Mercato immobiliare italiano, è ancora notte

Non ci voleva certo un genio dell’economia per prevedere che il mercato immobiliare italiano stentasse a uscire dalla crisi anche in questo 2014. Una difficoltà che ha radici lontane che affondano anche nella crisi senza fine della filiera dell’edilizia, massacrata di tasse e burocrazia fino allo sfinimento.

Dicevamo che non ci voleva un genio dell’economia per certificare lo stato di sofferenza del mercato immobiliare italiano e infatti ci ha pensato l’Istat. Secondo gli ultimi dati contenuti nelle stime preliminari dell’Istituto Nazionale di Statistica, nel primo trimestre dell’anno, l’Ipab, ovvero l’indice dei prezzi delle abitazioni acquistate dalle famiglie sia ad uso abitativo sia come investimento, è calato dello 0,7% rispetto al trimestre precedente; rispetto, invece, allo stesso periodo del 2013, i prezzi hanno subito una caduta del 4,6%.

Èevidente, quindi, che non si arresta il crollo delmercato immobiliare italiano e che, se i prezzi continuano a scendere e la cosa dovrebbe favorire gli acquisti, significa che perdurano condizioni economiche poco rassicuranti.

L’Istat ricorda che il trend negativo del mercato immobiliare italiano è in atto da almeno due anni e che, con le stime dell’ultimo trimestre, la riduzione dei prezzi delle abitazioni ha superato il 10%, attestandosi su una flessione del 10,4% dal 2010, anno in cui l’indice ha iniziato ad essere pubblicato.

Il calo su base trimestrale è il frutto, da un lato, di una diminuzione dello 0,8% dei prezzi delle abitazioni esistenti, dall’altro di una diminuzione dello 0,1% dei prezzi di quelle nuove. Su base annuale, invece, si osserva un calo del 5,3% tra le abitazioni esistenti e del 2,6% tra quelle nuove.

Si costruiscono meno case, si tende a comprare (quando si compra) più l’usato che il nuovo, i prezzi calano ma la gente non compra. Tutti segnali che chi si occupa di edilizia e di mercato immobiliare italiano deve considerare attentamente per cercare di far uscire dalle secche uno dei settori una volta portanti della nostra economia che, dalla crisi che ormai morde da 6 anni, ha avuto i colpi più duri.

Le imprese edili fuggono all’estero

Anche le imprese di costruzioni si dirigono sempre di più all’estero.
Se, infatti, la crisi ha colpito duramente l’edilizia, le aziende del settore hanno pensato bene di difendersi facendo affari fuori dai confini nazionali dove, a quanto pare, le possibilità di lavorare sono molteplici.

A dimostrare questa “fuga” ci sono i dati: il fatturato realizzato all’estero, è triplicato in soli 8 anni, passando da 2,955 miliardi è passato a oltre 8,7.

Questo ed altro è contenuto nel Rapporto 2013 presentato dal presidente dell’Associazione nazionale dei costruttori edili, Paolo Buzzetti, il quale ha dichiarato: “Sono risultati incredibili anche perchè in Italia va molto male e ci stanno portando a mantenere molte aziende che sul solo terreno interno non sopravvivrebbero“.

L’industria edile italiana è presente in circa 90 paesi, ed ha registrato una crescita del fatturato dell’11,4% nel 2012 e 12 mld di nuove commesse all’estero.
Il mercato interno, invece, è ridotto al lumicino, con un giro d’affari del 4,2%.

Ha spiegato Buzzetti: “Nel 2012 è stata registrata una crescita del fatturato dell’11,4 per cento e ciò è dovuto prevalentemente al fatto che oltre il 50 per cento delle grandi aziende italiane sono orientate verso i mercati esteri“.

Le buone notizie riguardano il sistema Italia che dimostra di funzionare e di essere molto apprezzato in terra straniera, dove, inoltre, è aumentata la presenza di piccole e medie imprese del settore, soprattutto nei paesi emergenti del Nord Africa.
Sono 88 i Paesi dove nel 2012 hanno lavorato le aziende di costruzione italiane, 9 dei quali del tutto nuovi: Cipro, Irlanda, Camerun, Costa d’Avorio, Guinea, Malawi, Canada, Thailandia e Zambia.

Analizzando i primi 10 mercati in cui sono localizzate le nuove commesse, 4 appartengono all’area Ocse (Stati Uniti, Grecia, Cile e Messico) e un altro fa parte dei Bric (Russia).
Il rapporto di collaborazione tra l’Ance e il ministero degli Esteri italiano ha reso possibile raggiungere 25 paesi con missioni imprenditoriali di grande successo e che continuerà ad intensificarsi nel prossimo anno.
Ed è già ben chiaro quali sono i mercati su cui si punterà nel 2014: quelli dell’area Asean, Medio Oriente, Africa sub-sahariana, Nord America e Asia centrale.

Vera MORETTI

Filiera edilizia, la ripresa è green

Il settore delle costruzioni ha pagato fin qui un tributo pensantissimo alla grave crisi economica che attanaglia il nostro Paese. Le imprese sono ridotte allo stremo: dall’inizio della crisi a oggi sono andati in fumo un numero impressionante di posti di lavoro e il mercato della casa è inesorabilmente fermo, con l’acquisto di nuove abitazioni da parte delle famiglie italiane cha ha subito un crollo di 74 miliardi di euro rispetto al 2007.

Riportare l’edilizia al centro della politica economica è stato il leitmotiv al Made Expo di Milano, dove si sono incontrate la bellezza di 1.166 aziende nostrane. Unanimemente, il settore da cui ripartire per uscire dall’impasse della crisi economica è il green.

Ormai da diversi anni i canali di finanziamento per le riqualificazioni energetiche si moltiplicano: ecobonus fiscali, certificati, bond, contratti di finanziamento o fondi derivati dall’Unione Europea. Gli strumenti per sviluppare il settore green non mancano, ma le potenzialità non sempre vengono raccolte dagli operatori, anche perché la perenne confusione normativa disincentiva i possibili investimenti nel settore.

A Smart Energy Expo, la fiera sull’efficienza energetica che è in corso di svolgimento a Verona, si affronta il tema della finanziabilità degli interventi più complessi: l’efficienza energetica è in cerca di un sistema finanziario solido che permetta ai privati di sostenere investimenti onerosi e alle aziende di farsi carico dei rischi in operazioni di recupero che coinvolgono diversi protagonisti; che consenta di superare gli ostacoli legati agli elevati costi iniziali e ai tempi troppo lunghi di rientro, barriere per l’accesso al credito.

Jacopo MARCHESANO

Buzzetti: “Noi alla ripresa ci crediamo…”

 

 

In questa nostra settimana dedicata alla crisi della filiera edilizia non poteva mancare l’indispensabile parere di Paolo Buzzetti, presidente ANCE, associazioni nazionale costruttori edili, in merito al drammatico contesto descritto nei giorni scorsi dal Rapporto Formedil-Cresme.

Presidente Buzzetti, lei era tra i più ottimisti dopo la fiducia ottenuta dal governo Letta in Senato mercoledì scorso…

Il governo si è mosso bene, ha fatto la scelta di rimettere l’edilizia al centro della ripresa del mercato interno italiano, come hanno fatto i paesi più industrializzati del mondo. Fondamentale è stata la riduzione della cedolare secca dal 19% al 15% e spero si possa tornare a concedere mutui con i precedenti criteri a tassi d’interesse accettabili. I segnali di ripresa, i segnali di voglia di normalità, si iniziano a intravedere, se si segue la via che il governo ha tracciato in questi mesi possiamo farcela…

Qual è secondo lei la piaga maggiore che attanaglia in questo momento il mercato del mobile, l’esasperato credit crunch o l’inaudita pressione fiscale?

Entrambi, i mutui si sono ridotti del 70%, la ritrosia delle banche nel concedere denaro da investire è stata rilevante, ma anche l’Imu ha contribuito in maniera decisiva a bloccare le vendite e gli affitti. Purtroppo il mercato è tornato ai livelli degli anni ’80, ma le costruzioni devono essere il punto di partenza della ripresa economica.

Il rapporto Formedil Cresme 2013 delinea una situazione drammatica per il settore edile. Per il rapporto soltanto le aziende che investiranno all’estero avranno la speranza di una ripresa, quale futuro si prospetta per le imprese che lavorano esclusivamente nel nostro Paese?

Noi scommettiamo sul fatto che non c’è ripartenza del paese se non c’è la ripresa del settore edile. In questo momento dobbiamo essere messi nelle condizioni di ripartire, di ricreare posti di lavoro e il governo deve continuare a lavorare in questa direzione, facendo ripartire l’occupazione, questa è l’esigenza primaria per evitare il commissariamento dell’UE. Mantenere la nostra indipendenza economica è fondamentale, senza il pressing di un controllo estero.

 

Jacopo MARCHESANO

Gli italiani le fanno meglio. Le case

Non è certamente un dato nuovo: le imprese italiane che meglio resistono alla crisi sono quelle maggiormente esposte all’estero, quelle che esportano e che, all’estero, compensano l’asfissia del mercato interno, incapace di assorbire i loro prodotti.

A sorpresa, ma forse neanche tanto, scopriamo che il discorso vale anche per le imprese della filiera edile. Fatturato triplicato negli ultimi otto anni, 63 miliardi di euro di contratti di concessione nell’ambito di raggruppamenti internazionali di cui quasi 18 miliardi appannaggio delle imprese italiane, una presenza in una novantina di Paesi nel mondo. Sono alcuni dei numeri più importanti contenuti nell’ultimo Rapporto Ance sull’industria delle costruzioni italiane nel mondo, presentato nei giorni scorsi alla Farnesina.

I dati dell’Ance fotografano una crescita della presenza delle imprese italiane all’estero, a fronte della crisi del settore all’interno dei confini nazionali. E dal momento che, come si suo dire, Italians do it better, gli italiani lo fanno meglio, grazie all’altissimo livello di know how tecnologico, le imprese tricolori sono riuscite a penetrare in mercati competitivi e selettivi come Canada, Stati Uniti e Australia.

Il fatturato estero nel 2012 è stato di oltre 8,7 miliardi di euro, con una crescita dell’11,4% rispetto all’anno precedente. In più, dal 2004 al 2012, l’estero è cresciuto del 196,2%, con una media annua del 14,5% e nel 2012 le nuove commesse hanno raggiunto quota 12 miliardi di euro. Tra i primi 10 mercati dove sono localizzate le nuove commesse, 4 appartengono all’OCSE (Cile, Grecia, Messico, Usa) e un altro fa parte dei cosiddetti Paesi BRIC, la Russia.

Sono risultati incredibili – ha detto il presidente dell’Ance Paolo Buzzetti che consentono di mantenere in vita molte aziende che sul solo mercato interno non sopravvivrebbero. La maggior parte delle grandi imprese italiane di costruzione, infatti, consegue all’estero oltre il 50% del proprio fatturato”.

Buzzetti ha anche sottolineato l’importanza della stabilità e della continuità d’azione del Governo. “L’instabilità non deve compromettere la linea di politica economica intrapresa, a cominciare dall’approvazione della legge di stabilità, per scongiurare il commissariamento del nostro Paese. E’ fondamentale confermare la cancellazione dell’Imu sulla prima casa e convertire in legge i provvedimenti a sostegno dell’edilizia”.

Mattone su mattone, l’edilizia per ricostruire l’Italia

di Davide PASSONI

Si è tenuto nei giorni scorsi a Milano il Made Expo, la fiera internazionale dell’edilizia e dell’architettura che è stata l’occasione, tra le altre cose, per fare il punto sullo stato di salute della filiera edile italiana, una di quelle che ha maggiormente subito i colpi della crisi e che, negli ultimi anni, ha visto drasticamente calare addetti, fatturati, investimenti.

Ebbene, la musica non sembra cambiare più di tanto anche per il 2013, nonostante il piano di incentivi, soprattutto per la riqualificazione, messo in atto dal governo. Gli effetti positivi degli incentivi attenuano infatti di poco la negativa valutazione sull’andamento degli investimenti in costruzioni nel 2013. Secondo i dati Ance, a mitigare il calo dei livelli produttivi nel 2013 contribuiscono le ricadute positive che derivano dal pagamento alle imprese di una parte dei debiti pregressi della Pubblica Amministrazione.

Gli investimenti in riqualificazione del patrimonio abitativo, che rappresentano nel 2013 il 37,3% del valore degli investimenti in costruzioni, sono l’unico comparto che mostra un aumento dei livelli produttivi. Rispetto al 2012, si stima infatti una crescita del 5,3% in termini monetari e del 3,2% per le quantità prodotte, che produce un aumento estimativo pari a circa 2,4 miliardi di euro in valori correnti.

Naturalmente non basta. Alla base della crisi del mercato dell’edilizia c’è, come è facile immaginare il solito mix di fattori che deprimono buona parte dei mercati su cui si basa la nostra economia: stretta e soprattutto incertezza fiscale per quanto riguarda la tassazione sulla prima casa, contrazione della domanda interna e del potere d’acquisto delle famiglie, stretta creditizia da parte delle banche che, sempre più spesso, faticano ad erogare mutui,  maggiore costo del denaro sui mutui erogati, a causa delle fluttuazioni dei mercati internazionali.

Il tutto si traduce nel consueto bagno di sangue: chiusura di imprese, specialmente quelle artigiane emorragia di posti di lavoro, mercato stagnante.

Questa settimana Infoiva tornerà sull’argomento edilizia per capire se, al netto dei fattori sopra ricordati, quel barlume di ripresa che in tanti si ostinano a vedere c’è anche in questo settore chiave, flagellato da anni di crisi senza risposte. Vedremo se qualche risposta arriverà.

ABI, ANCE e sindacati chiedono modifiche al Decreto IMU

Sono molte le richieste di modifiche del Decreto IMU e arrivano da più parti, a seguito delle audizioni in Commissione Bilancio e Finanze della Camera da parte di ABI, ANCE e sindacati confederali come Cgil, Cisl e Uil.

Le banche chiedono che l’esenzione dall’IMU applicata agli immobili invenduti dalle imprese venga estesa anche ai fabbricati che un’azienda acquista e ristruttura per poi rivederli.
Per ora sono solo gli immobili non locati a non essere soggetti ad IMU, ma si richiede che l’aliquota non sia pagata nemmeno in caso di fabbricati posti in locazione anche per pochi mesi all’anno.

ABI ha chiesto anche che venga concesso un prestito ipotecario ai proprietari di immobili over 65, per convertire in contanti parte del valore dell’immobile senza perderne la proprietà. In parole semplici, è un prestito garantito dall’immobile.

In ultimo, si chiede che le imprese possano godere di un’IMU più leggera grazie alla deducibilità integrale di Ires e Irap sugli immobili strumentali, alla quale vengano aggiunte agevolazioni per ridurre l’impatto combinato delle tasse sugli immobili d’impresa e futura Service Tax.

Le imprese edili, invece, puntano alla misura dell’articolo 6 del Decreto, che riguarda i mutui casa garantiti dalla Cassa Depositi e Prestiti.
In base ai calcoli dell’ufficio studi ANCE, la misura può aumentare le operazioni di compravendite di 44mila unità, con un beneficio di 8,1 miliardi. La spinta agli investimenti per nuove costruzioni sarebbe di 1,3 miliardi, creando una ricaduta positiva per l’economia pari a 4,4 miliardi grazie all’iniezione di liquidità della Cdp.

Per quanto riguarda le richieste dei sindacati, infine, la Cgil ritiene che l’abolizione dell’acconto IMU sulle prime case introduca un elemento di “iniquità e inefficienza”, mentre sarebbe favorevole all’esenzione solo per chi possiede un unico immobile e all’interno di certi parametri di valore.

Anche la Uil punta il dito contro l’abolizione indiscriminata per tutti, e ritiene che la priorità in questo momento sia la riduzione delle tasse sul lavoro.

La Cisl aspetta di conoscere la prossima Legge di Stabilità, per capire in che modo si procederà all’eliminazione della rata IMU di dicembre, ma in generale ritiene il provvedimento “insufficiente a sostenere la domanda interna” e chiede che la futura Service Tax non appesantisca l’attuale carico fiscale delle famiglie.

Vera MORETTI

Zanonato incontra le associazioni di giovani imprenditori

Il ministro dello Sviluppo Economico Fravio Zanonato ha voluto incontrare i giovani imprenditori che appartengono alle principali associazioni di categoria di tutti i settori economici.

Si tratta di Confcommercio e Confesercenti per il commercio, Confindustria, Confapi e Ance per l’industria, Confartigianato e Cna per l’artigianato, Confagricoltura, Agia e Coldiretti per l’agricoltura, Confcooperative e Legacoop per le cooperative.

Il motivo di questo importante incontro sono le problematiche che stanno attanagliando il Paese, accesso al credito e burocrazia in testa, ma anche semplificazioni ed internazionalizzazione, alla base del successo delle imprese.

Le parole di Zanonato a proposito: “Si è trattato di un confronto aperto e costruttivo sui più pressanti temi legati alla crescita, all’occupazione e allo sviluppo sostenibile. Al termine dell`incontro le parti si sono impegnate, in vista di un nuovo appuntamento previsto a fine mese, a collaborare nella formulazione e condivisione di proposte legislative miranti a risolvere le principali criticità legate ai temi trattati”.

Vera MORETTI

Debiti PA, la revisione del decreto in 9 punti

Abbiamo visto ieri le prime osservazioni dell’Ance sul decreto sbloccacrediti. Oggi proseguiamo nell’analisi dei rilievi posti dall’Associazione nazionale dei costruttori edili.

Per evitare la formazione di nuovi debiti degli enti locali e garantire, anche nei confronti dell’Unione Europea, che l’operazione di pagamenti dei debiti pregressi sia “una tantum”, è necessario modificare le regole del patto di stabilità interno, introducendo il principio dell’equilibrio di parte corrente e un limite all’indebitamento, in modo da evitare l’accumulo di debiti di parte capitale della PA in presenza di risorse di cassa disponibili. La necessità di evitare la formazione di nuovi debiti è sottolineata anche dalla Commissione Europea e non può essere risolta solo con l’applicazione della nuova direttiva sui pagamenti.

Rispetto al contenuto del decreto-legge, secondo l’Ance appare opportuno:
1- Incrementare l’importo dell’allentamento del Patto di stabilità interno da 5 a 11 miliardi di euro nel 2013 per consentire l’utilizzo dei fondi già disponibili;
2- Per il 2014, prevedere l’esclusione dal Patto di stabilità interno dei pagamenti in conto capitale per almeno 10 miliardi di euro (il deficit 2014 aumenterebbe di 0,7% e salirebbe al 2,5% del Pil, invece dell’1,8%);
3- Spostare la data di riferimento per il pagamento dei debiti pregressi dal 31 dicembre 2012 al 31 marzo 2013;
4- Escludere dal Patto di stabilità interno delle Regioni anche gli importi dei trasferimenti in favore degli enti locali a valere sui residui passivi di parte capitale;
5- Accelerare il pagamento di risorse già disponibili degli enti locali, ampliando il ricorso a meccanismi automatici;
6- Evitare di rimettere in discussione il meccanismo previsto per gli enti locali, che risulta quello più semplice. Semplificare i meccanismi per l’accesso al fondo per la liquidità da parte delle Regioni. Il problema, però, è soprattutto quello della mancanza di risorse per pagare tutti i debiti;
7- Prevedere specifiche misure per le società partecipate dagli enti locali che risultano escluse dall’ambito di applicazione del decreto-legge;
8- Obbligare le Pubbliche Amministrazioni a registrare tutte le fatture inevase, anche quelle successive alla data del 31 dicembre 2012, sulla piattaforma telematica di certificazione dei crediti PA;
9- Introdurre con urgenza una norma che, senza ulteriori adempimenti attuativi, preveda il rilascio del Durc regolare in presenza di una certificazione attestante la sussistenza di crediti certi, liquidi ed esigibili, vantati nei confronti della PA, di importo almeno pari agli oneri contributivi previdenziali ed assistenziali accertati e non ancora versati da parte di un medesimo soggetto.

Per chiudere, secondo l’Ance va risolto il problema delle centrali di committenza differendo l’obbligo della centrale di committenza al 31 dicembre 2013 (invece del 31 aprile 2013), in allineamento con la definizione delle gestioni associate obbligatorie delle funzioni fondamentali degli enti interessati.

Debiti PA, Ance: allentare il patto di stabilità

Dopo aver visto le proposte di modifiche al decreto sbloccacrediti varato dal governo da parte di Confprofessioni, oggi vediamo quali sono i rilievi avanzati dall’Ance, l’Associazione nazionale dei costruttori edili, in un’audizione dinanzi alle commissioni speciali di Camera e Senato.

Intanto, secondo l’Ance, il decreto rappresenta un primo segnale importante e positivo, ma non è sufficiente e presenta alcune importanti criticità che rischiano di compromettere i risultati che si attendono dall’operazione di immissione di liquidità nel sistema economico e produttivo nazionale. L’associazione sottolinea che “il problema dei ritardati pagamenti in Italia – 19 miliardi di euro nel settore delle costruzioni – sta letteralmente stritolando il tessuto produttivo, mettendo a rischio la sopravvivenza delle imprese ed estendendo i suoi effetti devastanti su tutta la filiera. Le soluzioni adottate fino ad oggi non sono state in nessun modo adeguate alla drammaticità della situazione perché hanno continuato ad alimentare una finzione contabile che occulta il debito pur in presenza di crediti vantati dalle imprese“.

Secondo l’Associazione dei costruttori, l’impostazione del Piano di pagamento dei debiti della Pubblica Amministrazione non è accettabile poiché sussiste un problema di suddivisione degli importi delle somme da sbloccare tra spese in conto capitale e spese correnti. Secondo il decreto, solo 7,7 miliardi di euro sui 40 totali riguarderanno il pagamento di spesa in conto capitale e, inoltre, non è previsto alcun pagamento in conto capitale nel 2014: il Governo ha infatti stimato un deficit pari all’1,8% del Pil. Una dinamica che, nel settore delle costruzioni, porterà ad avere almeno 11 miliardi di euro non pagati.

Secondo l’Ance, appare necessario ribadire che circa 11 miliardi di euro sono già disponibili nelle casse di enti locali virtuosi; si tratta di risorse che vanno pagate subito e, sotto questo profilo, un allentamento del Patto di stabilità interno degli enti locali per soli 5 miliardi di euro, a fronte di 11 miliardi di euro già disponibili, non è accettabile. Sarebbe invece opportuno garantire che queste risorse si traducano in misure a favore degli investimenti produttivi, capaci di rilanciare crescita e occupazione. Sarebbe bene fare in modo che la flessibilità concessa da Bruxelles, rispetto alla disciplina di bilancio applicata finora, si traduca nel pagamento del massimo importo possibile di spese in conto capitale.

Allentare il rigore a favore soprattutto delle spese correnti rischierebbe invece di alimentare nuove spinte rigoriste da parte dell’Europa, compromettendo anche future aperture di credito all’Italia. Per questi motivi, il pagamento delle spese in conto capitale deve assumere carattere prioritario e rappresentare l’elemento centrale del piano di pagamenti dei debiti pregressi in corso di predisposizione.

L’Ance ricorda anche che il Patto di stabilità interno, così come disciplinato oggi in Italia, impedisce la trasformazione degli impegni di parte capitale in pagamenti alle imprese e provoca l’accumulo di debiti anche in presenza di risorse di cassa disponibili. Una dinamica che fa crescere l’importo dei debiti non conteggiati, consentendo solo il rispetto formale dei parametri fissati dai trattati europei.