Economia e Italia nel 2017, le previsioni della Cgia

Che 2017 aspetta l’economia italiana? Ha provato a prevederlo l’Ufficio studi della Cgia, secondo il quale quello appena iniziato sarà un anno tra luci e ombre.

Senza contare eventuali manovre correttive, la pressione fiscale dovrebbe calare dello 0,3%, attestandosi al 42,3%, mentre il Pil dovrebbe aumentare di circa l’1%. Sul fronte dell’occupazione si attendono circa 112mila occupati in più e 84mila disoccupati in meno.

I livelli pre-crisi restano ancora lontani. La Cgia ricorda come, stando ai dati di contabilità nazionale pubblicati dall’Istat il 23 settembre scorso e relativi al Pil e alle previsioni di Prometeia sugli scenari delle economie locali relativi a ottobre 2016, dovremmo recuperare l’8,7% di Pil perso tra il 2007 e il 2013 solo nel 2024.

L’Ufficio studi della Cgia segnala che nel 2016 l’economia italiana è scesa ai livelli del 2000, ovvero di 16 anni fa. I consumi delle famiglie, invece, che a causa della crisi sono crollati del 7,6%, saranno recuperati entro il 2021. Peggio va al 28% circa di investimenti bruciati in questi anni, che saranno recuperati non prima del 2032.

Preoccupante anche la situazione relativa al mercato del lavoro. La Cgia ricorda infatti che, se tra il 2007 e il 2013 il tasso di disoccupazione è quasi raddoppiato, passando dal 6,1 al 12,1%, le previsioni delle dinamiche occupazionali dell’Istat e di Prometeia stimano che il livello dei senza lavoro, attualmente all’11,5% circa, dovrebbe ritornare al 6% solo nel 2032, mentre i livelli di occupazione pre-crisi saranno raggiunti entro un paio d’anni (2018-2019).

Secondo il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia Paolo Zabeo, “sebbene le tasse siano destinate a scendere grazie, in particolar modo, alla riduzione dell’Ires che interesserà solo le società di capitali e l’occupazione è destinata ad aumentare in virtù della fiducia ritrovata tra i piccoli imprenditori, la ripresa economica del nostro Paese rimane ancora molto debole e ben al di sotto della media Ue. Se nel 2017, come riportano le ultime previsioni economiche elaborate dalla Commissione europea, il nostro Pil dovrebbe attestarsi attorno all’1%, in Ue, invece, è destinato a toccare l’1,6%. Tra tutti i 28 Paesi dell’Unione, solo la Finlandia registrerà quest’anno una crescita più contenuta della nostra”.

Occupazione, le micro imprese ci credono

Eppur qualcosa si muove, sul fronte dell’ occupazione. Almeno per quello che riguarda le piccole e micro imprese italiane. L’ultimo dato relativo al mese di novembre 2016 evidenzia che in queste realtà l’ occupazione è cresciuta dello 0,7% rispetto a ottobre, del 3,2% rispetto a novembre 2015 e dello 6,7% rispetto a dicembre 2014.

Questi dati sull’ occupazione sono corroborati dalle analisi dell’Osservatorio Cna che, osservando i numeri relativi a un campione di oltre 20mila aziende, rilevano come la crescita avvenuta da gennaio e novembre è il risultato della sensibile diminuzione delle cessazioni (-8,6%), che supera di molto il calo delle assunzioni, fermo al -4,5%.

In ogni caso, l’ occupazione nelle piccole e micro imprese è figlia soprattutto della crescita dei contratti a tempo determinato (+9,6%) e di apprendistato (+23,1%), dal momento che quelli a tempo indeterminato sono crollati di quasi il 40% (-39,7%).

Nonostante questo, secondo l’Istat il trend di crescita dell’ occupazione dovrebbe comunque proseguire. L’occupazione, misurata in unità standard di lavoro, dovrebbe crescere di circa il 2% tra il 2017 e il 2019 (+2,5% nel settore privato). Numeri confermati anche dal Centro Studi di Confindustria, che prevede una crescita dell’occupazione nel 2017-2019.

Italia schiava della pessima Pa

La palla al piede dell’Italia? Sicuramente la burocrazia, ma anche la Pubblica amministrazione non scherza: secondo la denuncia dell’Ufficio studi della Cgia, la sua inefficienza costa oltre 30 miliardi di euro all’anno di mancata crescita.

La nota della Cgia si basa su uno studio realizzato dal Fondo Monetario Internazionale dal quale emerge che se la nostra Pa avesse in tutta Italia la stessa qualità nella scuola, nei trasporti, nella sanità, nella giustizia, etc. che ha nei migliori territori del Paese, il Pil nazionale aumenterebbe di 2 punti, oltre 30 miliardi di euro all’anno.

Il forte divario esistente tra il Nord e Sud del Paese sulla qualità/quantità dei servizi erogati dalla nostra Pa, emerge anche dall’analisi dell’Ufficio studi della CGIA su dati relativi a un’indagine condotta dall’Ue sulla qualità della Pa a livello territoriale.

Rispetto ai 206 territori rilevati dallo studio, ben 7 regioni del Mezzogiorno si collocano nelle ultime 30 posizioni: la Sardegna al 178esimo posto, la Basilicata al 182esimo, la Sicilia al 185esimo, la Puglia al 188esimo, il Molise al 191esimo, la Calabria al 193esimo e la Campania al 202esimo posto. Solo Ege (Turchia), Yugozapaden (Bulgaria), Istanbul (Turchia) e Bati Anadolu (Turchia), presentano un dato peggiore della Pa campana.

Tra le realtà meno virtuose troviamo anche il Lazio, che si piazza al 184esimo posto della graduatoria generale. Tra le migliori 30 regioni europee, invece, non c’è nessuna amministrazione pubblica del nostro Paese.

La prima, la Provincia autonoma di Trento, si colloca al 36esimo posto della classifica generale della Pa. La Provincia autonoma di Bolzano al 39esimo, la Valle d’Aosta al 72esimo e il Friuli Venezia Giulia al 98esimo. Appena al di sotto della media Ue troviamo al 129esimo posto il Veneto, al 132esimo l’Emilia Romagna e di seguito tutte le altre.

Questa classifica, segnala l’Ufficio studi della Cgia, è tarata su un indice di qualità che è il risultato di un mix di quesiti posti ai cittadini che riguardano la qualità dei servizi pubblici ricevuti, l’imparzialità con la quale vengono assegnati e la corruzione.

Il risultato finale è un indicatore di qualità della Pa che varia dal +2,781 ottenuto dalla regione finlandese Åland (primo posto in Ue) al -2,658 della turca Bati Anadolu (maglia nera al 206esimo posto). Il dato medio Ue è pari a zero.

Nella classifica generale la Pa italiana si colloca al 17esimo posto su 23 Paesi analizzati. Solo Grecia, Croazia, Turchia e alcuni Paesi dell’ex blocco sovietico presentano un indice di qualità della Pa inferiore al nostro. A guidare la classifica, invece, sono le Pa dei Paesi del nord Europa (Danimarca, Finlandia, Svezia, Paesi Bassi, etc.).

Dichiara il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia Paolo Zabeo: “Dagli inizi degli Anni ’90 ad oggi sono state ben 18 le riforme che hanno interessato la nostra Pa. Sebbene le aspettative fossero molte, in tutti questi anni i risultati ottenuti sono stati deludenti. In molti settori la qualità dei servizi erogati ai cittadini e alle imprese è diminuita e nonostante l’avvento del web ci permetta di scaricare molti documenti dal computer di casa, le code agli sportelli, ad esempio, sono aumentate. L’Istat denuncia che, rispetto al 2015, dopo 20 minuti di attesa presso gli uffici comunali dell’anagrafe, oggi la fila si è idealmente allungata di 11 persone e agli sportelli delle Asl addirittura di 18”.

Dalla Cgia, comunque, precisano che sebbene i dati medi non siano particolarmente brillanti, la nostra Pa presenta delle punte di eccellenza in molti settori che non hanno eguali nel resto d’Europa, come la sanità al Nord, le forze dell’ordine e molti centri di ricerca e istituti universitari”.

Stesso canone, stessa rapina

Pessime notizie sul fronte canone Rai: resta tutto come lo scorso anno. Salvo la diminuzione di 10 euro dell’importo (da 100 a 90), il canone continuerà a essere addebitato nella bolletta elettrica, in base alla presunzione che chi ha un’utenza nella residenza anagrafica ha anche un apparecchio tv.

Affitto, una scelta di vita

In Italia, chi va in affitto e perché? Lo ha determinato un’analisi condotta dall’Ufficio Studi del Gruppo Tecnocasa sui contratti di affitto stipulati attraverso le agenzie Tecnocasa e Tecnorete nel primo semestre 2016 sul territorio nazionale.

L’analisi evidenzia che nella maggioranza dei casi si opta per un affitto per scelta abitativa (61,3%), mentre il 35% del campione lo fa per motivi di lavoro e il 3,9% per motivi di studio. Rispetto al primo semestre del 2015 queste percentuali sono rimaste sostanzialmente invariate, con una leggera diminuzione della percentuale di affitto legato allo studio, che passa dal 4,6% all’attuale 3,9%.

Il contratto di locazione più utilizzato rimane quello a canone libero da 4 anni più 4 (66,4%); da segnalare però un netto aumento della percentuale nella stipula di contratti a canone concordato da 3 anni più 2 (22,9% contro il 18% del 2015 ed il 13,9% del 2014).

Il taglio più richiesto in locazione è il bilocale (40,5%), seguito dal trilocale con il 35,6%.

Molto elevata la percentuale di single che cercano casa in locazione: sommando celibi/nubili, separati/divorziati e vedovi, la percentuale rilevata arriva al 61,3%.

Il turismo di Capodanno

Nessuna sorpresa per il turismo di Capodanno, almeno in Italia. Stando a Federalberghi, quasi un italiano su 3 ha deciso di passare il Capodanno in montagna, per un totale di circa 7,3 milioni di persone contro i 6,2 dello scorso anno (+18,9%).

L’83% di chi si è mosso per Capodanno è rimasto in Italia (era l’80% nel 2015), mentre il 17% ha scelto l’estero. Naturalmente, il Capodanno italiano è in montagna per eccellenza, anche se la percentuale di chi ci è andato è calata al 30% dal 36% dello scorso anno.

Seguono gli italiani che hanno scelto per Capodanno una città diversa da quella di residenza (27% rispetto al 24% del 2015), quelli che hanno puntato sulle città d’arte (27% contro 23%) e sul mare (7% come lo scorso anno).

La maggior parte di chi si è mosso per Capodanno alloggia in casa di parenti o amici (32% rispetto al 31% del 2015); vengono poi gli hotel (28% contro 32%), i B&B (14% contro 13%) e gli appartamenti in affitto (7% contro 5%).

Cala leggermente il numero delle notti trascorse fuori casa rispetto a un anno fa: 3,9 notti contro 4,1. Nonostante questo, la spesa media pro-capite per alloggio, i trasporti, cibo e divertimenti è rimasta invariata rispetto a un anno fa: 596 euro, frutto di una media tra i 489 spesi da chi è rimasto in Italia e i 1063 da chi si è recato all’estero.

In compenso, il giro d’affari è cresciuto a 4,4 miliardi di euro, quasi un quinto più dello scorso anno (+18,9%).

Imprese italiane stabili nel 2016

Come è stato il 2016 per le imprese italiane in termini di nati-mortalità? I conti li ha fatti la Camera di commercio di Milano su dati del registro delle imprese al terzo trimestre 2016 e 2015.

L’analisi ha evidenziato che, con 297mila sedi d’impresa attive (5,7% del totale nazionale), Milano si colloca al secondo posto nella classifica delle province italiane per numero di imprese, dopo Roma che ne ha 350mila (6,8%), ma prima per numero di addetti con 1,9 milioni (12% nazionale) contro gli 1,5 (9,3%) di Roma che è seconda. Al terzo posto ci sono Napoli per imprese (234mila, 4,5%) e Torino per addetti (717mila, 4,4%).

Il totale nazionale delle imprese è stabile a 5,2 milioni, grazie al rafforzamento delle città maggiori: a Roma +1,3%, a Milano +1,3%, a Napoli +1,8%.

La Camera di commercio meneghina ha poi focalizzato l’attenzione sulle realtà del territorio e ha rilevato che crescono dell’1,3% a Milano tra il 2015 e il 2016, contro una sostanziale stabilità sia lombarda (+0,2%) sia italiana (+0,1%). Crescono anche gli addetti, +4,2%, passando da 1.866.151 a 1.945.265.

Tra i settori che pesano di più a Milano, si trovano le attività commerciali (75mila aziende), le costruzioni (40mila) le attività immobiliari (30mila) e manifatturiere (29mila) mentre tra i principali settori crescono soprattutto le attività di istruzione (+5,6%), noleggio e supporto alle imprese (+5,1%), finanziarie e assicurative (+4%) e l’alloggio e ristorazione (+2,6%).

Tiene il sistema imprenditoriale lombardo, +0,2%, anche se registrano andamenti positivi solo Milano (+1,3%), Monza (+0,5%), Varese (+0,2%) e Sondrio (+0,1%). Migliore il dato degli addetti, +3% in regione con punte del +4,2% a Milano, +3,6% a Mantova, +3,3% a Monza e Pavia. Il settore che pesa di più è il commercio con quasi 200mila imprese, seguito dalle costruzioni (136mila) e dal manifatturiero (98mila).

Articoli religiosi? Una bella impresa

Le festività di Natale e Capodanno sono un periodo di grande lavoro per le imprese che si occupano di articoli religiosi.

Si tratta di imprese spesso antiche, familiari, sparse un po’ in tutta Italia. Da un’elaborazione della Camera di commercio di Milano su dati del registro imprese al terzo trimestre 2016 e 2015 relativi a sedi e unità locali emerge che nel Paese vi sono oltre 700 negozi specializzati nella vendita di articoli religiosi e arredi sacri.

Roma è prima con 96 attività di vendita di articoli religiosi (13,4% italiano, +7%), seguita da Napoli (51 e +4%), Foggia (37), Caserta (32) e Bari (25).

Il 7% di imprese che vendono articoli religiosi si trova in Lombardia, che conta due province tra le prime venti in Italia per numerosità di attività, Bergamo al nono posto e Milano al decimo, entrambe con 16 attività.

Dall’analisi emerge che la vendita di articoli religiosi è un’attività a forte presenza femminile: il 40% delle attività in Italia è infatti condotta da una donna, contro una media che nel commercio al dettaglio si ferma al 33%.

Pochi sono i giovani che si dedicano a questa attività, 11% in Italia, mentre ancora pochi sono gli stranieri, la cui percentuale si ferma al 5%.

Dichiarazione di successione online

Una delle incombenze più fastidiose dal punto di vista burocratico che possano capitare nella vita è la dichiarazione di successione. Qualcosa però sta cambiando. A partire dal 23 gennaio 2017 i contribuenti la potranno presentare online grazie a un nuovo servizio dell’Agenzia delle Entrate.

Oltre alla dichiarazione di successione, via libera anche alla domanda online per le volture catastali. Sarà possibile farlo installando in locale il software di compilazione successionionline (gratuito), disponibile sul sito delle Entrate, compilare il file, allegare i documenti, salvare, accedere ai servizi telematici e inviare il tutto.

Il nuovo modello della dichiarazione di successione e quello per la domanda di volture catastali, saranno opzionali fino al 31 dicembre 2017 e diventeranno obbligatori dall’1 gennaio 2018.

Con la nuova procedura, gli uffici territoriali dell’Agenzia delle Entrate, potranno visualizzare la dichiarazione di successione inviata telematicamente dai contribuenti, i quali potranno quindi richiedere le copie conformi della dichiarazione in qualsiasi ufficio dell’Agenzia.

La nuova modalità di presentazione della dichiarazione e domanda di volture catastali potrà essere utilizzata dal 23 gennaio 2017. Fino al 31 dicembre del prossimo anno, in alternativa all’utilizzo del modello successionionline, può essere presentata all’ufficio competente dell’Agenzia delle Entrate la dichiarazione di successione attraverso il tradizionale modello cartaceo.

Toh, nel 2017 caleranno le tasse…

L’1 di gennaio è spesso portatore di aumenti e mazzate, ma il 2017 potrebbe essere, sotto il profilo delle tasse, un anno di svolta.

Secondo i calcoli della Cgia, grazie alle novità che scatteranno da Capodanno, a seguito delle decisioni prese con la legge di Bilancio 2017 e con le leggi di Stabilità degli anni precedenti, le famiglie dovrebbero risparmiare circa 2,9 miliardi di tasse e le imprese 4,5.

L’analisi, sottolineano però gli artigiani mestrini, è al netto di un’eventuale manovra correttiva e la quasi totalità delle misure sulle tasse previste nel 2017 non interesseranno allo stesso modo tutti i contribuenti italiani.

Grazie a queste novità – sottolinea il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia, Paolo Zabeola pressione fiscale ufficiale dovrebbe scendere nel 2017 al 42,3%: 0,3 punti in meno di quella registrata nel 2016. Sebbene in calo, siamo comunque ancora lontani dal 41,5% registrato prima della crisi, quando il rapporto debito/Pil, ad esempio, era al 100%: un dato inferiore di oltre 30 punti a quello attuale”.

Per quanto riguarda tasse e famiglie, queste ultime saranno interessate da circa 15 provvedimenti. La più significativa sarà la proroga delle detrazioni per le ristrutturazioni edilizie e il risparmio energetico (607,7 milioni di euro), seguita dal bonus bebè (392 milioni), dai premi di produttività dei lavoratori dipendenti del settore privato (382,3 milioni), dal bonus cultura per i 18enni (290 milioni), dalla mancata proroga del contributo di solidarietà del 3% dovuto dai contribuenti con un reddito sopra i 300mila euro (275,4 milioni), dall’estensione della “no tax area” per i pensionati over 75 (246 milioni).

Sono circa una dozzina, invece, le principali novità fiscali che interesseranno le imprese riducendo le tasse. Le società di capitali, ad esempio, beneficeranno della riduzione dell’aliquota Ires, che passerà dal 27,5 al 24% (con una riduzione del peso fiscale di 2,9 miliardi). Gli imprenditori individuali e le società di persone che opteranno su base volontaria per l’Iri (Imposta reddito impresa) saranno sottoposti a un’aliquota fissa al 24% sugli utili non prelevati in luogo della tassazione Irpef (1,2 miliardi di sgravi). La proroga del maxi ammortamento al 140 per cento e l’iper ammortamento al 150 per cento dell’acquisto di macchinari ad alto contenuto tecnologico consentiranno un risparmio fiscale di 973 milioni di euro.

Inoltre, la proroga fino al 2020 del credito di imposta per la ricerca e lo sviluppo consentirà un risparmio fiscale di 727 milioni di euro. L’alleggerimento fiscale per gli agricoltori, tra cui la cancellazione dell’Irpef sui redditi nel triennio 2017-2019, garantirà invece uno sgravio annuo di 157,6 milioni. Grazie alla riduzione dell’aliquota contributiva al 25%, il popolo delle partite Iva risparmierà 108 milioni di euro di contributi previdenziali.

Dall’altro lato, non sarà più possibile accedere alle agevolazioni dell’Ace (Agevolazione per la crescita economica) per quasi 1,5 miliardi e gli artigiani e i commercianti vedranno aumentare i propri contributi Inps di circa 400 milioni di euro. In totale, la Cgia stima comunque 4,5 miliardi di tasse in meno.