturale guardando all’evoluzione 4.0 che i nostri tempi dettano“.

Tra i punti cardine del mandato fin dal primo giorno – ha dichiarato Deianail progetto Fondazione è oggi diventato realtà. La costruzione di rapporti con grandi partner assicura quei contributi essenziali per procedere su questa linea“.

La costituzione dell’ente con il patrimonio necessario per la realizzazione degli scopi finalizzati al sostegno, sviluppo e crescita delle professioni regolamentate e sue rappresentanze di primo e secondo livello – ha aggiunto Franco Pagani, Vice Presidente Confassociazioni con delega a Giustizia e Università – è il naturale obiettivo come ha già affermato il presidente Deiana, che ci eravamo prefissati per dare concreto compimento attuativo agli scopi della nostra Confederazione. Alla rappresentanza, condivisione e sinergia di rete si aggiunge, quindi, il sostegno della Fondazione di Confassociazioni al fine di dare contenuti diretti di sviluppo e rilanciare il capitale intellettuale professionale nel ruolo di volano per l’intera economia del Paese“.

Lo vogliamo ribadire ancora una volta: noi siamo azionisti (e non obbligazionisti) del nostro Paese. La nostra visione e il nostro modus operandi guarda alla costruzione di ciò che è necessario per il futuro prossimo venturo piuttosto che proporre soluzioni emergenziali – ha concluso Deiana -. L’essere diretti, corretti, reputazionalmente solidi, il correre con i primi senza dimenticare gli ultimi rappresenta il fil rouge del tessuto umano e professionale della Confederazione tutta e di ogni suo singolo professionista aderente. E’ per questo che siamo pronti ad essere un punto di riferimento per i professionisti di tutto il Paese. Che sia una richiesta di visione, che sia la necessità di avere un fondo di previdenza complementare o un fondo sanitario, che sia costruire un orizzonte futuro come la Fondazione, la lezione è una sola: Noi ci siamo. Confassociazioni c’è”.

Confassociazioni: basta al gioco delle 3 carte con i professionisti

Le recenti misure a favore delle partite Iva? Utili, ma non sufficienti. È questa la sintesi del pensiero di Angelo Deiana, presidente di Confassociazioni, la più grande confederazione di associazioni professionali dei servizi all’impresa e delle professioni innovative.

La discesa al 25% dell’aliquota della Gestione Separata Inps non ci basta – ha dichiarato Deiana -. Metteremo la nostra crescita senza fine (261 associazioni, 460mila professionisti iscritti di cui 122mila imprese, ndr) a disposizione dell’equità tra categorie e dei nostri progetti per il futuro”.

Durava da almeno 3 anni la rivolta delle partite Iva sulla Gestione Separata Inps – ha proseguito Deiana -. Una battaglia finalmente vinta che nel 2017 vedrà la diminuzione dell’aliquota della Gestione Separata INPS dal 27 al 25%, così come approvato in via definitiva dalla Legge di Stabilità 2016. Sarebbe dovuta aumentare al 29% e addirittura al 33% nel 2018 sulla base di quanto previsto dalla Legge Fornero”.

È una vittoria epocale per tutti i professionisti a partita IVA perché finalmente Parlamento e Governo hanno deciso di modificare l’attuale, iniquo trattamento delle partite Iva rispetto agli altri lavoratori. Ma non è finita, perché esiste ancora una profonda disparità di trattamento con le altre categorie: c’è chi paga mediamente tra il 12% e il 14% (alcune casse professionali), chi come artigiani e commercianti il 23%, mentre i lavoratori dipendenti contribuiscono con il 9% e i datori di lavoro pagano tra il 18% al 24%. Non è finita perché stiamo ancora leggendo una vera e propria enciclopedia della diseguaglianza che non rispetta minimamente l’articolo 3 della Costituzione”.

È per questo che, pur avendo vinto la battaglia per la diminuzione dell’aliquota facendo rete con le altre organizzazioni del settore, non potremo accontentarci del risultato raggiunto finché non ci sarà equità a tutti i livelli – ha proseguito Deiana -. Ed è per questo che Confassociazioni continuerà a chiedere con forza un tavolo di analisi delle distorsioni e di ripensamento strategico della struttura della Gestione Separata per raggiungere orizzonti di piena equità sul piano previdenziale con le altre categorie”.

Anche perché, sottolineano da Confassociazioni, un’ingiustizia tira l’altra. Questo tavolo di equità non potrà non coinvolgere un altro importante provvedimento legislativo: il Jobs Act Lavoro Autonomo. Un provvedimento che, se approvato, darebbe luogo sia ad alcune misure importanti a favore delle nostre professioni, ma anche ad altre norme da “gioco delle 3 carte”, come quelle del testo approdato alla Camera che prevedono all’art. 5 la delega al Governo per la devoluzione di alcune funzioni della PA alle professioni ordinistiche e l’obbligo del fascicolo del fabbricato per gli immobili del nostro Paese.

Siamo alle solite – ha ribadito Deiana -, perché dietro un fine ipoteticamente positivo (il fascicolo del fabbricato), si maschera una tassa occulta per tutti i condomini del Paese che dovranno pagare una specie di ulteriore Imu a tutte le professioni tecniche (ingegneri, architetti, geometri, eccetera) per la tenuta di un documento senza fine e senza scopo se non quello di una ulteriore e spesso inutile ristrutturazione che provocherà altre spese per il povero proprietario/condomino che ha un solo personale cruccio: la proprietà di una casa”.

E che dire della prevista devoluzione di funzioni pubblicistiche dello Stato alle professioni ordinistiche prevista sempre dall’art. 5 del Jobs Act del Lavoro Autonomo – ha incalzato il presidente di Confassociazioni? Intanto, la prima domanda è: perché la devoluzione è dedicata solo alle professioni ordinistiche e non anche alle professioni associative di cui alla Legge 4/2013? Che differenza reale c’è? Siamo ancora una volta considerate professioni di serie B?”.

La verità è che molte delle attuali professioni ordinistiche dovrebbero essere ‘falcidiate’ nel 2018 dall’applicazione del cosiddetto ‘esercizio di trasparenza’ previsto dalla Direttiva Ue 55/213, un’attività svolta da Presidenza del Consiglio e Commissione Ue per valutare l’effettiva necessità di una regolamentazione restrittiva del settore rispetto a quella di mercato. Quali conseguenze concrete? La futura, possibile eliminazione della regolamentazione di una serie di professioni e dei relativi organismi di direzione, centrali e territoriali”.

Carta vince, carta perde. Ecco il vero trucco di questo gioco delle 3 carte e lo scopo reale della devoluzione di funzioni pubblicistiche prevista dal Jobs Act del Lavoro Autonomo: rimpinguare sul piano pubblicistico le funzioni di certe professioni per continuare a procrastinare un’esistenza che non avrebbe più ragione di essere in base alle norme previste dalla Direttiva Ue ricordata”.

Noi di Confassociazioni non ci stiamo – ha affermato con determinazione Deiana -. Non possiamo continuare a far pagare ancora una volta ai giovani del futuro i problemi corporativi generati da altri nel passato”.

Ecco perché – ha concluso il presidente di Confassociazionimetteremo i numeri concreti della nostra, straordinaria crescita a disposizione di queste ulteriori battaglie di equità a e dei nostri progetti per il futuro. Entro il mese di gennaio presenteremo ai nostri associati e ai media una serie di grandi iniziative che avranno l’obiettivo di rendere la nostra Confederazione una piattaforma collaborativa sempre più in grado di aggregare organizzazioni professionali dense di competenze e capacità da mettere a disposizione della ripresa del nostro Paese”.

L’agricoltura traina le nuove partite Iva

Le partite Iva? Non attirano più come un tempo, almeno così sembra. Secondo l’Osservatorio sulle partite Iva del ministero dell’Economia, a novembre 2016 sono state aperte 34.732 nuove partite Iva, -10,6% rispetto allo stesso mese del 2015.

Il 65,6% di nuove partite Iva è stato aperto da persone fisiche, il 27,8% da società di capitali, il 5,7% da società di persone. Calano sensibilmente rispetto al mese di novembre 2016 il numero di nuove aperture da parte di persone fisiche (-15,4%), meno quelle delle società di persone ( -3,5%). Crescono invece quelle delle società di capitali: +1,6%.

Ancora una volta la parte del leone la fa il Nord, con il 40,9% delle aperture, seguito dal Sud e Isole (36,3%) e dal Centro (22,6%). Performance di tutto rispetto per due regioni del Sud, con la Calabria a +15,7% anno su anno e la Sardegna a +11,9%. Un boom sul quale, probabilmente, ha influito l’impennata delle nuove partite Iva in agricoltura a seguito dell’emanazione dei bandi regionali per il nuovo Programma di sviluppo rurale (Psr) 2014-2020, promosso della Commissione Europea. Giù le nuove aperture in Emilia Romagna (- 19,0%) e Piemonte (-16,6%).

Poche sorprese sul fronte del settore produttivo: crescono di più le nuove aperture nel commercio (+26,2% del totale), nell’agricoltura (+11,1%) e nelle attività professionali (+ 10,3%). Analogamente, continua la predominanza degli uomini (loro il 62,3% delle nuove aperture) e degli under 35 (il 46,3% del totale). Le nuove partite iva di questi ultimi, però, anno su anno sono calate nettamente, di circa il 20%.

Infine, una notazione sui regimi fiscali scelti. Si nota infatti un netto calo di quanti hanno scelto il regime forfettario: sono il 27% delle nuove partite Iva, -24,4% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.

Il made in Italy culturale va forte all’estero

Libri, prodotti delle attività cinematografiche, fotografia, intrattenimento, strumenti musicali, articoli sportivi: l’export di cultura e tempo libero made in Italy nel mondo vale circa 3 miliardi di euro all’anno.

Ma dove va e da dove parte questo speciale export made in Italy? Quali sono i maggiori mercati di sbocco e i prodotti più apprezzati? Lo racconta la mappa: “Cultura e tempo libero: i prodotti italiani nel mondo”, realizzata dalla Camera di commercio di Milano in collaborazione con Promos, la sua azienda speciale per le Attività Internazionali e scaricabile cliccando qui.

Francia, Stati Uniti, Germania, Svizzera e Regno Unito concentrano oltre il 60% dell’export culturale del made in Italy. In crescita in particolare Stati Uniti con 391 milioni di euro circa, +31,8%, Spagna con 126 milioni, +13%, Cina e Hong Kong, rispettivamente +20,5% e +38,9%.

Tra le prime 15 destinazioni anche Giappone, +3,6% e Polonia +9,2%. Oltre alla Francia, prima per prodotti editoriali, software, fotografia e articoli sportivi, si distinguono: Stati Uniti per prodotti delle attività creative e di intrattenimento, delle biblioteche, degli archivi e per strumenti musicali, Cina per attività cinematografiche, video e televisive, Regno Unito per editoria musicale, Israele seconda per fotografia.

I prodotti culturali e del tempo libero made in Italy più esportati sono libri, periodici e prodotti editoriali per un miliardo di euro, articoli sportivi per 883 milioni di euro, attività creative per 379 milioni, strumenti musicali per 117 milioni circa. In crescita soprattutto i prodotti delle attività cinematografiche, video e televisive (+61,7%), quelli delle attività di biblioteche, archivi, musei e di altre attività culturali (+31,2%) e gli strumenti musicali (+12,6%).

I maggiori esportatori del made in Italy culturale sono Milano con 366 milioni di euro (13,6%), Forlì-Cesena con 250 milioni (9,3%), Treviso con 240 milioni (8,9%). Seguono Bergamo 4°, Roma 5° e Modena 6°.

Si fallisce di meno

Secondo Unioncamere-Infocamere, nei primi 11 mesi del 2016 i fallimenti sono scesi del 7%, attestandosi a poco più di 1.000 al mese. In totale sono state 11.655 le procedure fallimentari aperte tra gennaio e novembre, contro le 12.583 dello stesso periodo del 2015.

Alle Pmi niente soldi, alle grandi imprese denaro e sofferenze

Al 30 settembre 2016, ultimo dato disponibile, le sofferenze relative al solo sistema bancario italiano si sono attestate a 186,7 miliardi di euro lordi. Un importo che non ha paragoni in nessun altro Paese Ue, nonostante il nostro tasso di copertura continui ad essere superiore alla media europea.

Il fatto è che, secondo l’Ufficio studi della Cgia, su queste sofferenze lorde l’80% circa dei finanziamenti per cassa era stato erogato dalle nostre banche al primo 10% degli affidati. Soggetti di segmento alto che non appartengono alle categorie dei piccoli commercianti, degli artigiani o dei lavoratori autonomi. Per contro, la quota di sofferenze causate dal primo 10% degli affidati è stata pari a poco più dell’81%.

Una situazione che ha provocato una forte contrazione dei prestiti all’economia reale del nostro Paese. Non essendo in grado di recuperare una buona parte dei prestiti erogati, le banche hanno quindi deciso di non rischiare più e hanno chiuso i rubinetti del credito. Nel solo periodo novembre 2015 – novembre 2016, gli impieghi alle imprese italiane sono calati di 21,3 miliardi di euro.

Secondo Paolo Zabeo, coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia, “nel rapporto tra banche e imprese, quelle di grandi dimensioni hanno sempre fatto la parte del leone, mentre le piccole e le micro, ancorché più affidabili rispetto alle altre, continuano ad avere un potere negoziale con gli istituti di credito pressoché nullo. Se da anni la migliore clientela – costituita quasi esclusivamente da grandi imprese, grandi famiglie e gruppi societari – riceve dalle banche italiane ben l’80% dei finanziamenti erogati per cassa nonostante sia poco solvibile, visto che l’81% dei crediti deteriorati presenti in Italia è in capo a quest’ultima tipologia di clientela, vuol dire che nel suo complesso il sistema presenta delle distorsioni molto preoccupanti che vanno assolutamente eliminate”.

Un’anomalia tutta italiana – conclude Zabeo parlando di sofferenze – che si è alimentata in questi ultimi decenni attraverso il massiccio ricorso al credito relazionale; ovvero i soldi, nella stragrande maggioranza dei casi, venivano prestati agli amministratori, ai soci e ai conoscenti senza garanzie, con la complicità delle istituzioni predisposte al controllo che, colpevolmente, hanno fatto finta di non vedere”.

Anche analizzando l’ammontare complessivo delle sofferenze bancarie suddivise per classi di grandezza, emerge che dei 186,7 miliardi di crediti deteriorati ben 131,2 sono ascrivibili a prestiti sopra i 500mila euro che, di norma, vengono erogati a grandi gruppi e a grandi aziende. Soggetti, questi ultimi, che secondo l’Ufficio studi della Cgia sono, assieme ai manager delle banche che hanno concesso con molta generosità i prestiti, i principali “responsabili” di questa situazione.