Made in Italy: la crescita dipende dall’e-commerce

Le imprese italiane lo stanno finalmente capendo: per reggere la concorrenza con l’estero, devono necessariamente farsi strada nell’e-commerce, per far conoscere e vendere i propri prodotti, considerando che sono sempre di più gli utenti che ricorrono al digitale per i loro acquisti.

Il Made in Italy, dunque, dovrà procurarsi sempre più spazio in rete, per rimanere al passo ma anche per dimostrare di essere innovativo e saper cogliere le giuste opportunità.
Le prime basi sono state gettate, poiché nel 2016 l’e-commerce è aumentato del 24%, ma si può e si deve fare di più, poiché si tratta ancora del 6% totale delle esportazioni Made in Italy.

Si tratta di dati resi noti dall’Osservatorio Export del Politecnico di Milano, che evidenzia opportunità e ritardi dell’export digitale in Italia, basandosi sull’esperienza di 100 aziende campione nei settori consumer.

Riccardo Mangiaracina, direttore dell’Osservatorio, ha dichiarato in proposito, consapevole del fatto che delle 210mila imprese esportatrici italiane, la maggioranza vende all’estero meno del 10% del fatturato: “In uno scenario internazionale altamente competitivo, con consumatori sempre più inclini all’uso delle tecnologie digitali, l’adozione dell’e-commerce come canale di vendita all’estero può risultare una scelta vincente”.

Ma quali settori hanno dimostrato di essere più propensi e quindi più innovativi? Prima di tutto la moda, che copre il 60% dell’export digitale italiano, poi l’alimentare (17%), l’arredo e il design (entrambi al 12%).
I canali di vendita digitale all’estero sono principalmente quattro: retailer online (come Yoox, Zalando o Net-a-porter Group), marketplace (come Amazon o eBay, con domini italiani o esteri), siti di vendite private e le stesse aziende.

I mercati verso cui sono dirette le maggiori esportazioni rimangono ancora Europa e Stati Uniti, con Est europeo in netto rialzo, anche se le opportunità maggiori derivano, ad oggi ma anche in futuro, dalla Cina e dagli Stati Uniti, mercati attivi e molto promettenti, non solo per la considerazione di cui gode il Made in Italy, ma anche per l’elevato numero di utenti digitali.
In questo secondo caso, per la precisione, la Cina è infatti il Paese che ne detiene il primato, con circa 688 milioni di cittadini, che rappresentano la metà della popolazione, regolarmente connessi.
Dati alla mano, l’e-commerce cinese, che rappresenta il 45% del mercato mondiale, ha messo a segno nel 2016 una crescita del 23,6% e transizioni per un valore di circa 2.700 miliardi di euro.

E gli Stati Uniti? Il mercato non è certo giovane, ma nonostante ciò ci sono previsioni di forte crescita sul web, tanto che nel 2016 i consumi online hanno raggiunto un valore di 489 miliardi di euro (+12% rispetto al 2015), facendo degli Usa il secondo mercato al mondo per l’e-commerce.

A frenare l’export italiano verso le mete oltreoceano è la consapevolezza che si tratta di un mercato difficile, poiché le aziende hanno un controllo limitato sui processi logistici verso gli Usa, e nessuna presenza sul posto o magazzini e strutture distributive in loco, nonché una mancanza di figure addette all’export, che abbiano adeguate conoscenze in ambito digitale e nell’e-commerce.

Vera MORETTI

Imprese artigiane in ripresa ma ancora in saldo negativo

Bilancio negativo per le imprese artigiane, soprattutto se si tratta di pmi.
Il saldo tra iscrizioni e cessazioni di impresa per le ditte individuali, infatti, è di -12.333 unità, pari all’1,39%, a fine 2016, mentre si arriva a 6mila in meno per le società di persone (-2,51%).
Le società di capitali, al contrario, hanno registrato un bilancio positivo: +2.477 imprese pari al +3,28% rispetto al 2015.
Nel complesso, dunque, il 2016 si è chiuso con segno negativo tra iscrizioni e cessazioni (-15.811 unità) ma in miglioramento rispetto al 2015. Ed è il risultato meno pesante dal 2011.

Si tratta di dati resi noti dall’analisi di Unioncamere e InfoCamere, condotta analizzando i numeri raccolti dal registro delle imprese delle Camere di commercio relativi allo scorso anno.

Ci sono, però, alcuni settori in cui si è registrato un segno positivo, come le imprese artigiane attive nel noleggio, agenzie di viaggio e servizi alle imprese, anche grazie all’impulso positivo proveniente dalle Attività di servizi per gli edifici e per il paesaggio.
Saldo positivo anche per gli Altri servizi (+864), trainati dai servizi alla persona (+1.205).

Riduzioni più consistenti, invece, per le costruzioni, che nel 2016 hanno perso oltre 10mila attività, e la manifattura, che si riduce di quasi 5.500. Quasi 2mila in meno, poi, le imprese artigiane che operano nel Trasporto e magazzinaggio.

A livello territoriale, le uniche province con saldo positivo sono Milano (+300 imprese, +0,43%) e Bolzano (+26, +19%). Tutte le altre archiviano un 2016 con segno meno, con cali compresi tra il -0,12% di Grosseto e il -2,95% di Chieti.

Vera MORETTI

Made in Italy sempre in testa alle scelte degli italiani

La crisi economica che ha imperversato in Italia negli ultimi anni ha profondamente cambiato le abitudini dei consumatori, invitandoli ad essere particolarmente prudenti e parsimoniosi.

Questo, ma era prevedibile, è emerso in un’indagine condotta dall’Istituto Demopolis per IBC, l’Associazione delle Industrie dei Beni di Consumo, che ha analizzato gli elementi che oggi influenzano maggiormente le scelte delle famiglie.

Per quanto riguarda la spesa alimentare, ad esempio,ad incidere sul comportamento di più di due terzi degli italiani è la variabile costo e promozioni, che infatti fanno la parte del leone in tutti i maggiori supermercati del Paese.
Ma anche la marca rimane influisce molto sulla scelta, perché, per il 60% dei consumatori, rappresenta una certezza, dalla quale sembra difficile prescindere, seguita dalla provenienza dei prodotti: per il 57% devono essere di origine italiana.

Dal 2011 al 2017, la variabile “costo” ha raggiunto nel 2013 un’incidenza del 72%, mentre nel 2011 era del 59% ed ora del 68%. La corsa al miglior prezzo rimane, comunque, molto forte.
La fiducia nella marca e la conoscenza del brand sono rimaste centrali nelle scelte dei consumatori anche negli anni più difficili: e ancora oggi, pur 6 italiani su 10 continuano a prediligere le marche più note.

La tendenza che rappresenta una nota positiva è la ricerca del Made in Italy, che oggi ha un certo peso nelle scelte di 57 consumatori su 100.
Questo significa che, anche a causa della crisi, gli italiani hanno imparato ad essere esigenti, senza accontentarsi della prima cosa che trovano, nonostante la necessità di risparmiare esista ancora, ma le scelte alimentari rimangono comunque una questione di fiducia.

Non solo qualità, quando si tratta di fare una scelta, ma anche una fidelizzazione sempre più crescente, verso le aziende che si dimostrano attente all’impegno sociale e al rispetto per l’ambiente.

Vera MORETTI

Occupazione in aumento in Italia a gennaio 2017

Buone notizie sul fronte lavoro, poiché a gennaio 2017 l’occupazione risultava in aumento di 236mila unità rispetto ad un anno prima, che significa, in percentuale, un incremento dell’1%.

La crescita interessa tutti, sia i lavoratori dipendenti (+1,1% pari a +193 mila unità) sia quelli indipendenti ( +0,8% pari a +43 mila unità).
Questo fenomeno riguarda entrambi i sessi, con un aumento per gli uomini dell’1,4% e per le donne dello 0,5%, in particolare per gli ultracinquantenni (+367 mila) ed i giovani 15-24enni (+27 mila).

A creare posti di lavoro nuovi sono soprattutto le piccole imprese: nel terzo trimestre, come conferma l’analisi effettuata da UnioncamereMinistero del Lavoro, le imprese italiane prevedono un saldo tra entrate ed uscite di 203.400 lavoratori di cui oltre i tre quarti (77,3%), pari a 157.170 unità, sono determinati da imprese con meno di 50 addetti.

Questi dati, però, non escludono un aumento anche della disoccupazione, che, infatti, è cresciuta del 4,2%, per un tasso di disoccupazione dell’11,9%, in aumenti dunque dello 0,3 rispetto all’anno scorso.

Come si spiega questa situazione, che sembrerebbe irreale?
Questi numeri derivano da una massiccia riduzione degli inattivi che scendono di 461 mila unità, pari al -3,3%, rendendo la domanda di lavoro insufficiente ad assorbire il maggiore ritmo di crescita dell’offerta. Nell’anno precedente gli occupati salirono di 291 mila unità, superando l’aumento dell’offerta di lavoro (+136 mila unità): di conseguenza i disoccupati si sono ridotti di 155 mila unità.

La maggiore partecipazione al mercato del lavoro è un fenomeno positivo, in particolare per le donne che presentano un gap di 12,7 punti del tasso di attività con la media dell’Euro zona: a gennaio 2017 in Italia il rapporto tra donne attive e popolazione è al massimo storico del 55,6%.ù

Dal punto di vista territoriale, nel 2016 l’occupazione in Italia è salita dell’1,3% con una migliore performance nel Nord-Est e nel Mezzogiorno (entrambi a +1,7%).
Le regioni con la maggiore crescita sono la Campania ed il Molise (entrambi con il +3,8%), seguite da Emilia-Romagna (+2,5%), Provincia Autonoma di Bolzano (+2,3%), Puglia e Basilicata (entrambe con il +2,0%). All’opposto le maggiori flessioni per Marche (-0,8%) ed Umbria (-1,5%), regioni colpite dagli eventi sismici di agosto e ottobre 2016.

Per quanto riguarda il tasso di occupazione, quello più elevato si riscontra nella Provincia Autonoma di Bolzano (57,8%), seguita da Emilia-Romagna (51,5%), Provincia Autonoma di Trento (51,1%), Lombardia (50,6%) e Valle d’Aosta (50,0%). Nel 2016 gli aumenti più ampi del rapporto tra occupati e popolazione si riscontrano in Molise (+1,6 punti percentuali), Emilia-Romagna (+1,3 punti) e Campania (+1,2 punti) mentre le diminuzioni più accentuate si osservano in Umbria (-0,6 punti) e Provincia Autonoma di Trento (-0,5 punti).

Tra le province in maggiore crescita, spiccano Bologna (53,6%), Reggio Emilia (52,8%), Modena (52,7%), Parma (52,3%) e Lodi e Milano (entrambe a 52,1%).
I tassi di disoccupazione più bassi si rilevano a Reggio Emilia (4,7%), Bergamo e Verona (entrambe a 5,3%), Bologna (5,4%) e Lecco (5,8%), Vicenza e Belluno (6,2%), Verbano-Cusio Ossola e Cuneo (6,3%).

Vera MORETTI

Jobs act: ecco cosa cambierà per i lavoratori autonomi

Dalla Camera dei deputati è arrivato l’ok al disegno di legge per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale, che contiene anche misure volte a favorire la flessibilità sia dei tempi sia dei luoghi del lavoro subordinato.

Ma non si tratta solo di questo, poiché per i possessori di partita Iva il jobs act ha in serbo altre novità. Vediamole nel dettaglio:

  • PAGAMENTI – Sono abusive le clausole con le quali il committente decida di cambiare unilateralmente le condizioni del contratto, così come sono abusive quelle che prevedano pagamenti oltre i 60 giorni, nel caso sono previsti interessi di mora. O ancora il rifiuto di stipulare il contratto in forma scritta.
  • MATERNITA’ – Le lavoratrici della gestione separata possono fruire del trattamento di maternità a prescindere dall’astensione dell’attività lavorativa; il congedo parentale passa da 3 a 6 mesi ed è fruibile fino al terzo anno di vita del bambino, non più solo a un anno.
  • DIS-COLL – E’ previsto che l’indennità di disoccupazione per i collaboratori da luglio diventi strutturale ed estesa ad assegnisti e dottorandi di ricerca con borsa di studio, a fronte di un aumento dell’aliquota contributiva (0,51%).
  • MALATTIA – In caso di malattia, infortunio ma anche di gravidanza, se si svolge un’attività continuativa, non si perde il rapporto di impiego (senza il diritto al corrispettivo) e può essere sospeso fino a 150 giorni, a meno che non venga meno l’interesse del datore. Inoltre, a fronte di infortunio a malattia grave, si possono sospendere i contributi fino a 2 anni e la restituzione potrà avvenire in rate mensili.
  • APPALTI – La P.a può promuovere la partecipazione dei lavoratori autonomi a bandi e appalti pubblici. Gli autonomi sono equiparati alle Piccole e medie imprese, per l’accesso ai piani operativi nel quadro dei Fondi strutturali europei. Per partecipare ai bandi, i professionisti possono costituirsi inrete, consorzi stabili, associazioni professionali temporanee.
  • SMART WORKING – il lavoro agile fa ingresso nella normativa nazionale, ne vengono definiti infatti i contorni dello smart working, quali ‘modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato’. Stabilito da un accordo tra le parti, prevede l’utilizzo di strumenti tecnologi, l’attività può essere svolta all’interno e all’esterno dell’azienda. Si dovranno disciplinare inoltre i tempi di riposo.
  • FORMAZIONE – I costi relativi a corsi di formazione, aggiornamento, master, congressi diventano totalmente deducibili (tetto annuo a 10 mila euro), così come le spese per i servizi di certificazione delle competenze, orientamento, sostegno all’autoimprenditorialità (fino a 5mila euro annui). Deducibilità pena anche per le spese di vitto e alloggio sostenute dal professionista-
  • CONTRATTAZIONE – Il trattamento economico e normativa del ‘lavoratore agile’, in tema ancora di smart working, non può essere inferiore a quello applicato ai colleghi che lavorano all’interno dell’azienda. Al lavoratore può essere riconosciuto il diritto all’apprendimento permanente e alla periodica certificazione delle competenze.

Vera MORETTI

La Cgia dice no all’aumento dell’Iva

La Cgia ha le idee ben chiare e si pone contro l’eventuale aumento dell’Iva, che dovrebbe contribuire alla riduzione del cuneo fiscale.
Perché questo? Semplice: a detta di Paolo Zabeo, coordinatore dell’Ufficio Studi della Cgia, non si tratterebbe di un’operazione a costo zero perché, se da una parte si assisterebbe alla riduzione del costo del lavoro a vantaggio di imprese o lavoratori dipendenti, dall’altra il rincaro dell’Iva ricadrebbe su tutti, indistintamente. E, come spesso accade, andrebbe a pesare sui più deboli, a cominciare da disoccupati, inattivi e pensionati.

Queste le parole di Zabeo: “Vista la situazione dei nostri conti pubblici è molto probabile che il Governo non sarà in grado di recuperare entro la fine di quest’anno tutti i 19,5 miliardi necessari per evitare che, dal 2018, l’aliquota Iva del 10 passi al 13 e quella del 22 al 25 per cento. Ricordo che un aumento di un punto dell’aliquota ridotta costa agli italiani poco più di 2 miliardi e quella ordinaria 4. Pertanto, non è da escludere che dei 19,5 miliardi l’esecutivo sia in grado di sterilizzarne solo una parte, almeno 14-15. E visto che la spesa corrente al netto degli interessi è destinata ad aumentare ancora, la quota rimanente dovrà essere recuperata con nuove entrate, con il ritocco, ad esempio, di un punto di entrambe le aliquote Iva”.

A queste parole si è accodato anche Renato Mason, segretario Cgia, il quale ha aggiunto: “Di fronte a una crescita economica ancora molto timida e incerta, l’eventuale aumento dell’Iva condizionerebbe negativamente i consumi interni e conseguentemente tutta l’economia, penalizzando in particolar modo le famiglie meno abbienti. Oltre alle famiglie più povere a essere penalizzate dall’eventuale aumento dell’Iva sarebbero anche gli artigiani, i commercianti e tutto il popolo delle partite Iva. Queste realtà, infatti, vivono quasi esclusivamente di domanda interna. Con un’Iva più pesante, quasi certamente i consumi subirebbero una contrazione importante, danneggiando queste attività economiche che non hanno ancora superato la fase critica di questa crisi”.

Facendo un esempio concreto. Se l’Iva salisse dal 22 al 23%, una famiglia di 3/4 persone subirebbe un aumento di imposta di circa 100 euro all’anno che avrebbe delle ripercussioni negative sui consumi interni del paese che costituiscono la componente più importante del nostro Pil.

Vera MORETTI

Basta Bufale, l’appello lanciato dalla Camera e sottoscritto anche da INT

E’ stato lanciato da Laura Boldrini, presidente della Camera, l’appello #BastaBufale, riferito alle informazioni che, spesso, sul web vengono distorte e diffuse in modo non veritiero.

L’Istituto Nazionale Tributaristi ha aderito all’iniziativa, sottoscrivendo il format contenuto nel sito Bastabufale.it/, ribadendo un concetto molto chiaro: se l’informazione è un diritto, e ovviamente tutti pensiamo che lo sia, deve esserlo anche un’informazione corretta e veritiera, perché le notizie false recano danni talvolta irreparabili per la democrazia e la convivenza civile.

Riccardo Alemanno, presidente INT, che ha aderito anche a titolo personale, ha dichiarato in proposito: “Inviteremo i nostri iscritti ad aderire perché è un atto di civiltà, le cosiddette bufale, quando non siano palesemente mirate all’ironia, possono avere effetti devastanti data la velocità con cui, tramite la rete, le notizie si diffondono”.

Il problema non riguarda solo la rete ma sicuramente le informazioni pubblicate online sono maggiormente esposte, se pensiamo in particolare ai social, dove tutti possono esprimere il loro parere, anche quando vengono fornite notizie non proprio reali o, comunque, non verificate.

Per questo motivo, Alemanno sostiene che ci vorrebbe una “educazione all’informazione partendo dalle scuole, come INT vogliamo dare il nostro contributo invitando a pensare e riflettere quando si legge una notizia ad andare oltre i titoli, soprattutto se poi si contribuisce alla diffusione della stessa. Tutto ciò non è un atteggiamento ostile verso i social che, come INT ed anche personalmente, utilizziamo perché rappresentano uno strumento formidabile per la comunicazione, si tratta di un invito prima di tutto al rispetto ed al buon senso che spesso purtroppo sono latitanti. E’ purtroppo un rischio il passare dalla positività dell’informazione 2.0 alla disinformazione 2.0, spetta alle istituzioni, ai media ma anche ai cittadini gestire il problema”.

Vera MORETTI

A Viterbo, open day per l’imprenditoria femminile

Appuntamento oggi per l’appuntamento annuale con l’Open Day Donne che aiutano le donne, iniziativa organizzata dal Comitato per la Promozione dell’Imprenditoria Femminile della Camera di Commercio di Viterbo, in collaborazione con BIC Lazio, che vuole aiutare e supportare le donne che vogliono fare impresa.

Si tratta di un evento che prevede in mattinata, una serie di punti di ascolto e di assistenza personalizzata riservati alle aspiranti e neo imprenditrici, da parte delle componenti del Comitato e dei funzionari camerali su accesso al credito e finanziamenti pubblici, forma giuridica più funzionale al proprio progetto imprenditoriale, oneri previdenziali e fiscali, opportunità formative, innovazione e sviluppo, registrazione di marchi e brevetti, comunicazione e digital marketing, promozione in Italia e all’estero, turismo.

Nel pomeriggio, invece, gli spazi del FabLab Lazio ospiteranno prima di tutto il Tutorial di modellazione 3D con l’obiettivo di fornire ai partecipanti le nozioni di base della modellazione 3D e illustrare l’uso dei diversi software di modellazione disponibili.
Alle ore 15.00 inizia Women in Business, nel corso del quale verranno illustrati i servizi rivolti alla creazione di impresa e, insieme alle aspiranti imprenditrici, verrà definito il percorso di formazione e di accompagnamento più adatto per lo sviluppo del progetto di business.

Serenella Papalini, presidente del Comitato per la Promozione dell’Imprenditoria femminile, ha dichiarato in proposito: “Invitiamo tutte le persone che hanno idee imprenditoriali o solo vogliono informarsi sulle varie opportunità a partecipare a questo momento di incontro tra donne. Un momento in cui le idee imprenditoriali circolano e cercano di essere valorizzate”.

Vera MORETTI

Congedo parentale, come riscattarlo ai fini della pensione

Non solo gli anni universitari, ma anche il periodo di congedo per maternità può essere riscattato dai lavoratori dipendenti ai fini pensionistici.

Ciò è possibile anche se il congedo parentale si è verificato al di fuori di un rapporto di lavoro ed indipendentemente dal periodo in cui si è verificato l’evento e dal fatto che si sia verificato prima o dopo un rapporto di lavoro. La domanda va presentata da lavoratore stesso in qualsiasi momento, con un limite massimo di periodi riscattabili di cinque anni.

La richiesta può essere fatta sia dal padre sia dalla madre, per l’astensione facoltativa in costanza di rapporto di lavoro con diritto alla relativa indennità, quindi quello successivo ai 3 mesi successivi alla nascita del bambino, che rientra nell’astensione obbligatoria, entro i primi 8 anni di vita del bambino fino ad un massimo di sei mesi per ciascun genitore.

Tra i requisiti richiesti per poter fruire del riscatto del congedo parentale:

  • l’iscrizione al fondo pensioni lavoratori dipendenti ed alle forme di essa sostitutive ed esclusive;
  • avere almeno 5 anni di contributi da attività lavorativa maturata in costanza di lavoro dipendente in periodi precedenti o successivi all’evento che dà luogo al diritto;
  • il periodo da riscattare non deve essere già coperto da altra tipologia di contribuzione.

La circolare INPS 44/2016 chiarisce, in merito alla nuova normativa, che:

  • la cumulabilità opera anche con riferimento a periodo precedenti il 2016;
  • le domande di riscatto presentate prima del 2016 , se già elaborate in base alla vecchia normativa, non possono essere riaperte;
  • le domande presentate nel 2015 ma non ancora elaborate dovranno essere definite in base alla nuova normativa.

L’onere del riscatto è a totale carico del richiedente, così come avviene con il riscatto della laurea, e il periodo riscattato sarà utile sia ai fini dell’anzianità contributiva che della determinazione della misura della pensione.

Vera MORETTI

Unioncamere e il ministero dell’Interno contro la criminalità

Unioncamere e il Ministero dell’Interno hanno deciso di cooperare in modo stretto per combattere la criminalità. Nei giorni scorsi, infatti, Unioncamere ha sottoscritto un protocollo con l’Autorità di gestione del Programma Operativo Nazionale “Legalità” FESR-FSE 2014-2020 (PON Legalità) che prevede la collaborazione istituzionale tra i due soggetti firmatari, ovviamente finalizzata all’attuazione di alcuni interventi previsti dal PON Legalità.

Tra gli obiettivi, il più importante è quello di rafforzare le condizioni di legalità per i cittadini e le imprese, per dare così un nuovo impulso allo sviluppo economico e migliorare la coesione sociale delle regioni considerate meno sviluppate, ovvero Basilicata, Calabria, Campania, Puglia e Sicilia.

Gli interventi previsti vogliono quindi in primo luogo favorire l’interoperabilità delle banche dati pubbliche, anche attraverso azioni finalizzate allo sviluppo di sistemi di analisi delle informazioni afferenti alle imprese a rischio di infiltrazione criminale e sistemi per l’anticontraffazione, la tutela del made in Italy e l’antiriciclaggio.

In secondo luogo, si pensa al rafforzamento delle competenze delle imprese sociali che gestiscono attività nei beni confiscati alla criminalità organizzata.

Infine, si cercherà di giungere al miglioramento della trasparenza dei dati e delle informazioni in possesso della Pubblica Amministrazione e della diffusione degli stessi, nonché di collaborazione e compartecipazione di cittadini e stakeholder competenti nell’utilizzo di sistemi open data, sia, ad esempio, rispetto all’integrazione dei dati pubblicati che alla possibilità di proporre iniziative sulla gestione dei patrimoni confiscati, sul riutilizzo dei dati pubblici a fini di studi/ricerche e/o approfondimenti, e sul controllo sociale sui patrimoni stessi.

Vera MORETTI