Chiarimenti dalle Entrate sulla detrazione Iva

L’Agenzia delle Entrate ha emanato la circolare 1/E per chiarire alcune perplessità relative alla detrazione Iva.
In particolare, vengono analizzate le criticità derivanti dall’applicazione delle nuove disposizioni e scioglie i dubbi sollevati dalle associazioni di categoria, fornendo indicazioni operative per applicare correttamente la nuova disciplina.

Emanando queste istruzioni, l’Agenzia tiene conto anche e soprattutto dei principi espressi dalla Corte di Giustizia Ue, in base ai quali l’esercizio del diritto alla detrazione Iva, oltre al requisito dell’esigibilità dell’imposta, è subordinato anche a quello formale del possesso della fattura d’acquisto.
Il Dl n. 50/2017 ha ridotto il termine per l’esercizio della detrazione Iva spettante sulle operazioni di acquisto di beni e servizi, modificando anche la disciplina della registrazione delle fatture.

Il nuovo termine si applica alle fatture ed alle bollette doganali emesse dal 1°gennaio 2017, purché relative ad acquisti di beni e servizi e importazioni effettuati, e la cui relativa imposta sia divenuta esigibile, a decorrere dalla stessa data.

Per esercitare l’esercizio del diritto alla detrazione dell’Iva per le fatture ricevute nei primi mesi del 2018 ma relative ad operazioni effettuate nel 2017, l’Iva può essere detratta attraverso la registrazione nel 2018, secondo le modalità ordinarie, in una delle liquidazioni periodiche di tale anno.
Altrimenti è possibile anche effettuare la registrazione tra il 1° gennaio 2019 e il 30 aprile 2019 in un’apposita sezione del registro Iva degli acquisti relativo a tutte le fatture ricevute nel 2018, facendo concorrere l’imposta medesima alla formazione del saldo Iva della dichiarazione relativa al 2018, da presentare entro il 30 aprile 2019.

L’Iva risultante da fatture ricevute nel 2017, relativa ad operazioni effettuate e la cui imposta sia divenuta esigibile in tale anno, può invece essere detratta previa registrazione entro il 31 dicembre 2017, secondo le modalità ordinarie, al più tardi entro il 30 aprile 2018 previa registrazione (tra il 1° gennaio 2018 e il 30 aprile 2018) in un’apposita sezione del registro Iva degli acquisti relativo a tutte le fatture ricevute nel 2017, facendo concorrere l’imposta medesima alla formazione del saldo Iva della dichiarazione 2017.

I chiarimenti forniti dall’Agenzia riguardano anche le pubbliche amministrazioni e gli enti soggetti al meccanismo della scissione dei pagamenti, split payment, che decidono di optare per l’esigibilità dell’imposta anticipata.
Una volta esercitata la scelta, il diritto alla detrazione potrà essere esercitato dalla Pa che sia in possesso della fattura di acquisto, nel momento in cui l’imposta diventa esigibile, quindi al momento della ricezione o della registrazione della fattura.

Con la dichiarazione integrativa a favore è possibile correggere errori od omissioni che hanno determinato l’indicazione di un maggiore imponibile, di un maggiore debito d’imposta o di una minore eccedenza detraibile. Ricorrendo alla dichiarazione integrativa, il soggetto passivo cessionario/committente può recuperare l’imposta per la quale non ha esercitato il diritto alla detrazione dell’Iva assolta sugli acquisti documentati nelle fatture ricevute nei termini
Il termine massimo per ricorrere all’integrativa a favore è il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione. In ogni caso il soggetto passivo cessionario/committente deve regolarizzare la fattura di acquisto irregolare ed è soggetto alle sanzioni per la violazione degli obblighi di registrazione.

Vera MORETTI

Franchising in crescita in Italia e all’estero

Il franchising si sta rivelando una formula sempre più di successo anche e soprattutto in Italia. con dati in continuo aumento, anche nel corso dell’anno appena passato.
Nel 2017, infatti, i negozi in affiliazione commerciale hanno generato un fatturato complessivo di 24,2 miliardi, con un incremento dello 0,9% rispetto al 2016.
Questi risultati sono stati raggiunti anche grazie ad una crescita dei franchisor attivi, che ad oggi sono 977, in aumento del 2,7% rispetto allo scorso anno, mentre il numero di imprese franchisee affiliate ha raggiunto quota 51.260 (+1%), come confermato dal Report dell’Osservatorio Federfranchising Confesercenti, diffuso in occasione dell’Assemblea Annuale 2018.

Il 2017 ha segnato anche un aumento dei franchisor italiani all’estero, che dal 2012 ad oggi ha registrato +8,7%.
Ovviamente, la ripresa dell’economia ha influito positivamente su questi dati e dovrebbe portare ad ulteriori incrementi nell’anno in corso. Si prevede infatti che nel 2021 si potrebbe superare i 25 miliardi di fatturato, le mille insegne e i 53mila negozi in affiliazione.

Patrizia De Luise, presidente di Confesercenti, ha dichiarato in proposito: “Come dimostra puntualmente, il franchising è il settore di commercio e servizi che ha le maggiori chance di crescita. Uno sviluppo che, per forza di cose, avrà sempre più a che vedere con le moderne tecnologie: web, cloud, ma anche big data e automazione. E che il franchising, per definizione fatto di reti, è naturalmente strutturato per recepire. Il che non vuol dire che il processo di innovazione sia scontato: l’affiliazione commerciale riunisce imprese molto diverse tra loro per tipologia e dimensioni, e l’impegno di Confesercenti è quello di trovare le soluzioni giuste per ciascuna, trovando la giusta prospettiva di crescita nell’ambito degli investimenti ‘liberati’ dal piano Imprese 4.0”.

Alessandro Ravecca, presidente di Federfranchising Confesercenti, ha poi aggiunto, in merito all’internazionalizzazione: “Il problema attuale per i retailer italiani che vogliono svilupparsi all’estero non è quello della ricerca della location, ma è quello di trovare dei Master o Area developers con esperienza nel mercato di riferimento. Quindi bisogna concentrarsi su questo aspetto promuovendo incontri b2b con imprenditori che vogliono investire nel Made in Italy con aziende realmente italiane e presenti sul territorio nazionale, creando gruppi o consorzi di operatori che assieme si presentino nel mercato estero sfruttando al massimo le sinergie: possono essere nel food and beverage con delle offerte unite creando delle vere food court italiane oppure nella moda dando vita a strade dello shopping Made in Italy. Le opportunità sono molte: con l’ICE stiamo già collaborando per aprire alle insegne italiane le porte dei più importanti saloni di settore. Ma serve un maggiore sostegno diretto alle imprese”.

Vera MORETTI

Food&Wine Made in Italy: Dop e Igp da record

L’Italia ha consolidato il suo primato mondiale per numero di prodotti Dop e Igp raggiungendo quota 818 Indicazioni Geografiche registrate a livello europeo.

A livello territoriale, Parma rimane indiscussa leader, mentre l’Emilia Romagna è la regione prima in classifica con 43 Dop e Igp e un valore di 2,7 miliardi di euro. Segue poi la Lombardia con 34 Dop e Igp e 1,5 miliardi di euro.
Verona e Treviso sono invece il traino del settore vitivinicolo, soprattutto con il Prosecco, con il Veneto che si trova in vetta per quanto riguarda la classifica regionale del vino, con 53 Dop e Igp e un valore di 1,2 miliardi di euro. In questo caso segue la Toscana con 58 Dop e Igp e 442 milioni. Siena è la terza provincia vinicola italiana.

Mauro Rosati, dg di Fondazione Qualivita, ha commentato così questi risultati: “Una crescita che riguarda quasi tutti i territori d’Italia ma che appare particolarmente significativa nei distretti nei quali i Consorzi sono riusciti a rappresentare un ruolo guida in percorsi di sviluppo coerenti che hanno portato, per esempio, al ribaltamento del rapporto tra sistema Dop-Igp e industria alimentare che oggi mostra un interesse forte verso un settore sempre più strategico”.

Maurizio Martina, ministro delle Politiche Agricole, ha aggiunto: “Abbiamo fatto un buon lavoro di squadra, è stato fatto un salto di qualità strutturale partendo dal presupposto non di legare le Dop e Igp a una strategia di conservazione, ma sviluppando un concetto evolutivo, considerando le nostre eccellenze la frontiera più avanzata nei confronti del mondo”.

Nel comparto del cibo, è Parma la provincia che contribuisce maggiormente, seguita da Modena, con un valore della produzione pari a 583 milioni di euro, e in calo del 6%. Cresce, al contrario, Mantova, con un aumento dell’81% che la fa diventare la terza provincia italiana per impatto economico con 437 milioni di euro. Seguono Reggio Emilia, Brescia e Udine.
Caserta è la prima provincia del Mezzogiorno con i suoi 186 milioni di euro. Per quanto riguarda le variazioni di impatto economico rispetto al 2015 sono da segnalare anche le performance positive delle province di Novara (+296%), Pavia (+119%), Bergamo (+112%), Bologna (+40%) e Salerno (+23%).

Nel settore del vino, invece, dopo Verona, Treviso e Siena, ci sono Vicenza (194 milioni di euro) e Padova (166 milioni di euro), che salgono rispettivamente di quattro e dieci posizioni nella graduatoria nazionale, anche se la quinta provincia, con 189 milioni di euro, è Cuneo.
Sopra i cento milioni di euro anche le province di Udine e Belluno, poi Trento, cui seguono Bolzano (95 milioni) e Asti con (85 milioni). Lecce è la prima provincia del sud Italia con 42 milioni di euro di impatto economico del vino sfuso, seguita da Chieti con 36 milioni di euro.

Vera MORETTI

Banche: ad ottenere il credito sono sempre le grandi aziende

Considerando i numeri messi a disposizione dalla Banca d’Italia emerge come le banche, nonostante abbiano conosciuto un periodo di forte crisi, continuano a premiare chi risulta essere responsabile di questo dissesto, ovvero le grandi aziende e i grandi gruppi societari.

A conferma di ciò ci sono i dati, secondo i quali la quota dei prestiti ottenuta dal primo 10% degli affidati è pari al 79,8% del totale. Il restante 90% ottiene invece poco più del 20%.

Traducendo queste percentuali in numero, si evince che, su 1.500 miliardi erogati dagli istituti di credito italiani, ben 1.200 sono andati a un ristretto numero di soggetti che però hanno un elevato potere negoziale.

Paolo Zabeo, coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia, ha dichiarato in proposito: “Non ci sarebbe nulla di strano se questo primo 10 per cento di affidati fosse solvibile. Una banca, infatti, deve aiutare chi ha bisogno di risorse finanziarie ma, allo stesso tempo, è anche nelle condizioni finanziarie di restituire nei tempi concordati quanto ottenuto. In Italia, invece, le cose continuano ad andare diversamente. Se, infatti, analizziamo l’incidenza percentuale sul totale delle sofferenze bancarie ascrivibile a questo ristrettissimo club di affidati, la quota ammonta all’81 per cento del totale. In altre parole, le grandi imprese continuano a ricevere la quasi totalità dei prestiti bancari, sebbene presentino livelli di insolvenza allarmanti”.

Inoltre, al 30 settembre del 2017, le sofferenze bancarie lorde presenti in Italia ammontavano a 170,2 miliardi, con 16,2 miliardi in meno rispetto al 2016.

Renato Mason, segretario della Cgia, ha aggiunto: “Questo elevato numero di crediti deteriorati ha provocato una forte contrazione dei prestiti all’economia reale. Non essendo in grado di recuperare una buona parte dei finanziamenti erogati, le banche hanno deciso di non rischiare più e hanno progressivamente chiuso i rubinetti del credito. Solo nell’ultimo anno c’è stata una leggera inversione di tendenza. Tra novembre 2017 e lo stesso mese del 2016, la quantità di finanziamenti alle imprese è aumentata mediamente dello 0,3 per cento, anche se si sono registrati dei risultati molto diversi tra le varie classi dimensionali di impresa. Nelle medio-grandi, ad esempio, la crescita è stata dello 0,6 per cento, nelle piccole e micro, invece, la contrazione è stata dell’1 per cento, nonostante la domanda generale di credito registrata in questi ultimi mesi sia tendenzialmente in crescita”.

A livello regionale si nota che al Sud il primo 10% degli affidati ottiene meno credito delle rispettive fasce presenti nel resto d’Italia, ma genera una quota di sofferenze quasi in linea con il dato medio nazionale. Al Nord, invece, le grandi imprese ottengono percentuali di credito molto alte, con livelli di affidabilità che, comunque, si allineano attorno al dato medio nazionale.

A livello provinciale, invece, il primo 10% degli affidati ha in capo l’87,8% delle sofferenze a La Spezia: record nazionale rispetto a una media Italia pari all’ 81 per cento. Al secondo posto con l’86,% Verbania-Cusio-Ossola, al terzo con l’86,2 Bolzano, al quarto con l’85,9 Roma e al quinto con l’85,8% Parma.
In coda alla classifica nazionale ci sono con il 69,% Sondrio, con il 69,7% Agrigento e con il 68,7% Lodi.

Vera MORETTI

Novità sull’immobiliare dal Re Italy Winter Forum 2018

Mercoledì 24 gennaio si è svolto a Milano, presso Palazzo Mezzanotte, si è svolto l’evento Re Italy WInter Forum 2018, dedicato al settore immobiliare.
Durante lo svolgimento dei lavori, Fiaip, ovvero la Federazione Italiana Agenti Immobiliari Professionali, insieme a Confedilizia, Confassociazioni Immobiliare e Finco, ha presentato il Manifesto per il rilancio del settore, che, come ben sappiamo, ha passato, negli anni della crisi economica, momenti di vera difficoltà.

Per riuscire, dunque, ad uscire definitivamente da questo periodo critico, le Associazioni del comparto immobiliare hanno avanzato le loro proposte, che ovviamente hanno saputo riscuotere molti interesse tra gli operatori e i politici presenti.
Tra queste, sicuramente apprezzata la richiesta di ridurre il carico fiscale che grava sul settore, ma anche estendere la cedolare secca, favorire la liberalizzazione delle locazioni commerciali, nonchè la stabilizzazione degli incentivi per le ritrutturazioni e l’approvazione di misure di stimolo alla riqualificazione urbana.

Tra le misure presenti figurano anche gli incentivi fiscali per le permute immobiliari, lo sviluppo del turismo attraverso la proprietà immobiliare privata e la creazione di un Ministero dello Sviluppo immobiliare, della casa e dell’edilizia.

Questo si legge all’interno del Manifesto: “Questo manifesto è aperto: a tutte le realtà del settore immobiliare che vorranno portare il proprio contributo alla costruzione di un nuovo modello di sviluppo del real estate; alle forze politiche che si apprestano a guidare il Paese, perché la crescita del settore immobiliare si basi su un modello condiviso tra le forze di maggioranza e di opposizione; ai cittadini, perché la stabilità sociale delle famiglie e del singolo proviene anche da una maggior e facilità di accesso al bene casa“.

Vera MORETTI

Sicurezza sul lavoro: in aumento le imprese del settore

Le imprese che operano nel settore della sicurezza sul lavoro sono aumentate, negli ultimi cinque anni a Milano, addirittura del 38%, come ha confermato la stessa Camera di commercio, precisando che si tratta soprattutto di attività di consulenza e fabbricazione di attrezzature.

Considerando il settore, è in Lombardia che si concentra il maggior numero di imprese, anche confrontandole a livello nazionale.
La crescita dal punto di vista regionale è del 7% rispetto al 2016 e del 34% in cinque anni, cifre più elevate rispetto ai dati nazionali rispettivamente del 6 e del 32%.
Queste percentuali in crescita hanno portato le imprese del settore a quota 978, su un totale nazionale di 3.948.

Gli addetti che operano nel settore in Lombardia sono più di 3mila, mentre in tutta Italia sono 13mila. Nella sola regione le imprese che si occupano di sicurezza sul lavoro fatturano 355 milioni all’anno, metà per la fabbricazione di attrezzature e metà per la consulenza, su un totale nazionale che arriva quasi a un miliardo.

Le imprese presenti a Milano sono ad oggi 364, seguita da Brescia con 156 e circa 400 addetti (+6,8% e +45,8%), Bergamo (97 e circa 700 addetti, +6,6%, +33%), Monza (86 e 133 addetti, +6%, +54%), Varese (61 e 108 addetti, +9%), Pavia (47 imprese e 74 addetti), Como (40 e 122), Cremona, Mantova e Lecco con circa 30 imprese (237, 132 e 85 addetti), Lodi con 19 e Sondrio con 13 imprese (37 e 70 addetti).
In Italia le prime per imprese sono: Milano con 364 (+11% in un anno e +38% in cinque), Roma (347, +9%, +54%), Torino (201, +5%, +19,6%), Brescia (156, + 6,8%, + 45,8%), Napoli (101, +16,1%, +62,9%), Bari (98, +6,5%, +27,3%) e Bergamo con 97 (+6,6%, +33%)

Vera MORETTI

Agroalimentare italiano sempre più forte in Cina

L’export agroalimentare italiano verso la Cina sta registrando dati sempre più positivi, che hanno portato, a fine 2017, ad un aumento del 18%, superando i 460 milioni di euro a valore.
Ciò, confermato anche da Coldiretti, è stato possibile anche perché l’Italia, nell’anno appena trascorso, è stata visitata da 1,4 milioni di cinesi, approdati nel Belpaese perché considerato più sicuro rispetto ad altre mete turistiche europee, e che, una volta arrivati qui, hanno potuto conoscere la nostra indiscussa e inestimabile ricchezza agroalimentare che vanta ben 292 prodotti Dop e Igp, 523 vini Docg, Doc e Igt e 5.047 specialità alimentari tradizionali.

Spesso, infatti, accade che i turisti rimangano rapiti dal food Made in Italy e, una volta tornati a casa, siano presi dalla voglia di riassaggiare gli stessi sapori, portando così ad un incremento delle richieste e di conseguenza dell’export.

I prodotti più amati rimangono quelli della nostra tradizione, a partire dal vino che, con 120 milioni di euro registra un balzo del 21% nel Paese asiatico, l’olio d’oliva con oltre 40 milioni di euro segna una crescita del 41%, i formaggi aumentano del 34% e la pasta sale del 20%, arrivando a 23 milioni di euro.
Questi dati hanno contribuiti ad un ribilanciamento, dopo che nel 2017 alla crescita dell’export era seguito anche un calo del 10% delle importazioni italiane dalla Cina.

Si tratta di dati molto importanti, determinati anche da alcune cruciali decisioni prese dal governo cinese, che ha rimosso il bando sulla carne bovina tricolore e ha dimezzato i dazi all’importazione su alcuni prodotti cardine della gastronomia Made in Italy  come Parmigiano Reggiano, Grana Padano e altri formaggi stagionati oltre che per Gorgonzola (da 15/12% a 8%), formaggio grattugiato e fuso e acquaviti di vino (da 10 al 5%), vermouth (da 65 a 14%), pasta e salsicce/salami (da 15 a 8%).
Ad ottobre, inoltre, la Cina aveva anche deciso di rimuovere il blocco alle importazioni di Gorgonzola, Taleggio e altri formaggi erborinati, a crosta fiorita o muffettati deciso a fine agosto scorso per un improvviso irrigidimento nell’applicazione delle norme sull’import dall’Unione Europea.
A maggio inoltre è stato anche deciso di aprire il mercato a limoni, arance e mandarini di origine italiana.

Vera MORETTI

Record di finanziamenti in Italia per il 2017

Sono stati registrati, nel 2017 appena concluso, oltre 12 miliardi di finanziamenti in Italia erogati dal gruppo Banca europea degli investimenti, che comprende Bei e Fei, stabilendo un vero e proprio record da quando, nel 2008, ha cominciato la sua attività.

In tutto, in dieci anni sono stati concessi finanziamenti per 100 miliardi, che hanno potuto sostenere investimenti per un valore totale di oltre 270 miliardi.

Ad illustrare questi risultati è stato Pier Carlo Padoan, ministro dell’Economia, insieme a Dario Scannapieco, vicepresidente di Bei, i quali hanno illustrato con entusiasmo e soddisfazione i risultati ottenuti, segnale che la Banca europea per gli investimenti sta dando un concreto e importante sostegno alle imprese italiane.

Queste le parole di Padoan, durante un suo intervento relativo ai vincoli di bilancio avvenuto nella sede dell’Unione europea: “Se la leva degli investimenti pubblici viene pienamente utilizzata la crescita ciclica e strutturale è molto più elevata. Abbiamo il dovere di mettere a disposizione del paese tutte le nostre energie. I risultati ottenuti sul fronte dei prestiti Bei parlano da soli. Gli investimenti pubblici sono una leva importantissima per il paese”.

Dario Scannapieco ha voluto poi aggiungere: “Nel 2017 con 5,3 miliardi di prestiti e garanzie la Bei ha sostenuto in Italia 39.700 Pmi e 542.500 relativi posti di lavoro. Negli ultimi 10 anni prestiti e garanzie alle Pmi in totale ammontano a 39,4 miliardi e hanno sostenuto 210 mila piccole e medie imprese e oltre 6 milioni di posti di lavoro”.

Vera MORETTI

Mutui in calo nel 2017, ma il mercato immobiliare è in ripresa

Il Barometro CRIF, che si occupa della situazione economica delle famiglie italiane, ha messo in evidenza come, nel 2017 appena trascorso, siano stati richiesti meno mutui e meno surroghe, ma nonostante questo il mercato immobiliare si è mostrato molto solido e finalmente in crescita.
Il calo della richiesta dei mutui, registrato a -10,3% rispetto al 2016, è dovuto al rallentamento delle richieste di surroga e sostituzione rispetto all’anno precedente.

Sono al contrario aumentate le compravendite residenziali e sono diminuiti gli acquisti immobiliari sostenuti con transazioni interamente in contanti. Si tratta di due elementi che contribuiscono a supportare il mercato dei mutui.
E, cosa molto importante, è migliorata la situazione economico-finanziaria delle famiglie, che riescono a considerare l’idea di comprare casa grazie a tassi ancora piuttosto bassi e prezzi degli immobili non più così irraggiungibili.

Quando si tratta di chiedere un mutuo, qual è l’importo medio richiesto? In questo caso, a dicembre è aumentato dell’1,7% rispetto allo stesso mese del 2016.
Considerando tutto l’anno 2017, il valore medio dei mutui richiesti dalle famiglie italiane si è attestato sui 125.600 €.

Ovviamente, a causa della minor incidenza di surroghe, che per loro natura rimangono più brevi, la durata del mutuo richiesto, sempre restando nella media, ha subito uno spostamento verso piani di rimborso di medio-lungo termine, quasi sempre dunque superiori ai 20 anni.

Per quanto riguarda la fascia di età, nel 2017 hanno chiesto mutui soprattutto persone di età compresa tra i 35 e i 44 anni, anche se in leggera flessione, dello 0,9%, rispetto all’anno precedente.
In crescita, invece, dello 0,4%, le richieste che arrivano da under 35 e over 45.

Vera MORETTI

Professionisti: quale regime fiscale scegliere?

Sono molti i professionisti che, quando iniziano la loro nuova attività lavorativa, ricorrono alla ritenuta d’acconto, quando, invece, sarebbe più vantaggioso scegliere un regime fiscale con apertura di partita Iva.

Perché questo? La ritenuta d’acconto, che potrebbe sembrare la scelta più semplice e leggera, impone rigidi limiti alla prestazione occasionale.
Vediamo quali sono:

  • limite di 5000€ di reddito annuo;
  • limite di 30 giorni di collaborazione occasionale con ogni committente;
  • impossibilità di collaborare più volte con lo stesso committente;
  • impossibilità di pubblicizzare la propria attività.

Non a caso, dunque, la ritenuta d’acconto può essere utilizzata per prestazioni occasionali, ma sicuramente non permette di lavorare serenamente e anzi costringe a rifiutare contratti per non superare i limiti imposti.

Ai professionisti viene consigliato invece di ricorrere al regime forfettario, che è un regime fiscale agevolato che permette di usufruire di imposte che a volte si rivelano più convenienti anche rispetto alla ritenuta d’acconto.

Anche questo regime prevede limiti di ricavi annuali, definiti tramite codice ATECO, composto da cifre e lettere a seconda delle tipologie lavorative e che definisce non solo il limite annuale dei ricavi ma anche il coefficiente di redditività.

Si tratta di un coefficiente che definisce anche un forfait di spese che possono essere detratte dal contribuente che nel regime forfettario non può detrarre le spese sostenute per l’attività lavorativa.
L’unica imposta prevista dal regime forfettario è l’imposta sostitutiva che ammonta al 5% dell’imponibile nei primi cinque anni di attività e 15% negli anni a seguire.

Aprire la propria partita IVA è possibile sia online che offline:

  • offline, recandosi personalmente in un Ufficio dell’Agenzia delle Entrate, consegnando il modello AA9/12, ben compilato, corredato di carta d’identità;
  • offline, inviando una raccomandata a qualsiasi Ufficio dell’Agenzia delle Entrate con i medesimi documenti;
  • online, con gli stessi documenti, senza dover recarsi in nessun ufficio.

Dopo l’apertura della partita Iva, occorre iscriversi ad una cassa previdenziale, che, per molte categorie di professionisti è dedicata, ad esempio per avvocati, o ingegneri, o agenti di commercio.
Se, per l’attività scelta non esiste una cassa previdenziale, si ricorre alla Gestione Separata INPS.

Vera MORETTI