Srl semplificata? Io l’ho aperta, ecco come

Va bene, parliamo di Srl semplificata, di come le camere di commercio vedono questo strumento di incentivo all‘imprenditoria giovanile, ne recepiamo dubbi, commenti, favori, ma poi? Alla fin fine, che cosa pensa di questo strumento chi, effettivamente, ne fa uso?

Noi di Infoiva lo abbiamo chiesto proprio a uno di loro, Ahmad Choulak, ingegnere aeronautico di origini siriane la cui Siservices è la prima Srl semplificata registrata alla Camera di Commercio di Milano. Ecco la sua testimonianza.

Leggi l’intervista ad Ahmad Choulak

Piemonte, terra fertile per le nuove imprese

Continua il focus di Infoiva sul mondo della Srl semplificata. Dalla Camera di commercio di Monza e Brianza, abbiamo visto come, in un territorio ad elevata densità produttiva, il debutto della nuova forma societaria “low cost” è visto con particolare favore.

Basta spostarsi di qualche chilometro e la situazione non cambia di molto. Siamo sempre al Nord, in una regione ad alta industrializzazione (il Piemonte) e la parola passa alla Camera di Commercio di Torino che ha, per questa nuova struttura societaria un occhio di riguardo. Un'”arma” in più da affiancare a quanto già la camera di commercio piemontese offre agli aspiranti imprenditori con il settore Nuove imprese, che fornisce da anni consulenza, formazione e informazione, in particolare ai giovani.

Leggi l’intervista a Maria Loreta Raso, dirigente dell’Area Anagrafe economica della Camera di Commercio di Torino

Srl con 1 euro? Sì, ma…

Comincia questa settimana un viaggio di Infoiva all’interno della “Srls semplificata“, ovvero quella nuova forma societaria in vigore dal 29 agosto scorso che consente ai giovani imprenditori di creare la propria società con un capitale sociale minimo di 1 euro (leggi qui come funziona)

In un periodo difficile per l’economia come è quello attuale, ogni iniziativa che può stimolare la nascita di nuove attività imprenditoriali va sostenuta, migliorata (se necessario), adottata nel modo più utile possibile alla causa. L’importante, però, è che, una volta nate, le nuove imprese non siano lasciate sole in balia del mercato, dell’inesperienza, della globalizzazione. Sarebbe come per mamma aquila lanciare il pulcino fuori dal nido prima che questo abbia imparato a volare.

Fuor di metafora, va bene scavalcare lungaggini e burocrazia, va bene semplificare le procedure e adeguare gli investimenti iniziali alle tasche di chi, ora come ora, le ha poco meno che vuote, però un’idea intelligente non può non essere accompagnata da delle serie politiche di sostegno che vanno dalla riduzione del cuneo fiscale per le imprese, alla detassazione dei salari di produttività e molto altro ancora. Tutte cose che il governo sa bene ma che, nonostante la sua aura “tecnica”, non ha la voglia o il coraggio di mettere in pratica.

Insomma, chi resta solo nasce, vive poco e muore. Lo sanno anche alla Camera di commercio di Monza e Brianza, una delle camere di commercio che in questo momento riguardo alla Srls, è più “sul pezzo” e che mette in campo strumenti ulteriori a sostegno dell’imprenditoria giovanile, come ci conferma il suo segretario generale Renato Mattioni.

Leggi l’intervista al segretario generale della Camera di commercio di Monza e Brianza, Renato Mattioni

Italian Style: una filiera lunga una vita

 

Moda, oreficeria e nautica. Si potrebbe riassumere in queste tre parole il segreto del successo del made in Italy all’estero. In aria di crisi, il comparto oro si conferma un mercato rifugio che acquista il suo valore nel tempo, mentre il settore tessile continua a tirare le file dell’industria più importante in Italia, quella della moda.

Condividendo la necessità distretti e industrie di filiera diventino parte integrante di un’unica strategia Unioncamere e Federazione dei distretti hanno siglato un accordo affinchè  il sistema camerale e quello dei distretti sperimentino forme di collaborazione sempre più incisive per l’industria di filiera italiana.

Il patto è stato sottoscritto dal presidente di Unioncamere, Ferruccio Dardanello, e dal presidente della Federazione dei distretti, Valter Taranzano. Con l’apertura dei distretti a nuove logiche di filiera – ha sottolineato il presidente di Unioncamere, Ferruccio Dardanello – il sistema camerale ha deciso, lo scorso anno, di adeguare le proprie strutture dando origine a Unionfiliere, nata dalla fusione di Assicor e Itf, strutture specializzate l’una nella valorizzazione dell’oreficeria, l’altra in quella del sistema moda. Unionfiliere  ha nel nome i suoi obiettivi: unire per qualificare, valorizzare, promuovere le filiere che hanno reso famoso il made in Italy nel mondo”.

E a proposito del progetto di fusione, Dardanello aggiunge: “il nostro obiettivo è quello di creare un luogo privilegiato per lo sviluppo di iniziative finalizzate a favorire la competitività delle filiere e dei distretti, attraverso un confronto costante tra sistema camerale e sistema associativo. Una della strategia ‘uno per tutti e tutti per uno’ sotto il cappello di Unioncamere”.

Una mossa strategica e molto promettente se si conta che i tre settori (orafo, nautico e tessile) sono equiparabili per fatturato al complesso delle imprese del Piemonte (Fiat inclusa) o di sette regioni a minor densità industriale messe insieme (Abruzzo, Sardegna, Umbria, Calabria, Basilicata, Molise e Valle D’Aosta). Un po’ di numeri: la moda, l’oreficeria e la nautica che, nel loro complesso, vedono impegnate 341mila imprese (il 5,4% del totale nazionale), l’8,2% degli addetti che operano al di fuori dell’agricoltura (per complessive 1.421.644 persone), e registrano un fatturato che sfiora i 200 miliardi di euro.

Il percorso di fusione tra Unioncamere e Federazione dei distretti la creazione di nuove filiere come quella del legno-arredo e della automazione-meccanica, individuando le Camere di commercio sede di distretti e favorendo la loro adesione a Unionfiliere. Alla fine del periodo di transizione, la cui durata non potrà essere superiore a 2 anni, la Federazione Distretti sarà sciolta a favore del marchio unico Unionfiliere.

La decisione di offrire maggior supporto alle filiere dell’industria simbolo della produzione made in Italy, è stata supportata anche da uno studio, realizzato dall‘Istituto Tagliacarne, che definisce i contorni economici delle tre filiere:  non soltanto produzione e trasformazione del prodotto di base,ma anche imprese che offrono beni e servizi intermedi alle attività produttive principali, e che rappresentano l’11,6% del totale occupazionale.

L’analisi si sofferma poi sull’indagine approfondita dei distretti della moda e della nautica, dove l’articolazione della filiera va ben oltre la realizzazione del singolo prodotto, ma coinvolge attività collegate alle imprese della meccanica (distretto tessile di Prato, dove le imprese operano in tutti i passaggi della lavorazione, dalla filatura al confezionamento dei capi), o estenda la sua articolazione ai servizi collegati (distretto nautico di Genova, che include sia cantieri navali veri e propri, che servizi per il trasporto marittimo di persone e merci).

Ma la crisi quanto ha influito sui singoli comparti dell’industria di filiera del made in Italy?

La filiera tessile, abbigliamento e calzature, con un fatturato stimato di 171 miliardi di euro, ha indubbiamente ricevuto un duro colpo dalla crisi degli ultimi anni. Le sue 303.788 imprese impegnate nelle attività principali (calate dello 0,6% tra dicembre 2010 e giugno 2012), hanno registrato forti riduzioni della produzione (-16,2% ), del fatturato (-4,5%), e dell’occupazione alle dipendenze (-16,4%).

La filiera orafa vanta un fatturato superiore ai 15miliardi di euro. Le province in cui la filiera riveste un ruolo di rilievo in termini di incidenza di addetti sul totale sono Arezzo (8,1%; Italia 0,5%), Alessandria (4,9%), Vicenza (2%), Caserta (0,8%) e Firenze (0,8%).

La filiera navale conta invece 133.409 addetti, di cui 92.300 nelle attività principali e 41.100 nelle attività che producono beni e servizi indiretti. Il fatturato realizzato nel 2010 per le sole attività principali è stimato in 11,5 miliardi di euro.

Alessia CASIRAGHI

Senza tessuti saremmo solo… macchine

D’accordo i tessuti e i filati, vanto della nostra artigianalità. Ma quanti pensano al fatto che per produrli sono necessarie delle macchine sofisticate? E quanti sanno che, tanto per cambiare, le macchine tessili migliori del mondo le produciamo noi italiani?

Il settore del meccanotessile è infatti un vanto della nostra piccola e media impresa. E, una volta tanto, il fatto di essere piccole agevola le nostre aziende, che possono in questo modo realizzare macchine ad hoc secondo le specifiche esigenze dell’utilizzatore finale. Naturalmente, però, anche questo settore ha subito qualche colpo dalla crisi e le cifre, specialmente riguardo all’export, hanno cominciato a marcare il segno meno.

Per fortuna in Paesi come la Cina continua a esserci una buona richiesta di macchine tessili italiane e, anche se i Cinesi sono ormai i primi produttori mondiali di questi apparecchi, le macchine “non mostrano ancora la qualità e l’affidabilità di quelle occidentali”. Parola di Sandro Salmoiraghi, presidente di Acimit, l’Associazione dei Costruttori Italiani di Macchinario per l’Industria Tessile.

Leggi l’intervista  al presidente di Acimit, Sandro Salmoiraghi

Seta italiana, il filato a prova di crisi

C’è un settore della filiera tessile italiana che sembra non risentire dei colpi della crisi. Fantascienza? No, merito della capacità e dell’eccellenza di tanti piccoli imprenditori che fanno letteralmente la storia del filato di pregio italiano.

Parliamo dell’industria della seta di Como, una delle zone a più alta vocazione manifatturiera d’Italia che ha una fortuna e un pregio: la fortuna è quella di lavorare il filato più nobile – la seta, appunto -, il pregio è quello di saperlo fare con una maestria e una capacità senza eguali al mondo. Due aspetti che, in un momento difficile come l’attuale, preservano questo mercato dai colpi avversi dell’economia, come conferma a Infoiva il responsabile della sezione serica, gruppo filiera tessili, di Confindustria Como Guido Tettamanti.

Questa produzione, infatti, si salva dal naufragio perché una sua grossa fetta finisce sul mercato francese del lusso e delle grandi case di moda, ma anche in Spagna, Germania, Cina, Usa, Hong Kong. Tanto che nei primi 6 mesi del 2012 il fatturato è cresciuto di 5 punti. Perché le cose fatte bene piacciono, fruttano e portano ricchezza alla piccola impresa italiana.

Leggi l’intervista al responsabile della sezione serica, gruppo filiera tessili, di Confindustria Como Guido Tettamanti.

Tessile, i piccoli che fanno le fortune dei grandi

Si chiama Sistema Moda Italia ed è una delle più grandi organizzazioni mondiali di rappresentanza degli industriali del tessile e moda. Singolare come nome, visto che una delle cose che si rimproverano ai vari player della nostra economia è proprio quella di non essere capaci di fare sistema… Comunque, per un ambito come quello del tessile il fare sistema è una necessità, ancora di più in un momento delicato come questo.

Ecco perché nel suo focus settimanale Infoiva non poteva non rivolgere qualche domanda al presidente di Sistema Moda Italia, Michele Tronconi. Qualche domanda che ha riservato delle risposte interessanti e sorprendenti. Per esempio, che le piccole imprese specializzate fanno la forza complessiva del settore e ne rappresentano allo stesso tempo la fragilità. Che in questa filiera il turnover di aziende che nascono e muoiono è molto alto e che il segreto del loro successo è la specializzazione. Che, in ultima istanza, senza delle politiche industriali ben strutturate anche un settore come questo rischia di soffocare.

Leggi l’intervista al presidente di Sistema Moda Italia, Michele Tronconi

Milano Unica, il valore aggiunto dalle piccole imprese

Tessile e moda, lo abbiamo detto, sono due pilastri della nostra piccola e media industria; due facce della stessa medaglia chiamata tradizione ed eccellenza. I numeri usciti da Milano Unica, lo abbiamo visto ieri, lasciano filtrare qualche spiraglio, se non di ottimismo, almeno di “buona volontà” da parte del mercato.

Tendenze e cifre che abbiamo scelto di commentare proprio con il presidente di Milano Unica, Silvio Albini, il quale, oltre a presiedere il Salone Italiano del Tessile, è anche presidente di Albini Group, una delle maggiori realtà italiane del tessile.

E le parole di Albini sono risultate incoraggianti quanto i numeri usciti dalla fiera. Perché, secondo il presidente, se Milano Unica non detta le regole del settore gli dà sicuramente valore aggiunto proprio perché è fatta dagli imprenditori che hanno il reale polso della situazione e del mercato. E se il +75% fatto registrare dalle presenze cinesi in fiera è un viatico più che incoraggiante, anche l’Europa tiene bene con la Germania, la Francia e i Paesi scandinavi. E finché si vende all’estero, il settore resta a galla.

Leggi l’intervista al presidente di Milano Unica Silvio Albini

Il tessile? Barcolla ma non molla

La settimana che parte oggi è quella che vedrà l’appuntamento con la Milano Fashion Week, settimana della moda nella quale tutti gli occhi del mondo che veste saranno puntati sul capoluogo lombardo. Un settore, quello della moda e del tessile, nel quale non abbiamo rivali, da sempre. Eppure anch’esso, in un periodo complesso come quello che stiamo vivendo, patisce alcuni colpi.

Ecco perché Infoiva ha deciso di dedicare il proprio focus settimanale a questo settore chiave per l’economia italiana nel quale, tanto per cambiare, l’eccellenza viene da poche, grandi maison ma da tantissimi piccoli imprenditori, artigiani e, oseremmo dire, artisti. Un settore nel quale proveremo a entrare andando al di là delle passerelle e dei lustrini, per capire quali sono le cifre che girano, come se la passa chi crea moda e tessuti e cercare di ricavare qualche segnale di ottimismo da chi, ogni giorno, produce eccellenza. A partire dai numeri di Milano Unica, il Salone Italiano del Tessile che ha appena chiuso i battenti.

Leggi le cifre e le tendenze emerse da Milano Unica, il Salone Italiano del Tessile

Pmi, l’emorragia dei posti di lavoro

Ce la faremo a superare questa crisi? Se lo chiedono, ogni giorno, impiegati, imprenditori, professionisti, operai. E se lo chiede anche la Cgia di Mestre, che non ha perso la buona abitudine di elaborare cifre, studi e statistiche per metterci di fronte alla cruda realtà, ma anche per proporre soluzioni valide.

Secondo l’associazione mestrina, nel secondo semestre di quest’anno in Italia si rischiano oltre 200mila posti di lavoro. Di questi, 172mila sono tra le piccole e medie imprese. La stima è risultata incrociando i dati occupazionali dell’Istat e quelli di previsione realizzati da Prometeia.

Secondo il segretario Giuseppe Bortolussi, “premesso che negli ultimi quattro anni la variazione dei posti di lavoro riferiti alla seconda parte dell’anno è sempre stata negativa, la stima riferita al 2012 è comunque peggiore solo al dato di consuntivo riferito al 2009. Purtroppo in queste ore non si sta consumando solo la drammatica situazione dei lavoratori dell’Alcoa o dei minatori del Carbosulcis, ma anche quella di decine e decine di migliaia di addetti delle Pmi che rischiano di rimanere senza lavoro“.

Come detto, però, dalla Cgia non mancano proposte costruttive per aiutare le Pmi: “Le ristrutturazioni industriali avvenute negli Anni ’70, ’80 e nei primi anni ’90 – dice Bortolussi, presentavano un denominatore comune. Chi veniva espulso dalle grandi imprese spesso rientrava nel mercato del lavoro perché assunto in una Pmi. Oggi anche queste ultime sono in difficoltà e non ce la fanno più a creare nuovi posti di lavoro. Per ridare slancio alle piccole realtà imprenditoriali che continuano ad essere l’asse portante della nostra economia diventa determinante recepire in tempi brevissimi la Direttiva europea contro il ritardo dei pagamenti, per garantire una certezza economica a chi, attualmente, viene pagato mediamente dopo 120/180 giorni dall’emissione della fattura. Bisogna trovare il modo per agevolarne l’accesso al credito, altrimenti l’assenza di liquidità rischia di buttarle fuori mercato. Infine, bisogna alleggerire il carico fiscale premiando anche i lavoratori dipendenti, altrimenti sarà estremamente difficile far ripartire i consumi interni“.