Imprese condotte da stranieri in continuo aumento

Il Rapporto Immigrazione e Imprenditoria, curato dal Centro Studi e Ricerche Idos, ha confermato quanto già vediamo con i nostri occhi: le aziende condotte da immigrati sono in continua crescita, tanto da aver dimostrato di reggere anche durante gli anni della crisi.

La differenza sembra piuttosto netta, poiché, se nel 2016 le imprese condotte da lavoratori italiani hanno registrato una situazione pressoché statica, con una variazione di -0,1%, quelle straniere sono a +3,7%, che negli ultimi cinque anni diventa +25,8%.

Gli immigrati, dunque, appartengono sempre di più al nostro sistema economico e produttivo, dimostrando una dinamicità fuori dal comune, ed offrendo opportunità e scenari che quelle italiane, ad oggi, faticano a proporre.

Parlando di numeri, alla fine del 2016 erano 571.255 le attività indipendenti condotte da lavoratori immigrati, pari a quasi un decimo di tutte le aziende del Paese (9,4%).
Questo bilancio rimane in positivo nonostante le imprese straniere siano maggiormente coinvolte anche nelle cessazioni: il peso delle imprese immigrate sale a un sesto del totale se si stringe l’attenzione su quelle avviate nel corso dell’anno (16,8%), mentre scende a circa un ottavo se ci si focalizza su quelle che nello stesso lasso di tempo hanno smesso di funzionare (12,0%).

Questo accade perché gli stranieri sono più propensi a vedere nell’imprenditoria, e quindi nel lavoro autonomo, una seria opportunità di inserimento nel mondo lavorativo.
I cittadini immigrati, quando scelgono la strada dell’imprenditoria, optano per la forma della ditta individuale (79,3%), che rimane la più semplice e meno onerosa per iniziare a lavorare in proprio.

Anche se stanno nel frattempo aumentando anche quelle più complesse e strutturate come le società a responsabilità limitata semplificata, ma soprattutto le società di capitale, che registrano infatti gli incrementi maggiori (+59,9% dal 2011 e +10,6% nel solo 2016.

Queste imprese si trovano soprattutto nelle regioni centro-settentrionali, nei tre quarti dei casi: Lombardia (19,3%) e Lazio (13,0%), e al loro interno Roma (11,4%) e Milano (9,1%), si distinguono come i territori che ne contano il maggior numero.
I casi di aumento maggiori si registrano oggi nelle aree meridionali, come Napoli, Reggio Calabria e Palermo.

La maggior parte degli imprenditori stranieri sono di origine marocchina (14,5% di tutti gli immigrati responsabili di ditte individuali in Italia) e cinese (11,4%), rispettivamente concentrati nel commercio i primi e distribuiti tra commercio, manifattura e servizi di alloggio e ristorazione i secondi.
Dopo di loro, notevole presenza romena (10,6%) e albanese (6,9%), entrambe segnate da una preponderante concentrazione nelle costruzioni e in crescita nei servizi. Seguono i piccoli imprenditori del Bangladesh, protagonisti di una crescita eccezionale dal 2008 a oggi, che li ha portati ad aumentare di oltre 4 volte (+332,0%), e a rivolgere le proprie attività, che pure restano concentrate per il 66,1% nel commercio, verso una crescente partecipazione al comparto dei servizi alle imprese (17,8% e +924,6%).

Vera MORETTI

Come si regolano i datori di lavoro in caso di telefono aziendale

Le aziende, nell’ottica prevista dal welfare nei contratti dei dipendenti, possono optare anche per il telefono aziendale, sicuramente uno dei benefit più diffusi.
Il datore di lavoro, in questo senso, può decidere se pagare direttamente il conto telefonico o far anticipare la spesa ai dipendenti e procedere poi al rimborso.

Questa ultima opzione è scelta nei casi in cui l’azienda permette di utilizzare il cellulare anche dopo le ore di lavoro, prevedendo un sistema che permette di calcolare il traffico complessivo delle chiamate private e aziendali, così da rimborsare solo queste ultime.

Ad analizzare il caso di spese anticipate dal dipendente lavoratore per il telefono aziendale e poi rimborsate dall’azienda al dipendente stesso con metodo forfettario è stato trattato dall’Agenzia delle Entrate con la risoluzione 74/E/2017, nella quale chiarisce che tali rimborsi vanno tassati ai fini IRPEF come reddito di lavoro dipendente, a meno che non ci rientri in specifici casi di esclusione dalla tassazione dei rimborsi spese per telefoni cellulari concessi come benefit ai dipendenti previsti dalla normativa.

L’art. 51 comma 1 del TUIR prevede infatti, in relazione al principio dell’onnicomprensività, che tutte le somme ed i valori in genere a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro costituiscano reddito imponibile per il dipendente.

Tra i casi di esclusione dalla tassazione IRPEF per le spese rimborsate in maniera forfettaria contemplati dall’Agenzia delle Entrate ci sono solo quelli in cui il legislatore abbia specificamente previsto un criterio forfetario, o quelli in cui vengono individuati i costi sostenuti dal dipendente nell’esclusivo interesse del datore di lavoro attraverso elementi oggettivi e accertabili tramite apposita documentazione.

Le Entrate in una nota ricordano che l’Amministrazione Finanziaria con circolare n. 326 del 1997 ha ritenuto, in generale che “Possano essere esclusi da imposizione quei rimborsi che riguardano spese, diverse da quelle sostenute per produrre il reddito, di competenza del datore di lavoro anticipate dal dipendente per snellezza operativa, ad esempio per l’acquisto di beni strumentali di piccolo valore, quali la carta della fotocopia o della stampante, le pile della calcolatrice, etc.”.

Vera MORETTI

Diritto al segreto per i dipendenti di azienda

Non solo quando ci si appresta a lasciare un’azienda, ma anche e soprattutto quando ancora ci si lavora, e non si ha nessuna intenzione di andarsene, è vietato divulgare notizie relative non solo all’azienda ma anche ai suoi metodi di produzione, ma anche di farne uso causandone danno o pregiudizio.

Si tratta del diritto al segreto, che però non combacia con l’obbligo di riservatezza, che invece consiste nel potere di impedire a terzi l’accesso a spazi privati e preesiste al contratto di lavoro.
Il diritto al segreto, invece, consiste nella pretesa a che le notizie di cui il terzo sia venuto a conoscenza non siano divulgate, e trova fondamento nel contratto di lavoro.

Inoltre, con i termini riservatezza e segreto si fa riferimento a ciò che non è di dominio pubblico. Il divieto in questione riguarda l’obbligo di non concorrenza, poiché come quest’ultimo è teso a tutelare l’azienda dai vantaggi che il lavoratore o i terzi potrebbero trarre dalle informazioni giunte all’esterno dell’impresa stessa.

Per questo, occorre stabilire quali siano le informazioni protette, nelle quali comunque non si annoverano le cognizioni tecniche e specialistiche che fanno parte del bagaglio professionale del lavoratore. La giurisprudenza è concorde nel ritenere che la norma debba essere interpretata in senso ampio e, cioè riferita a qualsiasi dato influente sull’attività concorrenziale del datore di lavoro, sia di carattere tecnico, amministrativo o commerciale.

A favore di una interpretazione ancora più ampia si osserva che all’espressione “metodi di produzione” fa da contraltare quella ben più ampia e generica di “organizzazione dell’impresa” che dovrebbe escludere le sole informazioni relative agli aspetti meramente finanziari ed economici.

Si è recentemente osservato come la norma imponga di escludere la verifica caso per caso del carattere segreto o riservato della notizia: se essa riguarda l’organizzazione dell’impresa o i suoi metodi di produzione ne sono comunque vietati l’uso pregiudizievole e la divulgazione.
L’obbligo di segreto, chiamato segreto aziendale, non costituisce una specificazione dell’obbligo di segreto professionale, poiché le fattispecie regolate hanno oggetto e destinatari parzialmente diversi.

Vera MORETTI

Successo per la manifestazione di Confassociazioni per Amatrice

Si è svolto a Roma presso la Camera dei Deputati l’evento Confassociazioni per Amatrice, Confassociazioni per l’Italia – 3° Forum di formazione all’amatriciana, ed ha riscosso grande successo, grazie anche alla presenza dei professionisti intervenuti, e sicuramente degli argomenti trattati.

Angelo Deiana, presidente di Confassociazioni, si è detto soddisfatto ed ha chiuso i lavori ringraziando i partecipanti, che hanno riempito la sala accorrendo in molti.

Tra i relatori presenti o che hanno inviato i loro saluti, c’erano: Vincenzo Gibiino, Senatore e Presidente Osservatorio Parlamentare sul Mercato Immobiliare, Simona Bazzoni, Movimento Animalista, Lorenzo Leuzzi, Vescovo di Teramo e Cappellano della Camera dei Deputati, Pier Paolo Baretta, Sottosegretario Ministero Economia e Finanze, Mario Mauro, Senatore Forza Italia, Commissione Affari Costituzionali, Roberto Rossini, Presidente ACLI, Giorgio Spaziani Testa, Presidente Confedilizia, Celestino Ciocca, Inventore del brand EATALY, Stefano Parisi, Fondatore Energie per l’Italia Andrea Mandelli, Senatore e Responsabile Libere Professioni Forza Italia, Mario Tassone Segretario CDU, Cristiano Democratici Uniti Maurizio Mangialardi, Vice Presidente ANCI e Sindaco Senigallia, Walter Rizzetto, Deputato Fratelli d’Italia, Patrizia Terzoni, Deputato Movimento Cinque Stelle, Stefano Fassina, Deputato Sinistra Italiana, Flavio Tosi, Leader di FARE!, Antonio Persici, Presidente CONFASSOCIAZIONI Ambiente Franco Casarano, Presidente Assocond e UNICASA Italia, Virgilio Baresi, Presidente INRL, Stefano Cianciotta Presidente Osservatorio Nazionale Infrastrutture di CONFASSOCIAZIONI.

Queste le parole di Deiana: “Un momento particolarmente coinvolgente è stato poi quello in cui Sergio Gaglianese, Vice Presidente di CONFASSOCIAZIONI Immobiliare e ideatore del format di beneficienza di “Formazione all’Amatriciana”, ha donato al Sindaco di Amatrice, Sergio Pirozzi, uno splendido gioiello scolpito appositamente da Michele Affidato, orafo e scultore. Il Sindaco ha ringraziato a nome di tutti i comuni delle zone terremotate ed ha commentato con parole solide e coinvolgenti la situazione ancora complessa in cui versano i cittadini residenti nei territori colpiti nel 2016”.

Gli ospiti intervenuti alla manifestazione sono stati accolti, oltre che da Deiana, anche da Riccardo Alemanno, Vice Presidente Vicario, Franco Pagani, Vice Presidente Vicario Aggiunto, Federica De Pasquale, Vice Presidente Pari Opportunità, e Paolo Righi, Presidente CONFASSOCIAZIONI Immobiliare. Ospiti d’eccezione del pomeriggio, Mario Condò De Satriano, Vice Presidente Vicario FIAIP, Stefano Paneforte, Presidente Emerito del Comitato Scientifico di CONFASSOCIAZIONI e i nostri super formatori e gli startupper che si sono esibiti per beneficienza: Mary Troiano, Amadeo Furlan, Emma Moriconi, Paolo Domenico Regina, Paolo Rossi, Paolo Svegli, Tania Montelpare, Barbara Bartoli, Meina Cutrupi, Isania Forgione, Paolo Giacovelli, Giuseppe Naccarato, Barbara Nipoti, Luca Quagliano, Stefano Versace.

Ha poi concluso Angelo Deiana: “Ma non è finita perché siamo già progettando il 4° Forum che avrà luogo nel primo semestre del 2018. Come sempre CONFASSOCIAZIONI non si ferma mai. In un mondo complesso e “ineguale”, fare rete è per noi un valore inestimabile. E’ il principio della staffetta che da sempre caratterizza il nostro DNA: correre con i primi senza dimenticare gli altri, anche se fossero gli ultimi”.

Vera MORETTI

Imprese innovative: la crescita maggiore è al Sud

Qualche anno fa probabilmente nessuno l’avrebbe immaginato, ma oggi le imprese innovative che guidano l’Italia registrano i loro maggiori numeri al Sud, e precisamente in Campania, Sicilia e Puglia.
Sono queste, insieme al Lazio, le quattro regioni che, secondo il focus condotto da Censis Confcooperative denominato “4.0 la scelta di chi già lavora nel futuro”, negli ultimi sei anni hanno registrato la maggior crescita di imprese innovative.

Solo dopo queste quattro ci sono Veneto, Toscana, Emilia Romagna e Lombardia.

A questo proposito, Maurizio Gardini, presidente di Confcooperative, ha dichiarato: “La ricerca ci dice che alcune regioni del Mezzogiorno hanno tassi di crescita delle imprese digitali enormemente superiori alle classiche aziende che sono state sempre locomotive del sistema tradizionale. Vedere che in Campania, Sicilia e Puglia il numero di imprese digitali cresce più che in Lombardia, Veneto e Piemonte è qualcosa a cui non siamo preparati, ma si tratta evidentemente di un’opportunità positiva che aiuta a ricomporre anche un’equità e una coesione all’interno del paese”.

Tra le imprese digitali, ci sono quelle che riguardano la produzione di software, consulenza informatica, elaborazione dati, hosting, portali web, erogazione di servizi di accesso a Internet, nonché attività relative a telecomunicazioni e commercio al dettaglio attraverso la Rete.

La crescita di questo tipo di imprese ha subito un picco in particolare tra il 2011 e il 2016 in Campania (26,3%), in Sicilia (25,3%), Lazio (25,1%) e Puglia (24,2%).

Anche spostando il confronto dalle regioni alle macro aree il risultato non cambia, negli ultimi sei anni infatti, il Mezzogiorno resta quello con il più alto tasso di crescita di imprese digitali: +21,9%, seguito dal Centro con un incremento del 20,7%, mentre al Nord si osserva un’estensione della base produttiva del 14%.

Vera MORETTI

Pubblicate nuove norme per il processo tributario telematico

Con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del decreto 28 novembre 2017 del direttore generale delle Finanze, è stato dato il via a nuove norme tecniche che regolano il deposito degli atti e dei documenti informatici relativi al processo tributario telematico.
Con la pubblicazione ufficiale, infatti, sono state aggiornate le specifiche tecniche per l’invio dei file rispetto a quelle stabilite per la fase iniziale della procedura.

Analizzando le modifiche avvenute, emerge che è stato sostituito il comma 3 dell’articolo 10, del decreto 4 agosto 2015: l’adeguamento, con cadenza almeno biennale, è previsto dall’articolo 14 dello stesso decreto, per rimanere al passo con l’evoluzione scientifica e tecnologica.

Ecco nel dettaglio le nuove regole tecniche in vigore da oggi:

  • la dimensione massima del singolo file è di 10 MB (la soglia precedente era di 5 MB). Se il documento è superiore a tale limite occorre suddividerlo in più file
  • il numero massimo di documenti informatici che possono essere tramessi con ogni singolo invio è pari a 50
  • la dimensione massima di tutti i documenti trasmessi per ogni deposito telematico è di 50 MB.

In ogni caso, è il sistema stesso a segnalare il superamento delle soglie consentite. Questo perché l’aggiornamento permette di depositare file di maggiori dimensioni e di superare anche i limiti previsti per gli invii tramite Posta elettronica certificata.

Vera MORETTI

In Lombardia il primato delle imprese dedicate al Natale

Natale significa famiglia, tradizioni e immancabilmente corsa ai regali.
Per questo motivo, in questo periodo dell’anno aumentano enormemente le opportunità di lavoro, anche se temporanee, che siano a tema natalizio.
Questo perché anche le imprese legate al Natale sono in continuo aumento, a cominciare dalla Lombardia, dove se ne contano addirittura 66 mila, con 327 mila addetti e 1,5 miliardi di business per il solo mese di dicembre.

I settori sono molteplici, e vanno dalle imprese dolciarie a quelle che producono giocattoli, senza dimenticare le agenzie di viaggio e i ristoranti. Il Natale è un motore d’affari davvero efficiente e ben rodato, e in Lombardia ancora i più, poiché pesano del 14% su tutte le imprese italiane operative nel settore, con una crescita dell’1% sia a livello regionale sia a livello nazionale.

I dati della Camera di commercio di Milano, Monza Brianza e Lodi confermano questo andamento e, in particolare, vanno molto bene soprattutto ristoranti e bar, con 25 mila imprese in Lombardia e 181 mila e 150 mila in tutta Italia.
Poi arrivano gli alberghi, che sono 2.400 presenti in Lombardia e 27 mila in Italia, i fioristi, le profumerie, le erboristerie e i gioiellieri, ognuno dei quali conta circa 2 mila imprese in Lombardia e 15 mila in Italia.

Tra le città lombarde più attive, c’è ovviamente Milano in pole position, con oltre 23 mila imprese e 163 mila addetti, Brescia con 9 mila imprese e 39 mila addetti, Bergamo con 7 mila imprese e 29 mila addetti, Varese con 5 mila imprese e 20 mila addetti, Monza e Brianza con oltre 4 mila imprese e 15 mila addetti. Lodi ha circa mille imprese e 4 mila addetti.
Per business mensile a Milano con un miliardo seguono Bergamo e Brescia, entrambe, con quasi cento milioni.

Vera MORETTI

La pizza napoletana eletta patrimonio dell’Unesco

La pizza napoletana, e in particolarmente l’arte napoletana di fare la pizza, è diventata patrimonio dell’Unesco.
Il Comitato per la Salvaguardia del Patrimonio Culturale Immateriale dell’UNESCO, riunito in sessione sull’isola di Jeju in Corea del Sud, ha valutato positivamente la candidatura italiana, sostenuta anche da Confesercenti, che in tre mesi ha raccolto ben 50mila firme in favore della petizione #PizzaUnesco.
L’Italia raggiunge così il 58esimo bene tutelato, e il settimo appartenente al patrimonio immateriale riconosciuto, e in generale il nono in Campania.

L’annuncio è stato dato in diretta su Facebook, tramite la delegazione italiana che ha seguito i lavori del Comitato Unesco. A seguire la proclamazione c’erano l’ambasciatore Vincenza Lomonaco, Rappresentante Permanente d’Italia presso l’UNESCO, il Presidente della Fondazione UniVerde Alfonso Pecoraro Scanio, Pierluigi Petrillo, curatore legale del dossier di candidatura.

A spiegare l’importanza di questo riconoscimento è stato Alfonso Pecoraro Scanio, promotore della World Petition #pizzaUnesco: “L’inserimento dell’Arte del pizzaiuolo napoletano nella prestigiosa Lista del Patrimonio immateriale dell’UNESCO è la riaffermazione di una tradizione storica che per il nostro Paese rappresenta, da secoli, un vero elemento d’unione culturale. Sono veramente entusiasta del risultato ottenuto perché. seppur la candidatura fosse forte e credibile, si tratta di un successo affatto scontato ma perseguito dopo anni di intensa attività e dedizione, al fine di poter garantire la valutazione positiva da parte del Comitato UNESCO. L’Arte del pizzaiuolo napoletano è un patrimonio di conoscenze artigianali uniche tramandato di padre in figlio, elemento identitario della cultura e del popolo partenopeo che ancora oggi opera in stretta continuità con la tradizione. Dedico questa vittoria agli amici pizzaiuoli, alla loro arte e alla loro creatività, al loro cuore e alla loro passione, alla città di Napoli, ai napoletani, all’Italia”.

La campagna è cominciata nel 2014 sulla piattaforma di petizioni on-line Change.org, ed ha raccolto il sostegno di più di 600 ambassador, e tra questi anche Confesercenti, con un totale di oltre 2 milioni di adesioni mondiali grazie alla firma di cittadini appartenenti a 100 e oltre diversi Paesi. Questa partecipazione ha fatto di #pizzaUnesco il movimento popolare d’opinione più imponente nella storia delle candidature di tutte le agenzie delle Nazioni Unite.

Vera MORETTI

Pa: Italia ancora fanalino di coda dell’Europa

Nonostante gli sforzi profusi negli ultimi anni, ancora la nostra pubblica amministrazione lascia a desiderare, soprattutto quando si tratta di pagamenti alle imprese.
In Europa, infatti, i tempi di pagamento registrati in Italia sono tra i peggiori, poiché solo la Grecia viene dopo di noi, anche a causa di una crisi economica e finanziaria molto pesanti.

Per fare esempi concreti, se in Francia una fattura mediamente viene pagata in 57 giorni e in Spagna in 78, in Italia bisogna attenderne 95. Un abisso rispetto ai più virtuosi, che sono Germania 23 giorni, Regno unito 22, Finlandia 22.

L’Italia è sorvegliata speciale già dal 2014, a quando risale la prima lettera ricevuta dalla Commissione Ue. In quel periodo, la Pa italiana pagava a 170 giorni beni e servizi e a 210 i lavori pubblici.
Ovviamente nel frattempo la situazione è migliorata, anche grazie alla riforma sulla pubblica amministrazione, ma ancora non basta, perché occorre arrivare a pagare entro 30 giorni per essere definiti a norma.

Per questo motivo, il Belpaese è stato deferito alla Corte di giustizia europea, poiché ci sono alcune pubbliche amministrazioni locali che pagano a 100 giorni, e questo non è più ammissibile.

Ad aggravare la situazione ci sono i Comuni di Scicli, nel ragusano, che a pagare una fattura ci mette mediamente poco meno di due anni, 658 giorni. E questo non vale solo coi fornitori, ma persino con le famiglie, seguito da Poggio Nativo (Rieti), con 508 giorni, Torrebruna (Chieti) con 445, Cerreto Sannita (Benevento) con 432. Sono 75 gli enti che dichiarano di pagare le fatture a oltre 200 giorni.

Secondo il Ministero del Tesoro si tratta di un deferimento che penalizza in toto le pubbliche amministrazioni, anche e soprattutto quelle che, invece, hanno saputo rimettersi in carreggiata e arrivare a risultati eccellenti anche confrontate con le virtuose a livello europeo.

Da una nota del Mef: “Nell’anno 2016 sono state registrate oltre 27 milioni di fatture per un importo totale pari a circa 138 miliardi di euro. In base alle informazioni fornite dagli enti, la piattaforma ha rilevato pagamenti relativi a circa 18,6 milioni di fatture, per un importo pari a 118,1 miliardi di euro, che corrisponde all’85% del totale ricevuto. I tempi medi di pagamento sono pari a 60 giorni, a 13 quelli di ritardo. Ritardo in diminuzione del 50% rispetto al 2015. Il tempo medio di pagamento effettivo del totale delle fatture è con ogni probabilità più lungo di quello registrato tra gli enti che comunicano i dati”.

Il problema che porta la Pa a pagare il ritardo è quasi sempre la mancanza di liquidità, anche se a volte dipende anche da inefficienze delle amministrazioni o da ritardi, ma anche i ricorsi ovviamente dilatano i tempi della giustizia civile.

Vera MORETTI

Successo a Roma per il REMF 2017

Durante il REMF tenutosi a Roma lo scorso 6 dicembre all’Hotel Hassler sono emerse importanti tematiche e conclusioni.
Tra le altre cose, nell’ambito del Real Estate Management Forum organizzato da Sinteg, è stato chiaramente detto che la figura classica dell’amministratore condominiale tende ormai ad essere sempre meno diffusa, anzi, forse è già scomparsa.

Francesco Di Castri, presidente Sinteg Servizi Immobiliari Integrati, ha voluto essere molto chiaro su questo punto: oggi l’amministratore deve essere preparato, dimostrare di avere professionalità e capacità manageriali. Basta dunque con le figure improvvisate, quella dell’amministratore condominiale deve diventare una vera e propria professione, con formazione continua, per essere sempre aggiornati sule nuove norme.

Ecco le parole di Di Castri: “Un esempio su tutti? La Spagna che già da quindici anni ha affidato l’amministrazione dei condomini alle banche. Senza considerare l’arrivo di grandi player internazionali all’orizzonte, in particolar modo le aziende energetiche. Che possono avere un ruolo positivo o negativo, a secondo del panorama in cui si troveranno”.

Per porre le basi verso un giusto percorso sono intervenuti relatori addetti ai lavori, i quali hanno posto l’accento su vari aspetti: Francesco Ruperto del Gruppo Universitario Network BIM ha proposto l’uso del BIM, il Building Information Modeling; Antonio D’Intino, presidente ISEA, ha invece parlato di inserire il credito di imposta nei lavori condominiali, per porre fine ai cattivi appalti; Luca Ruffino, AD di Home service Italia, si è soffermato sulla necessità di eliminare le 3 D (diffidenza, disaffezione e distanza) esistenti tra condomino e amministratore; Vincenzo Acunto, direttore generale di Groma ha infine puntato l’attenzione sul facility management.

Si tratta di proposte valide per creare un ponte di comunicazione tra l’amministratore e i suoi condomini, che spesso viene a mancare.

Come ha specificato Francesco Di Castro in conclusione: “Nel settore ancora non si riesce a comprendere bene l’importanza del manager immobiliare ovvero di quel professionista che opera in squadra, ma che invece di avere contatti diretti con i condomini e i fornitori, attività che lascia ai suoi collaboratori, è impegnato a risolvere criticità come pure a elaborare piani di marketing ad hoc per l’azienda condominio”.

Vera MORETTI