Il mio tablet lo uso in azienda

Piccoli e potenti, compatti e incredibilmente versatili, smartphone e tablet stanno rivoluzionando nel profondo la nostra esperienza quotidiana in ambito professionale. La loro diffusione in azienda è avvenuta con straordinaria rapidità e pervasività e quindi, inevitabilmente, in modo spesso caotico e disordinato.

Si è venuta così a creare una situazione per certi versi contraddittoria, che vede le imprese, da un lato, tentare di regolamentare l’adozione degli smart device e, dall’altro, tollerare (se non addirittura promuovere) l’utilizzo dei dispositivi personali dei propri dipendenti come strumento di lavoro. È il cosiddetto fenomeno del BYOD, acronimo per “Bring Your Own Device”.

L’atteggiamento permissivo adottato da molti IT manager è dettato da un semplice calcolo utilitaristico: oltre ad un ovvio risparmio sui costi operativi, la possibilità di lavorare in remoto o in mobilità, in pressoché totale autonomia e indipendenza, si traduce in una maggiore produttività della forza lavoro e in una crescita del tasso di soddisfazione professionale.

Smartphone e tablet non vengono infatti utilizzati solo per telefonare o controllare le email, ma diventano una piattaforma evoluta attraverso la quale accedere a tutte le risorse IT aziendali, dalle soluzioni CRM ai sistemi di monitoraggio della spesa. Ecco perché, secondo una recente indagine condotta da Wakefield Research, già una società su tre ha modificato la propria policy IT per abbracciare il BYOD.

Spesso in ritardo nell’accogliere le novità in campo informatico e tecnologico, l’Italia questa volta è tra le nazioni più virtuose: indipendentemente dalle motivazioni alla base di tale scelta, ben il 63% delle imprese nostrane coinvolte nel sopraccitato studio (per lo più PMI) si sta già adoperando per integrare i dispositivi personali in azienda.

Tuttavia, non è tutto oro quel che è touch: nell’euforia del nuovo, infatti, molte società si sono lasciate abbagliare dalle enormi potenzialità degli smart device, senza valutare nella giusta misura le possibili controindicazioni di un approccio decentralizzato. Che purtroppo non mancano, per la disperazione di IT manager e CIO.

Il problema più grave riguarda senza dubbio la sicurezza dei dati corporate: secondo una ricerca condotta da Nokia Siemens Networks, l’89% degli utenti Pc protegge il proprio notebook, mentre la percentuale crolla al 23% quando si parla di dispositivi mobile. Un dato preoccupante, soprattutto considerando la crescente minaccia del malware su queste piattaforme (ben 8600 nuove minacce individuate nei primi tre mesi del 2012).

Non sorprende quindi che siano in costante aumento anche i casi di data breach, ossia la perdita di informazioni sensibili causata dall’uso non protetto di smartphone e tablet da parte dei dipendenti: nel solo 2011 il costo medio per le imprese italiane è stato di circa 475mila euro, con una perdita stimata di 78 euro per ciascun file rubato.

Manuele MORO

Poste Italiane: ricerca e innovazione nel Mezzogiorno

 

Siglato un nuovo accordo tra  Poste Italiane, Cnr e Banca del Mezzogiorno allo scopo di semplificare e velocizzare i processi di ricerca e innovazione, in particolare nelle regioni del Sud. L’obiettivo è quello di integrare e mettere a disposizione dell’Italia “asset scientifici, tecnologici e finanziari che favoriscano lo sviluppo del tessuto imprenditoriale, in particolare nel Mezzogiorno“.

L’accordo quadro comprende una serie di obiettivi quali “la valorizzazione dei risultati dei progetti di ricerca, anche attraverso l’attivazione di finanziamenti specifici, la diffusione di strumenti finanziari di supporto alle imprese, la promozione di eventi e strumenti funzionali a rafforzare il trasferimento tecnologico soprattutto verso le Pmi, il sostegno alle pubbliche amministrazioni nelle fasi di valutazione dell’efficacia degli interventi“.

“Con questo protocollo – Luigi Nicolais ha sottolineato il presidente del Cnr,  – sperimenteremo una funzionale sinergia pubblico-privato capace di incidere sulle leve della valorizzazione dei risultati della ricerca“.

Ma come agiranno nel concreto i diversi enti firmatari dell’accordo?

Saranno coinvolti nella progettazione e attivazione di servizi a supporto delle Pa,  offriranno forme di partenariato e garanzia; non solo: saranno impegnati nella diffusione e crescita dell’innovazione nel tessuto produttivo, attivando una capillare rete informativa e di servizi a disposizione dei ricercatori e delle imprese.

Sarà possibile – ha aggiunto Nicolais – accelerare la ripresa economica del paese solo se i diversi attori dello sviluppo condivideranno strategie e percorsi gestionali capaci di fare emergere e valorizzare le potenzialità e le eccellenze presenti in ogni struttura“.

Questo accordo – ha concluso Massimo Sarmi, amministratore delegato di Poste Italiane – permetterà di valorizzare gli investimenti realizzati e di usare al meglio le nostre piattaforme tecnologiche e finanziarie, facilitando anche la nascita e la crescita di start-up, secondo criteri di progresso tecnologico e innovazione sociale. Dunque uno strumento importante per poter sfruttare al meglio, in tempi brevi, le ingenti risorse comunitarie disponibili”.

Con l’estate prendono piede i mestieri ‘dimenticati’

I mestieri di una volta, legati alla tradizione artigianale, spesso tramandati da padre in figlio, che hanno reso celebre il nostro Paese diventando vere e proprie eccellenze, vengono improvvisamente riscoperti in questa estate. Emerge dall’ultima indagine dell’Osservatorio Openjobmetis, agenzia per il lavoro, che analizza quanto segnalato dalla rete di 130 filiali sparse su tutto il territorio nazionale. Se sia in corso un ritorno al passato o si tratti solo di un effetto della crisi occupazionale è difficile dirlo. Tuttavia, dal calzolaio di Pontedera fino al falegname della Val di Sangro, nella nostra Penisola cresce la richiesta di quelle figure professionali delle quali sembrava essersi persa la memoria.

Il mercato del lavoro è tutt’altro che saturo – spiega Rosario Rasizza, amministratore delegato di Openjobmetis – di tutte quelle figure legate alla tradizione manifatturiera e produttiva italiana. Infatti, accanto ai profili più tecnici, sempre molto ambiti dalle aziende nostrane, come tornitori, fresatori e saldatori, stiamo registrando su tutto il territorio italiano una crescente richiesta di macellai, pasticceri, falegnami e calzolai. Mestieri, questi, che le generazioni più giovani raramente decidono di approcciare, ma che oggi registrano un maggiore dinamismo rispetto al recente passato. Forse stiamo assistendo – conclude Rasizza – a un cambio di mentalità, a una riscoperta delle nostre radici. Quello che è indubbio è che, in un contesto economico come quello attuale, emergono prima di tutto le eccellenze: per questo, sono i profili specializzati ad avere maggiori chance di trovare un posto di lavoro”.

Diverse le posizioni aperte nelle filiali Openjobmetis, da Nord a Sud: oltre ai falegnami della Val di Sangro, sono richiesti anche carpentieri a Castelfranco Veneto, operai addetti alla levigatura legno a Oderzo, maître a Milano, macellai ad Ascoli Piceno, fabbri a Roseto degli Abruzzi, calzolai a Empoli e Civitanova Marche, dove sono richiesti anche sarti con elevata esperienza.

Dall’indagine emerge, inoltre, che operai calzaturieri specializzati sono richiesti anche a Monsummano Terme e a Pontedera, dove si registra anche una carenza di maestri di confezione nel settore tessile. C’è poi bisogno di panettieri e pasticceri ad Alessandria, mentre ad Empoli e Prato sono numerose le richieste di personale qualificato per il comparto pelle.

Non solo tradizione, però. L’indagine evidenzia, parallelamente, un’altra tendenza: tra i profili più richiesti, infatti, si segnalano anche ingegneri meccanici ed elettronici e periti tecnici, tutti rigorosamente con voto di laurea alto e, nel caso dei periti, un’elevata specializzazione. Caratteristica vincente nel mercato del lavoro di oggi.

Casa, cara casa. Crisi, cara crisi

di Davide PASSONI

Questo scorcio di agosto ci sta riservando delle sorprese non belle per quanto riguarda la cosiddetta “economia reale“. Ossia l’unica, perché un’economia irreale non è un’economia e l’unica, vera economia che conosciamo noi di Infoiva è quella fatta di fatturati, mercati, commesse e, ahinoi, tassazione e fiscalità. Comunque, al di là dei punti di vista, l’allarme lanciato dall’Ufficio studi di Confartigianato è di quelli che mettono i brividi a quanti operano nel settore dell’edilizia e a quanti, con questo settore, hanno a che fare per comprare una casa: a maggio 2012 il tasso d’interesse sui prestiti alle famiglie si è attestato al 4,12% (+103% su un anno), il che porta gli italiani a sborsare il 30,9% del reddito per pagarsi i mutui. E per il settore, numeri ancora più cupi: crollo per le compravendite (-17,8%) e crisi nera per l’edilizia, che in un anno a perso quasi 100mila posti di lavoro (-97800).

La crisi, direte voi. Sì, ma non dimentichiamoci del fatto che la crisi non è come un fungo, che spunta in una notte sotto un pino, basta un po’ di umido… La crisi è qualcosa che una volta aveva a che fare con Lehman Brothers, ma che con il tempo è invece diventata un baco strutturale del sistema economico occidentale, specialmente europeo. Una crisi che affonda le sue radici nella debolezza dell’area Euro, una debolezza complessiva e specifica per ciascun Paese a seconda dei problemi che si porta dietro. L’Italia, si sa, a differenza degli altri anelli deboli dell’eurocatena (Spagna, Grecia, Portogallo e Irlanda) ha dei fondamentali solidi ma tre zavorre immani, che trascinerebbero a fondo i pochi mesi qualsiasi economia che non avesse i nostri fondamentali (e almeno per questo possiamo farci i complimenti): spesa pubblica, burocrazia, fisco.

E proprio queste zavorre tutte italiane sono alla base di questo momentaccio dell’edilizia. Se infatti, come sostiene Confartigianato, le cifre della crisi del mattone sono dovute agli scarsi investimenti pubblici e privati, i motivi di questi scarsi investimenti stanno proprio lì. Chi investe per costruire case con una burocrazia obesa nelle gestione delle pratiche edilizie e urbanistiche e con una fiscalità che si mangia i due terzi dei profitti? Chi investe per comprare casa se si trova di fronte a tassi pesantissimi richiesti dalle banche e una tassa come l‘Imu che, a detta di Adusbef e Federconsumatori, insieme all’aumento di tariffe, treni, carburanti, alimentari e libri scolastici, costerà alle famiglie italiane, in questo 2012, 2333 euro in più rispetto allo scorso anno?

I numeri sono numeri: tra giugno 2011 e giugno 2012 le imprese del settore edile, pari a 899.602, sono diminuite dell’1,36%. Tra queste, in calo dell’1,17% anche le imprese artigiane, che sono la fetta più consistente del settore edile: 577.588, il 64,2% del totale. Ragion per cui, tra giugno 2011 e marzo 2012 l’occupazione nell’edilizia è diminuita del 5,1%, pari a 97.800 posti di lavoro in meno.

Insomma, va bene la crisi, e va bene fare “i compiti a casa” per non essere sbattuti fuori dall’area euro, ma che cosa stiamo facendo come Italia per far ripartire la crescita? Che cosa stiamo facendo per far ripartire il settore edile, uno di quelli che è sempre stato il motore della ripresa nel nostro Paese dopo ogni crisi, bellica o economica che fosse? Se lo stanno chiedendo anche quelle 100mila persone che hanno perso il loro lavoro nel mattone. Forse, se hanno ancora voglia di porsi delle domande.

Professionisti? Al mare col pc

Professionisti e manager non staccano mai, nemmeno in vacanza. Sarà la crisi, saranno le responsabilità, ma pare che anche in ferie chi ha un’attività o una professione non riesce a fare a meno di lavorare.

Lo sostiene una ricerca del gruppo Hays, secondo la quale il 77% dei manager italiani non smette di lavorare neanche al mare. Buona parte di loro utilizza netbook, smartphone e tablet per controllare almeno la posta aziendale (46%), i manager si dedicheranno al lavoro nel 12% dei casi e solo due professionisti su dieci intervistati si concederanno uno stacco vero dal lavoro.

Merito soprattutto delle novità tecnologiche, anche ridotte di dimensioni, con le quali si può essere come in ufficio e si possono svolgere alcune semplici operazioni giornaliere, oppure portare avanti progetti di business.

Ma cosa utilizzano maggiormente professionisti e manager? Secondo la ricerca di Hays, tra i device maggiormente utilizzati dominano gli smartphone, usati dal 75% delle persone; seguono i pc e netbook (69%) e tablet (28%).

Ma quanto durano le vacanze di questi forzati del lavoro? Nove intervistati su dieci, nonostante il periodo di crisi, non rinunciano ad almeno due settimane di ferie, come nel 2011.

Benzina? Altro che sconti, è sempre più cara

Pensavamo di averla fatta franca, vero? Tutto sommato, tra scontissimi al self service nel weekend, spread che attanaglia il Paese, Olimpiadi, partenze “scoglionate” più che scaglionate per via della crisi, sembrava che i classici rialzi agostani della benzina, in concomitanza con i weekend dell’esodo estivo, fossero scongiurati o quanto meno passati sotto silenzio.

Ecco invece che, subito dopo Ferragosto, i prezzi dei carburanti si impennano di nuovo. Eccome. Per il cruccio di quanti cominciano ora le loro ferie e di quanti, già nervosi per dover chiudere le valigie e tornare a casa, si beccano anche la prospettiva di un pieno sensibilmente più caro.

La benzina si avvicina infatti spedita alla soglia dei 2 euro al litro: in autostrada, dove i prezzi sono storicamente più alti (dateci una ragione vera per questo fenomeno, please…), un litro arriva a 1,98 centesimi. Come al solito, la denuncia viene dal Codacons: “Parte malissimo la seconda metà di agosto sul fronte dei carburanti – tuona il presidente Carlo Rienzi. – Con i prezzi di benzina e gasolio a questi livelli per un pieno occorre spendere 18,6 euro in più rispetto al 16 agosto del 2011“.

Chi si è messo in viaggio quest’oggi – prosegue – ha dovuto pagare una bella cifra. Una vera e propria sciagura per gli italiani che si accingono a partire per le vacanze e per quelli alle prese col rientro“. Una mazzata che il Codacons stima attualmente in 560 milioni di euro, “ma la cui entità si aggrava di giorno in giorno“.

E allora lo ripetiamo: a che servono gli scontoni per due giorni quando, di fatto, li paghiamo con gli interessi e oltre durante la settimana? La trovata di Scaroni ha ben presto trovato proseliti (forzati, altrimenti i concorrenti sarebbero morti), ma alla fin fine siamo sicuri che ci guadagna siano imprese e cittadini?

Le addizionali Irpef massacrano i contribuenti

Le addizionali Irpef stanno massacrando i contribuenti. Non lo diciamo noi, no, l’allarme arriva, come spesso accade quando si parla di tasse, dalla Cgia di Mestre, secondo la quale gli effetti economici dovuti all’aumento delle aliquote delle addizionali comunali e regionali Irpef dovrebbero costare agli italiani almeno 3,5 miliardi.

I conti elaborati dalla Cgia fanno riferimento a 2 provvedimenti di legge presi nel 2011: il primo dal Governo Berlusconi, che ha consentito ai Sindaci di aumentare l’addizionale comunale Irpef sino al valore massimo dello 0,8%; il secondo dal Governo Monti, che con il decreto “salva Italia” ha maggiorato dello 0,33% l’addizionale regionale Irpef. Politici o tecnici, pari rapaci sono.

Se la prima misura dovrebbe portare nelle casse comunali un gettito aggiuntivo che varia tra 1,3/1,5 miliardi di euro, la seconda, stando alle previsioni dell’Esecutivo Monti, assicurerà alle Regioni un incasso di 2,2 miliardi di euro, garantendo un gettito complessivo di almeno 3,5 miliardi di euro. Se l’aumento dell’addizionale comunale si farà sentire su pensioni e buste paga solo a partire dal 2013, ben diverso è il discoro per gli incrementi a livello regionale che, di fatto, i contribuenti li stanno pagando dal gennaio di quest’anno. In questa elaborazione, sottolinea la Cgia, non si è tenuto conto che per l’anno in corso due Regioni (Liguria e Toscana) hanno ulteriormente ritoccato verso l’alto l’addizionale regionale Irpef.

Tranchant come sempre Giuseppe Bortolussi segretario della Cgia di Mestre: “Ho l’impressione – dichiara – che i Sindaci e i Presidenti di Regione siano diventati dei moderni gabellieri. Tra l’introduzione dell’Imu e della tassa di soggiorno, gli aumenti apportati all’Irpef, alla Tia/Tarsu alle accise sulla benzina, gli amministratori locali sono stati spinti dagli ultimi esecutivi a mettere le mani in tasca ai propri concittadini. Per fortuna molti di questi hanno agito con responsabilità, chiedendo di più ai ricchi e meno alle fasce sociali più deboli”.

BEI e Intesa San Paolo: 6 progetti per le imprese

 

Un plafond di 400 milioni di euro destinato alle piccole e medie imprese italiane. Intesa San Paolo e la Banca europea per gli investimenti (BEI)  hanno definito sei nuovi accordi per finanziamenti a medio-lungo termine alle imprese italiane, il cui importo complessivo si aggira attorno ai 670 milioni di euro. Lo scopo è di offrire ulteriore supporto al settore produttivo italiano, a mitigare gli effetti della crisi finanziaria e contribuire all’avvio del processo di ripresa.

Sei settori di intervento: si va dai finanziamenti per le piccole e medie imprese (PMI) e per le Mid-cap, alle attività sociali e del terzo settore tramite Banca Prossima, mentre parte dei finanziamenti saranno destinati alle aziende impegnate in programmi di sviluppo e implementazione delle energie rinnovabili,e infine si prevedono contributi anche per le Reti di imprese.

Veniamo alle piccole e medie imprese: alle Pmi italiane saranno destinati 400 milioni di euro, con impiego di fondi BEI a condizioni di particolare favore. Le linee saranno finalizzate esclusivamente agli investimenti delle Pmi, tramite l’intermediazione di Mediocredito Italiano – la società del Gruppo Intesa Sanpaolo specializzata nel finanziamento a medio e lungo termine per le Pmi – e Leasint, la società di leasing del gruppo.

Ai 400 milioni già stanziati si aggiungono poi altri 50 milioni di euro destinati al sostegno degli investimenti delle società italiane di medie dimensioni, le Mid-cap, sempre attraverso Mediocredito Italiano.

Per quanto riguarda le piccole imprese, i progetti non potranno superare l’importo di 25 milioni di euro mentre per le Mid-cap potranno arrivare fino a 50 milioni. Gli interventi – relativi ad aziende attive in tutti i settori produttivi: agricoltura, artigianato, industria, commercio, turismo e servizi – potranno riguardare l’acquisto, la costruzione, l’ampliamento e la ristrutturazione di fabbricati; l’acquisto di impianti, attrezzature, automezzi o macchinari; le spese, gli oneri accessori e le immobilizzazioni immateriali collegate ai progetti, incluse le spese di ricerca, sviluppo e innovazione; la necessità permanente di capitale circolante legata all’attività operativa.

Oggi più che mai occorre unire le forze per dare una speranza al mondo delle imprese – ha dichiarato Dario Scannapieco, Vice Presidente BEI responsabile per le operazioni in Italia, Malta e Balcani Occidentali – e siamo quindi particolarmente orgogliosi degli accordi perfezionati con Intesa Sanpaolo, sempre puntualmente attenta a cogliere opportunità e strumenti per riaffermare la centralità della sua azione in Italia”.

Mettiamo da oggi a disposizione dell’economia reale un contributo finanziario significativo per la ripresa del ciclo economico – ha sostenuto Enrico Cucchiani, Consigliere Delegato di Intesa Sanpaolo.I nuovi accordi destinati a finanziamenti a medio-lungo termine seguono infatti un obiettivo ben preciso: concentrare i nostri sforzi e le nostre energie sulla crescita delle imprese di medie e piccole dimensioni, che ancora oggi costituiscono l’asse portante del tessuto produttivo italiano“.

 

Cresce il debito pubblico e cala la nostra fiducia

di Davide PASSONI

Potere dei numeri. Che la matematica non sia un’opinione è un dato di fatto, ma che ciascuno pieghi i numeri per far dire loro ciò che gli torna più comodo lo è ancora di più. Prendiamo i recenti dati sul debito pubblico: a giugno ha toccato quota 1.972,9 miliardi dai 1966,3 di maggio. Demerito, secondo il premier Monti, degli aiuti pagati dall’Italia ai partner europei in difficoltà, dato che “il nostro debito pubblico quest’anno ha raggiunto il 123,4% del Pil. Senza i contributi (per i fondi salva-Stati e i prestiti concessi ai Paesi in crisi) saremmo al 120,3%“.

Sarà anche vero, ma allora quanto sono state utili la stangata dell’Imu e l’aumento delle accise sull’energia che hanno portato nelle casse dello Stato 3,7 miliardi di euro nei primi sei mesi del 2012? Com’è che questo maledetto debito pubblico (il vero, grande problema dei conti italiani) continua a crescere nonostante i proclami e alcune, pavide iniziative della banda Monti? Ripetiamo, sarà anche vero: ma questo dare sempre la colpa agli altri, Germania ed Europa in primis, comincia a stufare.

Vero, si parla di settembre come del mese in cui cominceranno a vedersi i primi segni del miracolo: un intervento sul mostruoso stock di debito pubblico da abbattere con un piano mirato di dismissioni immobiliari, per arrivare a toccare un rapporto con il Pil pari al fatidico 100%. Ma intanto si prende ancora tempo e si fa strada persino l’ipotesi di un super-commissario ad hoc, un po’ come accaduto per la spending review. Là fu chiamato Enrico Bondi per aiutare i professori a capire dove e come tagliare la spesa pubblica, qui qualche altro Solone calato dall’alto insegnerà al governo come dismettere immobili pubblici. Le partecipazioni no, quelle no, sia mai… Peccato che lì di ciccia da recuperare ce ne sarebbe ancora e tanta… Ma evidentemente i professori hanno bisogno di un’altra persona che li aiuti a fare i compiti.

Paradosso in una terra di paradossi. E vedremo nei prossimi mesi, quando pian piano si esaurirà l’onda lunga della prima Imu, come andranno le entrate fiscali. Se ci sarà una flessione come accaduto nei mesi scorsi, allora il segnale sarà preoccupante: se le gente non ne ha più nemmeno per pagare le tasse, figuriamoci per mangiare. Ma intanto aspettiamo a dismettere e il debito pubblico sale. Tanto paga Pantalone… ops! Paga il cittadino e paga l’impresa.

Niente ferie per 6 italiani su 10

Le partenze da “bollino nero” sembrano essere un vago ricordo: quest’anno le autostrade italiane non sono state intasate da milioni di partenti e, quasi dovunque, raggiungere la località di villeggiatura è stato piuttosto agevole.

Merito delle partenze intelligenti? Solo in parte perché il vero motivo è dato dalle “non partenze”.
Sono il 29,5%, infatti, gli italiani che quest’anno, rispetto ad agosto 2011, hanno rinunciato alle vacanze.

E non certo per potersi godere le città deserte, che, al contrario, con il solleone e le temperature record di questi giorni, sono diventate ancora più inospitali.
La causa che ha costretto 15,4 milioni di italiani a rimanere a casa è una e una sola: la crisi.

Partire, in questo clima di recessione, avrebbe significato grattare un barile già da tempo vuoto e quindi, dopo aver rinunciato a tutto, la spada di Damocle è caduta anche sulle ferie estive.

Non si tratta, inoltre, del solo esodo agostano, perché, facendo una stima dell’intera stagione, Federalberghi ha rilevato un preoccupante -19% di partenze e un conseguente crollo d’affari del 22%, pari a 15,3 miliardi rispetto allo scorso anno.
Sono ben 6 italiani su 10, più della metà, a non andare in vacanza e Bernabò Bocca, presidente di Federalberghi ha chiesto lo stato di crisi del settore, per “non aver mai visto un calo così generalizzato e devastante”.

Il 44,7% degli italiani si appresta a fare le valigie, o è già a godersi il meritato riposo, e questo dato, già allarmante di per sé, si accompagna ad un calo del 21,5% di partenze di giugno, al -13% di luglio e al -27,7% di settembre.

Bocca ha commentato: “Il segnale a questo punto è inequivocabile: la crisi dopo aver falcidiato la classe medio-bassa, adesso sta colpendo il ceto medio che in Italia ha sempre costituito la struttura portante del sistema dei consumi e la situazione ci obbliga a richiedere a Governo e Parlamento lo stato di crisi del settore, unico strumento tecnico-giuridico per mettere in moto, auspichiamo, quella scossa indispensabile per definire mezzi e misure dei quali il turismo non può più fare a meno”.

La povertà turistica ha colpito su larga scala, e ha ridotto le ferie anche dei fortunati partenti, che, generalmente, hanno ridotto a 11 le notti fuori casa, quando, nemmeno tanto tempo fa, si stava fuori anche 3 settimane.

E la meta è sempre più vicina, poiché per il 76,6% la scelta rimane l’Italia.
Le località esotiche sembrano, in questa torrida estate 2012, ancora più lontane.

Vera MORETTI