Costruire l’Italia dalle fondamenta

 

Costruire il nuovo esecutivo, dare forma al nuovo Governo. Ma quali saranno le fondamenta? Se l’Italia post elezioni vacilla, hanno invece le idee chiare su cosa vogliono e su quali siano le necessità di piccole e medie imprese le Associazioni di Categoria.

Infoiva ha intervistato quest’oggi Paolo Buzzetti, Presidente di ANCE, l’Associazione Nazionale dei Costruttori Edili. Perchè quando si parla di fondamenta…

Quali sono, a suo parere, le tre priorità che dovrà affrontare il nuovo governo per rilanciare domanda e consumi?
Per prima cosa mi auguro che si riesca a definire rapidamente un quadro di stabilità politica. Serve una soluzione che eviti lo stallo e consenta di formare un governo, qualunque esso sia, in grado di affrontare con efficacia le emergenze e mettere in campo quelle misure per la crescita di cui il Paese ha bisogno. I tre impegni più urgenti sono: lavoro, pagamenti della pubblica amministrazione e credito. Bisogna tornare a investire per arginare la grave emorragia occupazionale, che solo tra costruzioni e indotto ha fatto perdere oltre mezzo milione di posti di lavoro, sostenere le famiglie nell’acquisto dell’abitazione per far ripartire il mercato immobiliare, rimettere in sesto le nostre città, cominciando da scuole e ospedali.

Quali, invece, le politiche che dovrà mettere in campo per dare sostegno a imprese e professionisti, strozzati dalla crisi?
Sicuramente c’è un problema comune e molto forte che è la mancanza di liquidità, che sta facendo fallire migliaia di imprese e mettendo in seria difficoltà anche le realtà più solide. Bisogna intervenire concretamente su questo, ma non solo. E’ necessario guardare al futuro, servono politiche che facciano leva sugli investimenti che più di tutti possono creare occupazione e avere ricadute positive sull’economia. E quindi puntare sulla rigenerazione urbana, la messa in sicurezza del territorio, la riqualificazione energetica del nostro patrimonio edilizio, la realizzazione di infrastrutture di qualità in tempi giusti e a costi adeguati. Interventi utili a far ripartire l’edilizia e tutti gli 80 settori ad essa collegati, dare una scossa positiva a tutto il sistema economico facendo, al tempo stesso, cose necessarie per il benessere dei cittadini.

Per parte vostra, quali saranno le prime istanze che porterete al nuovo esecutivo?
Come Ance abbiamo messo nero su bianco un piano per il rilancio dell’occupazione e lo sviluppo economico del Paese, che prima delle elezioni abbiamo consegnato ai leader dei principali schieramenti politici e sul quale abbiamo riscontrato un ampio consenso. Pochi e concreti punti per riavviare l’edilizia e l’economia di cui il nuovo governo dovrà tenere conto. Molti altri paesi – cito tra tutti Francia, Germania e Stati uniti – si sono già mossi in questa direzione e stanno puntando sull’edilizia come motore per il rilancio. Anche noi possiamo ripartire, se il governo avrà il coraggio di credere e puntare con forza sulle costruzioni. Abbiamo calcolato che sbloccando le risorse mai spese per il nostro settore – ben 39 miliardi di fondi disponibili e bloccati dal patto di stabilità e dalla burocrazia – si potrebbero generare oltre 660.000 nuovi posti di lavoro e avere una ricaduta complessiva sul sistema economico di 130 miliardi di euro. Una mossa strategica che ci consentirebbe di alleviare la morsa della crisi e gettare le basi di un importante programma di crescita a medio-lungo termine.

Qual è l’errore più grave commesso dai precedenti governi che non volete venga più commesso dall’esecutivo che verrà?
Negli ultimi anni sono state compiute una serie di scelte molto penalizzanti per il settore. Misure fiscali che hanno depresso il mercato immobiliare, investimenti ridotti al lumicino, risorse finanziate ma rimaste sulla carta e che sarebbero state fondamentali per realizzare cose utili e necessarie per il benessere di tutti. E’ questo l’errore da non ripetere: fermare l’edilizia, spegnendo il principale motore della macchina Paese.

Alessia CASIRAGHI

Non spengiamo l’Italia!

 

Dall’era dei ‘professori’ a quella dell’ingovernabilità. Il quadro dell’Italia post elezioni fa tremare borse e elettori, restituendo l’immagine di un Paese frammentato, irrisolto, in cui la fame di futuro non sembra sufficiente a non farlo ripiegare sul suo passato.  Ma se l’Italia a detta di tutti, destra, sinistra e movimento (il centro non esiste più) rischia davvero l’ingovernabilità, qualcuno dovrà pur governarla.

Infoiva torna al tema scelto per questa settimana, le Associazioni di Categoria e il nuovo Governo, facendo tappa a Firenze, la città del convitato di pietra di queste elezioni 2013, Matteo Renzi.

Secondo un’indagine svolta da Confcommercio Firenze su oltre 200 imprese dell’area fiorentina, a 6 mesi dalla ‘Riforma Fornero’, più del 50% delle piccole e medie imprese non ha alcuna conoscenza del suo contenuto, percentuale che sale all’ 80% per le microimprese, quelle che contano meno di 5 dipendenti.

I risultati diventano ancor più scoraggianti se si sonda il terreno fra chi la Riforma l’ha recepita, rimanendone deluso: per 9 imprese su 10 infatti,  la Riforma Fornero non ha prodotto alcun cambiamento nei rapporti di lavoro, mentre la principale conseguenza che si è avuta sono i problemi con i lavoratori a chiamata.

Ma qual è la ragione di così tanta distanza fra politica delle riforme e politica reale? Infoiva lo ha chiesto Alessandra Signori, Presidente di Confcommercio Firenze.

“Dalla nostra ricerca emerge un dato preoccupante: le piccole e medio imprese non conoscono la Riforma Fornero e non hanno né il tempo né le risorse per aggiornarsi in materia di lavoro. Le conseguenze possono essere sia problemi per il mancato adeguamento delle imprese a quanto previsto dal legislatore, sia la perdita di opportunità provenienti da incentivi statali e regionali. Alle associazioni di categoria e alle autorità competenti spetta pertanto l’importante compito di stimolare i piccoli imprenditori ad informarsi: senza conoscenza e attenzione a queste tematiche, non ci può essere crescita e sviluppo”.

E mentre da Confocommercio arriva la testimonianza di una totale distanza tra politica e mondo del lavoro, da CNA Firenze, Confartigianato Firenze, Confcommercio Firenze e Confesercenti Firenze arriva il grido di appello “Non spengiamo Firenze!.

Le quattro associazioni si sono rivolte alla politica e alle istituzioni chiedendo misure e azioni in grado di aiutare artigiani, commercianti e piccole e medie imprese a superare la drammatica situazione che stanno attraversando: dal 2007 al 2011 il tasso di disoccupazione nella provincia di Firenze è passato dal 3,5% al 6,1% mentre, nel 2012, il prodotto interno lordo è diminuito del 2,3% e i consumi precipitati del 4,3%.

Nei primi 9 mesi del 2012 il commercio, che rappresenta il 24,8% del tessuto imprenditoriale fiorentino, contando 27.081 imprese, ha perso 355 attività. A queste si aggiungono le – 84 imprese nel settore servizi di alloggio e ristorazione ( che con 7.011 imprese complessive è pari al 6,4% ).

Non va meglio se si guarda all’artigianato (31,1% del tessuto imprenditoriale locale) che nel 2012 ha segnato – 117 imprese nel settore manifatturiero ( su totale di 16.460) e -268 nel comparto costruzioni ( su 17.440).

I problemi che piegano l’impresa non cambiano:  pressione fiscale ormai alle stelle, difficoltà di accesso al credito, contrazione della spesa pubblica, consumi in picchiata e naturalmente una burocrazia esasperante ed onerosa.

Non spengiamo l’Italia!

Alessia CASIRAGHI

‘L’Italia è il turismo, e il turismo lavora per l’Italia’

 

Il nostro viaggio nell’industria del turismo italiana fa tappa quest’oggi in quella che può essere considerata per antonomasia la patrie del turismo made in Italy: la riviera romagnola. Per capire qual è la temperatura del settore e l’umore degli addetti ai lavori, le piccole e medie imprese del turismo della Romagna, Infoiva ha intervistato Patrizia Rinaldis, Presidente dell’AIA Rimini, l’Associazione Italiana che raccoglie gli albergatori di Rimini.

Rimini è da sempre un punto fermo del turismo made in Italy, anche in tempi di crisi: confermate quest’affermazione?
Assolutamente si. Fortunatamente vive ancora di un brand e di una reputazione che hanno un valore enorme, sia a livello italiano che internazionale. E’ questo il valore aggiunto che ci ha permesso di superare le difficoltà del momento: Rimini non ha mai perso posizioni, ha mantenuto stabile il numero di presenze turistiche a differenza di altre regioni, è riuscita a mantenere un certo equilibrio rispetto al passato.

Qual è il vostro valore aggiunto?
Rimini mantiene quel famoso rapporto qualità/prezzo che soprattutto in un momento complesso come quello che stiamo attraversando gioca a sua favore e naturalmente a favore delle famiglie. Inoltre è stata premiata dalle presenze turistiche grazie alla sua offerta che non è legata soltanto al balneare, ma spazia grazie alla presenza dei parchi, senza dimenticare le bellezze dell’entroterra. Un ruolo importante è svolto poi dalle operazioni del settore congressuale e fieristico, che hanno contribuito ad aumentare l’appeal del territorio.

Quali sono le vostre prospettive e attese per la stagione turistica 2013 alle porte?
Io sono un’ottimista per natura. E’ vero, i tempi sono cambiati rispetto al passato, la vacanza ormai la si decide all’ultimo momento e non è più generica. Ma Rimini continua ad avere una percentuale di clientela fidelizzata molto alta: se prima era all’80%, adesso siamo attorno al 60%. Sono pochissime le località in Italia che vantano questi numeri.

Più italiani o più stranieri?
La percentuale italiana resta altissima, anche se la presenza straniera è cresciuta negli ultimi anni fino al 28-30%. I turisti stranieri sono importantissimi, perchè vanno a sopperire al calo della domanda interna: Rimini è un crocevia in un momento in cui i dati del turismo sono in continua evoluzione. La gente si muove, viaggia. Le faccio un esempio: i turisti stranieri che provengono dai Paesi del BRICS hanno numeri elevatissimi e una capacità di spesa che prima non avevano. Per noi è importante aprirci a mercati come la Cina, la Russia, un mercato che abbiamo già in parte aggredito in passato ma che è in continua espansione. La crisi porta ad allargare i propri orizzonti.

Come associazione albergatori riminesi su cosa avete deciso di puntare per favorire l’affluenza turistica? (prezzi più bassi, settimane corte, offerte ad hoc…)
Non possiamo puntare sui prezzi più bassi, perché la riviera ha già prezzi molto competitivi ed economici.Oggi occorre più che mai puntare sulla qualità del servizio, per difendere i nostri consumatori e garantire loro standard competitivi, che però hanno un loro costo. Come AIA abbiamo deciso di puntare sulla promozione e sulla professionalità. La nostra filosofia in tempi di crisi è: vendere il sogno della tua vacanza. Una vacanza su misura, che sia davvero un momento di distrazione, divertimento, che soddisfi davvero i sogni e bisogni del turista. Sono convinta poi che la crisi porterà a un miglioramento della professionalità dei nostri operatori, che forse avevano perso lo slancio al rinnovamento. Adesso è più difficile che mai, perché il tuo competitor non è più il tuo vicino ma è il mondo.  Occorre rimboccarsi le maniche, rinnovarsi, evolversi. Il turismo è un’industria sotto tutti i punti di vista e come tale deve essere trattata: anche i nostri albergatori devono pensare che non sono solo affittacamere ma veri e propri imprenditori.

La regione Emilia Romagna offre degli incentivi per chi desidera avviare un’attività turistica nella vostra zona?
No. Il grosso nodo problematico per il turismo nella nostra Regione è il fatto che non siano mai stati previsti incentivi fiscali, soprattutto per quanto riguarda la ristrutturazione. Una volta c’era la Legge 40, poi la Legge 3.  Il turismo è ormai un prodotto maturo e in questo momento ha una necessità enorme di ristrutturarsi perché gli standard qualitativi sono cambiati. Consideri che la sola città di Rimini possiede 1100 strutture ricettive: molte sono datate, noi chiediamo loro di riqualificarsi.  Il problema della regione è che non c’è continuità nell’ aiutare le imprese a riqualificarsi: l’anno scorso i finanziamenti sono stati trovati nel residuo di bilancio, la famosa Legge 3. Quest’anno invece sono stati stanziati circa 7 milioni di euro per l’intera regione Emilia Romagna destinati alla riqualificazione delle strutture congressuali. Il massimo che si può fare con questa cifra è accontentare 28-30 strutture nell’intera regione con un finanziamento di 200 mila euro.

Quali sono le maggiori difficoltà che il vostro settore si trova ad affrontare oggi?
Oltre agli incentivi fiscali, avvertiamo la necessità di una politica di acquisizione da parte degli affittuari, con delle leggi ad hoc che possano sgravare chi decide di acquistare le strutture. Inoltre credo che il turismo abbia bisogno di un’ economia di sviluppo legata alle infrastrutture, alle autostrade, alla qualità della balneazione. Il turismo è un bene primario per il Paese: è triste vedere che l’Italia, che possiede l’82% delle maggiori bellezze artistiche e culturali del mondo, sia scesa agli ultimi posti dal punto di vista turistico.

Se potesse fare un appello al Ministro Gnudi, quali sono le priorità da affrontare per il settore turistico in Italia?
Occorre considerarlo un settore industriale sotto tutti i punti di vista, conferendogli quella dignità che gli spetta di diritto.  Il settore turistico in Italia è l’unico che non ha perso forza lavoro e che continua ad avere un’incidenza positiva sul Pil. Ma deve esserci una cabina di regia sul turismo, le problematiche del settore devono essere affrontate a livello nazionale. L’Italia è il turismo, e il turismo lavora per l’Italia.

Alessia CASIRAGHI

Giulia DONDONI

Turismo, pilastro dell’economia in Italia

 

Lo speciale di Infoiva dedicato al turismo in Italia fa tappa quest’oggi tra gli operatori del settore: agenti di viaggio e tour operating. ‘Migliorare l’accessibilità delle destinazioni turistiche del nostro Paese e favorire sinergie all’interno della filiera del comparto turistico‘ è il diktat per Fortunato Giovannoni, Presidente di FIAVET, la Federazione italiana che riunisce le Associazioni di Imprese, Viaggi e Turismo.

Partiamo dalla Bit 2013: dimensione ridotta, meno presenze straniere. Un cattivo segnale per la stagione turistica italiana che si sta avvicinando?
Nonostante i numeri della Bit, la Fiera rimane un’importante occasione di incontro tra tutti gli attori del comparto ma, soprattutto, tra gli agenti di viaggio, sia italiani che internazionali, perché il ruolo degli agenti rimane strategico: è grazie a loro che il turismo viene stimolato, incentivando lo scambio di flussi dei viaggiatori.  

Quali sono le vostre prospettive come Fiavet per la stagione turistica dell’estate 2013 in Italia?
Purtroppo è ancora troppo presto per poter fare delle previsioni, l’anno è appena iniziato e le prenotazioni per la stagione estiva, che rappresenta il periodo durante il quale il traffico è più intenso, non sono ancora partite. In più, l’incerta situazione economica e politica non agevola l’avvio delle prenotazioni. E’ ormai accertato che, quando ci sono in programma le elezioni politiche, si registra un freno alle partenze e agli acquisti di viaggi e vacanze; i clienti hanno bisogno di tranquillità e di stabilità politica per poter pensare di affrontare un viaggio.

Proprio alla Bit 2013 è stato presentato il ‘Piano Strategico per lo Sviluppo del Turismo in Italia’ del Ministero. Qual è il vostro parere in merito? Lo giudicate uno strumento che regalerà una boccata d’ossigeno al comparto turistico italiano?
Un Paese che fa del turismo uno dei pilastri della propria economia come l’Italia non poteva non avere un Piano strategico che dettasse le linee guida entro cui far muovere l’azione promozionale delle Regioni e degli Operatori. Ma il Piano ha degli obiettivi di medio lungo periodo mentre al settore servono misure concrete oggi, soprattutto a favore delle imprese turistiche che, con fatica, stanno tenendo in piedi in turismo nel nostro Paese. Tanto più che, nel Piano, sono quasi del tutto assenti le misure dedicate alle imprese, soprattutto con riferimento al comparto agenziale e del tour operating. Inoltre, contestiamo il fatto che si è caduti di nuovo nell’errore di non coinvolgere gli attori del comparto turistico nella scrittura di provvedimenti e direttive con la conseguenza che il Piano del Turismo risulta alla fine fumoso e privo di misure veramente efficaci.

Qual è attualmente l’umore dei vostri associati? Pessimista o ottimista?
Sicuramente non c’è particolare ottimismo, soprattutto in conseguenza dell’andamento sottotono dei movimenti turistici dell’anno appena trascorso. Ci auguriamo che il 2013, dopo la stabilizzazione della situazione politica, possa tornare a far segnare risultati positivi per il settore.

Quanto ha penalizzato e pesato nelle tasche degli imprenditori turistici l’Imu?
Le conseguenze per le imprese sono rilevanti, anche perché l’Imu va ad aggiungersi ad altri oneri che già gravano sulle spalle degli imprenditori, che distolgono così risorse importanti che invece potrebbero essere destinate ad altri fini, come gli investimenti a favore dell’innovazione e volti al miglioramento della propria attività.

Se potesse fare un appello al Ministro Gnudi, quali sono le 3 priorità che chiederebbe per il settore turistico in Italia?
Chiederei soprattutto di mettere davvero a sistema il turismo, creando sinergie tra le istituzioni pubbliche e private e gli operatori, di migliorare l’accessibilità delle destinazioni turistiche del nostro Paese, soprattutto in alcune aree, come il Mezzogiorno. E infine, un provvedimento che potrebbe essere messo in atto in modo semplice è la modifica del codice Ateco per le Agenzie di viaggio, perché queste possano essere classificate all’interno della categoria turismo e non della categoria servizi come invece accade oggi.

Alessia CASIRAGHI

Gli Indie del Festival

 

Case discografiche indipendenti e grandi Major: Sanremo è  un festival per tutti? Quanti e quali sono gli artisti che hanno scelto un’etichetta indie?  Il viaggio dentro al Festival di Sanremo 2013 di Infoiva oggi incontra Leopoldo Lombardi, Presidente di AFI, l’Associazione Fonografici Italiani che raccoglie le case discografiche indipendenti in Italia.

Partiamo da una domanda semplice: come le sembra questo Festival di Sanremo?
Direi senza dubbio un Festival buono dal punto di vista della musica perché ha riportato al centro del progetto le canzoni. La formula introdotta quest’anno che permette ai cantanti di esibirsi con due canzoni premia di più gli artisti e anche le produzioni musicali, perché da più spazio alla musica e fa conoscere meglio i cantanti. Riguardo ai brani, credo che le scelte della direzione artistica abbiano mirato di più alla qualità. E’ un buon Festival.

Il Festival rappresenta ancora una vetrina importante per la discografia indipendente italiana?
Certo. Il Festival è una vetrina importante per la musica italiana, e soprattutto per gli indipendenti che per loro natura hanno maggiore difficoltà di accesso al mercato. Se c’è la fortuna di arrivarci, di salire sul palco dell’Ariston, è un passaggio importante per i cantanti. Per un indipendente spesso è più difficile riuscire ad accedere a Sanremo, una difficoltà che si è accentuata soprattutto negli ultimi anni, dal 2000 in poi, perché sono meno i cantanti in gara e con la crisi le major sono fatte più agguerrite nel proporsi al Festival perché anche il loro fatturato ha risentito della crisi.

Quanti e quali sono gli artisti in gara a Sanremo 2013 rappresentati da case discografiche indipendenti associate ad AFI?
Nella categoria dei big ci sono i Modà, con Ultrasuoni, la casa discografica nata da RTL, Radio Italia e RDS, Simone Cristicchi per Dueffel e Maria Nazionale con Midas. Per la categoria giovane c’è Antonio Maggio, l’ex leader degli Aram Quartet, il gruppo che vinse la prima edizione di X Factor nel 2008, che si presenta come solista al Festival di quest’anno per Rusty Records. Un ottimo risultato direi, dal momento che gli artisti con etichetta indipendente a Sanremo rappresentano il 20%, il doppio della nostra normale quota di mercato, che invece si aggira attorno al 10%. Tra i 14 Big in gara 3 sono indipendenti, mentre per la categoria giovani il rapporto è di 1 a 8.  E’ la dimostrazione che il Festival di quest’anno ha mirato alla qualità artistica, non è un Festival che ha guardato alla geopolitiche,  inoltre ci sono altri indipendenti che non sono nostri associati ma sono arrivati anche loro all’Ariston. Le major si salvano grazie ai giovani dei talent show: i vincitori di X Factor con Sony e le case multinazionali che firmano i successi di Amici.

Quanto muovono in termini di fatturato e importanza in Italia le aziende discografiche rappresentate da Afi?
Un 10% del mercato, il nostro dato di fatturato complessivo si aggira attorno ai 70 e 100 milioni di euro, anche se non c’è ancora un dato ufficiale per il 2012. Le case discografiche associate ad AFI sono attualmente 170.

Quali sono le maggiori difficoltà che si trova a fronteggiare un’azienda discografica indipendente oggi in Italia?
Primo fra tutti, l’accesso al credito , difficoltà che le accomuna alle Pmi tradizionale, ma con una difficoltà maggiore dal momento che una casa discografica rappresenta beni immateriali. In secondo luogo, la mancanza di qualsiasi tipo di legislazione a sostegno del settore: se voglio fare un’opera prima in Francia, Svizzera o Spagna posso usufruire di contributi, cosa che in Italia non esiste; come case discografiche non abbiamo nemmeno accesso al FUS – Fondo Unico dello Spettacolo, che invece è aperto a teatri stabili, compagnie teatrali, opera lirica e musica classica. Terzo fattore, ma non meno incisivo, l’altissima percentuale di pirateria che ci pone fuori da quelli che sono Paesi Occidentali a economia avanzata.

Quindi la condivisione di contenuti musicali online vi danneggia?
Occorre distinguire tra download illegale e fruizione di contenuti audio o video in streaming: lo sbarco proprio qualche giorno fa della piattaforma Spotify in Italia, che permette la fruizione di contenuti musicali e brani online aumenterà sicuramente i nostri fatturati, con un guadagno che arriva da un mercato diverso. Non bisogna dimenticare che Youtube è il secondo partner dell’industria discografica nel mondo:  le case discografiche ottengono contributi economici per i brani ospitati, tenendo presente poi che Youtube rappresenta un volano eccezionale per la promozione di brani e canzoni.

Da anni Afi assegna il premio nazionale che porta il suo nome a Sanremo. Che cosa rappresenta oggi questo riconoscimento?
Sono due i premi che Afi assegna a Sanremo: il Premio per gli artisti in gara e gli operatori del settore discografico e musicale che si sono distinti per meriti e il Premio Giovani Afi, che vuole essere una vetrina per i giovani rappresentati dalle case discografiche indipendenti. Non si tratta infatti dei concorrenti in gara al Festival, ma di 20 artisti selezionati tra i 170 delle nostre aziende:  la cerimonia di premiazione si svolge a Casa Sanremo, un luogo alternativo all’Ariston, il punto di incontro per addetti ai lavori e lo spazio che ospita le manifestazioni collaterali al Festival.

E’ difficile oggi per i giovani aspiranti musicisti e cantanti farsi strada nel mondo della musica?
e’ Più difficile rispetto al passato perché la crisi ha diminuito gli investimenti, le possibilità di emergere ed ‘essere scoperti’ sono ormai legate ai talent televisivi o alla capaci di sfruttare la rete per farsi conoscere. Ormai la quasi totalità delle case discografiche, indipendenti e non, fanno scouting in rete o in alternativa il live resta il  modo migliore per farsi notare, soprattutto quando si parla di gruppi. Inviare il classico demo alle case discografiche è ormai una pratica obsoleta, nessuno li manda più e quelli che arrivano, soprattutto se si tratta di Major internazionali, non vengono nemmeno ascoltati.

Ultima domanda: chi vincerà Sanremo 2013?
Se dovessi fare un pronostico direi innanzitutto che il tormentone post Festival quest’anno sarà sicuramente ‘La Canzone mononota’ di Elio e le Storie Tese. La canzone è veramente un colpo di genio. Non penso che vincerà, ma credo che entrerà sicuramente nella triade dei primi classificati. Il vincitore del Festival potrebbe nascondersi secondo me tra gli ex concorrente di X Factor, penso a Chiara (Galiazzo)o Marco Mengoni. Ecco il podio lo vedo così: primi Chiara o Marco, al secondo posto Elio e terzi i Modà. Se ho indovinato che cosa vinco?

Alessia CASIRAGHI

Caterina Caselli, quando Sanremo era Sanremo

 

Sai (ci basta un sogno) ha cantato ieri sera sul palco dell’Ariston la sua ultima scoperta, Raphael Gualazzi. E lei, Caterina Caselli, di sogni ne ha realizzati parecchi nella sua carriera, prima come cantante – il ‘casco d’oro‘ della musica – poi come imprenditrice con la Sugar, la casa discografica che ha scoperto talenti come Andrea Bocelli, Elisa e Malika Ayane, altra protagonista del Festival di Sanremo 2013.

Ma che cosa ha rappresentato e rappresenta oggi il Festival, la più grande kermesse canora italiana per una donna che lo conosce davvero da vicino, sia davanti che dietro il sipario? Era il 1966 quando la Caselli salì sul palco con Nessuno mi può giudicare (testo scartato proprio quell’anno da un certo Adriano Celentano, che gli preferì Il ragazzo della Via Gluck), e nemmeno dieci anni dopo la ritroviamo alla guida di un gigante della discografia italiana, la Sugar appunto.

Infoiva quest’oggi vi porta dritti nel cuore di Sanremo, per scoprire se Sanremo è ancora (davvero) Sanremo.

Signora Caselli, Sanremo è ancora una gallina dalle uova d’oro per la discografia italiana?
Direi proprio di no. Il festival ha smesso di avere un effetto importante per la discografia quando ha cominciato a essere uno spettacolo prevalentemente, se non esclusivamente, televisivo. Con qualche lodevole eccezione (Fazio, Bonolis e Carrà) saranno almeno tre lustri che in termini di supporto alle vendite per l’industria discografica italiana il festival è poco più di una meteora. Continua a essere un grande evento a cui non puoi mancare perché presidiato dai media come nessun altro, e, lavorando con grande tenacia, puoi anche riuscire a far conoscere un progetto originale, o magari un vero esordiente (penso a Raphael Gualazzi due anni fa), anche al di fuori dei talent televisivi. Quest’anno con il ritorno di Fazio c’è maggiore equilibrio fra le esigenze televisive e quelle della musica, quindi le aspettative non mancano.

Quanto muoveva un tempo e quanto muove oggi in termini di vendite (o di download…)?
Ai miei tempi, quando Sanremo era Sanremo, era il primo appuntamento dell’anno in una lunga serie di eventi dal vivo, radio e televisivi che promuovevano una musica italiana che si esprimeva nel formato 45 giri. Allora Sanremo determinava il mercato. Poi per molti anni ha
vivacchiato, troppo lontano dall’evoluzione del gusto giovanile e dal nuovo formato dominante che era diventato l’album, non più una-due canzoni ma dieci-dodici, il ritratto in musica di un artista, non a caso dominio dei cantautori e del pop-rock internazionale di qualità. Poi c’è stato il breve periodo degli anni novanta in cui le compilation con tutti gli artisti di Sanremo erano le regine della Hit Parade. In quel periodo si vendevano anche 550.000 copie che sono scese a 100.000 copie lo scorso anno. Oggi che le vendite digitali legali cominciano a prendere fiato qualche sorpresa positiva potrebbe arrivare. Ma il rapporto fra vendite online e vendite di prodotto fisico è ancora di uno a cinque. Ce n’è di strada da fare.

Come è cambiato il mercato discografico italiano dai suoi esordi come “Casco d’oro” a oggi? È cambiato in bene o in male?
Certamente non in meglio. Ogni tanto ne parliamo con mio figlio Filippo che guida con grande competenza il nostro gruppo, e sconsolatamente dobbiamo convenire che in Italia il mercato nel 2012 è sceso a centocinquanta milioni. Non che all’estero si nuoti nell’abbondanza, ma almeno le cose si muovono. Si cerca di risolvere i problemi strutturali che bloccano la crescita. Si è presa di petto la questione dei furti di copyright che avvengono sulla rete. Si comincia ad avere la sensazione che avendo ormai cambiato pelle la nostra industria può farcela. E che fra qualche anno potrebbe addirittura arrivare un “rinascimento”. In Italia tutto è fermo, opaco, tortuoso, bloccato nella difesa di confessabilissimi interessi.

Lei è alla guida di una major, ma tante sono le piccole etichette indipendenti: che cifre muovono nel mercato della discografia italiana?
Circa un quarto del mercato italiano è frutto del lavoro delle indipendenti. Una trentina di milioni, poca cosa, ma è il mercato italiano che è piccolo. Tuttavia bisogna guardare al ruolo che gli indipendenti hanno svolto e svolgono nello scoprire e lanciare i nuovi talenti, parlo
di personaggi al vertice del successo come Adele e il nostro Andrea Bocelli che poi vengono distribuiti dalle major. Riportata a livello del mercato mondiale la quota degli indipendenti varrebbe intorno ai 3,5 miliardi di dollari. Già meglio. Noi non siamo una major, siamo il più grande degli indipendenti italiani e uno dei maggiori in Europa, ma i nostri artisti sono distribuiti dalle major, Warner per l’Italia, Universal nel mondo, e da etichette specializzate prestigiose come Decca per Elisa, e la mitica BlueNote per Gualazzi.

Da cantante a imprenditrice: ci vuole più coraggio a salire su un palco o a mettere tempo, fantasia, voglia e capitali in un’ impresa?
Sono due età della vita troppo lontane e troppo diverse. Ai tempi del palco l’energia che avevo dentro era talmente tanta che avrei potuto salirci tutto il giorno tutti i giorni. E senza nessuna paura. Il rapporto col pubblico dà una carica come nient’altro, non pensi a niente, quando va bene sei in sintonia perfetta con qualcosa di più grande che produce adrenalina a getto continuo. Io cerco di mettere la stessa energia, la stessa carica, nel lavoro d’impresa. Lo faccio perché nonostante le delusioni c’è sempre un riscatto, l’emozione della scoperta, l’apprezzamento di un progetto, e talvolta (meno male!) anche il successo quello vero, senza confini, che ripaga di tutto. Ci vuole più coraggio, forse più incoscienza a credere nell’impresa. Ma d’altra parte, è il destino dell’editore. Essere aperti alla scoperta, crederci, rischiare il possibile. È il nostro destino.

Alessia CASIRAGHI

Con il crowdfunding si gira il mondo (a piedi)

 

Lo abbiamo intercettato, zaino in spalla, con in mano un biglietto aereo per Cuba, obiettivo: mappare i sentieri dell’isola. Lui è Fabio Zaffagnini, fondatore di Trail Me Up, la start up nata con l’obiettivo di ‘mappare’ macchina fotografica alla mano e rendere fruibili online i percorsi accessibili solo a piedi. Una sorta di Streetview per appassionati di walking.

Una laurea in geologia all’Università di Bologna e la voglia di girare il mondo, beninteso: a piedi. Ma come trasformare una passione in un’idea di impresa? Grazie al crowdfunding, Fabio ci è riuscito: attraverso il portale Eppela, il progetto di social financing online, Trail Me up è diventata una realtà, una start up per chi non ha voglia di restare fermo. Anche se la strada da percorrere è ancora lunga, almeno in Italia.

Quando e come è nato Trail me up?
TMU è nato nel febbraio del 2011 di ritorno da un viaggio in Patagonia. Facendo vedere un po’ di foto agli amici, ho pensato che sarebbe stato bello se Google avesse esteso Streeview ai posti accessibili solo a piedi. Visto che a quel tempo non c’era niente di simile, ho deciso di farlo io insieme ad un amico informatico. Non avendo competenze né meccaniche, né elettroniche ho coinvolto, o meglio, sfinito un po’ di amici e conoscenti e dopo 5 mesi di lavoro abbiamo realizzato un prototipo di acquisizione di immagini a 360° montato su uno zaino. Siamo poi andati a fotografare alcuni parchi americani, poi qualche villaggio di tribu indigene in Etiopia e a febbraio del 2012 abbiamo pubblicato il primo sentiero in rete. Da lì poi abbiamo visitato altri posti in giro per il mondo ed il progetto ha iniziato a prendere forma.

Per il progetto vi siete ispirati al virtual photo walk?
Assolutamente no, ho scoperto da te della sua esistenza!

Come vi siete avvicinati al crowdfunding e come avete scoperto Eppela?
Una mia amica è riuscita a finanziare le riprese di un suo cortometraggio (“Quell’estate al mare”), ho contribuito e poi ho deciso di provare anch’io…a lei è andata alla stragrande, a noi pure! Sia in termini di denaro recuperato, che in termini di visibilità.

Oltre al crowdfunding, avevate tentano altre strade per cercare finanziamenti (bandi regionali, bandi start up..)?

Abbiamo organizzato una serata di raccolta fondi e vinto un bando Spinner 2013 ed uno Changemakers for Expo 2015.

Qual è attualmente il vostro modello di business?
Il progetto ha preso molte diramazioni. Attualmente, il sito www.trailmeup.com conta pochi sentieri fatti negli States, in Etiopia ed in Tanzania, ma molti altri stanno per essere pubblicati ed un sistema di reclutamento via web ci permetterà di continuare ad acquisirne (chiunque infatti può proporsi come fotografo mappatore, noi gli forniamo l’attrezzatura e lui /lei acquisisce le immagini per noi…alla fine è divertente andare in giro con il nostro zainetto!). Appena il sito avrà un numero di sentieri sufficientemente elevato e i volumi di traffico lo permetteranno, inizieremo a cercare sponsor legati alle attività outdoor, tour operators, enti parco, ecc…Parallelamente abbiamo deciso di estendere la tecnologia che crea la realtà virtuale a varie attività legate a turismo, cultura, divertimenti, industria..queste attività potranno promuovere le loro aree ed i loro spazi attraverso la nostra tecnologia. Stiamo inoltre lavorando, con enorme sforzo, ad un’estensione importante del progetto, che al momento non possiamo divulgare … dobbiamo ancora depositare un brevetto!

Trail Me Up ha anche un’anima umanitaria e ha scelto a sua volta il crowdfunding come forma di sostegno a progetti di sostegno?
TMU collabora con la O.N.G. CEFA. Abbiamo finora mappato e fotografato gratuitamente alcune aree dove opera questa organizzazione in modo tale da mostrare come e a chi sono stati devoluti i soldi raccolti con le donazioni.

Secondo voi, oggi esiste in Italia una cultura del crowdfunding? O siamo lontani anni luce rispetto ad altre Nazioni?
E’ difficile dirlo, nel nostro caso specifico le donazioni sono giunte in buona parte da amici e conoscenti…e questo mi fa pensare che la cultura del crowdfunding sia ancora un po’ indietro. La vedo comunque in forte ascesa.

Ultima domanda: quali sono i vostri progetti per il futuro?
Ci piacerebbe organizzare qualcosa di molto eclatante così da farci conoscere anche al di fuori dell’Italia. Cercheremo di sfruttare al meglio le risorse e le opportunità che Spinner e Changemakers ci stanno offrendo e ci concentreremo molto sul marketing ed il fund raising. Abbiamo insomma intenzione di lavorare sodo…ma anche di divertirci!

Alessia CASIRAGHI

Crowdfunding, il nuovo social business

 

Un’idea di business che diventa realtà grazie all’aiuto di una comunità, un gruppo di persone (crowd = affollare, e in questo caso bisogna proprio dirlo, “più si è meglio è”). E’ il teorema che sta alla base del crowdfunding, come viene definito quel processo di finanziamento collettivo che permette di dare luce a nuove start up.

Ma quali sono le potenzialità oggi del crowdfunding in Italia? Come si finanzia concretamente un progetto o un’idea di impresa solo tramite la sua visibilità sul web e nell’universo dei social? Infoiva lo ha chiesto a Eppela, il progetto di crowdfunding che permette di condividere le proprie idee di business on line e raccogliere fondi per la loro realizzazione. Che molto spesso non resta solo un miraggio: Eppela ha infatti all’attivo decine di progetti di impresa che hanno visto la luce, come Trail Me Up, la community di visite guidate virtuali, o Fattelo!, la lampada di design che si costruisce da un semplice cartone.

Ma facciamo un passo indietro: da dove si comincia? Ce lo racconta Fabio Simonelli, Project Manager Eppela. 

Quando e come è nata l’idea di dare vita ad Eppela?
Eppela nasce da un’intuizione di Nicola Lencioni nella primavera del 2011. Tornato da uno dei suoi viaggi scouting negli USA, e dopo aver scoperto la piattaforma KickStarter, Nicola decide che anche in Italia è il momento di cercare un nuovo modo di proporre e fare impresa.

Secondo quali criteri scegliete i progetti e le idee da condividere grazie alla vostra piattaforma?
Eppela e il suo team non danno giudizi di merito sull’eccellenza di un progetto. Ci limitiamo a valutare l’etica dello stesso ma sopratutto l’idea di base e la volontà del progettista di portare a termine il suo “sogno”.

Quanti sono i progetti che ad oggi siete riusciti a finanziare?
Su Eppela sono andati a buon fine numerosissimi progetti: dai già citati Trail Me Up e Fattelo!, ma anche cortometraggi, progetti artistici e una linea di t-shirt ecologiche.

Perchè un ‘investitore’ decide di puntare su un progetto virtuale che conosce solo attraverso il web?
Perché’ il crowdfunding crea un legame empatico tra progetto e “consumatore”. E’ come un amore a prima vista. Il crowdfunding segue le logiche dell’e-commerce: si scommette sulla riuscita di un progetto ma anche sulla reale voglia di diventare parte del progetto stesso (anche se non si diventa soci del progettista….ricordiamoci che Eppela si occupa di reward base crowdfunding).

Il crowdfunding rappresenta oggi una valida alternativa rispetto ai classici finanziamenti o ai meno accessibili venture capital per un’idea di impresa alla ricerca della spinta iniziale?
Il crowdfunding rappresenta una leva di sviluppo. Rappresenta una nuova dinamica di social business, dove l’idea viene validata e supportata dalla folla con le donazioni, non con dei semplici like.

A vostro avviso, oggi esiste in Italia una cultura del crowdfunding e del social financing?
Non ancora, anche se abbiamo passato il periodo della filosofia. Eppela ha lavorato e sta lavorando per far capire cosa è il crowdfunding. Ma adesso siamo passati alla pratica. Stiamo dimostrando che funziona!

L’esempio di alcuni politici (come Barack Obama che ha finanziato parte della campagna elettorale con i soldi donati dagli elettori tramite crowdfunding, o per restare in italia di Matteo Renzi e del suo camper finanziato dagli elettori) possono essere una spinta o un volano per la diffusione della pratica del finanziamento che viaggia in rete?
La politica rappresenta sempre un tasto dolente per la richiesta di sostegno economico, ma crediamo che se alla base della proposta esiste un movimento e delle persone pulite, il crowdfunding rappresenti il modo più efficace per valutare la performance di un candidato o di un movimento politico.

Alessia CASIRAGHI

Il Redditometro e le strane leggi della statistica

 

E’ il potenziale inganno della statistica il primo imputato nell’inchiesta sul Redditometro 2013.  Il metodo di calcolo statistico utilizzando per passare al setaccio abitudini, consumi e spese degli italiani potrebbe celare al suo interno incongruità e difetti evidenti, che non avrebbero altro risultato che penalizzare le classi già meno abbienti.

E’ il parere di Adiconsum, una voce importante, di chi sta dalla parte delle famiglie italiane e dei consumatori, a cui Infoiva ha voluto dedicare uno spazio. Ma qual è il parere di Pietro Giordano, segretario generale Adiconsum sul Redditometro 2013?

Redditometro 2013: criticato, temuto, passato sotto la lente di ingrandimento. Quali sono secondo voi le maggiori criticità?
La maggiore criticità del redditometro è rappresentata dalla scelta della media statistica che cela un potenziale inganno. Mi spiego meglio: una vacanza frutto di risparmi di anni può diventare parametro di controllo, mentre un’altra criticità è rappresentata dall’onere della prova a carico del contribuente, ancora una volta si scarica sul cittadino il gravame della prova che invece dovrebbe essere a carico di chi rileva l’incongruità. Chiedere ai cittadini di conservare ed archiviare tutte le ricevute di acquisti o proventi mette a dura prova il cittadino, sbagliato applicare alle famiglie metodologie che già applicate alle aziende hanno rivelato i propri limiti.

C’è chi ha parlato di “stato di polizia” in merito alle 100 voci analizzate del redditometro. Secondo lei a cosa è dovuta questa sensazione di timore dei cittadini nei confronti delle novità apportate al nuovo strumento di controllo dei redditi?
Il cittadino ha il timore di non poter far fronte alle eventuali richieste di prova che possono venire richieste, poiché in una famiglia possono intervenire fattori di difficoltà, come ad esempio un trasloco, il decesso del capofamiglia etc. E quindi questo fa percepire lo strumento del redditometro come uno strumento inquisitorio.

Le 100 voci del redditometro analizzano praticamente ogni ambito della vita di una famiglia, gli italiani dovranno cambiare le proprie abitudini per rientrare nei parametri del redditometro, o chi non evadeva prima può semplicemente mantenere la propria routine invariata ?
Come gli studi di settore, il redditometro penalizza i meno abbienti e agevola coloro più agiati che possono in coerenza con il redditometro celare tutto ciò che supera la congruita’ del redditometro. Sicuramente quanto previsto dal redditometro comporterà un cambiamento nelle abitudini degli italiani determinando un effetto recessivo dei consumi. Il cittadino spende sempre meno per evitare eventuali incongruità.

La franchigia di tolleranza del 20% e di 12 mila è a vostra parere ben ponderata?
Difficile definire se è ben ponderata poiché le variabili possono essere tante e non sempre definibili.

Veniamo al capitolo beni simbolici: l’allargamento dello spettro e l’analisi effettuata su dati certi dell’Agenzia delle Entrate porterà ad una maggior efficacia dello strumento di lotta all’evasione?
Riteniamo che il redditometro non risolverà il problema dell’evasione anzi il rischio è che colpirà chi le tasse le paga già. Allo stato attuale, il fisco è’ già in possesso di una serie di dati che se incrociati possono portare all’emersione della vera evasione, consentendo di colpire duramente coloro che non pagano le tasse.

Il ricorso a meccanismi statistici (criticati) comporta il rischio che la presunzione di capacità di spesa delle famiglie si allontani dalla realtà?
Si, il meccanismo statistico comporta sicuramente lo scostamento della realtà delle famiglie. Vorrei citare a proposito la media del pollo di Trilussa ben illustrata nella poesia La Statistica:
« Sai ched’è la statistica? È na’ cosa
che serve pe fà un conto in generale
de la gente che nasce, che sta male,
che more, che va in carcere e che spósa.
Ma pè me la statistica curiosa
è dove c’entra la percentuale,
pè via che, lì, la media è sempre eguale
puro co’ la persona bisognosa.
Me spiego: da li conti che se fanno
seconno le statistiche d’adesso
risurta che te tocca un pollo all’anno:
e, se nun entra nelle spese tue,
t’entra ne la statistica lo stesso
perch’è c’è un antro che ne magna due. »
(Trilussa, La Statistica)

Trilussa non fa altro che affermare che se qualcuno mangia due polli, e qualcun altro no, in media ognuno ha mangiato un pollo a testa, anche se di fatto uno non l’ha mangiato.

A vostro avviso il redditometro è uno strumento valido nella lotta all’evasione o si poteva fare qualcosa di più?
A nostro avviso si poteva fare di più come consentire al cittadino di scaricare le spese effettuate creando interessi contrapposti. Mi aiuto con un esempio: se posso scaricare l’Iva per una spesa sostenuta sono invogliato a richiedere la fattura, con un sistema semplice si consentirebbe l’emersione del nero, come ad esempio già avviene nel caso di spese detraibili. Occorre poi intervenire sulle società di comodo poiché in tal modo si consente di scaricare spese che come singolo individuo non si potrebbero scaricare.

Alessia CASIRAGHI

Il Redditometro sotto la lente d’ingrandimento

Strumento principe nella lotta all’evasione, complesso modello statistico, specchio impietoso dell’Italia post crisi, “psicodramma nazionale” e nelle ultime ore pure “riccometro”. Si moltiplicano le definizioni ma il nostro grande indiziato di questa settimana è lui:  il Redditometro.

Quest’oggi abbiamo deciso di passarlo sotto la lente di ingrandimento dei veri addetti ai lavori, i commercialisti. Per cercare di fare un po’ di chiarezza tra accertamenti sistematici, parametri statistici, scostamenti marginali, beni rilevanti e beni simbolici.

Infoiva ha intervistato Alessandro Solidoro, Presidente dell’Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Milano.

Redditometro 2013: criticato, temuto, passato sotto la lente di ingrandimento. Quali sono secondo lei le maggiori criticità?
Il redditometro è riconducibile agli “accertamenti sintetici”, che sono presenti nel nostro ordinamento da diverso tempo.
La principale criticità di questa tipologia di accertamenti consiste nel pericolo di cadere, in sede di verifica della singola posizione fiscale di un contribuente, in “automatismi” nell’applicazione dei parametri previsti, che potrebbero non tener conto della specifica situazione del contribuente medesimo. La Cassazione al riguardo ha ricordato a più riprese che l’accertamento fiscale non può mai essere “standardizzato” ed effettuato applicando acriticamente una metodologia matematico-statistica. Oltre a ciò, vi sono diverse criticità di natura “tecnica”, derivanti dalla scelta del Legislatore di voler considerare alcune rilevanti spese (ad esempio l’acquisto di immobili) come effettuate utilizzando il reddito di un unico periodo di imposta.

Quali invece i vantaggi?
Le modifiche recentemente apportate al redditometro hanno il pregio di coprire uno spettro più ampio di voci rispetto a quanto fosse precedentemente fatto. Ciò consente di non limitare l’analisi ad alcuni “beni rilevanti” (immobili, automezzi, barche e simili), ma di estendere l’esame del tenore di vita (e dunque della congruità del reddito dichiarato) attraverso un ampliamento delle spese, degli investimenti e dei risparmi presi in esame.

Le 100 voci del redditometro analizzano praticamente ogni ambito della vita di una famiglia, gli italiani dovranno cambiare le proprie abitudini per rientrare nei parametri del redditometro, o chi non evadeva prima può semplicemente mantenere la propria routine invariata ?
No, non è necessario cambiare le proprie abitudini: al riguardo desidero infatti ricordare che il redditometro si basa sul semplice assunto per cui il tenore di vita deve essere compatibile con il reddito dichiarato al Fisco. In linea generale, chi non evadeva precedentemente non ha nulla da temere dall’applicazione di questo strumento, anche se dovranno essere adottate alcune precauzioni circa la tracciabilità delle risorse finanziarie e reddituali impiegate per il sostenimento di alcune spese rilevanti (automobili, immobili, investimenti e simili).

La franchigia di tolleranza di 12 mila euro è a vostra parere ben ponderata?
E’ opportuno premettere che il riferimento a una franchigia quantificata in 12.000 euro non è prevista dalla normativa (che invece stabilisce che il redditometro è potenzialmente applicabile a coloro che, in un dato periodo d’imposta, hanno sostenuto spese in misura superiore a 1,20 volte il reddito dichiarato). Ritengo che l’adozione di una franchigia “quantitativa” possa essere un utile ed efficace accorgimento per evitare di sottoporre a verifica quelle posizioni con scostamenti “marginali”; tuttavia non dovrà essere possibile prescindere dalla situazione specifica del singolo contribuente.

Veniamo al capitolo beni simbolici: l’allargamento dello spettro e l’analisi effettuata su dati certi dell’Agenzia delle Entrate porterà ad una maggior efficacia dello strumento di lotta all’evasione?
La motivazione sottostante l’inclusione delle spese per “beni simbolici” tra quelle da considerare ai fini del redditometro, risponde all’esigenza di meglio profilare il tenore di vita in relazione al reddito dichiarato. Dalle prime elaborazioni effettuate e apparse sulla stampa specializzata, sembra comunque di capire che questa categoria di spese non sarà di per sé “decisiva” nella valutazione di congruità del reddito di un singolo contribuente, mentre avranno una particolare significatività le spese per beni rilevanti e investimenti.

Il rischio che la presunzione di capacità di spesa delle famiglie si allontani dalla realtà è concreto o si può contenere limitando il ricorso a meccanismi statistici?
I meccanismi statistici contenuti nel decreto attuativo del redditometro dovrebbero avere l’esclusiva finalità di stabilire una “misura media” (statisticamente comprovata) per la spesa delle famiglie: in questo senso, l’inserimento di tale categoria di spese ai fini del redditometro potrebbe forse essere rivisto e meglio rimodulato (magari prevedendo ulteriori soglie di franchigia al di sotto delle quali non procedere a verifica con redditometro) , soprattutto al fine di evitare qualsiasi applicazione “automatica”.

A suo avviso il redditometro è uno strumento valido nella lotta all’evasione o si poteva fare qualcosa di più?
In linea di principio il redditometro è un valido strumento nella lotta all’evasione, in quanto è basato sull’assunto di comparare il tenore di vita rispetto alla congruità del reddito dichiarato. Tuttavia, dato l’elevato potere conoscitivo e il meccanismo di presunzione su cui esso si basa (che comporta un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente), si deve evitare che nella pratica diventi uno “studio di settore per famiglie”, censurando qualsiasi automatismo in sede di verifica che non tenga conto della specifica situazione del contribuente.

Alessia CASIRAGHI