Confturismo Veneto: investire nel settore, via tasse e rigidità

di Davide PASSONI

Continua il “giro di tavolo” di Infoiva tra i vari operatori regionali del turismo per avere un commento sulla stagione estiva ormai agli sgoccioli. Dopo il presidente di Federalberghi Emilia Romagna, Alessandro Giorgetti, oggi tocca al collega veneto Marco Michielli, presidente anche di Confturismo Veneto. E anche all’ombra della Serenissima, la situazione fa riflettere…

Un primo bilancio a caldo sull’andamento, in Veneto, della stagione turistica che si sta concludendo.
Partiamo dicendo che non commento i dati di partenze e arrivi, in quanto non danno la vera fotografia della situazione. Parlando sotto il profilo aziendale posso dire che, tutto sommato, se sono corretti i dati che leggo provenienti dal resto d’Italia, il Veneto complessivamente ha tenuto più di altre regioni. Il dato di fondo è che negli ultimi 3 anni la forbice tra incassi e margini operativi si sta divaricando paurosamente. Se, come è vero, fare buoni margini operativi significa avere buone capacità d’investimento, l’apertura della forbice è un grosso problema.

Ovvero?
Una volta le banche, per concedere un finanziamento a una struttura turistica guardavano prima di tutto il valore dell’immobile. Oggi non basta più, oggi le banche guardano la produttività dell’azienda e se questa cala o è quasi nulla il finanziamento non viene erogato. Se poi lo spazio per l’autofinanziamento è azzerato, diventa fondamentale il ricorso alle banche, che però non erogano: è un cortocircuito che mi preoccupa.

Nonostante un’offerta di prim’ordine…
Nel panorama nazionale la nostra offerta turistica è buona, per qualità e varietà. Certo, negli ultimi anni la clientela italiana ha alzato il proprio target perché ha cominciato a viaggiare all’estero, in Paesi nei quali trova strutture di dimensioni e livello molto alto, con decine di addetti e pensa, una volta che va in vacanza in Italia, di ritrovare gli stessi standard. Non sapendo che, per esempio, costruire o pagare del personale in Egitto costa infinitamente meno che da noi.

Com’è l’umore dei vostri associati? C’è ottimismo, pessimismo…
Basso, perché guardiamo con terrore al prossimo anno. Prevediamo già che a giugno 2013 avremo le strutture. Austriaci e tedeschi, che costituiscono buona parte della nostra clientela, faranno le vacanze a maggio, per cui prevediamo un buon maggio, ma con i prezzi di maggio. Se a giugno non arrivano loro e gli italiani non avranno soldi per andare in ferie – come è prevedibile -, chi verrà in quel mese? Rischiamo di trovarci con grosse problematiche da gestire a livello territoriale.

Chiusure…
Certo. Pensi che ci sono alberghi a Venezia che hanno chiesto di diventrare stagionali. A Venezia! Senza contare che, per esempio, la nostra montagna è incastrata tra Trentino Alto Adige e Friuli, regioni a statuto speciale che hanno finanziamenti e norative diverse e più vantaggiose rispetto alle nostre, non solo in ambito turistico.

Capitolo Imu. Che impatto ha avuto e avrà sul settore alberghiero regionale?
Secondo un calcolo che abbiamo fatto, a noi in Veneto ha portato in media un aumento dell’80% rispetto all’Ici. Dico io, abbiamo le tasse sugli utili più alte del mondo: peccato che le paghiamo su utili che non facciamo più.

Se potesse fare un appello al ministro Gnudi, che cosa gli chiederebbe come priorità per il turismo in Sicilia?
Il turismo è l’unica azienda che può dare immediata occupazione e immediata risposta alla crisi. Bisogna investire sul turismo ma abbiamo delle rigidità allucinanti e dei non senso come la tassa di soggiorno: ovunque sia stata applicata, non è mai finita a finanziare iniziative legate al turismo ma solo a tappare i buchi delle amministrazioni comunali.

Per non parlare delle tasse di stazionamento per le barche, dei controlli sui pagamenti in contanti…
Personalmente posso non essere d’accordo con un certo modo di ostentare la ricchezza, ma se ho, poniamo, un magnate russo che viene nel mio porto con lo yacht e mi lascia sul territorio qualche decina di migliaia di euro, mica lo faccio scappare con tasse assurde: faccio di tutto per farlo tornare, magari con gli amici. O se la stessa persona mi stappa 80 bottiglie di champagne in una notte, lo faccio perquisire dalla Finanza così non lo rivedo più nel mio locale? Ecco alcune delle rigidità che danneggiano il settore.

C’è dell’altro per Gnudi, vero?
A livello strategico è necessario un ripensamento della delega del turismo alle regioni. Si è trattato di un errore clamoroso. Abbiamo il marchio piu prestigioso al mondo che è il made in Italy, rispolveriamolo per il turismo, trasferiamo le competenze a livello centrale, basta al turismo degli assessori che vanno a far promozione all’estero alle proprie città: si vada alle fiere internazionali promuovendo centralmente l’Italia. Poi ciascuna regione o ciascun comune, se vuole, anche vada per conto suo. Poi chiederei anche una forte integrazione del sistema aeroportuale: è necessario trasferire su ala almeno il 30% del nostro turismo nei prossimi 10 anni, o saremo fuori mercato. Vuole un esempio? Noi come Veneto sosteniamo che il 60% della nostra clientela è tedesca, ma in realtà è bavarese. Perché in poche ore d’auto e di autostrada sono qui. Gli altri tedeschi vanno in Spagna o in Egitto: in aereo ci mettono meno e sono direttamente in spiaggia.

Italia.it, un’occasione persa?
Italia.it, una cosa vergognosa. Ci è costata 179 milioni e la sua efficacia è pari a zero. Dovrebbe essere il sito che fa entrare gli stranieri in Italia, dalla presentazione del Paese alla prenotazione dell’hotel, e invece per le prenotazioni ci siamo fatti superare da siti da come Booking o Expedia che fanno margini e profitti alle spalle dei nostri hotel. Se questi siti fossero italiani, almeno i soldi delle commissioni che incassano resterebbero qui, ma se un hotel deve arrivare a lasciare loro tra il 18 e il 40% e più di commissione, come fa a far crescere il fatturato? Più percentuale di incasso ti lascio, più persone mi mandi… Un sistema malato, a dispetto dei numeri.

Federalberghi Emilia: lasciateci liberi di fare impresa

di Davide PASSONI

Noi di Infoiva abbiamo tenuto un occhio vigile per tutta l’estate sull’andamento del turismo in Italia. Un’industria dalle enormi potenzialità, fatta quasi solo da piccole e piccolissime imprese e che, in quanto tale, non può che godere di un trattamento di sfavore da parte del governo e del fisco. Avevamo incontrato a luglio il presidente di Federalberghi, Bernabò Bocca, e ci eravamo fatti raccontare i primi mesi del 2012 visti dalla parte di chi opera nel campo dell’hospitality. Ora che, come cantavano i Righeira (miti assoluti) “l’estate sta finendo”, facciamo il punto con alcune Federalberghi regionali per capire che stagione si è lasciata alle spalle chi fa dell’accoglienza una professione. Cominciamo da Federalberghi Emilia Romagna e dal suo presidente, Alessandro Giorgetti.

Un primo bilancio a caldo sull’andamento, in Emilia Romagna, della stagione turistica che si sta concludendo.
La stagione è stata difficile, un po’ per tutte le regioni ma, credo, per noi più che per altri per via della comunicazione che è stata fatta sul terremoto di maggio, che ha rallentato le prenotazioni in due mesi cruciali come maggio e giugno. Da quello che si raccontava sui media sembrava che il terremoto avesse investito tutta la regio ma, naturalmente, non era così; da questo è derivata per noi la difficoltà a stare sul mercato e tante vendite non sono andate a buon frutto. Nonostante questo abbiamo mantenuto numeri importanti, un po’ in calo a luglio e ad agosto.

Cifre?
In termini spannometrici, non avendo ancora dati certi e completi, stimo un -10% di presenze e -15% di fatturato come media.

Tanta della vostra clientela storica è straniera: che ne è stato?
Trovo positivo che gli stranieri siano tornati: è sinonimo di un appeal sul mercato internazionale che non abbiamo perso.

E gli italiani?
Abbiamo pagato la crisi che coinvolge il ceto medio, che era la clientela base della nostra zona; impiegati, artigiani, piccoli commercianti hanno subito e subiscono la pressione delle manovre economiche del governo, la riduzione del loro potere d’acquisto e in tanti hanno tagliato le spese superflue, tra cui le vacanze. Non è solo una mia impressione, è un punto di vista suffragato da molte relazioni che vengono dal territorio.

Quali tipologie di strutture hanno privilegiato i turisti? Il piccolo albergatore tipo “Pensione Marisa” riesce ancora a trovare il suo spazio?
La “Pensione Marisa” della situazione lavora perché ha clienti abituali che mantengono nel tempo una relazione di fiducia quasi familiare. Più difficile la situazione di altre realtà, dove magari le persone pretendono di pagare meno degli anni scorsi per avere gli stessi standard di servizio alti che avevano in passato. La qualità va pagata, se non posso mantenere i prezzi non posso dare servizi all’altezza. Spesso, invece, la gente vorrebbe avere i servizi che ha, che so, a Sharm o sull’altra sponda dell’Adriatico, con schiere di camerieri al proprio servizio, ma non si rende conto che là il costo della manodopera è nettamente incomparabile al nostro.
Tornando alla “Pensione Marisa”, il suo rischio è che quando la sua clientela non ci sarà più, sarà fuori mercato. Come Federalberghi stiamo lavorando proprio per dare a questo tipo di imprese gli strumenti per evitare che ciò accada e che possano emergere: investiamo molto sulle capacità delle imprese e degli imprenditori, vogliamo resistere con capacità e passione per andare avanti.

Com’è l’umore dei vostri associati? C’è ottimismo, pessimismo…
Basso, c’è pessimismo perché si sentono compressi da normative e burocrazia, specialmente per quanto riguarda l’obbligo di segnalare all’autorità fiscale i pagamenti in contanti di somme ingenti, le spese per vacanze superiori a 3600 euro e via dicendo. Pressioni e verifiche fiscali stanno minando l’equilibrio dei nostri imprenditori, che già combattono in una stagione difficile come questa. Per fortuna almeno il tempo ci ha assistito, ci ha aiutato, ma il clima di sfiducia nel futuro e le difficoltà di tante imprese a rivedere la propria mission rimangono.

Capitolo Imu. Che impatto ha avuto e avrà sul settore alberghiero regionale?
In alcuni comuni abbiamo scambiato il tetto massimo dell’Imu al 10,6 per mille in cambio del non pagamento della tassa di soggiorno. Capiamo le esigenze di cassa dei comuni e la necessità di rispettare i patti di stabilità, ma vogliamo che i comuni turistici abbiano un trattamento diverso. In questo senso va la nostra alleanza con gli enti turistici per far capire alle istituzioni che il meccanismo va cambiato; pensi che in alcuni casi con il passaggio all’Imu è stato raddoppiato l’importo che si pagava con la vecchia Ici: aspettiamo la seconda rata per capire la mazzata che ci arriverà. Hotel, pensioni eccetera sono come edifici industriali, che danno lavoro e occupazione: perché devono essere tassati così?

Se potesse fare un appello al ministro Gnudi, che cosa gli chiederebbe come priorità per il turismo in Emilia Romagna?
Soprattutto di migliorare la logistica. Qui in regione abbiamo un problema di logistica oggettivo; aeroporti, autostrade, siamo indietro di decenni: il passante di Bologna che da 4 corsie passa a 2, siamo tagliati fuori dalla Tav… Nei Paesi vicini in pochi anni le infrastrutture cambiano il volto di città e regioni, qui non ce la facciamo mai. Sappiamo che alcune volte queste cose non dipendono direttamente dal ministro, così come i fondi che abbiamo chiesto per riqualificare le imprese, vediamo… Poi sarebbe necessario un regolamento diverso, a livello nazionale, sulla tassa di soggiorno. Insomma, logistica, tasse, fondi per la riqualificazione sono
elementi importantissimi per poter competere e restare sul mercato. Su questo vogliamo che si lavori, con basi di programmazioni serie in una nazione che sta ai primi posti nel mondo per patrimonio e potenzialità turistiche: dimostri con i fatti e non con le chiacchiere di essere all’altezza di questo ruolo.

In una parola…
Vogliamo essere liberi di fare impresa.

Imprese? I ritardi nei pagamenti ne ammazzano 1 su 3

di Davide SCHIOPPA

Da queste pagine non siamo soliti lanciare allarmi o fosche previsioni sullo stato della piccola impresa in Italia. Cerchiamo di limitarci a leggere i dati, anche quando questi non sono incoraggianti (cosa che accade spesso in un periodo come questo…), proponendoli ai lettori per invitarli a riflettere. Una delle nostre missioni è quella della positività, non forzata e non a tutti i costi; per cui, se oggi vi parliamo delle imprese che muoiono, non lo facciamo per venire meno a questa missione, ma per cercare di andare al di là della notizia e capire perché le nostre imprese stentano a sopravvivere.

Tanto per cambiare, i dati di cui parliamo oggi arrivano dall’ufficio studi della Cgia di Mestre e vale la pena arrivare subito al sodo: dal 2008, in Italia, sono fallite oltre 46mila imprese, una su tre per i ritardi dei pagamenti. Dall’inizio della crisi alla fine di giugno 2012, i fallimenti in Italia hanno sfiorato le 46.400 unità, dei quali poco meno di 14.400 a causa dell’impossibilità, da parte degli imprenditori, di incassare in tempi ragionevoli le proprie spettanze. La Cgia di Mestre ricorda anche che, secondo i dati di Intrum Justitia, la percentuale di aziende che in Europa falliscono a causa dei ritardi dei pagamenti è pari al 25% del totale. Siamo sopra la media, anche in questo caso un record poco invidiabile.

Se la crisi è l’accelerante di questo incendio che brucia il tessuto produttivo nazionale, non bisogna però dimenticare che, tra i principali Paesi dell’Unione europea, l’Italia è l’unico ad aver registrato, tra il 2008 e i primi mesi del 2012, un aumento dei tempi di pagamento: +8 giorni nelle transazioni commerciali tra le imprese private, +45 giorni nei rapporti tra Pubblica amministrazione ed imprese. E proprio in questo ultimo rapporto si annida lo scandalo, il cancro, il verme che rode l’impresa sana del nostro Paese. Le attività che lavorano per lo Stato centrale o per le autonomie locali si vedono pagare in media a 180 giorni, mentre in Francia le aziende vengono saldate dopo 65 giorni, in Gran Bretagna dopo 43, in Germania dopo 36 giorni. Tempo che le imprese non hanno: ogni giorno in più di ritardo è un centimetro di corda che si stringe intorno al collo delle aziende.

Nonostante il Governo Monti abbia messo in campo alcune misure che entro la fine di quest’anno dovrebbero sbloccare una parte dei pagamenti che i privati avanzano dalla Pubblica amministrazione – commenta Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia di Mestreè necessario che venga recepita quanto prima la Direttiva europea contro il ritardo nei pagamenti. La mancanza di liquidità sta facendo crescere il numero degli ‘sfiduciati’, ovvero di quegli imprenditori che hanno deciso di non ricorrere all’aiuto di una banca. Un segnale preoccupante che rischia di indurre molte aziende a rivolgersi a forme illegali di accesso al credito, con il pericolo che ciò dia luogo ad un incremento dell’usura e del numero di infiltrazioni malavitose nel nostro sistema economico“.

Che l’economia illegale non senta la crisi, è un dato che molti sottolineano. Facciamo in modo che non siano le imprese sane ad alimentare quelle malate. Ci verrebbe da dire “piuttosto meglio morire”, ma ci pare una conclusione di pessimo gusto.

Ego!Smartmouse, il mouse intelligente

La tecnologia è per definizione il mondo dell’effimero: la corsa all’innovazione è talmente rapida, soprattutto oggigiorno, che paradossalmente nulla è mai davvero nuovo e anche il prodotto più all’avanguardia è destinato ad essere ben presto rimpiazzato dalla prossima, rivoluzionaria next big thing.

C’è però una particolare periferica che da decenni ormai resiste stoicamente ai vertiginosi ritmi di cambiamento del mercato hi-tech, conservando intatta tutta la sua insostituibile utilità: il mouse, uno strumento di lavoro ancora oggi presente in qualsiasi ufficio, su qualsiasi scrivania, ovunque ci sia un PC.

Ma il segreto del successo, come si suol dire, sta nella capacità di rinnovarsi. Ed ecco che nell’epoca del touchscreen e degli ultrabook, anche il buon vecchio mouse cambia pelle, abbraccia il cloud e si evolve in un dispositivo più completo, potente e versatile, con una gamma di funzionalità ben più ampia rispetto al passato.

Il risultato di questa evoluzione si chiama Ego!Smartmouse, innovativo device creato dall’italianissima start-up Laura Sapiens, in grado di fungere allo stesso tempo da puntatore ottico wireless, periferica di archiviazione e server virtuale.

La connessione con il PC avviene via bluetooth sfruttando la microcamera frontale di EgoSmartmouse: è sufficiente inquadrare il QR code che appare sullo schermo con il quale si vuole interagire e premere il pulsante centrale per essere subito operativi.

Una volta effettuato il collegamento, il mouse può essere utilizzato in modo classico su un qualsiasi piano d’appoggio, oppure impugnato come un telecomando grazie all’ampio set di sensori integrati (accelerometro, giroscopio e magnetometro). Il passaggio tra le due modalità avviene in modo fluido e automatico, senza bisogno di modificare manualmente le impostazioni.

Ma, come già anticipato, Ego!Smartmouse è molto più di una semplice periferica di input. Al suo interno troviamo infatti una scheda di memoria da 2 o 4 GB a seconda del modello, per portare sempre con sé documenti, presentazioni e altri file di lavoro. E in caso di smarrimento il device può essere bloccato da remoto in pochi e semplici passi, impedendo l’accesso ad eventuali estranei.

Se il PC sul quale si sta lavorando è connesso ad Internet, inoltre, Ego!Smartmouse consente di accedere ad un’altra area di storage personale collocata su cloud, protetta da password e username e visualizzata come una normale cartella del computer. Quando il puntatore viene sconnesso la sezione virtuale scompare, a garanzia della totale sicurezza dei dati.

Disponibile in due eleganti colorazioni bianco o nero, Ego!Smartmouse potrà essere preordinato a partire da settembre 2012 sull’e-store di Laura Sapiens. Il prezzo varia da 149 a 199 euro in base alla capacità della memoria interna.

Manuele MORO

Piccole imprese sempre più green

Per le piccole imprese la sostenibilità ambientale è un fattore strategico di competitività, tanto che negli ultimi due anni ben il 25% delle imprese ha introdotto sistemi e tecnologie per ridurre l’impatto ambientale, e un numero ancora maggiore – il 28,6% – intende farlo nei prossimi 24 mesi. A questo scopo la maggior parte delle aziende ha investito fino a 50.000 euro.

E’ quanto emerge da un’indagine realizzata da Fondazione Impresa su un campione di 600 piccole imprese manifatturiere con meno di 20 addetti.

A suscitare maggior interesse sono le tecnologie che, oltre a ridurre l’impatto ambientale, riducono anche i costi di produzione: gli investimenti hanno infatti riguardato soprattutto l’acquisto di macchinari a basso consumo, la riduzione di imballi e l’uso di materiali riciclati.

Seguono interventi di riqualificazione energetica degli edifici e l’installazione di pannelli fotovoltaici. Per l’introduzione o l’utilizzo di tecnologie o sistemi finalizzati alla riduzione dell’impatto ambientale, le piccole imprese sono ricorse nella maggior parte dei casi a risorse proprie (41,7%), oppure utilizzando il credito (23%) o forme di finanziamento o di incentivo pubblico (20,1%).

Ma quali sono le motivazioni che spingono a questi investimenti? Per l’87,4% delle piccole imprese intervistate è necessario che il sistema-Paese punti sulla green economy. Di queste, il 59,2% soprattutto per contribuire di più alla protezione dell’ambiente, il 24% soprattutto per allinearsi agli altri Paesi competitor e il 16,8% soprattutto per aumentare le occasioni di profitto delle aziende.

Francesca SCARABELLI

Caldo e siccità, produzione agricola in forte calo

Dati a dir poco preoccupanti quelli derivanti dalla stima effettuata dal primo monitoraggio della Coldiretti in occasione dell’arrivo di Minosse. Ammonterebbero infatti a oltre 400 milioni di euro i danni provocati alle coltivazioni agricole dalla siccità che con il grande caldo provocato da tre anticicloni sta “soffocando” da oltre un mese l’Italia.

Il mais – spiega Coldiretti – è la coltura agricola più colpita con le piante appassite in decine di migliaia di ettari che non potranno neanche essere raccolte nelle regioni del nord, ma danni pesanti sono stimati anche per il pomodoro destinato alla trasformazione industriale con un crollo del 20% in media sulla produzione attesa”.

La Coldiretti sottolinea che “a soffrire sono anche le verdure e la frutta per effetto della cosiddetta evapotraspirazione (la perdita di acqua dal terreno e dalle piante). Le coltivazioni infatti in questa fase stagionale si trovano in un momento critico di sviluppo e hanno bisogno dell’acqua per completare il ciclo produttivo. Il caldo ha pesanti effetti anche – continua la Coldiretti – nel mondo animale: nelle stalle si registra un crollo delle produzioni del 10% per effetto dello stress a cui sono sottoposte le mucche. L’afa e le temperature hanno tolto l’appetito anche ai maiali che stanno consumando fino al 40% in meno della consueta razione giornaliera di 3,5 chili di mangime” conclude.

Tra le regioni più colpite dalla siccità c’è l’Emilia Romagna. La Cia prevede perdite di produzione dal 30 al 60%. “I danni da siccità sono, purtroppo, ormai un dato di fatto anche in Emilia Romagna, soprattutto nel versante centro orientale” spiega l’associazione rimarcando che il caldo torrido e l’assenza di piogge stanno mettendo in ginocchio l’agricoltura: “i danni alle colture sono ingenti e la situazione sta peggiorando” precisano gli agricoltori.

“Le risorse idriche non sono sufficienti a coprire il fabbisogno d’acqua e le campagne sono le prime ad essere colpite dagli effetti disastrosi di questo caldo torrido – precisa la Cia – dove a subire le conseguenze peggiori sono soprattutto il mais, oltre ad altre coltivazioni estensive come soia, girasole e, anche se in misura minore, sorgo da granella”.

Trentino, il turismo come risorsa chiave

Trentino, una regione che può vantare una vastissima offerta turistica, in grado di soddisfare le esigenze più diverse, sia durante la stagione estiva che in quella invernale. Ma quali sono i numeri del settore? Lo abbiamo chiesto all’assessore al turismo della Provincia autonoma di Trento, Tiziano Mellarini.

Che tipo di turista attira la regione? Di che età e nazionalità?

Il Trentino, con la sua proposta a 360°, è in grado di intercettare un target molto ampio sia in termini di età sia di provenienza. Il nostro territorio è soprattutto un ambiente montano, ma questo concetto non si risolve solamente con l’equazione montagna=sci. Senza considerare che il nostro territorio presenta qualcosa come trecento laghi. Si tratta di una realtà molto più variegata che ci regala tante opportunità per lo sport e per il relax, sempre con la natura al centro. Allo stesso modo anche chi ricerca una vacanza di tipo enogastronomico o culturale è accontentato, grazie alla grande varietà di prodotti che comunicano gusto e salubrità e ad una fitta rete di castelli e di musei che impreziosiscono il territorio, fra i quali spiccano il Mart, il Castello del Buonconsiglio, il Museo degli Usi e Costumi della Gente Trentina, il Museo delle Scienze e Le Gallerie di Piedicastello.
Il tutto è completato da un sistema di accoglienza all’avanguardia con un competitivo rapporto qualità/prezzo. Va comunque sottolineata una tendenza affermatasi negli ultimi anni, che vede sempre il turista ricercare nella vacanza tutti questi requisiti.
Per quanto riguarda la nazionalità del turista tipo, negli ultimi anni stiamo assistendo ad una crescita degli stranieri, provenienti soprattutto dai nuovi mercati (Europa dell’est), che stanno scoprendo il Trentino anche d’estate. Nei mesi invernali invece la presenza straniera da anni è molto forte e radicata. La Germania anche nel 2011 si è confermata primo mercato estero di riferimento.
Quantitativamente, vince il turismo estivo o quello invernale?
L’estate 2011 ha fatto registrare 2 milioni 730 mila arrivi, a fronte di 18 milioni 530 mila presenze, mentre la stagione invernale si è attestata a 2 milioni 220 mila arrivi, con 11 milioni di presenze. Si tratta di dati complessivi, che tengono conto di alberghi, seconde case, agritur, b&b ed alloggi privati. Già da qualche anno si punta a destagionalizzare l’offerta turistica, in modo da rendere il territorio appetibile per 12 mesi all’anno, sfruttando tutte le potenzialità offerte dallo stesso.

Come sta andando la stagione rispetto allo scorso anno?

I dati relativi alla stagione in corso ovviamente non sono ancora disponibili. La preoccupazione per l’attuale periodo di congiuntura economica, che ovviamente si ripercuote anche sul turismo, c’è, ma nonostante tutto possiamo timidamente ipotizzare una sostanziale tenuta rispetto all’estate 2011.

Quali sono le iniziative messe in campo per promuovere la cultura e le tradizioni della regione? I principali appuntamenti da qui a settembre?

Fra i tanti progetti messi in campo mi preme citare l’Arte della Vacanza, un progetto – o meglio un contenitore – che racchiude al proprio interno iniziative ed appuntamenti di eccellenza che da primavera ad autunno animano l’intero territorio trentino. Si tratta di eventi che coniugano arte, storia, cultura e ambiente. Gli appuntamenti clou dell’estate sono sicuramente rappresentati da I Suoni delle Dolomiti, un festival di musica in quota che da ormai 18 anni porta sulle vette più belle, per l’appunto le Dolomiti Patrimonio naturale dell’Umanità, gli artisti più noti a livello nazionale ed internazionale come scrittori, cantanti, musicisti ed attori.

Francesca SCARABELLI

Oscar Green 2012, a Perugia i premi all’agricoltura italiana

Anche l’Italia ha i suoi Oscar. Anche se non comprendono un red carpet di star e statuette scintillanti. A Perugia Coldiretti ha premiato i vincitori degli “Oscar Green 2012”, gli Oscar dell’agricoltura. Trenta le aziende in lizza in Umbria, per le piccole e medie imprese vincitrici la possibilità di accedere alla  selezione nazionale dove verranno scelti i tre finalisti per ogni categoria.

L’iniziativa, promossa da Giovani Impresa Coldiretti Umbria, ha lo scopo di premiare le eccellenze in un settore, come quello dell’agricoltura italiana che ha un’incidenza sul PIL nazionale di circa il 2%, senza contare che l’intera filiera agro-industriale rappresenta circa il 15% del valore dell’economia italiana.

Numerose le categorie premiate da Coldiretti: si va da “Stile e cultura d’impresa”, un riconoscimento alla filosofia aziendale dell’impresa,  cheè stato conferito a “Terre del Subasio” di Spello di Tiziano Bocciolini, premio conquistato grazie alla presenza, nell’azienda stessa, di un asilo nido per bambini da 0 a 36 mesi e di un servizio di spazio gioco per bambini da 1 a 6 anni.

Agricoltura è anche sinonimo di ricerca e sperimentazione. Francesca Luigetti dell’azienda “La Contea di Laviano” ha ricevuto il premio “Non solo agricoltura” per il suo impegno nella ricerca e nell’utilizzo di tecnologie all’avanguardia per il miglioramento del modello produttivo aziendale.

Per la categoria “Esportare il territorio” ha vinto l’Oscar al made in Italy Roberto Proietti della società agricola “Torre Bisenzio” di Allerona (Tr), perchè capace di valorizzare al meglio le eccellenze umbre, chianina, olio e vino, in Europa e negli Sati Uniti.

Curioso il progetto “Granarium: dove il grano diventa pane”: Gian Piero Lucarelli di Bevagna ha realizzato una filiera agricola umbra completa secondo sistemi innovativi e insoliti di produzione. Ha tenuto bene a mente il detto benedettino ‘ora et labora’  padre Renato Carini dell’abbazia di San Pietro di Assisi, che ha ricevuto il premio menzione speciale “Paese amico” per un progetto nazionale di orti urbani, realizzato proprio all’interno di un monastero benedettino.

Un premio a Km zero per il Mercato di Campagna amica di Perugia: il mercato più grande dell’Umbria, presenta tra i suoi banchi una vera e propria “macelleria mobile” per la vendita diretta della carne bovina Igp di razza chianina per iniziativa del Consorzio produttori carne bovina pregiata delle razze italiane (Ccbi) di Perugia, accreditato alla Fondazione Campagna amica. Insomma la campagna è davvero per tutti i gusti.

 

Il Made in Italy sotto il microscopio di Leonardo

E’ stata presentata in Campidoglio la ricerca IPSOS “Nuovi mercati e Made in Italy: cosa pensano di noi”. L’indagine, resa nota in occasione dell‘XI Forum annuale del Comitato Leonardo, è stata condotta tra gli Opinion Leader di Russia, Brasile e Malesia.

Il tema riguardava l’analisi della percezione dei fattori di debolezza e di potenziale miglioramento del Made in Italy con l’obiettivo di verificarne i margini di crescita dei settori tradizionali e di quelli più innovativi.

A commissionare la ricerca il Comitato Leonardo, nato nel 1993 su iniziativa comune di Sergio Pininfarina e Gianni Agnelli, di Confindustria, dell’ICE e di un gruppo d’imprenditori con l’obiettivo di promuovere ed affermare la “Qualità Italia” nel mondo. Il Comitato associa oggi oltre 150 eccellenze, tra le quali 116 aziende il cui fatturato complessivo, nell’ultimo anno, ha superato i 300 miliardi di euro, con una quota all’estero pari al 53%.

La ricerca ha confermato enormi potenzialità per le produzioni italiane, ma ha anche evidenziato come solo i settori tradizionali (le quattro A) risultino trasversalmente associati al Made in Italy. Gli altri comparti sono conosciuti esclusivamente dagli opinion leader più informati.

Il rischio è che i brand italiani vengano considerati sempre più come entità separate da un concetto di italianità o di “Made in Italy”. Oltre a fattori “culturali” e “istituzionali”, altri elementi strutturali frenano lo sviluppo del Made in Italy:

  • il limitato supporto finanziario-assicurativo e la mancanza di strumenti finanziari adeguati che favoriscano i rapporti e offrano linee di credito che accompagnino la crescita della domanda
  • la forte incidenza dei dazi doganali
  • la necessità di rafforzare le relazioni politico-diplomatiche
  • la semplificazione delle procedure normative e burocratiche 

Sarà necessaria un’evoluzione del sistema imprenditoriale italiano ed un approccio più maturo ed evoluto all’export: sviluppo di servizi connessi anche nelle zone più remote, maggiore attenzione alla cultura locale, diversificazione dell’offerta per rendere il Made in Italy più accessibile a target di fascia media, senza perdere la propria identità.

Il Made in Italy è un valore aggiunto – ha sottolineato Luisa Todini, Presidente del Comitato Leonardo – che tutto il Sistema Paese deve saper sfruttare per la conquista di nuovi mercati e il consolidamento non solo nei settori tradizionali. Non è un caso che gli italiani siano apprezzati all’estero per creatività, qualità e capacità innovativa, spesso più degli altri competitor. Le aziende devono fare la loro parte, ma hanno bisogno di un maggiore sostegno istituzionale, non solo finanziario, soprattutto tramite incentivi fiscali e semplificazioni burocratiche“.

La Presidente del Comitato Leonardo ha poi messo in evidenza l’esigenza di rafforzare la presenza della aziende italiane all’estero: “ facendo sistema e organizzandoci a filiera: se avessimo una grande distribuzione italiana saremmo i primi al mondo in molti settori di largo consumo. Ma dobbiamo saper essere anche attrattivi verso le multinazionali, gli investitori e i talenti di ogni genere, ben vengano quei grandi gruppi stranieri o i fondi sovrani che vogliono investire nei nostri marchi mantenendo know-how e attività produttive nel nostro Paese: è la testimonianza della forza del nostro made in”.

Il Made in Italy – ha concluso il Presidente di Confindustria Giorgio Squinzi – è una questione di interesse nazionale. Il consumatore globale associa il Made in Italy alla “Qualità”. E’ questo il segno distintivo del nostro brand nazionale sul quale dobbiamo continuare ad investire per intercettare la domanda dei mercati internazionali, sia di quelli avanzati, sia di quelli emergenti” che ha poi precisato “l’affermazione delle nostre eccellenze nel mondo necessita certamente di azioni immediate, inserite in una strategia complessiva di più lungo periodo volta a garantirne l’efficacia e la sostenibilità. L’unitarietà e la coesione del Sistema-Paese nel suo complesso è la condizione necessaria per la promozione, ma anche il sostegno all’internazionalizzazione delle imprese, la tutela legale della proprietà intellettuale e industriale, il rispetto di regole commerciali sottoscritte e condivise a livello multilaterale e l’abbattimento delle barriere tariffarie e tecniche che impediscono al Made in Italy di dispiegare appieno tutto il suo potenziale“.

Quali sono allora gli strumenti su cui puntare per sostenere il Made in Italy all’estero?

  • introdurre modalità di promozione e di strumenti finanziari di accompagnamento
  • puntare su accordi bilaterali di libero scambio
  • combattere la contraffazione
  • identificare le priorità geografiche e settoriali
  • definire una programmazione pluriennale di politica estera economica

L’Agenzia ICE – ha evidenziato infine Riccardo Maria Monti, Presidente dell’Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane  – intende contribuire a dare sempre maggiore visibilità internazionale alle attività del Comitato Leonardo, adottando tre linee di azione: dare ulteriore impulso alle attività del Premio all’estero, puntare su innovazione e high-tech, mobilitare le eccellenze Italiane in chiave di attrazione degli investimenti”.

 

Mantova: nuovi finanziamenti per sicurezza e sostenibilità

La Camera di Commercio di Mantova mette a disposizione 150.000 euro di contributi a fondo perduto destinati alle aziende del territorio che decidano di investire in sicurezza e sostenibilità.

Potranno partecipare al bando tutte le aziende iscritte al Registro delle imprese con sede legale o unità operativa in provincia di Mantova, che rientrino nella definizione di micro, piccola e media impresa.

Il bando di finanziamento è esteso anche alle imprese mantovane situate in uno dei comuni delle province limitrofe colpite dal sisma del maggio 2012, che avranno diritto alla priorità nell’assegnazione dei contributi.

Per ricevere il finanziamento occorrerà dimostrare che gli investimenti realizzati con il contributo della Camera di Commercio siano finalizzati alla sostenibilità ambientale e sicurezza sul lavoro. Potranno essere finanziati gli investimenti sostenuti dal 02/01/2012 al 30/11/2012.

Nel dettaglio in materia di sicurezza le PMI potranno beneficiare di contributi per spese sostenute riguardanti:

perizie sulla resistenza ai sismi degli edifici adibiti ad attività di impresa, effettuati da professionisti abilitati, finalizzate, se opportuno e ove necessario, a definire un piano d’intervento sugli immobili per la riduzione dei rischi di danni strutturali da eventi sismici

adeguamento attrezzature e macchinari a requisiti di sicurezza (griglie, schermi di protezione, sistemi di protezione anticaduta, antincendio, antifurto, ecc.)

acquisto attrezzature e macchinari nuovi, dotati delle necessarie certificazioni di prodotto e conformi agli standard di sicurezza previste dalla legge, legati a:

  • attività di produzione, esclusi i trattori per le imprese agricole;
  • attività di logistica, esclusi gli automezzi e mezzi di trasporto su strada;
  • impianti di prevenzione inceni

In materia ambientale invece, l’accesso ai contributi riguarda:

• l’installazione e posa in opera di impianti che riducono, all’interno e all’esterno dell’azienda, l’impatto ambientale del processo produttivo in termini di emissioni d’aria, acqua, rifiuti e rumori

• installazione e posa in opera di tecnologie che favoriscono il risparmio di materie prime o l’utilizzo di materie prime meno inquinanti o sostanze non pericolose, riduzione degli scarti di lavorazione, la trasformazione degli scarti/rifiuti in materie riutilizzabili all’interno del ciclo produttivo

• tecnologie che consentano la riduzione di peso, la multifunzionalità, il riutilizzo degli imballaggi

• interventi di rimozione/smaltimento eternit (esclusi costi per interventi di nuova copertura)

Non sono ammesse nel bando spese per acquisto di beni immobili, IVA e altre imposte e tasse, interventi forniti da imprese con le quali la richiedente abbia rapporti di controllo, di partecipazione finanziaria, o amministratori, consiglieri e rappresentanti legali in comune, spese sostenute “in economia”, con proprio personale aziendale e/o utilizzando mezzi propri, spese di manutenzione ordinaria, riparazioni e altre tipologie di spesa non attinenti alle finalità del bando.

Il contributo riconoscibile è a fondo perduto, pari al 25% delle spese sostenute (al netto dell’IVA) e documentate sino ad un massimo di 5.000 euro per singola misura.

Le domande di contributo devono essere presentate esclusivamente con invio telematico accessibile dal sito www.mn.camcom.gov.it alla sezione Promozione e finanziamenti – Bandi di finanziamento e agevolazioni – Domande telematiche.

La data ultima per la presentazione della domanda è fissata al 10/08/2012 salvo chiusura anticipata del bando per esaurimento dei fondi disponibili .