Partite Iva forfettarie, conviene utilizzare la fattura elettronica?

Quanto e perché conviene utilizzare la fattura elettronica per le partite Iva a regime forfettario? Ad oggi, non è ancora obbligatorio l’utilizzo della fattura elettronica per i lavoratori autonomi che aderiscono al regime fiscale agevolato. Ma chi la utilizza, anche se non obbligato, ha potuto notare dei vantaggi sia in termini pratici che fiscali e contabili. In attesa dell’obbligatorietà dell’adozione della fattura elettronica ai soggetti che, ad oggi, non risultano tenuti a emettere, ricevere e conservare le fatture in formato elettronico, vediamo quali sono le possibili convenienze.

Fattura elettronica, come e quando arriverà l’obbligo anche per le partite Iva a regime forfettario?

Le partite Iva a regime forfettario finora non hanno dovuto adeguarsi all’obbligatorietà dell’emissione, della ricezione e della conservazione delle fatture in formato elettronico. Tuttavia, tra le misure in arrivo per contrastare l’evasione fiscale e le frodi nelle attività professionali e imprenditoriali, anche per i forfettari arriverà tale obbligo. Ottenuto l’ok dall’Europa, infatti, si attende il provvedimento (che potrebbe essere il decreto di delega fiscale) e la data a partire dalla quale le partite Iva forfettarie dovranno adeguarsi al nuovo metodo di contabilizzazione.

Fattura elettronica, si può continuare a utilizzare il formato cartaceo?

In attesa che arrivi il provvedimento che sancisca l’obbligatorietà della fattura elettronica anche alle partite Iva del forfettario, l’adozione del formato elettronico rimane una scelta facoltativa, a differenza dei soggetti che vi sono già obbligati. Diversamente, chi non è obbligato può continuare a emettere fatture nella modalità cartacea. Ma l’utilizzo della fattura elettronica, grazie al formato Xml, permette di beneficiare di alcuni vantaggi sia dal punto di vista fiscale che contabile.

Passare alla fattura elettronica, quali sono i vantaggi fiscali?

La scelta di passare alla fattura elettronica può comportare, anche per le partite Iva a regime forfettario, dei vantaggi fiscali. Proprio per i forfettari si riducono i termini per l’accertamento. Infatti, l’utilizzo di strumenti elettronici per gestire l’emissione delle fatture, aiuta l’accertamento di quanto dovuto ai fini dell’Iva, contrastando l’evasione anche di tutte le altre imposte inerenti l’attività professionale o imprenditoriale. Risulta necessario integrare lo strumento con gli incassi e i pagamenti in maniera tracciabile. Pertanto, chi sceglie la modalità elettronica delle fatture ha diretto alla riduzione di due anni dei termini di accertamento. E la riduzione vale sia per l’Iva che per tutte le altre imposte sui redditi dell’impresa o del lavoro autonomo.

Fattura elettronica e pagamenti tracciabili: di cosa si tratta?

I vantaggi fiscali connessi all’utilizzo della fattura elettronica anche per le partite Iva a regime forfettario sono conseguibili purché si utilizzino mezzi di pagamento tracciabili, sia in entrata che in uscita. In particolare, la tracciabilità dei pagamenti è richiesta per le operazioni di imposto eccedente i 500 euro. Si procede inviando le fattura in formato Xml al Sistema di interscambio (Sdi) e gestendo i relativi pagamenti solo con mezzi tracciabili. Sono ammissibili, dunque, le carte di credito, i bonifici e tutti gli altri strumenti tracciabili. Risulta escluso, ovviamente, il denaro contante.

Passare alla fattura elettronica, quali sono i vantaggi contabili?

Dal punto di vista contabile, il passaggio dalla fattura cartacea alla fattura elettronica permette di ottenere vantaggi dal punto di vista contabile sintetizzabili nella comodità di utilizzare strumenti al passo con i tempi. Infatti, molti fornitori e soggetti preferiscono emettere e ricevere fatture nel formato elettronico, soprattutto per la comodità di poter gestire volumi e quantitativi elevati di documenti mensili. Chi si interfaccia, pertanto, con questi soggetti potrebbe trovare vantaggioso adeguarsi al formato Xml e al Sistema di interscambio (Sdi) per regolarne i rapporti.

Fattura elettronica, conviene passare subito al modello Xml?

Il passaggio alla fattura elettronica subito, inoltre, potrebbe inoltre risultare utile alle partite Iva che ancora non utilizzano il formato Xml ad essere pronte nel momento in cui lo strumento diventerà obbligatorio. In tal senso, si può utilizzare il periodo facoltativo di utilizzo della fattura elettronica per “prendere confidenza” con il Sistema di interscambio. Si potrebbe evitare di riscontrare problemi operativi ed errori quando il formato elettronico diventerà obbligatorio.

Come si passa alla fattura elettronica?

Il passaggio dalla fattura tradizionale alla fattura elettronica è facilitato dalla scelta di uno dei tanti software che il mercato mette a disposizione per l’invio, la ricezione e la gestione della documentazione. Molti dei software sono inoltre gratuiti e, a tal fine, si possono utilizzare i servizi messi a disposizione dall’Agenzia delle entrate. Per prendere confidenza con il sistema dell’Agenzia delle entrate è necessario andare sul portale “Fatture e corrispettivi” oppure utilizzare l’applicazione mobile “FatturAE”. Grazie alle due piattaforme si possono predisporre le fatture in formato elettronico (Xml), senza dover spendere nulla. Per le partite Iva a regime forfettario è necessario indicare in fattura il codice natura “N2.2”. Si tratta infatti di operazioni che non sono soggette all’Iva.

 

 

Contributi a fondo perduto per le imprese, i bandi delle regioni

Tre bandi arrivano dalle regioni per i contributi a fondo perduto a favore delle piccole e medie imprese in ambito di green economy, di digitalizzazione delle imprese e di ricerca e sviluppo. Oltre ai contributi, le imprese potranno richiedere finanziamenti a tasso zero o agevolati. La Regione Campania ha approvato un bando da 20 milioni di euro per la ricerca e lo sviluppo delle Pmi; la Liguria finanzia fino a 10 mila euro per la digitalizzazione; l’Emilia Romagna riapre il Fondo Energia.

Contributi a fondo perduto delle regioni, la Campania finanzia la ricerca e lo sviluppo delle Pmi

La Regione Campania ha approvato il bando che riserva 20 milioni di euro di contributi a fondo perduto per sostenere la ricerca e lo sviluppo delle imprese regionali. Ammesse a partecipare al bando sono le micro, le piccole e le medie imprese. I progetti, per essere ammessi, devono realizzare il trasferimento tecnologico e l’industrializzazione. Le spese ammissibili vanno da un minimo di 400 mila euro a un massimo di due milioni di euro. Per finanziare la spesa è necessario attendere la notifica di avvenuta concessione dell’incentivo.

Bando Regione Campania contributi a fondo perduto imprese: quali spese sono ammissibili?

I progetti di ricerca e sviluppo industriale ammesse agli incentivi, permettono di finanziare le spese ammissibili nelle seguenti percentuali:

  • al 70% per le piccole imprese che presentino progetti di ricerca industriale;
  • al 60% per le medie imprese per finanziare progetti di ricerca industriale;
  • del 45% per le piccole imprese che avviino progetti di sviluppo sperimentale;
  • del 35% per le medie imprese per i progetti di sviluppo sperimentale.

Bando incentivi piccole e medie imprese Regione Campania, come inviare la domanda?

Per i progetti di industrializzazione sono previsti contributi a fondo perduto rispettivamente del 50% e del 60% a seconda che si tratti di medie imprese o di micro e piccole imprese. Per inviare la domanda di partecipazione al bando, le imprese dovranno utilizzare l’indirizzo di posta elettronica certificata (Pec) e inoltrare l’istanza alla Regione Campania. La scadenza del bando è fissata alle ore 12:00 del 20 aprile prossimo.

Bando Regione Liguria, contributi per 10 mila euro a favore della digitalizzazione

A partire dal prossimo 27 aprile le piccole e medie imprese della Regione Liguria potranno inviare domanda di partecipazione al bando regionale sulla digitalizzazione. Gli incentivi sono concessi nella formula del contributo a fondo perduto, in regime de minimis, e finanziano fino al 60% le spese ammissibili. Sono due gli ambiti di spesa:

  • l’incremento del livello della digitalizzazione delle imprese;
  • l’innovazione dei modelli organizzativi e della distribuzione di vendita.

Bando incentivi imprese Liguria, quali spese sono ammissibili?

Le spese ammissibili del bando della Regione Liguria per le piccole e medie imprese comprendono:

  • acquisto di software, licenze, brevetti e programmi informatici;
  • l’acquisto di hardware;
  • costi di consulenze;
  • spese per implementare i sistemi innovativi in azienda.

L’incentivo può essere richiesto dalle imprese per un ammontare di 10 mila euro, da un minimo di spesa di 5 mila euro. Sono ammissibili a incentivo gli investimenti effettuati a partire dal 1° gennaio 2022. Le domande potranno essere presentate dal 27 aprile fino al 16 maggio 2022.

Bando Emilia Romagna per i contributi a fondo perduto delle imprese, riapre il Fondo Energia

Tra i finanziamenti concessi dalle regioni, l’Emilia Romagna riapre il Fondo Energia. Si tratta di presentare la domanda per ottenere gli incentivi del Fondo in questione. Ammesse all’agevolazioni le piccole e medie imprese che puntano allo sviluppo sostenibile con obiettivi di efficienza energetica e di utilizzo dell’energia rinnovabile. Gli incentivi consistono in finanziamenti a tasso zero fino al 70% della spesa ammissibile; il restante 30% può essere finanziato con tassi agevolati.

In cosa consistono i finanziamenti del bando Emilia Romagna per l’energia?

I finanziamenti dell’Emilia Romagna per l’efficienza energetica consiste in un mutuo chirografario con una durata dai 3 anni ai 96 mesi. È previsto un periodo di preammortamento di 12 mesi. L’importo minimo richiedibile è di 25 mila euro. Quello massimo è di 750 mila euro. È prevista anche la formula del contributo a fondo perduto, ma nella misura massima del 12,5% del complessivo ammesso a incentivo.

Quali spese si possono finanziare con i contributi della Regione Emilia Romagna?

Le spese che le imprese della Regione Emilia Romagna potranno finanziare sono nell’ordine:

  • l’acquisto di attrezzature, macchinari e impianti;
  • di hardware, compressa l’installazione;
  • acquisto di software e di relative licenze.

Le imprese potranno presentare domanda fino alle ore 16:00 del 23 maggio prossimo mediante procedura a sportello. Inoltre, le domande sono ammissibili fino alla capienza delle risorse stanziate.

Per svolgere più attività servono più partite Iva?

Per svolgere più attività serve una sola o più partite Iva? Ovvero si possono svolgere due o anche più attività con una sola partita Iva? E quali adempimenti devono essere ottemperati per procedere? Si tratta del caso di imprenditori o di liberi professionisti che hanno già una partita Iva individuale, ma che potrebbero decidere di aggiungere una nuova attività. Ad esempio, chi ha un’attività di commercio elettronico potrebbe pensare di aggiungere anche l’attività di social media manager. Oppure si può avviare una partita Iva con più attività.

Si possono svolgere due o più attività con un’unica partita Iva?

In tutti questi casi, la risposta è positiva. Ovvero si possono svolgere più attività autonome con la medesima partita Iva. Anche se le attività risultano molto diverse tra di loro. Il titolare della partita Iva dovrà naturalmente prestare attenzione alla posizione fiscale e agli adempimenti richiesti per le due attività. La scelta, inoltre, può avvenire sia all’atto dell’apertura della partita Iva sia, come avviene spesso, nel corso della propria carriera lavorativa. In tutte e due i casi è occorrente soddisfare specifici adempimenti burocratici, con la scelta o l’aggiunta di uno o di più codici Ateco. Pertanto, se il lavoratore autonomo ha già un codice Ateco per la propria attività e partita Iva, ne può aggiungere un altro o più di uno.

Partita Iva, la scelta del codice Ateco: cosa è necessario sapere?

La scelta del codice Ateco è il primo adempimento che deve essere svolto all’atto dell’apertura della partita Iva. Si tratta di un codice numerico classificato dall’Istat in collaborazione con la Camera di Commercio, con l’Agenzia delle entrate e con gli enti preposti alle pratiche amministrative relative alle imprese. Lo scopo è quello di classificare e identificare le attività professionali ed economiche, sia a fini fiscali che statistici.

Codice Ateco, come procedere con la scelta?

Ogni attività professionale ed economica ha un proprio codice Ateco. La scelta deve già avvenire all’atto dell’apertura della partita Iva. Il lavoratore autonomo deve conoscere a quale codice Ateco corrisponde la propria attività e inserirla nel momento in cui compili il modello AA9/12. Lo stesso avviene se all’apertura della partita Iva il contribuente voglia indicare più codici Ateco che corrispondano a due o a più attività professionali che il richiedente intende svolgere. Non vi sono, in generale, dei limiti alla scelta delle attività che un lavoratore autonomo voglia portare avanti, anche contemporaneamente. L’attenzione deve essere risposta al possesso di tutti i requisiti professionali richiesti.

Come aggiungere un codice Ateco a una partita Iva già aperta?

Un altro codice Ateco, corrispondente a una seconda attività che il lavoratore autonomo voglia svolgere, può essere inserito anche in un momento successivo rispetto a quello di apertura della partita Iva. Può trattarsi di un’attività secondaria rispetto a quella principale per la quale il contribuente aveva aperto in passato la partita Iva, ad esempio. Anche per aggiungere un codice Ateco alla partita Iva è necessario compilare il modulo AA9/12. Può essere, inoltre, necessario fornire informazioni sulla sede dell’attività alla Camera di commercio, all’Inps o al Comune.

Si paga per aggiungere un codice Ateco a una partita Iva già esistente?

Si devono sostenere dei costi per aggiungere un codice Ateco corrispondente a un’altra attività a una partita Iva già esistente? In linea generale, la risposta è negativa, ovvero l’aggiunta del codice Ateco tramite il modello AA9/12 è del tutto gratuita. Ciò avviene quando non è necessario procedere con l’iscrizione alla Camera di commercio. Se invece si tratta di un’attività commerciale o artigianale, è occorrente procedere con la richiesta di variazione anche alla Camera di commercio e all’Agenzia delle entrate. I costi, consistenti nell’acquisto di una marca da bollo e dai diritti di segreteria, ammontano a 17,50 euro e a 18 euro.

A cosa fare attenzione all’aggiunta di un codice Ateco a una partita Iva?

Come già detto, in linea generale non vi sono limiti all’aggiunta di un codice Ateco a una partita Iva. E quindi a svolgere più attività autonome contemporaneamente. L’attenzione deve essere posta da alcune categorie professionali e alla compatibilità delle attività economiche svolte e da svolgere e, dunque, dei codici Ateco. Ad esempio, alcune attività professionali che necessitano l’iscrizione a un ordine professionale (gli ingegneri, i commercialisti, gli architetti), difficilmente potranno condurre più attività in contemporanea avendo già quella principale. Anche gli agenti immobiliari non possono svolgere l’attività di mediazione creditizia. Risulta indispensabile, pertanto, verificare la compatibilità dell’attività o delle attività secondarie rispetto a quella principale.

Contributi a fondo perduto fino al 60% investimenti Pmi: in Gazzetta la nuova agevolazione

In arrivo i nuovi contributi a fondo perduto per le micro e le piccole e medie imprese (Pmi) per gli investimenti innovativi e sostenibili per favorire la trasformazione tecnologica e digitale di impresa. È stato infatti pubblicato nella Gazzetta Ufficiale numero 78 del 2 aprile 2022 il decreto legge del 10 febbraio scorso che assegna agevolazioni alle Pmi in conto impianti con agevolazioni che possono arrivare al 60% delle spese ammissibili. Le risorse messe a disposizione per la misura ammontano a 678 milioni di euro. I contributi sono concessi dal ministero per lo Sviluppo Economico (Mise) nell’ambito degli investimenti delle imprese manifatturiere e di servizi che operano su tutto il territorio italiano.

Contributi in conto capitale alle piccole e medie imprese dal Mise: gli obiettivi degli investimenti

I contributi in conto capitali sono concessi dal Mise a favore delle piccole e medie imprese per contrastare e superare la crisi generata dall’emergenza Covid. Sono ammissibili le spese per gli investimenti volti a realizzare nuove unità produttive oppure ad ampliare quelle già esistenti. Gli investimenti devono essere in linea i principi della tutela ambientale e della transizione digitale, in coerenza con il piano Transizione 4.0. In particolare, i programmi di spesa devono facilitare la transizione verso l’economia circolare e la sostenibilità energetica.

Contributi per gli investimenti di tutela ambientale e transizione digitale: le risorse a disposizione delle Pmi

A disposizione delle piccole e medie imprese ci sono 678 milioni di euro, dei quali:

  • 428 milioni di euro andranno alle imprese della Sicilia, della Sardegna, Della Puglia, del Molise, della Campania, della Calabria, della Basilicata e dell’Abruzzo;
  • 250 milioni di euro andranno a favore delle imprese delle altre regioni.

Contributi per gli investimenti delle imprese, quali possono richiederli?

Il primo fattore di ammissibilità di richiesta specificato nel decreto è che le imprese proponenti debbano non essere in difficoltà alla data del 31 dicembre 2019. Il regime di contabilità richiesto è quello ordinario, con due o più bilanci depositati oppure due dichiarazioni dei redditi se la richiesta proviene da società di persone o da ditte individuali. Le imprese dovranno poi dimostrare che le spese siano volte alla transizione verso l’economia circolare e all’ottimizzazione della sostenibilità energetica. In quest’ultimo caso, il miglioramento energetico da attestare deve essere pari ad almeno il 10% rispetto ai consumi dell’anno prima rispetto al giorno di presentazione dell’istanza.

Quali spese sono ammissibili per i contributi in conto capitale delle piccole e medie imprese?

Le spese ammissibili per richiedere i contributi in conto capitale delle piccole e medie imprese comprendono:

  • le attrezzature, i macchinari e gli impianti;
  • le opere murarie nel limite del 40% del totale delle spese ammissibili;
  • i programmi informatici, le licenze, l’acquisto di certificazioni ambientali.

Si tratta pertanto di spese relative alle immobilizzazioni materiali e immateriali, obbligatoriamente nuovi di fabbrica. Inoltre, deve trattarsi di beni ammortizzabili e capitalizzati, figuranti nell’attivo dello stato patrimoniale dell’impresa che richiede i contributi. L’investimento deve essere mantenuto per non meno di tre anni.

Quali programmi di investimento devono essere perseguiti dalle imprese richiedenti i contributi del Mise?

I programmi di spesa e di investimento delle piccole e medie imprese che richiedono i contributi in conto capitale del ministero per lo Sviluppo Economico devono avere un importo di non meno di 500 mila euro e non eccedente la cifra di 3 milioni di euro per le regioni del Sud Italia; per le altre regioni, i limiti sono rispettivamente 1 milione di euro e 3 milioni di euro. In base agli obiettivi produttivi, gli investimenti dovranno garantire l’ampliamento della capacita di produzione delle imprese e la diversificazione; l’ottenimento di prodotti mai fabbricati in precedenza mediante i nuovi investimenti; il cambiamento dei processi produttivi rispetto a quelli già adottati dall’impresa oppure la realizzazione di nuove unità produttive.

Come vengono distribuiti i contributi in conto capitale per gli investimenti alle imprese?

I contributi in conto capitale vengono distribuiti alle imprese seguendo determinate percentuali. In particolare:

  • per le imprese di quattro regioni del Sud Italia (Sicilia, Campania, Calabria e Puglia) sono finanziati il 60% delle spese sostenute dalle micro e piccole imprese e il 50% per le medie imprese;
  • le imprese situate in Sardegna, Molise e Basilicata possono ottenere il contributo sul 50% delle spese se si tratta di micro e di piccole imprese. Il contributo scende al 40% per le medie imprese;
  • infine per tute le altre regioni italiane, il contributo è fissato al 35% per le micro e piccole imprese e al 25% per le medie imprese.

Contributi alle Pmi dal  ministero per lo Sviluppo Economico: come inviare la domanda?

La gestione dei contributi in conto capitale a favore delle piccole e medie imprese è a carico di Invitalia. Si dovrà attendere un successivo decreto del ministero per lo Sviluppo Economico che fisserà i termini e le modalità con le quali le imprese potranno inviare le domande di agevolazione.

Bonus 750 euro per bici, monopattini e rimborso bus: domanda dal 13 aprile

Si potranno presentare dal 13 aprile 2022 le domande per il bonus bici, monopattini e rimborso abbonamenti bus, senza alcun limite di reddito dei richiedenti. Le agevolazioni sono riconosciute ai soggetti che dal 1° agosto al 31 dicembre 2020 hanno sostenuto spese per acquistare mezzi e servizi di mobilità a zero emissioni rottamando un veicolo di categoria M1. Questi ultimi sono veicoli costruiti per trasportare fino a 8 persone, oltre al posto del conducente. Il bonus si concretizza in un credito di imposta che può essere richiesto anche per il rimborso degli abbonamenti al trasporto pubblico.

Bonus mobilità sostenibile 2022, chi può fare richiesta del credito di imposta?

Il bonus mobilità sostenibile 2022 è previsto dal decreto legge numero 34 del 2020 (cosiddetto decreto “Rilancio). Il comma 1 septies dell’articolo 44 del provvedimenti chiarisce che il bonus consiste in un credito di imposta che può arrivare fino a 750 euro da riconoscere ai soggetti che, negli ultimi cinque mesi del 2020, hanno sostenuto spese per acquistare:

  • bici, e-bike e monopattini elettrici;
  • servizi sharing di mobilità elettrica condivisa o sostenibile;
  • abbonamenti ai trasporti pubblici.

Bonus bici, e-bike e monopattini: è richiesta la rottamazione

La presentazione delle domande di bonus e di rimborso ha il limite dello stanziamento delle risorse, pari a 5 milioni di euro. Per beneficiare del bonus è necessaria la rottamazione. Questa deve essere avvenuta contestualmente all’acquisto di un veicolo di categoria M1 (autovetture) previsto dalla normativa. L’acquisto del veicolo deve essere con emissioni di CO2 da 0 a 110 grammi per chilometro e può essere stato effettuato anche nel mercato dell’usato.

Come presentare domanda per il credito di imposta sull’acquisto di bici e monopattini elettrici?

Per presentare la domanda del bonus bici e monopattini elettrici c’è tempo dal 13 aprile al 13 maggio 2022. È necessario comunicare all’Agenzia delle entrate l’acquisto effettuato. Può essere lo stesso contribuente o il suo commercialista a compilare il modulo disponibile nell’area personale del portale dell’Agenzia delle entrate per richiedere il bonus. Nel modello deve essere riportato l’importo speso per l’acquisto e il credito di imposta richiesto.

Bonus mobilità sostenibile 2022, la risposta arriva dall’Agenzia delle entrate

Una volta inviata la domanda di richiesta del bonus, l’Agenzia delle entrate rilascia una ricevuta entro 5 giorni di presa in carico dell’istanza. Nel caso di rifiuto della domanda, si riceve una comunicazione dell’Agenzia delle entrate dove vengono indicate le motivazioni. Nel mese utile per presentare la domanda si possono inviare anche più richieste: l’ultima inviata sostituisce le precedenti.

Come utilizzare il credito di imposta del bonus bici e monopattini elettrici?

Il credito di imposta fino a 750 euro del bonus bici e monopattini elettrici può essere utilizzato solo in sede di dichiarazione dei redditi a sottrazione delle imposte dovute. Il limite per usufruire del credito di imposta è fissato al periodo di imposta del 2022. Sulla base delle domande pervenute e accettate, nel limite dei 10 giorni successivi alla scadenza delle domande (quindi entro il 23 maggio 2022), l’Agenzia delle entrate stilerà una graduatoria dei soggetti ammessi al credito di imposta con la relativa percentuale di bonus riconosciuta.

 

Contributi volontari: quanto si paga, ritardi e deducibilità

Quanto si paga per i contributi versati volontariamente ai fini della pensione? E i contributi versati periodicamente possono essere deducibili? Sono queste alcune delle domande che si pongono i contribuenti nel momento in cui vogliano produrre richiesta di autorizzazione al versamento volontario dei contributi. Sicuramente il costo dei contributi da versare rappresenta uno degli aspetti sui quali si riflette maggiormente. Leggiamo quanto costa versare i contributi in maniera volontaria.

Quanto costa versare i contributi volontariamente ai fini della pensione?

Il costo da sostenere per versare i contributi volontari ai fini della pensione si calcola sulla retribuzione media percepita nell’ultimo anno nel quale si è lavorato. Per i lavoratori dipendenti (non appartenenti al settore agricolo), l’importo da pagare si determina applicando l’aliquota contributiva prevista per ciascun anno, alla retribuzione media percepita nelle 52 settimane antecedenti il giorno di presentazione dell’istanza. Non si paga più, come in passato, in base alle classi di contribuzione determinate dal decreto legislativo numero 184 del 1997.

Versamento dei contributi volontari, come si determina la retribuzione minima settimanale?

La determinazione della retribuzione minima settimanale ai fini del versamento dei contributi volontari si determina secondo quanto prevede il comma 1, dell’articolo 7, della legge numero 638 del 1983. Il calcolo, pertanto, consiste nell’applicazione del 40% sull’importo del trattamento minimo stabilito per il 1° gennaio di ciascun anno. In base all’indice Istat per il calcolo della retribuzione minima settimanale utile al calcolo dei contributi volontari, l’importo del 2022 è corrispondente a 210,15 euro. Tale importo è ottenuto applicando il 40% alla pensione minima che per il 2022 è pari a 525,38 euro.

Contributi volontari di lavoratori dipendenti, quanto si paga?

Per i lavoratori dipendenti, il calcolo di quanto si versa una volta ottenuta l’autorizzazione per i contributi volontari tiene conto dell’aliquota contributiva del 33%. Pertanto, se un contribuente ha percepito 20 mila euro nei 12 mesi di retribuzione precedenti alla presentazione della domanda, l’importo da pagare per i contributi volontari è pari a 6.600 euro all’anno. I contributi, dunque, si calcolano applicando il 33% a 20 mila euro. Il che corrisponde a un importo di 1.650 euro a trimestre e di 126,92 a settimana.

Contributi volontari, non si possono fare ritardi nel pagamento per non perdere il beneficio

Ai fini del pagamento dei contributi volontari, i soggetti non possono pagare nemmeno con un giorno di ritardo, pena la perdita dell’accredito del trimestre corrispondente che rimane pertanto scoperto. Il pagamento effettuato anche con un solo giorno di ritardo rispetto a quando previsto provoca il mancato riconoscimento del periodo di accredito con conseguente restituzione di quanto versato. In tal caso, il contribuente può chiedere che il pagamento in ritardo di un trimestre sia valido per il trimestre susseguente.

Contributi volontari, quali sono le scadenze per pagare?

Dunque, se il contribuente paga in ritardo i contributi scadenti il 30 giugno e relativi ai mesi di gennaio, febbraio e marzo, in alternativa può chiedere che quanto pagato sia utile per il trimestre successivo, ovvero per i mesi di aprile, maggio e giugno da pagare entro il 30 settembre. Il primo trimestre, in ogni modo, rimane vacante da contributi volontari. In linea generale, i versamenti dei contributi volontari devono essere effettuati entro le scadenze del:

  • 30 giugno per i mesi di gennaio, febbraio e marzo (1° trimestre dell’anno);
  • 30 settembre per i mesi di aprile, maggio e giugno (2° trimestre dell’anno);
  • 31 dicembre per i mesi di luglio, agosto e settembre (3° trimestre dell’anno);
  • 31 marzo per i mesi di ottobre, novembre e dicembre dell’anno prima (4° trimestre dell’anno).

Deduzione o detrazione dei contributi volontari ai fini della pensione?

Il versamento dei contributi volontari produce una deduzione e non a una detrazione. Ovvero, un abbattimento del reddito complessivo. Pertanto, la deduzione permette di non pagare l’Irpef sulle spese relative. Nel caso della detrazione, invece, si ha diritto a uno sconto sull’Irpef da versare in base alla percentuale dello sconto stesso. I contributi versati volontariamente sono peraltro deducibili anche se versati a favore dei famigliari fiscalmente a carico (ad esempio, il coniuge).

Contributi previdenziali partite Iva: regole, scadenze e importi da pagare

Per i lavoratori autonomi che hanno una partita Iva per un’attività professionale o imprenditoriale vige l’obbligo di pagare i contributi all’Inps (o, in alternativa, alle Casse previdenziali di appartenenza). Lo stesso vale per i commercianti e gli artigiani, per i lavoratori dello spettacolo e gli sportivi professionisti. Quali sono le regole che i possessori di partita Iva devono seguire nei versamenti dei contributi previdenziali? E le scadenze e gli importi da pagare? Ecco una guida aggiornata per l’adempimento previdenziale dei lavoratori autonomi.

Contributi previdenziali delle partite Iva: cosa sono?

Il versamento dei contributi previdenziali dei lavoratori autonomi e possessori di partita Iva assicura gli assicurati dall’evento che non possano più esercitare la propria attività lavorativa perché non più idonei. I contributi vanno versati periodicamente e sono basati essenzialmente sul reddito prodotto nel corso della propria attività lavorativa. Quando il lavoratore autonomo non sarà più idoneo a proseguire la propria attività lavorativa, quando versato in forma di contributi previdenziali verrà restituito sotto forma di assegno temporaneo o di vitalizio.

Partite Iva, l’obbligatorietà di versare i contributi previdenziali per la pensione o per altre indennità

Essenzialmente, i contributi previdenziali versati dalle partite Iva sono spesso legati alla maturazione della pensione di vecchiaia o di altre formule di uscita anticipata dal lavoro. In ogni modo, i contributi previdenziali coprono anche altre altre indennità, come quella di maternità e l’invalidità. Il versamento dei contributi previdenziali da parte dei lavoratori autonomi è sempre obbligatorio. Tuttavia, a seconda della tipologia di attività esercitata, possono essere versati all’Inps oppure alle Casse previdenziali di appartenenza, nel caso in cui la propria attività professionale vi possa rientrare.

Cosa versano le partite Iva all’Inps di contributi previdenziali?

I contributi previdenziali che le partite Iva versano all’Inps o alle altre gestioni speciali sono chiamati “Contributi Ivs“. L’acronimo significa “invalidità, vecchiaia e superstiti”. Versano i contributi all’Inps varie categorie di lavoratori autonomi. Ad esempio, i professionisti con partita Iva ma privi di una Cassa previdenziale di appartenenza. Oppure i commercianti e gli artigiani, o gli imprenditori. Versano i contributi previdenziali all’Inps anche i lavoratori dello spettacolo e gli sportivi professionisti che appartengono alla gestione ex Enpals. Tutte le categorie hanno regole ben precise di versamento dei contributi, cosi come delle scadenze e dei criteri per la determinazione di quanto pagare.

Versamento dei contributi previdenziali all’Inps: la Gestione separata

La Gestione separata dell’Inps è la principale attività previdenziale dedicata a determinate categorie di professionisti e di lavoratori autonomi. Tutte le partite Iva hanno l’obbligo di iscriversi alla Gestione separata nel termine dei 30 giorni successivi alla data di apertura dell’attività. Lo stesso obbligo vige anche per i professionisti che esercitano una attività in maniera abituale, anche se non esclusiva. Per i professionisti, l’iscrizione alla Gestione separata dell’Inps è in alternativa a quella di una Cassa professionale previdenziale, nel caso sia prevista. Ad eccezione dei commercianti e degli artigiani, nella Gestione separata Inps non sono previsti dei contributi fissi da versare obbligatoriamente annualmente.

Partite Iva e lavoratori autonomi, quando si versano i contributi previdenziali alla Gestione separata Inps?

Partite Iva e lavoratori autonomi versano i propri contributi previdenziali a giugno e a novembre di ciascun anno. Il versamento coincide con il pagamento delle imposte, rispettando le scadenze previste dal meccanismo del saldo e dell’acconto. I versamenti previdenziali dipendono, in percentuale, dai compensi e dai redditi prodotti durante l’anno. Il massimo dei versamenti effettuabili per il 2022 è fissato in 105.014 euro. Esiste anche un minimale che consente di ottenere l’accredito di un intero anno di contributi. Per il 2022 il minimale è fissato a 16.243 euro.

Aliquote applicate per il versamento dei contributi delle partite Iva e dei lavoratori autonomi

Le aliquote applicate per il versamento dei contributi delle partite Iva e dei lavoratori autonomi sono state aggiornate per l’anno 2022. Ai professionisti con partita Iva, nono iscritti ad altre gestioni obbligatorie o risultanti pensionati è applicata l’aliquota del 26,23%; i pensionati e gli iscritti ad altre forme previdenziali obbligatorie versano contributi per il 24%. Nelle aliquote sono già inclusi i versamenti a titolo di assistenza pari, come gli anni scorsi, allo 0,72%. Per tutte le percentuali, l’Inps ha emesso la circolare numero 25 del 2022.

Contributi previdenziali di commercianti e artigiani: come funziona?

I contributi previdenziali versati dai commercianti e dagli artigiani si dividono in fissi e a percentuale. I contributi fissi sono determinati annualmente sul reddito minimale e sono da versare obbligatoria. Per la determinazione provvede l’Inps con circolare annuale. I contributi a percentuale si calcolano, invece, sul reddito eccedente il minimale di reddito all’anno e devono essere pagati con la stessa cadenza delle imposte. Le aliquote contributive di finanziamento dell’anno 2022 sono le seguenti:

  • il 24% per i soggetti che abbiano oltre i 21 anni di età;
  • il 22,8% per chi è sotto i 21 anni di età;
  • riduzione del 50% dei contributi per chi ha oltre i 55 anni di età e sia già pensionato.

Commercianti e artigiani, che cos’è l’aliquota previdenziale aggiuntiva dello 0,48%?

Oltre ai contributi previdenziali, si versa un’aliquota aggiuntiva fissata per il 2022 allo 0,48% che serve a finanziare gli indennizzi nei casi di cessazione delle attività commerciali. L’indennità, in questo caso, viene corrisposta nel caso in cui non siano stati raggiunti i requisiti per la pensione. Per redditi superiori ai 48.279 euro, l’aliquota è pari a un punto percentuale. Le scadenze previste per il versamento delle rate contributive sono fissate annualmente al 16 maggio, al 20 agosto, al 16 novembre e al 16 febbraio (dell’anno successivo).

Sportivi professionali e lavoratori dello spettacolo, quali contributi previdenziali si pagano all’Inps?

I lavoratori dello spettacolo e gli sportivi professionali versano i contributi previdenziali all’Inps, dopo la soppressione dell’Enpals. Sono due i fondi previsti, rispettivamente: il Fondo pensione dei lavoratori dello spettacolo (Fpls) e il Fondo pensione degli sportivi professionisti (Fpsp). La percentuale contributiva è pari al 33% delle retribuzioni minime giornaliere. Il calcolo tiene conto che una parte della percentuale previdenziale è a carico del datore di lavoro e l’altra del lavoratore. I committenti devono presentare denuncia dei contributi versati mediante modello F24.

Fattura elettronica per tutti e due anni di scivolo flat tax: le misure in arrivo con la delega fiscale

Obbligo di fattura elettronica per tutti, anche per le partite Iva a regime forfettario, e scivolo di due anni per chi supera i 65 mila euro di tetto di reddito della flat tax: sono due tra le principali novità contenute negli emendamenti alla legge fiscale. Il provvedimento contiene anche lo stop all’Irap per gli studi associati e la diminuzione dell’Irpef tagliando gli sconti fiscali e detrazioni trasformate in accrediti diretti sui conti correnti dei contribuenti (cashback fiscale). Inoltre, troverà attuazione la “mensilizzazione” progressiva dei saldi e degli acconti dei lavoratori autonomi e, principalmente, per i soggetti Isa con l’addio alla ritenuta d’acconto.

Flat tax per le partite Iva a regime forfettario, arriva lo scivolo di due anni: cosa significa?

Nel testo della legge fiscale rielaborato al ministero dell’Economia e delle Finanze entra la novità dello scivolo di due anni della flat tax. Alle partite Iva a regime forfettario che superino il tetto annuale dei compensi e dei ricavi di 65 mila euro si applicherebbe un’altra aliquota piatta, in ogni caso superiore a quella del 15%. L’aliquota non potrà essere superiore a un limite che dovrà essere specificato nel decreto legislativo.

Fattura elettronica per tutti, anche per le partite Iva a regime forfettarie

Con la legge fiscale dovrebbe arrivare anche l’obbligo di fattura elettronica esteso a tutti i soggetti, anche a quelli finora esenti. In particolare, alle partite Iva a regime forfettario che finora erano rimaste fuori dall’emissione delle fattura in modalità digitale. La novità vede le forze politiche d’accordo, compreso il ministero dell’Economia e delle Finanze, per una misura che si preannuncia come necessaria per la lotta all’evasione fiscale. Tra le misure accompagnatorie dell’obbligo della fattura elettronica, anche l’emissione degli scontrini telematici e l’utilizzo delle banche dati per la lotta all’evasione.

Legge fiscale, ecco le altre misure in arrivo

Tra le altre misure in arrivo con la legge delega, anche l’abolizione dell’Irap per gli studi associati. Il superamento dell’Imposta regionale sulle attività produttive avverrà in maniera progressiva e riguarderà anche le società di persone e le società di professionisti. L’abolizione dell’Irap non dovrà generare, in ogni modo, aumenti delle addizionali per i dipendenti e per i pensionati.

Cashback fiscale, il rimborso subito sui conti correnti dei contribuenti

Trova spazio nella legge fiscale anche il cashback fiscale. Si tratta del rimborso sui conti correnti dei contribuenti delle detrazioni di imposta. Condizione essenziale per il rimborso è che le relative spese dovranno essere state effettuate con modalità di pagamento tracciabili. Il rimborso avverrà in tempi celeri anche mediante l’utilizzo di applicazioni che già hanno funzionato per altre finalità, come l’App Io.

Lavoratori autonomi soggetti Isa, versamenti mensili e stop alla ritenuta

La legge fiscale apre ai versamenti mensili dei saldi e degli acconti per i lavoratori autonomi e in particolare dai soggetti Isa. Si tratterà di un sistema di “progressiva mensilizzazione”dei pagamenti con lo stop alla ritenuta d’acconto. Nulla cambia nel sistema attuale dei calcoli dei saldi e degli acconti. Il meccanismo non dovrà produrre dei costi per la finanza pubblica.

Pensione, come versare i contributi volontari per chi ha perso il lavoro?

Come avvicinare la pensione con il versamento dei contributi volontari? E quali sono i requisiti richiesti per quanti hanno perduto il lavoro e non trovano un’altra occupazione? Si tratta di una situazione ricorrente nella quale continuare a versare i contributi volontari, in molti casi, rappresenta l’unica possibilità per arrivare al trattamento pensionistico. Tuttavia, è necessario distinguere i lavoratori autonomi da quelli dipendenti in merito all’autorizzazione (e quindi ai requisiti) per procedere con il versamento dei contributi volontari.

Lavoratori autonomi, chi può versare i contributi volontari per accorciare la via della pensione?

Per ottenere l’autorizzazione a versare i contributi volontari dei lavoratori autonomi iscritti all’Inps è occorrente che:

  • i commercianti e gli artigiani abbiano già versato almeno 5 anni di contributi effettivi riferiti a qualunque periodo della propria vita. In alternativa, possono essere stati versati anche 3 anni di contributi nei 5 anni precedenti la domanda nella quale si chiede di poter versare i contributi volontari;
  • per i coloni, i mezzadri e i coltivatori diretti è necessario aver versato almeno 5 anni di contributi in tutta la vita assicurativa. In alternativa, i contributi giornalieri sono pari a 279 per gli uomini e a 186 per le donne e i giovani nei 5 anni che precedono la domanda nella quale si chiede di poter versare i contributi volontari.

Lavoratori dipendenti e parasubordinati, quando possono richiedere il versamento dei contributi volontari?

Per i lavoratori parasubordinati, la possibilità di richiedere i contributi volontari è vincolata ad avere un anno di contributi versato nei 5 anni precedenti al momento in cui si presenta domanda di autorizzazione a versare i contributi volontari stessi. Per i lavoratori dipendenti, invece, l’autorizzazione a versare i contributi volontari è subordinata all’aver versato 5 anni di contributi effettivi, in qualunque epoca lavorativa. Oppure, in alternativa, aver provveduto ai versamenti contributivi per tre anni degli ultimi 5 che precedono la richiesta stessa.

Casi particolare di domanda di contributi volontari per arrivare prima alla pensione

I lavoratori domestici, nel caso di lavoro alle dipendenze, possono in alternativa al meccanismo dei 5 anni di versamenti o dei 3 degli ultimi 5 anni, aver versato 156 contributi settimanali. Chi svolge un lavoro part time, purché dal 1997 in poi, può richiedere il versamento dei contributi volontari se ha versato almeno un anno di contributi nei 5 che precedono la domanda di autorizzazione. In questo caso specifico, l’autorizzazione al versamento dei contributi volontari può essere ottenuta anche se il rapporto di lavoro risulti ancora in corso. Non è necessaria dunque la cessazione del rapporto di lavoro.

Richiesta di versare i contributi volontari per i lavoratori stagionali

Per i lavoratori stagionali, la domanda di autorizzazione all’Inps per il versamento dei contributi volontari può avvenire a condizione che siano stati versati contributi per almeno un anno nei 5 che precedono la presentazione dell’istanza stessa. Il lavoro può essere svolto in maniera stagionale, temporanea e discontinua, ma relativamente solo ai periodi non coperti da contributi obbligatori o figurativi successivi al 31 dicembre 1996. Per i lavoratori stagionali l’Inps rilascia l’autorizzazione con decorrenza successiva al termine oppure alla sospensione del lavoro.

Quando avviene l’autorizzazione al versamento dei contributi volontari per la pensione?

L’autorizzazione al versamento dei contributi volontari ai fini della pensione può essere rilasciata dall’Inps solo nel caso ci sia stata cessazione o interruzione del rapporto di lavoro. Per i lavoratori alle dipendenze, tale autorizzazione perviene a partire dal primo sabato susseguente ala presentazione dell’istanza. Per i lavoratori autonomi, invece, l’autorizzazione parte dal primo giorno del mese di presentazione della domanda.

Cosa avviene se la domanda di versare i contributi volontari viene presentata prima della cessazione del lavoro?

Diverso è il caso in cui il contribuente presenti la domanda di autorizzazione a versare i contributi volontari prima che cessi il rapporto di lavoro. In questo caso, se si tratta di lavoratore alle dipendenza, la decorrenza coincide con il primo sabato successivo alla cessazione del rapporto di lavoro. Per i commercianti e gli artigiani, la decorrenza parte dal primo giorno del mese susseguente alla cancellazione degli elenchi professionali.

Caso di un artigiano che richieda di poter versare i contributi volontari per arrivare alla pensione

Spesso mancano davvero pochi anni per arrivare alla pensione. Ad esempio, un artigiano iscritto all’Inps che abbia l’età intorno ai 60 anni e oltre 40 di contributi versati, alla chiusura della propria attività può richiedere di versare i contributi volontari. Lo può fare, alle condizioni descritte, per arrivare ad esempio alla pensione anticipata. Per l’uscita prima rispetto alla pensione di vecchiaia occorrono 42 anni e 10 mesi di contributi. Al raggiungimento dei requisiti contributivo, l’artigiano potrà andare in pensione, a prescindere dall’età anagrafica.

Partita Iva, quale scegliere tra ditta individuale e Srl a socio unico?

Quale scelta per le partite Iva tra la ditta individuale e la società a responsabilità limitata unipersonale? Quest’ultima formula piace sempre di più, soprattutto per la possibilità di scegliere la semplificazione dei costi di costituzione. Ma non sempre è la situazione ottimale. Anche se negli ultimi anni si è verificata una crescita delle società a responsabilità limitata a socio unico nel panorama delle imprese italiane. La motivazione principale risiede nel fatto che le micro e piccole imprese hanno necessità di una forma più strutturata di società rispetto alla partita Iva o alle società di persone.

Partite Iva, ditta individuale o società a responsabilità limitata unipersonale? I motivi della scelta

Tuttavia, non sempre la scelta di una società a responsabilità limitata a socio unico risulta premiante nei confronti della ditta individuale per chi voglia avviare un’attività e non abbia soci. Non vi è una regola generale che valga bene in tutti i casi, ma è necessario analizzare i vantaggi e gli svantaggi della scelta. In primo luogo nel conferimento iniziale e nel capitale sociale.

I conferimenti iniziali nel caso di ditta individuale e Srl a socio unico

Il primo parametro da prendere in considerazione per la costituzione di una società a responsabilità limitata unipersonale rispetto a una ditta individuale sono i conferimenti iniziali. In quest’ultima formula non vi sono dei conferimenti richiesti per la formazione del capitale sociale. Cosa che invece avviene nel caso di Srl a socio unico. Il capitale sociale, infatti, rappresenta una garanzia aggiuntiva nei confronti dei terzi con i quali l’impresa andrà a rapportarsi, oltre ad avere una utilità in termini produttivi.

Società a responsabilità limitata unipersonale, le garanzie verso clienti, fornitori e banche

Ciò è tanto verso quanto la possibilità per i clienti, i fornitori e per le banche di avere a disposizione della Srl unipersonale delle informazioni su:

  • il capitale sociale versato dai soci nella Srl come capitale di rischio;
  • i bilancio depositati;
  • lo storico dell’andamento economico dell’impresa.

La garanzia verso i terzi risulta rafforzata, inoltre, dal fatto che già in sede di costituzione della società a responsabilità limitata a socio unico vi sia l’obbligo di conferimento in denaro all’atto della sottoscrizione dell’atto. O in sede di aumento del capitale sociale. Le Srl con più soci, invece, all’atto costitutivo possono versare solo il 25% del conferimento in denaro.

Partita Iva e Srl a socio unico: la responsabilità dell’uno e dell’altro per le insolvenze

Nel caso della partita Iva individuale, il titolare risponde delle insolvenze verso i terzi con tutto il proprio patrimonio personale. La partiva Iva è dunque soggetto al rischio di impresa. Ciò non succede per le società a responsabilità limitata unipersonale. Infatti, la Srl risponde solo limitatamente al capitale investito purché i conferimenti iniziali e quelli successivi del capitale sociale siano stati integralmente versati alla costituzione della società o in sede di aumento del capitale sociale stesso.

Partite Iva, quanto costa aprire una ditta individuale o una Srl a socio unico?

Sui costi di costituzione, il vantaggio è per la ditta individuale rispetto alla società a responsabilità limitata a socio unico. Infatti, nel primo caso non è necessario l’atto notarile iniziale. Si procede con la pratica di apertura, più soft e da inoltrare agli enti interessati. La contabilità della ditta individuale risulta, inoltre, semplificata. Per la Srl a socio unico, invece, è previsto l’obbligo dell’atto pubblico iniziale nonostante non ci sia la pluralità dei soci. Inoltre, vige l’obbligo di conferimento del capitale iniziale. La contabilità è ordinaria e ciò comporta dei costi amministrativi più alti rispetto alla ditta individuale. Si risparmiano dei costi solo nel caso della Srl semplificata unipersonale: l’atto di costituzione notarile non comporta, in questo caso, dei costi.

Ditta individuale e società a responsabilità limitata a socio unico: quale tassazione è prevista?

Nella scelta tra ditta individuale e società a responsabilità limitata unipersonale la differenza fondamentale la fa sicuramente la tassazione. Per la ditta individuale è possibile adottare il regime forfettario di partita Iva, con tassazione fissa al 5% o al 15%. Ma si può scegliere anche il regime ordinario di partita Iva, con tassazione Irpef a scaglioni e aliquote dal 23% al 43% in base al volume di reddito all’anno. In più vanno versati i contributi previdenziali obbligatori. Per la Srl a socio unico è necessario, invece, versare la tassazione Irap e Ires sugli utili prodotti alla fine dell’anno contabile. Inoltre, si deve procedere con i versamenti dei contributi previdenziali obbligatori. Infine, sui dividenti percepiti la tassazione è del 26%.