Bonus prima casa, posso vendere prima dei 5 anni dall’acquisto?

Il bonus prima casa prevede delle agevolazioni per chi compra un immobile come abitazione principale. Ma cosa succede se volesse rivenderlo?

Bonus prima casa, un ripasso sull’agevolazione

Il bonus prima casa nasce con la volontà di agevolare chi vuole comprare un immobile come abitazione principale. Le agevolazioni si applicano quando:

  • il fabbricato che si acquista appartiene a determinate categorie catastali: A/2 (abitazioni di tipo civile); A/3 (abitazioni di tipo economico); A/4 (abitazioni di tipo popolare); A/5 (abitazioni di tipo ultra popolare); A/6 (abitazioni di tipo rurale); A/7 (abitazioni in villini); A/11 (abitazioni e alloggi tipici dei luoghi);
  • il fabbricato si trova nel comune in cui l’acquirente ha (o intende stabilire) la residenza o lavora;
  • l’acquirente rispetta determinati requisiti (non essere titolare di un altro immobile nello stesso comune e non essere titolare su tutto il territorio nazionale di diritti di proprietà, uso, usufrutto, abitazione o nuda proprietà, su un altro immobile acquistato, anche dal coniuge, usufruendo delle agevolazioni per l’acquisto della prima casa). Dal 1° gennaio 2016, i benefici fiscali sono riconosciuti anche all’acquirente già proprietario di un immobile acquistato con le agevolazioni, a condizione che la casa già posseduta sia venduta entro un anno dal nuovo acquisto.

Se il venditore è un privato o un’impresa che vende in esenzione Iva, le imposte da versare con i benefici “prima casa” sono: imposta di registro proporzionale nella misura del 2% (invece che 9%); imposta ipotecaria fissa di 50 euro; imposta catastale fissa di 50 euro. Se, invece, si acquista da un’impresa, con vendita soggetta a Iva, le imposte da versare con i benefici “prima casa” sono: Iva ridotta al 4% (invece che 10%), imposta di registro fissa di 200 euro; imposta ipotecaria fissa di 200 euro; imposta catastale fissa di 200 euro.

E’ possibile rivendere l’immobile prima di 5 anni?

Dopo aver precisa le caratteristiche dell’agevolazione del bonus prima casa, possiamo rispondere ad un quesito da parte di una lettrice: “Ho comprato dove abito sfruttando le agevolazioni prima casa, circa due anni fa. Adesso però la mia famiglia si è allargata, è arrivata la terza figlia e vorrei comprare un immobile più grande. Posso rivendere casa mia per comprarne un’altra? E se si posso usare sempre le agevolazioni prima casa?”

La risposta è Si, ma solo se si rispettano alcune caratteristiche. Non si perdono le agevolazioni prima casa qualora si riacquisti, entro un anno, un altro immobile da destinare ad abitazione principale. Quindi si la lettrice può vendere la propria casa e acquistarne un’altra, senza perdere le agevolazione, se vende e ricompra entro un anno dal rogito di vendita.

Un altro caso in cui non si decade dal bonus prima casa è quando l’immobile viene trasferito alla moglie o ai figli a seguito di un accordo di separazione o divorzio consensuale (Cassazione 22023/2017 e 8104/2017, Ag. Entrate risoluzione 80/2019).

Bonus prima casa, cosa succede se non si riacquista l’immobile?

Nel caso in cui si vuole vendere casa, ma non ricomprarne un’altra entro l’anno, allora si dovrà pagare all’Agenzia delle Entrate la differenza tra le imposte a suo tempo versate e quelle che avrebbe dovuto pagare in assenza delle agevolazioni sulla prima casa. Ma questo vale solo per i primi 5 anni dall’acquisto, per cercare così di contrastare la speculazione immobiliare.

Spese condominiali, se non le paga l’inquilino che succede?

Le spese condominiali sono uno dei punti di maggiore litigio tra proprietari e inquilini. Ma cosa succede quanto l’inquilino non le paga?

Spese condominiali, spettano per le parti comuni

Le spese condominiali sono quelle che devono essere pagate dai proprietari immobiliari per la gestione delle parti in comune. Parti che devono essere gestite dall’amministratore di condominio che controlla anche che tutti paghino le quote spettanti. Ai sensi dell’art. 1123 del codice civile, tutti i condomini devono pagare le spese condominiali, in base al valore del proprio immobile. Qualora un edificio abbia più scale, cortili, lastrici solari, opere o impianti destinati a servire una parte dell’intero fabbricato, le spese relative alla loro manutenzione sono a carico del gruppo di condomini che ne trae utilità.

Tuttavia quando si dà un immobile in locazione il proprietario è sempre obbligato a versare il pagamento delle spese ordinarie e straordinarie. Anche se il più delle volte nei contratti di locazione, c’è l’accordo che il proprietario si occupi del pagamento delle spese straordinarie, come il rifacimento delle facciate. Mentre l’inquilino si occupa di quelle ordinarie, come ad esempio il pagamento delle pulizie delle scale, visto che è lui che si gode tale servizio.

Spese condominiali, cosa succede se l’inquilino non le paga?

La Signora R. ha concesso in locazione un appartamento con un normale contratto registrato presso l’Agenzia delle entrate. Nel contratto è espressamente scritto che il locatore adempie per le spese di condominio straordinarie, mentre il conduttore per quelle ordinarie. Non ci sono stati mai ritardi nei pagamenti del canone mensile di locazione. Tuttavia lo scorso mese, l’amministratore di condominio le ha mandato una raccomandata in cui indica che negli ultimi mesi le spese relative alle parti comuni non sono state versate. E quindi chiede alla Signora R di provvedere al pagamento di queste somme. La Signora R dopo essere andata su tutte le furie, ci chiede se è corretto che deve farsi carico lei di queste spese.

Partiamo dal principio che l’amministratore non può agire nei confronti dell’affittuario, ma solo nei confronti del proprietario. Tale principio è stato sancito dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n. 10719/1993.  Sarà, poi, quest’ultimo a rivalersi sul conduttore moroso, chiedendo, ad esempio, lo sfratto.

Il proprietario è sempre responsabile

La regola è che spetta sempre al proprietario pagare. Quindi è corretto che l’amministratore di condominio citi il proprietario dell’immobile per il pagamento delle spese condominiali. Quest’ultimo non può fare altro che pagarle. Anche le spese condominiali vanno in prescrizione, dopo:

  • 5 anni, per le quote ordinarie;
  • 10 anni, per quanto riguarda le quote straordinarie (cioè quelle da versare una tantum).

Questi termini, tuttavia, sono validi solo nel caso di azione legale da parte dell’amministratore nei confronti del proprietario. Il diritto di rivalsa del proprietario nei confronti del conduttore moroso, invece, si prescrive in 2 anni.

 

 

 

 

Voltura di un immobile, quando e come occorre farla

La voltura di un immobile è una comunicazione che va presentata all’Agenzia delle entrate. Quindi chi deve presentarla e quando occorre farla?

Voltura di un immobile, cos’è?

La voltura di un immobile è una comunicazione con cui il contribuente comunica all’Agenzia delle entrate che il titolare di un determinato diritto reale su un immobile non è più la stessa persona. Il modello deve essere presentato per aggiornare le intestazioni catastali e consentire così all’Amministrazione finanziaria di adeguare le relative situazioni patrimoniali.

Devono presentare la domanda di voltura coloro che sono tenuti a registrare gli atti con cui si trasferiscono diritti reali su beni immobili, quindi:

  • i privati, in caso di successioni ereditarie e riunioni di usufrutto
  • i notai, per gli atti da essi rogati, ricevuti o autenticati
  • i cancellieri giudiziari per le sentenze da essi registrate
  • i segretari o delegati di qualunque Amministrazione pubblica per gli atti stipulati nell’interesse dei rispettivi enti.

Se più persone sono obbligate alla presentazione, è sufficiente presentare una sola domanda di volture. Se chi è obbligato non richiede la voltura, possono provvedere direttamente gli interessati.

Voltura immobiliare, quando ad accorgersene è il compratore

Quando si fa una compravendita è importantissimo leggere la visura catastale. I soggetti indicati in visura devono essere i reali proprietari, quindi deve esserci una corrispondenza. Ma cosa succede quando questo non accade?

Il coniugi V. stanno per comprare un’immobile che cercavano da tempo. Al momento però di presentare la loro proposta di acquisto si accorgono che c’è un’anomalia nella visura catastale. Ecco, in visura non c’era indicato il nome del venditore, ma quello che precedentemente aveva venduto a lui l’immobile, circa 7 anni prima. In altre parole non era presentata la voltura dell’atto di compravendita precedente. I Signori V ci chiedono quindi come si può risolvere il problema”.

I notai e i pubblici ufficiali diversi dai notai eseguono i diversi adempimenti legati allo stesso atto immobiliare inviando online all’Agenzia un solo modello: il Modello Unico Informatico. Questo modello, infatti, può contenere anche le domande di voltura catastale. Dopo averlo compilato direttamente dal pc con il software UniMod, i documenti vengono trasmessi in via telematica agli uffici provinciali – Territorio dell’Agenzia attraverso la piattaforma Sister, che consente di abilitarsi al servizio “Presentazione atti immobiliari”. Se ciò non è stato fatto occorre procede alla voltura immobiliare al più presto.

Come procedere con la voltura

Nella domanda di voltura catastale gli immobili devono essere indicati con gli identificativi catastali (ad esempio foglio, particella, subalterno, ecc.) utilizzati nella dichiarazione di successione e presenti negli atti depositati in catasto. Occorre inserire sia i dati attuali che quelli che devono essere modificati, allegando adeguata dimostrazione. L’agenzia delle entrate dopo le opportune verifiche provvederò con le rettifiche d’ufficio.  Per presentare ogni domanda di voltura si versano 55,00 € a titolo di tributo speciale catastale, a cui si aggiungono 16,00 € di imposta di bollo per ogni 4 pagine della domanda.

Infine è possibile pagare gli importi dovuti direttamente allo sportello dell’ufficio, esclusivamente con modalità diverse dal contante, utilizzando le carte di debito, o quelle prepagate, oppure apponendo sulla domanda i contrassegni denominati “marca servizi” e “marca da bollo”, disponibili presso i rivenditori autorizzati, per versare, rispettivamente, i tributi speciali catastali e l’imposta di bollo. È inoltre possibile presentare la ricevuta del versamento eseguito conto corrente postale dell’ufficio, o tramite il modello F24 Elide.

 

 

Vendere casa con mutuo in corso, è un’operazione possibile?

Vendere casa con mutuo in corso è una delle domande che molti italiani si stanno chiedendo in questo momento di crisi, ma si può fare oppure è vietato?

Vendere casa con mutuo in corso, è possibile ma con alcuni accorgimenti

Stiamo vivendo un momento difficile dal punto di vista economico. L’aumento continuo dei tassi di interesse sui prestiti già conseguiti per diminuire l’inflazione sta spingendo verso il baratro del mercato immobiliare. Non solo, chi ha un mutuo in corso, soprattutto se a tasso variabile, si sta trovando in una condizione non favorevole. E nei casi più gravi c’è qualcuno che vorrebbe vendere casa per risolvere il “problema prestito” e tornare magari a casa dei genitori.

Il Sig. P ha comprato qualche anno fa un immobile vicino il lavoro. Si è trasferito dalla Sicilia alla Lombardia, e invece di pagare una locazione, ha deciso dopo qualche tempo di comprare la casa in cui abitava. Per comprare l’immobile ha contratto un mutuo, visto che aveva un contratto a tempo indeterminato. Ma dopo il Covid la sua azienda non ha retto alla crisi, e ha chiuso i battenti. Lui è stato licenziato e dopo vari tentativi, ha deciso di tornare in Sicilia. Il Sig. P si chiede se  può  procedere alla vendita dell’immobile anche se su grava un’ipoteca bancaria.

I passi da seguire per vendere casa

La risposta è univoca ed è Si. La casa si può vendere anche se l’immobile è gravato da ipoteca. Perché la banca non è proprietaria dell’immobile ma ha scritto l’ipoteca solo per garantirsi al restituzione del prestito. Quindi oltre a rispondere in modo affermativo, ecco alcuni consigli per non commettere errori. La prima cosa da fare, potrebbe essere quella di chiedere alla banca il saldo, cioè quello che manca per chiudere il debito.

A questo punto avendo il dato economico, si consiglia di chiamare un agente immobiliare per far  fare una valutazione del proprio bene. Anche perché il mercato immobiliare è sempre in movimento e non è detto che il valore dell’immobile quando si acquista e quando si rivende potrebbe non essere lo stesso. Quindi avendo nelle mani una valutazione ad oggi è possibile calcolare e capire a quanto deve essere venduto il suo immobile per estinguere il debito. Infatti a compravendita avvenuta il venditore, con la somma ricevuta può estinguere il mutuo e tenere per se la somma che dovesse eccedere.

L’accollo del mutuo, come altra possibilità di vendita

Esiste infatti un’altra possibilità, quella del trasferimento del mutuo che però deve essere consigliata dal vostro consulente bancario e dal vostro agente immobiliare di fiducia. Chiaramente l’idea di trasferire il mutuo all’acquirente dipende anche dalla situazione finanziaria di chi sta per comprare la casa. L’accollo del mutuo è una procedura con cui un nuovo intestatario subentra in un mutuo già in corso. In sostanza l’acquirente, o accollante, si assume la responsabilità di rimborsare la banca creditrice delle restanti rate del finanziamento necessarie per la compravendita dell’immobile.

L’accollo è previsto dall’articolo 1273: Se il debitore e un terzo convengono che questi assuma il debito dell’altro, il creditore può aderire alla convenzione rendendo irrevocabile la stipulazione a suo favore. Tuttavia il consiglio finale è quello di affidarsi sempre ad un professionista che possa aiutare a portare avanti l’operazione senza alcuna difficoltà

Immobili in C/2 possono essere trasformati in abitazioni?

Gli immobili in C/2 potrebbero anche essere trasformati in abitazioni, ecco tutta la guida completa per poterlo fare e qualche idea da utilizzare.

Gli immobili in C/2, quali e cosa sono?

La visura catastale è un documento, rilasciato dall’Ufficio Provinciale- Territorio dell’Agenzia delle entrate, che permette di acquisire molte informazioni relative agli immobili o ai terreni. Infatti leggendo una visura catastale è possibile conoscere:

  • i dati identificativi e di classamento;
  • i dati grafici dei terreni e delle unità immobiliari urbane;
  • l’indirizzo per le unità immobiliari urbane;
  • i dati anagrafici delle persone fisiche o giuridiche intestatarie catastali;
  • le causali di aggiornamento e annotazioni

Quando guardando la visura catastale c’è scritto C/2 abbiamo tra le mani un immobile che rientra nei fienili agricoli e non agricoli, soffitte e cantine disgiunte dalle abitazioni, ma anche i locali dove viene esercitata la vendita di merci, manufatti, derrate e prodotti.

Gli immobili in C/2 che cosa si può fare?

All’interno di un immobile in C/2 non si può abitare. Almeno che non ci sono le altezze minime di legge e altri parametri che lo consentano. “La Sig.ina G ha ereditato dai suoi nonni il sottotetto sopra la villa in cui abitano i propri genitori. Si tratta di un grande living con ingresso con scale interne e balconato. Presente il bagno, la cucina, ma ha vissuto lì per molti anni. Ha presentato i documenti per accedere al Superbonus 110% e scopre che l’immobile è catastato come C/2. A questo punto si chiede se può trasformare il suo sottotetto da in A/2″. 

Questo è un caso molto frequente. Per effettuare un cambio di questo tipo è sufficiente presentare una scia presso il comune di competenza e successivamente effettuare una variazione catastale presso l’Agenzia delle Entrate competente per territorio. Chi decide di cambiare la destinazione d’uso di un immobile, deve quindi pagare gli oneri di urbanizzazione, che rappresentano la differenza tra gli oneri dovuti per la nuova destinazione e quelli che si pagavano per la precedente.

Quanto costa fare questa variazione?

Il costo del cambio destinazione d’uso da magazzino ad abitazione deve includere inoltre la parcella del tecnico progettista. Il professionista dovrà occuparsi di tutta la progettazione e, generalmente, la parcella si aggira intorno ai 2.000 €. II costo per richiedere la variazione catastale è di 50 euro a cui dovrai sommare il costo del professionista. A questo punto il professionista dovrà presentare il documento contenente le nuove variazioni e potrebbe dunque costare dai 150 ai 250 euro circa. La variazione catastale va presentata entro 30 giorni dal termine dei lavori . Quindi il consiglio è quello di far fare un sopralluogo da un professionista (architetto, geometra o ingegnere) perché potrebbe essere possibile passare il suo immobile a civile abitazione.

Casa in vendita, si può fare senza il consenso di tutti gli eredi?

Casa in vendita soprattutto quando non è la residenza principale e ci sono troppi eredi. Ma si può vendere anche se non tutti gli eredi sono d’accordo?

Casa in vendita, un onere finanziario

Quando si ha un immobile, magari ricevuto in eredi, e comunque che non si vive si tende sempre a venderlo. Ma se ci sono più eredi e non c’è l’accordo tra tutti diventa davvero un problema. Non solo, ma anche un grosso onere finanziario legato ad esempio al pagamento dell’Imu, alle spese condominiali sia ordinarie che straordinarie. Purtroppo la comproprietà, soprattutto in caso di eredità è molto frequente. Come una zia o una nonna che lasciano un immobile ai nipoti, generando così una proprietà divisa tra diversi soggetti. Se i rapporti tra i familiari sono buoni, allora la gestione diventa più semplice. Se invece i rapporti sono tesi, potrebbero solo che peggiorare, perché gli interessi  di qualcuno non è detto che coincidano con quelli degli altri. A questo punto cosa dice la legge di fare?

Casa in vendita, quando non c’è il consenso

Il  consenso di tutti gli eredi è fondamentale per vendere la proprietà. Attraverso una semplice visura catastale aggiornata è possibile conoscere chi sono gli aventi diritti. Le persone indicate dovranno essere presenti alla stipula dell’atto notarile oppure possono accedere all’istituto della procura speciale a vendere. Cosa fare se non c’è l’accordo?

Il Sig. V ha un immobile lasciato dal padre e dalla seconda moglie di quest’ultimo. Alla morte di entrambi, la Signora non aveva discendenti. Pertanto la proprietà delle quote della donna passano ai suoi parenti più prossimi. Si tratta di un asse ereditario di ben 11 persone che accettano l’eredità. Ebbene, le parti non si accordano mai sul prezzo di vendita dell’immobile, lasciando così, chiuso da diverso tempo. Il Sig. V adesso vuole vendere, ma non sa proprio cosa fare ed è disperato, perchè essendo lui il soggetto con più quote di possesso è anche quello che paga in misura maggiore qualsiasi tipo di spesa”.

Cosa fare in questi casi?

Nel caso in cui non si raggiunga il consenso tra gli eredi, anche un singolo erede ha la facoltà di chiedere al giudice lo scioglimento della comunione ereditaria. Ciascuno dei partecipanti alla comunione può sempre chiederne lo scioglimento (art. 1111 c.c.). L’unico limite previsto dalla legge è il seguente: non si può chiedere lo scioglimento, qualora il bene comune, una volta diviso, non possa più servire all’uso al quale è destinato.

Si tenterà quindi di risolvere la situazione attraverso una mediazione. Ma se anche in questo caso non vi è accordo il giudice può disporre di mettere l’immobile in asta. E si sa che gli immobili all’asta vengono aggiudicati ad un prezzo minore del loro valore. Quindi il consiglio è quello di tentare sempre una vendita, per evitare spese inutili, deteriorare l’immobile e per non vedersi svalutare l’immobile.

B&B in condominio, occorre un’assemblea che lo autorizzi?

B&B in condominio è una delle maggiori attività che all’improvviso spuntano all’interno dei palazzi, ma ci si chiede se è necessaria l’autorizzazione dell’assemblea.

B&B in condominio, sempre più frequenti

Il bed and breakfast è una particolare forma ricettiva, spesso a carattere familiare, che si svolge presso il proprio domicilio e consiste nell’offrire la possibilità di dormire e di fare, al mattino, la prima colazione. E quindi  non c’è né cena e né pranzo, ma spesso si trovano in zone che permettono di visitare luoghi e centri storici anche a piedi. Spesso per questo motivo nascono all’interno di palazzi storici, o in prossimità di luoghi di interesse, ma anche ospedali e cliniche per permettere dei brevi pernottamenti.

Anche perché i requisiti minimi richiesti per l’apertura di un B&B sono molto semplici. Infatti si prevede 14 mq per la camera doppia, 8 mq per la singola, conformità alle norme si sicurezza degli impianti elettrici, a gas, di riscaldamento, rispetto delle norme igieniche ed edilizie. Anche questi possono subire delle variazioni da regione a regione.

B&B in condominio, cosa dice la legge?

A volte i bed and breakfast infastidiscono gli stessi condomini. E da questo nasce appunto una diatriba poco piacevole. “La Sig.ra I. abita nel cuore di una bella città italiana. Un palazzo di 10 appartamenti, gestiti da un amministratore per quanto riguarda le parti comuni. Da circa 6 mesi, uno di questi appartamenti è stato acquistato da una famiglia che ne ha realizzato una struttura ricettiva senza chiedere permesso al condominio. Purtroppo però non tutti i condomini sono felici della situazione che si è creata e del continuo vai e vieni di turisti. Ma cosa dice la legge in merito?”

Ad oggi la legge non prevede nessun impedimento all’apertura di questo tipo di attività. Almeno che non ci sia un regolamento condominiale che espressamente lo vieta. Quindi in questo caso il regolamento del condominio, è la “legge” che stabilisce se è possibile o meno averne uno. Quindi il primo consiglio è quello di verificare e leggere cosa dice il regolamento.

E cosa dice la giurisprudenza?

La giurisprudenza si divide: secondo le sentenze del Tribunale di Brescia, n. 1908 del 28/09/2020, e del Tribunale di Roma, n. 18303 del 17/09/2015, si può ritenere vietata l’attività di B&b in condominio solo se nel regolamento è presente una clausola ad hoc votata all’unanimità e contenente un divieto specifico.  I B&b sono molto simili all’affittacamere e non comportano una modifica della destinazione d’uso dell’immobile.

Mentre diversa è, invece, l’interpretazione offerta dalla Corte di Cassazione secondo cui l’attività di affittacamere deve essere assimilata a quella di imprenditoria alberghiera. Pertanto attività commerciale che non potrebbe essere svolta in un appartamento. Secondo la normativa vigente in Italia, la gestione dovrebbe essere non solo a carattere familiare. Ma anche esercitata in modo saltuario (o occasionale o per periodi ricorrenti stagionali). Quindi se rispetta tutti i criteri fin qui detti, il B&B può continuare ad esercitare.

 

 

Nuda proprietà, quando e a chi conviene averla, e non solo nella vendita

La nuda proprietà è un caso di proprietà privata alla quale non si accompagna un diritto reale di godimento del bene cui è relativa, ma quando e a chi conviene?

Nuda proprietà, utile anche negli acquisti immobiliari

La nuda proprietà è un caso appunto di proprietà molto diffuso in cui si divide il proprietario dell’immobile da chi è il reale utilizzatore. Chi detiene la nuda proprietà è il reale possessore delle mura, senza abitarvi dentro. Quindi non utilizza il bene, a quello ci pensa l’usufruttuario (Art 981). Quest’ultimo può anche affittarlo, ma per venderlo ha bisogno dell’autorizzazione del nudo proprietario.

Quando si compra la nuda proprietà di un immobile il valore del trasferimento è notevolmente ridotto. Infatti spesso ci sono delle buone occasioni per comprare casa, abitata da altra persona che spesso coincide con il vecchio proprietario. Alla morte di quest’ultimo si riuniscono proprietà e possesso per ricongiunzione di usufrutto. Si parla di consolidazione perché l’usufrutto passa all’acquirente che può unirlo alla nuda proprietà prendendo pienamente possesso dell’abitazione acquistata.

Perché si sceglie l’usufrutto?

Si vende la nuda proprietà quando il proprietario ha bisogno di liquidità. Perchè vende la nuda proprietà ottenendo una somma, va a vivere magari in una seconda casa, e mette in locazione l’immobile, ottenendo così una doppia rendita. Infatti è una scelta che spesso viene fatta da persone più in là con l’età. Chi compra invece lo fa risparmiando tantissimo sul prezzo. Ma ci sono anche altri motivi per cui si sceglie di cedere la nuda proprietà. Ecco infatti un caso molto frequente.

Sono il  Sig. V insieme a mia moglie Sig.ra C abbiamo acquistato nel tempo un immobile in città e l’altro al mare. Purtroppo lo scorso anno la Sig.ra C è venuta a mancare e io e i miei due figli abbiamo fatto la normale successione. Ad oggi il Sig. V, insieme ai figli siamo comproprietari di tutti e due gli immobili. Il mio sogno sarebbe quello di lasciare una casa ciascuno, ma non so come fare. Il notaio mi ha detto di procedere con la divisione della nuda proprietà ad uno ciascuno dei miei figli e di conservarmi l’usufrutto. In modo che ognuno dei miei figli ha una casa alla mia morte, è possibile farlo?

Ebbene la risposta è si. Lei può decidere delle quote come vuole, anche attraverso la divisione degli immobili e il trasferimento della nuda proprietà a ciascun figlio per ogni singola casa. Conservandosi l’usufrutto, il Sig V potrà disporre come vuole degli immobili, anche affittarlo. Ma per venderlo occorre il consenso del nudo proprietario. Basta che dinnanzi al notaio compaia lui, e i suoi figli ed insieme possono decidere di scegliere questa soluzione con la sottoscrizione del relativo atto.

Contascatti, si possono avere più immobili ed una sola utenza?

Contascatti per unire più utente e risparmiare sulle spese generali delle utenze, potrebbe essere una soluzione, ma in realtà non è applicabile, ecco perché.

Contascatti, come risparmiare sulle utenze

Ogni volta che in una famiglia italiana arriva una bolletta di gas, luce o acqua c’è quasi paura di aprirla. Gli importi sulle utenze sono sempre abbastanza corposi, anche se il Governo ha attraverso il Decreto bollette ha cercato di mettere in campo delle misure di aiuto. Come ad esempio la proroga per il bonus sociale per chi ha redditi fino a 15 mila euro. Uno sconto che viene direttamente usato sulla bolletta per diminuirne l’importo.

Tuttavia sono sempre più le persone che stanno istallando dei contascatti per risparmiare sulle bollette dei servizi. Insomma un solo contatore, una sola utenza attiva ma ognuno ha il proprio contascatti. Quando arriva la bolletta ognuno paga moltiplicando i propri consumi per il prezzo della componente di luce, gas o acqua. Mentre le spese generali, sono ripartiti in parti uguali. Questa logica se da una parte permette di risparmiare, dall’altra parte ci si chiede se è legale.

Contascatti, è legale il loro utilizzo?

L’utilizzo del contascatti sta trovando sempre più applicazione tra diversi proprietari immobiliari sempre più stanchi delle alte tariffe di gas e luce. Ed infatti ecco uno dei casi più tipici:

“Sono in signor A, ho comprato una casa indipendente insieme a mia sorella. Io ho preso l’appartamento al piano terra, mentre lei quello al primo piano. Ogni appartamento è totalmente indipendente, anche negli impianti. Io e mia sorella abbiamo deciso di risparmiare sulle bollette, mettendo un solo contatore e per l’altra utenza un contascatti. Ogni volta che arriva la bolletta, dividiamo la spesa in base agli scatti indicati, mentre la parte di costi fissi la dividiamo a metà. E’ possibile farlo?”

Sul tema anche Arera, l’autorità garante dell’energia, si era espressa in modo chiaro: è vietato. Ogni immobile deve avere la propria utenza, il proprio contatore e la propria bolletta.

Il caso che fa accezione ed è legale

Ad ogni modo esiste un caso che fa accezione alla regola. Ad esempio quando due unità immobiliari hanno tra loro un legame di pertinenza ed appartengono quindi alla stessa persona. Il caso più comune è quello del proprietario di un appartamento e del garage nel seminterrato.

Oppure quando ci sono più unità immobiliari nello stesso edificio intestate ad una sola persona ma vengono utilizzate da soggetti diversi. È il caso di chi ha un box dato in affitto nel condominio in cui abita e tiene la corrente elettrica di box e appartamento sotto lo stesso contatore. In tutti gli altri casi è illegale utilizzare un solo contatore per più utenti.

Mutui e affitti, si può locare un immobile comprato con mutuo attivo?

Mutui e affitti non sono per nulla incompatibili, anzi proprio il contrario. Può riservare tanti aspetti positivi, sia per il proprietario che per l’inquilino.

Mutui e affitti, i singoli contratti

Quando si vuole comprare un immobile, ma non si hanno i soldi a disposizione, la soluzione si chiama mutuo. Secondo l’articolo 1813 c.c. il mutuo è il contratto con il quale una parte consegna all’altra una determinata quantità di denaro o di altre cose fungibili, e l’altra si obbliga a restituire altrettante cose della stessa specie e qualità. Quindi è un contratto tra la banca e il richiedente, se ha con se tutte le caratteristiche necessarie per poter avere il prestito.

Mentre il contratto di locazione  (o di affitto nel momento in cui il bene in oggetto è produttivo) è stipulato tra un soggetto, il locatore, che garantisce il godimento di un bene mobile o immobile a favore di un altro soggetto (conduttore o locatario). Quando il bene è costituito da un’immobile ad uso abitativo o commerciale, quest’ultimo è tenuto al pagamento di un canone periodico per tutta la durata del contratto prestabilita. Ma come possono essere legati questi due contratti? E possono coesistere su uno stesso immobile?

Mutui e affitti, posso locare un immobile su cui grava un mutuo?

Il nesso che lega i due contratti si ha quando un proprietario di immobile decide di dare in locazione l’immobile su cui sta pagando il mutuo, ma si può fare?

Buongiorno, sono la Sig. S. ho comprato casa, insieme a mio marito, per mia figlia per permettergli gli studi vicino a una nota università. Per comprarla abbiamo acceso un mutuo per dieci anni, ma mia figlia si è laureata e adesso la casa, per adesso non serve più visto che mia figlia farà un percorso di specializzazione di due anni all’estero. Invece di lasciare l’appartamento vuoto, lo posso dare in locazione? Almeno così potrei anche pagare parte delle rate mensili del mutuo che sono diventate davvero pesanti in questo periodo di crisi generale“.

E’ quindi chiaro che si sta parlando di un immobile non acquistato con le agevolazioni prima casa, altrimenti il proprietario avrebbe dovuto portale la residenza. Tuttavia è quindi possibile, senza alcun dubbio possibile affittare il bene anche se è presente il mutuo.

I vantaggi per il proprietario

Mettere un immobile a reddito è sempre un vantaggio per il proprietario di casa. Questo reddito supplementare può contribuire a coprire le spese del mutuo e migliorare la situazione finanziaria complessiva del proprietario. Non solo il proprietario può anche decidere di affidare la locazione ad un’agenzia immobiliare che possa occuparsi, quindi, della manutenzione, gestione dell’accordo risparmiando soldi e tempo. Anche perché spesso le stesse agenzia di occupano del rinnovo o di eventuale disdetta. Inoltre un immobile già a reddito potrebbe fare gola, in caso di rivendita, a chi vuole fare un investimento.

Infine la situazione potrebbe convenire anche all’inquilino. Le case con un mutuo in corso, ad esempio, potrebbero essere affittate a un prezzo leggermente inferiore rispetto alle altre proprietà simili nella stessa zona. I proprietari potrebbero essere più inclini a offrire un affitto vantaggioso per attirare inquilini affidabili e garantire un flusso di reddito costante.