IVA agevolata acquisto prima casa: regole e beneficiari

La casa è sempre stata ritenuta dagli italiani un bene essenziale, proprio per questo tutti vogliono averne una di proprietà e preferiscono tale soluzione abitativa ad altre, ad esempio alla locazione. Il legislatore in un certo senso si è adeguato a questa che sembra essere una vera e propria necessità e ha previsto delle agevolazioni fiscali, tra queste vi è l’IVA agevolata acquisto prima casa.

Acquisto immobili: quando è dovuto il pagamento dell’IVA

Comprare un immobile in Italia prevede il pagamento di diverse imposte che gravano sempre su chi acquista, tra le tasse che più di altre incidono sul costo finale dell’abitazione vi è sicuramente l’IVA che deve essere versata quando si acquista direttamente dal costruttore, o comunque da soggetti che si occupano professionalmente di compravendita di immobili, mentre non è dovuta nel caso in cui si tratti di un atto di compravendita tra privati. Nel secondo caso comunque deve essere versata l’imposta di registro. Il primo  dato essenziale da sottolineare quindi è che l’imposta di registro e l’IVA sono alternative. A queste si aggiungono l’imposta ipotecaria e l’imposta catastale che per la prima casa godono anch’esse di agevolazioni fiscali. Occorre ricordare che, in caso di acquisto di prima casa possono essere portati in detrazione dalle imposte sui redditi gli interessi passivi pagati sul mutuo e le spese di intermediazione mobiliare.

IVA agevolata acquisto prima casa: importi

L’aliquota IVA normalmente applicata per la compravendita di immobili è al 10%, risulta peraltro evidente che si tratti di una somma non irrisoria, calcolando, ad esempio, un immobile con un costo di 100.000 euro (difficile trovare soluzioni abitative con un costo inferiore) si deve versare un’imposta pari a 10.000 euro. Il legislatore però, al fine di agevolare l’acquisto della casa, e quindi anche la nascita di nuovi nuclei familiari, ha stabilito che nel caso in cui l’abitazione sia destinata ad essere utilizzata come abitazione principale e non si sia titolari di diritto di proprietà di altri immobili, l’IVA sia al 4%.

Tale beneficio si estende anche alle pertinenze, ma per ogni categoria è ammessa l’agevolazione su una sola pertinenza, ad esempio può trattarsi di un box o posto auto, di una tettoia o una cantina. L’IVA agevolata si può ottenere anche su fabbricati rurali, l’importante è che siano idonei all’utilizzo residenziale e non deve trattarsi di mere pertinenze rispetto a fabbricati principali (circolare dell’Agenzia delle Entrate 38/2005).

Limiti alle agevolazioni fiscali

Si è già detto che per poter usufruire del beneficio dell’IVA agevolata acquisto prima casa non si deve essere proprietari di altri immobili, ora vediamo nel dettaglio cosa si intende. Per poter usufruire del beneficio non si deve essere:

  • titolari, neanche in comunione dei beni con il coniuge, di un altro immobile situato nello stesso Comune;
  • non si deve essere titolari di diritto di uso, usufrutto, abitazione su un immobile ubicato in qualunque parte del territorio nazionale.

Inoltre l’immobile deve trovarsi nel comune in cui è fissata la propria residenza, o in cui si ha intenzione di fissare la propria residenza nell’arco di 18 mesi dal momento dell’acquisto dell’immobile. La dichiarazione di voler trasferire la residenza nel comune in cui è ubicato l’immobile deve essere resa al momento dell’acquisto dell’immobile, solo in questo modo è possibile ottenere il beneficio. L’acquisto può essere effettuato con IVA agevolata anche nel caso in cui l’immobile si trovi nel Comune in cui si svolge la propria attività.

Infine, per poter godere dell’IVA agevolata acquisto prima casa, l’immobile non deve essere censito nelle categorie considerate di lusso, cioè A/1 ( abitazioni di tipo signorile), A/8 (abitazioni in ville, intendendosi per tali quelle con giardino e/o parchi o situate in zone urbanistiche di pregio), A/9 (castelli e palazzi).

Quando si decade dal beneficio

L’IVA agevolata sull’acquisto prima casa può essere considerato un aiuto alle famiglie e nel caso in cui si abusi di questo aiuto e si usufruisca dello stesso pur non avendone i requisiti, si è sottoposti a sanzioni: oltre a dover versare l’imposta ordinaria, viene applicata anche una sanzione pecuniaria pari al 30% dell’importo non pagato. In caso di ravvedimento operoso è comunque possibile risparmiare sulle sanzioni.

Deve inoltre essere ricordato che si decade dal beneficio anche nel caso in cui l’immobile sia ceduto nei successivi 5 anni dal momento dell’acquisto.  Dal 1° gennaio 2016 è possibile evitare questo effetto solo nel caso in cui si provveda a riacquistare un altro immobile da utilizzare quale abitazione principale. Il nuovo acquisto deve essere effettuato entro un anno.

IVA agevolata acquisto priuma casa al 50%

Questi in linea generale sono i criteri per ottenere l’IVA agevolata al 4% per l’acquisto della prima casa, ma cosa succede nel caso in cui l’immobile debba essere acquistato in comunione dei beni e uno dei “comunisti” ha i requisiti soggettivi per ottenere l’IVA agevolata acquisto prima casa, mentre l’altro soggetto della comunione risulta già proprietario di un altro immobile? Il caso di scuola riguarda due coniugi che intendano acquisire una casa per stabilire la residenza familiare, ma uno dei due risulti già proprietario di altro immobile, in questo caso la misura agevolata si applica solo su una quota del 50%, questo perché solo uno dei due futuri comproprietari ha i requisiti soggettivi.

Addio al vecchio PIN INPS: dal 1° ottobre per accedere occorre lo SPID

Dal 1° ottobre 2021 il PIN INPS non può più essere utilizzato per accedere ai vari servizi del sito INPS. Ecco tutte le novità.

Il PIN INPS

Per aziende, privati e professionisti conoscere la propria posizione previdenziale, tenere sotto controllo i versamenti alla gestione separata INPS, richiedere prestazioni sociali e svolgere tutte le attività disponibili sul sito INPS, nel tempo è diventato sempre più semplice grazie alla possibilità di accedere alla propria pagina personale sul sito INPS attraverso l’uso del PIN e del codice fiscale. Il PIN è un codice identificativo e personale che consente di essere riconosciuti dal sistema e quindi di accedere alle varie funzioni. Dal 1° ottobre però tutto cambia, infatti non sarà più possibile accedere con il PIN INPS in proprio possesso, ma sarà necessario avere il codice SPID (Sistema Pubblico di Identità Digitale).

Dal PIN INPS allo SPID

L’entrata in vigore dei nuovi sistemi di accesso è stata più volte rimandata per far in modo che le persone pian piano si adeguassero. Dal mese di ottobre 2020 a oggi è stato in vigore un sistema transitorio. Lo stesso prevede il rilascio del codice PIN (aggiornato automaticamente ogni 6 mesi) solo ai soggetti che già erano in possesso del codice PIN INPS alla data del 1° ottobre 2020, mentre per chi si registrava come nuovo utente, è già in vigore l’uso dello SPID.

Dal 1° ottobre 2021 invece tutti i codici PIN INPS saranno dismessi, questo vuol dire che non potranno più essere utilizzati per entrare sul sito INPS e controllare la propria pagina personale. Ciò è stato chiarito dalla circolare n° 95 del’INPS del 2 luglio 2021.  La stessa però prevedeva due passaggi importanti, infatti escludeva aziende e intermediari da tale proroga, per tali soggetti lo SPID in base a tale circolare doveva essere attivo già dal 1° settembre. Vi è stata però una modifica a tale disposizione, infatti l’INPS con il Messaggio n° 2926 del 25-08-2021 ha precisato che lo switch-off anche per aziende e intermediari viene fissato al 1° ottobre.

Per chi resta in vigore il codice PIN INPS

Deve essere sottolineato che la dismissione dei vecchi codici PIN INPS non vale per tutti e in particolare non si applica a coloro che in base alla normativa non possono ottenere il codice SPID. Si tratta di minori di 18 anni e degli extracomunitari che naturalmente potranno utilizzare il codice PIN solo per i servizi a loro dedicati.

Come ottenere il codice SPID

Ottenere il nuovo codice SPID, che consente di accedere a tutti i servizi online della Pubblica Amministrazione, è molto semplice, infatti basta recarsi presso un ufficio postale o altro provider abilitato e si può ottenere gratuitamente. Per averlo è necessario avere con sé:

  • un documento di riconoscimento in corso di validità;
  • tessera sanitaria con codice fiscale;
  • il numero di telefono normalmente utilizzato;
  • l’indirizzo e-mail.

Non solo Poste Italiane fornisce il servizio, ma anche altri provider come Aruba, Infocert, IntesaId, Lepida, Namirial, Tim, Sielte, SpidItalia.  Alcuni provider per effettuare l’identificazione con webcam, quindi da casa, richiedono un piccolo contributo economico da versare tramite bonifico.

Contributi Inps arretrati, come e quando possono essere pagati?

È possibile pagare contributi Inps arretrati? La risposta è affermativa e lo stesso Istituto previdenziale li classifica come “contributi da riscatto”. Sono versamenti che vengono accreditati a seguito della facoltà, concessa al lavoratore o al pensionato, di coprire periodi che, essendo privi di versamenti, rimarrebbero esclusi dalla contribuzione.

Contributi Inps da riscatto, cosa sono e quando vi è la possibilità di pagarli

Le casistiche per le quali si configurano periodi non coperti da versamenti previdenziali Inps e per le quali si apre la possibilità del riscatto comprendono:

  • l’eventuale omissione nel versamento all’Inps dei contributi obbligatori. Il pagamento di questi contributi permette il recupero di periodi che, altrimenti, rimarrebbero privi di versamenti;
  • l’inesistenza dell’obbligo del versamento dei contributi;
  • particolari disposizioni legislative.

Contributi Inps omessi, a cosa serve pagarli?

I contributi Inps non pagati e riscattati successivamente si collocano nel periodo al quale si riferiscono, anche se il pagamento avviene successivamente. Sono tre le utilità del pagamento dei contributi arretrati:

  • innanzitutto per maturare il diritto a tutte le prestazioni previdenziali;
  • in secondo luogo, il pagamento dei contributi arretrati permette l’accertamento ai fini del diritto alla prosecuzione volontaria;
  • infine, pagare i contributi omessi e prescritti ha utilità ai fini del diritto e della misura di tutte le prestazioni pensionistiche, inclusa la pensione di anzianità.

I contributi non versati all’Inps

I contributi riscattabili sono quelli riguardanti periodi di lavoro per i quali non c’è la copertura da contribuzione (contributi omessi) e per i quali non sussiste l’obbligo assicurativo perché prescritti. Contributi omessi e prescritti derivano dal mancato versamento:

  • del datore di lavoro per attività lavorativa subordinata;
  • del titolare di un’impresa artigiana o commerciale per i coadiuvanti;
  • dagli aderenti alla gestione separata Inps che non siano titolari di obbligo contributivo;
  • del titolare del nucleo coltivatore diretto, colono o mezzadro per i familiari coadiuvanti.

Quali periodi lavorativi senza contributi si possono riscattare?

Si possono riscattare i periodi senza contribuzione relativi:

  • al corso legale della laurea, della laurea breve e dei titoli di studio a esse equiparati;
  • all’attività lavorativa esercitata in Paesi esteri non convenzionati;
  • all’estensione facoltativa per la maternità che si colloca al di fuori del rapporto di lavoro;
  • agli anni di praticantato come promotore finanziario;
  • all’attività svolta con contratto co.co.co., ovvero di collaborazione coordinata e continuativa, per i periodi che precedono il 1° aprile 1996;

Quali altri periodi di lavoro si possono riscattare?

Ulteriori periodi da riscattare per la mancata copertura dei contributi previdenziali riguardano:

  • i periodi non lavorati successivi al 31 dicembre 1996 che sono privi di contributi secondo quanto disposto da specifiche norme di legge;
  • il lavoro svolto con contratti part time;
  • i periodi inerenti lo svolgimento di lavori socialmente utili. La copertura avviene per le settimane utili al calcolo della misura della pensione;
  • ulteriori periodi da riscattare previsti da specifiche norme di legge.

Chi può presentare la domanda di riscatto dei contributi Inps arretrati?

I soggetti ammessi a presentare domanda per il riscatto di contributi inerenti periodi lavorativi non coperti comprendono:

  • i lavoratori che sono iscritti all’assicurazione generale obbligatoria;
  • chi è iscritto a una delle gestioni speciali dei lavori autonomi;
  • i lavoratori iscritti alla gestione separata dei parasubordinati;
  • gli iscritti ai fondi speciali appartenenti all’Inps.

La domanda si presenta alla sede dell’Inps competente per territorio in base alla residenza. Alla domanda si allega anche la documentazione richiesta.

Quanto costa il riscatto dei contributi Inps omessi in periodi ricadenti nel retributivo?

Il riscatto dei contributi per periodi privi di versamenti è sempre oneroso, a differenza dei contributi figurativi che vengono accreditati gratuitamente. Se i contributi omessi riguardano periodi ricadenti nel sistema previdenziale retributivo, il calcolo di quanto si paga avviene con la riserva matematica. Il costo, dunque, è pari al differenziale annuo tra la pensione con il riscatto dei contributi e la pensione senza il riscatto. Al risultato occorre moltiplicare il coefficiente variabile per sesso, per età e per anzianità contributiva.

Costo contributi arretrati sistema contributivo e iscritti alla Gestione separata Inps

Ai contributi inerenti periodi lavorativi da riscattare e ricadenti nel sistema contributivo si applica l’aliquota contributiva in vigore nel momento in cui il lavoratore presenta domanda. L’aliquota va moltiplicata per gli stipendi percepiti nei 12 mesi che precedono la domanda stessa. Per chi è iscritto alla Gestione separata Inps il costo del riscatto prende in considerazione il valore medio mensile dei compensi soggetti alla contribuzione obbligatoria degli ultimi 12 mesi prima della domanda.

Contributi arretrati, l’importo da pagare per il riscatto è determinato dall’Inps

Il calcolo di quanto si paga per il riscatto dei contributi è, in ogni modo, effettuato dall’Inps. Infatti, nel provvedimento di accoglimento della domanda di riscatto, l’Istituto previdenziale specifica qual è l’importo da pagare. Il provvedimento di accoglimento viene notificato al contribuente tramite raccomandata.

Come si possono pagare i contributi arretrati Inps?

Il pagamento all’Inps dei contributi arretrati ai fini del riscatto si effettua usando i bollettini Mav inviati dall’Istituto previdenziale stesso con il provvedimento di accoglimento. I bollettini Mav si possono scaricare anche dal sito dell’Inps, nella sezione “Portale dei pagamenti”, accedendo ai “Riscatti, ricongiungimenti e rendite”. Nella stessa sezione si possono saldare i contributi omessi utilizzando la carta di credito. Si può pagare il riscatto dei contributi anche:

  • ai soggetti aderenti a “Reti Amiche”;
  • alle tabaccherie che aderiscono a “Reti Amiche”;
  • agli sportelli bancari di Unicredit;
  • attraverso il portale internet di Unicredit per chi è cliente della banca;
  • chiamando il contact center al numero 803 164 da rete fissa o 06 164 164 da rete mobile.

Quando si pagano i contributi arretrati?

Nel momento in cui il contribuente riceve il provvedimento di accoglimento della domanda ha 60 giorni di tempo per pagare in un’unica soluzione. In alternativa, il contribuente può richiedere il pagamento rateale dell’importo comunicato dall’Inps. Il pagamento a rate è concesso ai soggetti che non debbano utilizzare nell’immediato i contributi ai fini del trattamento di pensione. Se il contribuente non paga l’importo in un’unica soluzione o la prima rata del pagamento frazionato, l’Inps archivia la pratica come rinuncia.

Pagamento rateale dei contributi arretrati Inps

Il numero massimo di rate per il pagamento dei contributi omessi e prescritti è pari a 60. L’importo minimo mensile è pari a 27 euro. Per il riscatto di laurea, invece, l’Inps ammette il pagamento fino a 120 rate. Se durante le rate il contribuente va in pensione, l’importo residuo deve essere pagato in un’unica soluzione.

Contributi INPS: quando cadono in prescrizione?

“Prescrizione” sembra essere la parola magica quando si parla di mancati pagamenti, proprio quella situazione che spera si concretizzi a chi attende timorosamente un sollecito di pagamento poco gradito che infrangerebbe il suo auspicio. Come tutti i debiti, anche quelli relativi i contributi INPS possono cadere in prescrizione, che siano stati omessi o non dichiarati. Ma da quando decorre il termine di prescrizione e quanto dura?

Poiché la prescrizione ha una durata di cinque anni, così come lo è quella di tutti i contributi a prescindere dalle gestioni previdenziali, l’oggetto del contendere tra l’INPS e il contribuente resta l’inizio della decorrenza dei termini.

INPS e contribuente: posizioni diverse

Il motivo della contesa tra l’ente previdenziale e il contribuente risiede nel fatto che il primo, solitamente, invia gli avvisi di pagamento ai contribuenti per l’omissione dei versamenti dovuti, a ridosso della loro prescrizione, cosa che illude i mancati pagatori. Difficile capire perché l’INPS adotti questa consuetudine, ma un invio degli avvisi vicino al termine della prescrizione, induce il contribuente a verificare se il debito si sia già estinto o meno.

Come appena anticipato, i contributi INPS da dichiarazione si prescrivono in cinque anni: per azzerare il periodo di prescrizione l’ente previdenziale deve inoltrare una richiesta di pagamento, entro tale termine, al contribuente che ha omesso il pagamento dei contributi.

Il problema sorge nel momento in cui la richiesta di pagamento viene comunicata a ridosso della scadenza dei cinque anni. A questo punto, è d’obbligo stabilire quando parte realmente la decorrenza della prescrizione. In parole semplici: da quale giorno si deve considerare avviata la decorrenza della prescrizione?

Per questo motivo, è importante capire quando scatta la prescrizione per contributi non versati ma dichiarati, e quando, invece, per gli stessi contributi INPS non versati e nemmeno dichiarati.

La prescrizione dei contributi non versati ma dichiarati

L’INPS sostiene la posizione secondo cui, ai fini del conteggio della prescrizione per l’omesso versamento dei contributi previdenziali da dichiarazione, si debba prendere in considerazione che il momento iniziale la data d’invio della dichiarazione dei redditi, sia da considerare come il giorno a partire da cui è possibile, per gli enti demandati al controllo delle dichiarazioni, verificare l’avvenuto versamento di quanto dovuto.

Diversa la posizione dei contribuenti, per cui l’inizio del periodo di computo debba coincidere con la data di scadenza del versamento dovuto. La differenza tra le due posizioni è notevole, visto che nel sistema italiano i versamenti dei saldi da dichiarazione annuale scadono alcuni mesi prima dell’invio telematico del modello dichiarativo.

Sul contenzioso tra INPS e contribuente è intervenuta a più ripresa la Corte di Cassazione. A tal proposito, i giudici supremi con la sentenza n. 4899 del 23 febbraio 2021 chiariscono con testuali parolec cheil fatto costitutivo dell’obbligazione contributiva è costituito dall’avvenuta produzione, da parte del lavoratore autonomo, di un determinato reddito costituente la base imponibile per il calcolo del contributo” e che “la decorrenza del termine di prescrizione dipende dall’ulteriore momento in cui la corrispondente contribuzione è dovuta e quindi dal momento in cui scadono i termini di pagamento di essa”.

Quindi, è possibile dichiarare che la prescrizione dei contributi INPS da dichiarazione avviene in cinque anni a partire dal giorno in cui questi versamenti dovevano essere versati.

Meno definita la questione del contendere tra INPS e contribuente, quando i contributi previdenziali, non solo non sono stati versati dal contribuente, ma nemmeno dichiarati.

La prescrizione dei contributi non versati e non dichiarati

In tal caso sulla prescrizione pesa il punto 8 dell’art. 2941 del Codice civile, in base al quale la prescrizione resta sospesa tra il debitore che ha omesso volontariamente l’esistenza del debito e il creditore, fino a quando il dolo non sia stato scoperto. L’INPS ha così rafforzato la sua posizione, per la quale la prescrizione è sospesa sino a quando non emerga l’omissione, a seguito dell’ordinaria attività di controllo delle dichiarazioni dei redditi.

Ciononostante, la Corte di Cassazione con l’ordinanza 14410/2019 ha stabilito che “l’operatività della causa di sospensione della prescrizione, di cui all’articolo 2941, numero 8, Codice civile, ricorre quando sia posta in essere dal debitore una condotta tale da comportare per il creditore una vera e propria impossibilità di agire, e non una mera difficoltà di accertamento del credito”, che tale criterio “richiede di considerare l’effetto dell’occultamento in termini di impedimento non sormontabile con gli ordinari controlli”, e che “va pertanto affermato che la mancata denuncia del reddito non equivalga né ad un doloso e preordinato occultamento del debito contributivo da corrispondere all’INPS, né che essa configuri impedimento assoluto, non scongiurabile con i normali controlli che l’istituto può invece sempre attivare e sollecitare anche rivolgendosi all’Agenzia delle Entrate”.

Quanto stabilito dai giudici supremi con la sentenza sopra citata, è di fondamentale importanza interpretativa per l’oggetto del contendere: escludendo la legittimità dell’applicazione dell’articolo 2941 n. 8 del Codice civile, la Corte di Cassazione, di fatto, riporta la fattispecie (la prescrizione dei contributi INPS non versati e non dichiarati) all’interno dell’ordinario perimetro di prescrizione, che, anche in questo caso, sarà di cinque anni dalla data del versamento omesso.

In conclusione, nel contenzioso tra ente previdenziale e contribuente per quanto concerne il computo della prescrizione dei contributi non versati e non dichiarati, la giurisprudenza va nella direzione di salvaguardare, per quanto possibile, il contribuente piuttosto che l’INPS.

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Cooperative edilizie: come funzionano e le caratteristiche

Le cooperative edilizie permettono di costituire una società e diventare proprietario di un immobile. Come? Ecco tutte le risposte.

Cooperative edilizie: cosa sono?

Una cooperativa edilizia di abitazioni è una società a responsabilità limitata (srl). I membri della società hanno lo scopo di realizzare un intervento costruttivo. Questo può essere una nuova edificazione, un recupero abitativo o l’acquisizione di un immobile. Gli immobili realizzati, ad esempio, sono assegnati ai soci attraverso un atto di assegnazione che ne conferisce la proprietà o il godimento. I soci possono decide di costruire seguendo due strade:

  • utilizzare i propri apporti finanziari;
  • ricorrere ad un mutuo agevolato.

Spesso il mutuo viene fatto per l’intera opera costruttiva o di recupero. Pertanto al momento dell’assegnazione dell’alloggio ogni socio dovrà accollarsi parte di questo prestito, in quota e in relazione alla sua proprietà. L’operazione di suddivisione delle spese e dei singoli debitori viene gestita dalla banca che ha erogato il mutuo alla cooperativa.

Cooperative edilizie: le due forme previste

Il Decreto Regio 28 aprile 1938 riconosce due tipi di cooperative edilizie:

  • indivisa;
  • divisa.

Anche se a dire il vero ne esiste una tipologia “mista“. Tuttavia nelle cooperative a proprietà indivisa i soci aderiscono alla cooperativa con l’obiettivo dell’assegnazione di un alloggio e di diventarne proprietario. Questa è la tipologia di cooperativa più diffusa. Infatti, sono molte le persone che scelgono questa soluzione per acquistare la loro prima casa. La cooperativa procede alla realizzazione degli immobili ad uso abitativo, grazie ai contributo dei soci o del mutuo bancario.

Una volta finiti saranno assegnati ai soci attraverso un atto notarile. Nelle cooperative a proprietà indivisa i soci aderiscono alla cooperativa con l’intento di ottenere l’assegnazione in godimento a tempo indeterminato di un alloggio. Ma questa tipologia è poco diffusa, proprio perché è molto simile ad una locazione a tempo indeterminato. Quindi gli immobili rimangono di proprietà della stessa cooperativa edilizia che riscuoterà dal socio il pagamento di un canone di godimento. Infine esistono le miste che sono una combinazione delle tue tipologie precedenti.

Le caratteristiche delle società cooperative edilizie

Per costituire una società cooperativa edilizia ci vogliono almeno 9 soci. Qualora il numero dei soci dovesse diminuire, questo deve essere reintegrato nel giro di un anno. Altrimenti la società viene messa in liquidazione. Un elemento importantissimo è l’atto costitutivo. Ebbene il documento deve stabilire tutte le regole per lo svolgimento dell’attività mutualistica. Ma anche la previsione che all’atto costitutivo si deve indicare se la cooperativa intende agire con i terzi e come intende farlo. Insieme all’atto costitutivo non può mancare lo Statuto che contiene le norme di comportamento dei singoli soci.

Soci che diventeranno i proprietari degli immobili oggetto di costruzione. Infine tutte le cooperative edilizie di abitazione, ai sensi dell’art. 4 della Legge n° 59 del 1992, non possono avere soci sovventori, cioè, come abbiamo detto in precedenza, dei soci che conferiscono capitale sociale al fine di sviluppare l’attività della cooperativa e di riceverne una remunerazione.

Cooperative sovvenzionate e cooperative libere

Un’altra distinzione degna di nota è quella tra la cooperativa edilizia a contributo erariale o sovvenzionate e la cooperativa edilizie libera. Rientrano nella rima categorie tutte quelle società che beneficiano di contributi pubblici e per questo hanno delle regole più rigide. Mentre rientrano in quelle “libere” le società che operano solo con un risorse finanziarie dei soci o grazie all’intervento di un istituto di credito. Ma le cooperative edilizie che intendono usufruire di contributi pubblici (di qualsiasi tipo: statali, regionali, ecc.) devono iscriversi all’Albo nazionale delle società cooperative edilizie di abitazione e dei loro consorzi.

Elenco tenuto dal Ministero del Lavoro istituito dall’art. 13 della Legge n° 59 del 1992 e gestito da un apposito comitato. Infine una breve precisazione in merito al mutuo. La cooperativa edilizia libera può anche non richiedere mutuo e costruire con apporto dei soci, com’è già detto, ma nulla però vieta al singolo socio di procurarsi i capitali necessari attraverso un mutuo ipotecario sull’immobile di cui è diventato proprietario.