Licenziamenti per giusta causa in aumento

Da un’indagine dell’Ufficio Studi della CGIA emerge che i licenziamenti per giusta causa, o giustificato motivo soggettivo, nel settore privato sono aumentati nell’ultimo anno del 26,5%, mentre i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo sono aumentati solo del 4,6% e quelli per esodo incentivato sono calati del 19%.

Questo trend si giustifica a causa di un’abitudine ormai diffusa tra i dipendenti, che in caso di dimissioni vogliono evitare incombenze burocratiche ed evitare la NASpI, e che per ora riguarda 74.600 lavoratori ma che, se la tendenza rimarrà questa, aumenteranno vertiginosamente.

Con l’introduzione della riforma Fornero, dal 2013 chi viene licenziato ha diritto all’ASpI, l’indennità mensile di disoccupazione, che rappresenta una misura di sostegno al reddito con una durata massima di 2 anni che costringe l’imprenditore che ha deciso di lasciare a casa il proprio dipendente al pagamento di una tassa di licenziamento. Se si verifica questa situazione, infatti, il datore di lavoro deve versare all’Inps una somma pari al 41% del massimale mensile della NASpI per ogni 12 mesi di anzianità aziendale maturata negli ultimi 3 anni. Per una persona con un’anzianità lavorativa di almeno 3 anni, la tassa a carico dell’azienda può sfiorare i 1.500 euro.

Renato Mason, segretario della CGIA, ha dichiarato in proposito: “Se una impresa contribuisce ad aumentare il numero dei disoccupati provoca dei costi sociali che in parte deve sostenere. Negli ultimi tempi, però, la questione ha assunto i contorni di un raggiro a carico di moltissime aziende e anche dello Stato, perché un numero sempre più crescente di dipendenti non rispetta la norma e costringe gli imprenditori al licenziamento e, di conseguenza, fa scattare la Nuova ASpI in maniera impropria”.

Il trend rilevato dalla CGIA si sta affermando anche nell’anno in corso, poiché l’incremento dei licenziamenti per giusta causa o giustificato motivo soggettivo nel solo primo trimestre è stato del 14,7%
Negli ultimi tempi, infatti, i lavoratori tendono a non recarsi più al lavoro senza alcuna comunicazione al proprio titolare, poiché sanno che in questi casi, dal marzo 2016, è stata introdotta l’obbligatorietà delle dimissioni on-line e che, in caso di decisione volontaria di starsene a casa, il datore di lavoro deve avviare la procedura del licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo.
In questo caso, il dipendente riceve la NASpI, che invece non gli spetterebbe in caso di dimissioni volontarie.

Paolo Zabeo, coordinatore Ufficio Studi CGIA, ha commentato: “Questo astuto espediente sta creando un danno economico non indifferente. Non solo perché costringe il titolare dell’azienda a versare la tassa di licenziamento che, come dicevamo, può arrivare fino a 1.500 euro, ma anche alla collettività che deve farsi carico del costo della NASpI. Se quest’ultima viene erogata per tutti i 2 anni previsti dalla legge Fornero, il costo complessivo per le casse dell’Inps può arrivare fino a 20.000 euro a lavoratore”.

Vera MORETTI