Anci e RTI a Roma per manifestare contro la crisi

La recessione ha contribuito a far schizzare alle stelle la pressione fiscale, che ora ha superato il 55%, e anche a far diminuire la domanda per i consumi.

Se a tutto ciò si aggiunge l’accesso al credito sempre più difficile da raggiungere, si capisce quale situazione drammatica stanno attraversando le imprese del terziario di mercato e dell’artigianato, aggravata dai ritardi nei pagamenti da parte della Pubblica Amministrazione.
Se queste criticità si risolvessero, le pmi potrebbero finalmente rialzare la testa, mentre, per ora, la situazione è stagnante e lontana dall’essere sbloccata.

Per questo motivo, Rete Imprese Italia chiede al Governo e al Parlamento di intervenire con immediatezza per sbloccare il problema dei pagamenti della P.A. verso le imprese.
Inoltre, RTI ha comunicato che aderirà alla manifestazione promossa da Anci in programma domani, 21 marzo, a Roma, e che vedrà coinvolti il mondo dell’impresa, i sindacati, i sistemi produttivi ed associativi.

L’iniziativa pubblica voluta da Anci sembra, per ora, l’unico modo per far sentire alle forze politiche il profondo disagio in cui si trova il Paese.
Che finalmente qualcosa si sblocchi e, finalmente, i politici si decidano a trovare un accordo per formare il nuovo Governo?

Vera MORETTI

Anche gli architetti contro i ritardi delle PA

I ritardi dei pagamenti da parte della Pubblica Amministrazione rappresentano una vera e propria piaga, perché ritenuti ampiamente responsabili della situazione critica dell’economia italiana.

Anche Leopoldo Freyrie, presidente del Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori, è di questo avviso ed appoggia le preoccupazioni manifestate dai presidenti di Confindustria, Anci e Ance in proposito.
La richiesta partita da queste associazioni, ed indirizzata al Governo, è che vengano presi provvedimenti al più presto circa l’autorizzazione alle amministrazioni locali di sbloccare le risorse necessarie per fare fronte ai propri debiti.

Freyrie, infatti, ha dichiarato: “Anche gli architetti italiani ritengono del tutto inaccettabile il fenomeno dei ritardati pagamenti alle imprese e ai professionisti che hanno regolarmente, e da tempo, eseguito il loro lavoro. Questa situazione, infatti, mette a rischio l’esistenza stessa di migliaia di imprese e di studi professionali con effetti a dir poco devastanti su un comparto già duramente provato da una crisi economica che non accenna ad allentare la sua morsa”.

Vera MORETTI

Scarpe italiane? Da!

Non c’è niente da fare. Luogo comune o no, il mercati del Paesi Bric sono quelli che, per la calzatura italiana, rappresentano un salvagente irrinunciabile in questo momento di congiuntura economica negativa.

Nei giorni scorsi abbiamo già parlato di theMICAMshanghai, che si terrà nella metropoli cinese dal 9 all’11 aprile 2013. Prima però, toccherà alla Russia con la fiera Obuv’ Mir Koži, in programma dal 18 al 21 marzo su una superficie totale di 5.400 metri quadrati all’interno dei padiglioni espositivi dell’Expocentr, il centro fieristico più importante di Mosca. Nell’occasione, saranno 222 le imprese dei settori calzatura e pelletteria italiani che esporranno nella capitale russa.

La rassegna è un evento di riferimento per gli operatori del settore, l’appuntamento dedicato alla calzatura del prodotto medio-alto e alto in Russia, che in questa prima edizione del 2013 mette in mostra le collezioni autunno/inverno 2013-2014. La caratteristica di queste collezioni è che si tratta di prodotti progettati e realizzati ad hoc per soddisfare le esigenze del mercato russo, soddisfacendo così le richieste di buyer e professionisti del settore provenienti anche dall’intera area delle ex repubbliche sovietiche.

Organizzata da Anci e Fairsystem, società del gruppo BolognaFiere, durante la scorsa edizione la rassegna ha accolto 8mila operatori provenienti non solo dall’intera Russia, ma anche dalle vicine Bielorussia, Ucraina e Paesi dell’Asia Centrale. La prossima edizione si preannuncia, come le precedenti, all’insegna dell’ampia partecipazione, sia da parte delle aziende italiane sia degli operatori. Obuv’ Mir Koži è riconosciuta come grande occasione di business, anche in considerazione dei positivi dati economici relativi alla regione.

Russia e Paesi dell’area Csi, infatti, riescono danno ancora performance incoraggianti. Nel periodo gennaio – settembre 2012, le esportazioni italiane di calzature in Russia hanno raggiunto gli oltre 6,1 milioni di paia (+9,7% rispetto allo stesso periodo del 2011), generando un valore pari a 487 milioni di euro (+14,9% rispetto ai primi nove mesi del 2011). Stesso andamento positivo anche per il prezzo medio dei prodotti esportati, pari a 79,8 euro al paio (+4,7% rispetto allo stesso periodo del 2011).

Se si considerano i Paesi dell’Est Europa e dell’area Csi, salgono a oltre 11,5 milioni le paia esportate e a oltre 666 milioni di euro i valori fatturati nei primi 9 mesi del 2012. Gli incrementi percentuali, 6,9% e 12,2% rispettivamente, sono in linea con quelli del solo mercato russo. La differenza più significativa è, invece, in termini di prezzo medio, che raggiunge i 58,2 euro al paio a causa dei prezzi di vendita nei Paesi della ex-Jugoslavia nettamente più bassi rispetto ai mercati dell’area Csi.

Diverse le attività collaterali alla manifestazione organizzate da Anci, tra cui una campagna pubblicitaria focalizzata sul made in Italy e che andrà in onda sui principali canali satellitari, incoming di operatori dalle regioni russe e la continua attività di ufficio stampa volta a dare sempre maggiore visibilità all’evento e alle aziende che vi partecipano.

Insomma, le imprese calzaturiere, passateci il termine, si “sbattono” e non poco per dare un senso e un futuro al proprio business. Quando vedremo un pari supporto a questo tassello importante dell’economia italiana da parte di fisco e istituzioni?

Calzature, quattro passi nella crisi

L’Italia è il centro di gravità mondiale della calzatura e il Micam è il grande evento nel quale si celebra l’eccellenza di questo prodotto tricolore. Un’eccellenza fatta da una filiera che, come tante altre, soffre questo momento di crisi; ecco allora che il Micam è un barometro attendibile per verificare “il tempo che fa” sul mondo della scarpa italiana.

L’edizione 2013 ha visto 1.538 aziende espositrici su una superficie di 68mila metri quadrati, visitati da 35.389 persone, a fronte delle 36.049 di marzo 2012. Gli operatori internazionali provenienti da oltre 100 Paesi sono stati 19.181. Ma l’appuntamento milanese non si è svolto sotto i migliori auspici.

L’economia reale non ha il suo spread quotidiano che sta lì a ricordarci quello che avviene nelle imprese e ai lavoratori – ha affermato il presidente di Anci Cleto Sagripanti -. Però i numeri che emergono dal preconsuntivo elaborato da Anci non lasciano dubbi sul momento di difficoltà per il settore. Nonostante i buoni risultati degli anni post crisi, 2010-2011, oggi dobbiamo commentare dati non soddisfacenti in relazione agli sforzi che hanno fatto e stanno facendo le aziende sui prodotti e sugli strumenti commerciali“.

Il quadro che emerge è quindi preoccupante laddove il barometro della congiuntura nel 2012 è tornato a registrare turbolenza: la fase recessiva nazionale ha avuto un impatto sul reddito disponibile, sul clima di fiducia delle famiglie e sugli acquisti, finendo per interrompere il rimbalzo positivo dell’ultimo biennio. Alla contrazione dei consumi nazionali si è aggiunta la frenata, a volte molto brusca, dei mercati Ue, che assorbono ancora il 54% del fatturato estero delle imprese calzaturiere.

Il mercato non aspetta – ha detto ancora Sagripanti, eppure questa convinzione sembrano averla solo le imprese e i lavoratori, se guardiamo ai temi dibattuti in campagna elettorale. L’economia reale, quella che da anni attende risposte sul cuneo fiscale e sull’Irap, sembra essere utile solo quando è fonte di reddito fiscale oppure quando serve a coprire i buchi di bilancio. L’ingovernabilità pesa non soltanto sui mercati finanziari ma anche sulle imprese, e in particolare quelle calzaturiere che da anni attendono risposte efficaci. Il nostro spread lo misuriamo, infatti, nelle cifre negative dell’occupazione, con un calo di addetti di 1.671 unità, pari al -2,1%, rispetto al 2011. Il nostro spread lo misuriamo guardando il trend sfavorevole nel numero di imprese attive, scese a 5.356, ovvero 250 calzaturifici in meno rispetto allo scorso anno. E altre potrebbero non raggiungere la chiusura del bilancio di quest’anno“.

Nonostante il quadro negativo, il settore calzaturiero nel suo complesso dà un contributo importante al Paese: il saldo commerciale nei dati preconsuntivi raggiungerebbe i 3,8 miliardi di euro, con un aumento del 12,6% rispetto al 2011. Ciò è dovuto non solo alla tenuta delle esportazioni, soprattutto trainate dalle vendite nei Paesi extra-UE, ma anche da una forte frenata delle importazioni. A preconsuntivo l’import scenderebbe a 302 milioni di paia per circa 3,8 miliardi di euro con un calo rispettivamente del 15,6% e del 5,3%.

Se l’import rallenta, le stime di preconsuntivo ci offrono uno scenario a luci ed ombre per le esportazioni. È vero che l’export in valore crescerebbe del 2,8% portando il fatturato estero complessivo a oltre 7,6 miliardi di euro, ma in volume le vendite calerebbero di un significativo 6,2%, collocando i flussi complessivi a 214,8 milioni di paia. Un risultato del genere è peraltro il frutto di andamenti più positivi, in valore, del primo semestre rispetto a quelli del secondo semestre, nonostante il dinamismo degli ultimi tre mesi dell’anno. Gli ultimi dati Istat disponibili, che riguardano i primi undici mesi del 2012, dicono che l’incremento si attesta al 3,1% in valore, raggiungendo la cifra record di 7,1 miliardi di euro, pur con una flessione del -6,3% in quantità.

Le imprese – ha detto ancora Sagripantihanno investito di più in creatività e proposte innovative, ma hanno anche saputo integrare all’antico sapere industriale e creativo quello commerciale e di servizio al cliente. Per questo, il settore ha bisogno di supporti maggiori sia sul fronte della defiscalizzazione delle spese di campionario sia sul fronte della promozione. Non dimentichiamoci che per ogni modello pensato è necessario fare un numero di campionari che è almeno pari al numero di mercati in cui esportiamo. Quanto più cresciamo all’estero e tanto più questa voce pesa sul bilancio delle imprese, quanto più siamo creativi e tanto più facciamo i conti con questo costo”. Chi ha orecchie per intendere, intenda

Calzature, un 2012 tra luci e ombre

di Davide PASSONI

Si è da poco concluso, in Fiera a Milano, il Micam, la più importante fiera calzaturiera d’Italia e, probabilmente, d’Europa. Un appuntamento che serve, oltre che a fare business e a mettere in vetrina l’eccellenza delle scarpe made in Italy, a misurare lo stato di salute di un settore chiave per l’economia italiana. Un settore che è l’espressione esatta di ciò che significa impresa in Italia: migliaia di piccole realtà artigianali, poche realtà più strutturate, un indotto che, spesso coincide con quello del territorio nel quale l’azienda opera, un’altissima qualità del prodotto e della manodopera impiegata per realizzarlo.

Se dall’appuntamento milanese è emerso un aumento di visitatori e, quello che più conta, di buyer stranieri – da Russia, Estremo Oriente, Francia e repubbliche ex sovietiche il maggior numero di compratori esteri -, restano comunque i dati sotto i quali il Micam si è aperto e con i quali ha dovuto fare i conti durante i giorni di fiera. Parliamo di un analisi elaborata da Diomedea per conto di Anci sull’andamento del comparto calzaturiero italiano nel 2012. Un bilancio tra luci e ombre, nel quale le ombre devono far riflettere.

Lo scorso anno il fatturato del comparto è stato di 7,1 miliardi di euro, con una flessione dell’1,4% in valore rispetto all’anno precedente; la produzione, invece, si attestata al di sotto dei 200 milioni di paia, con un calo del 4,1% rispetto al 2011. Import ed export hanno registrato andamenti contrastanti. Se le importazioni sono scese in valore del 5,3% e in volumi del 15,6% (dato preoccupante…), l’export, vera locomotiva della nostra economia, ha avuto delle curve schizofreniche: cresciuto
del 2,8% in valore, ha invece fatto registrare un calo del 6,2% in termini di volumi, specialmente a causa del calo della domanda interna (-3,8%) e di quella di alcuni Paesi europei tra i quali, insospettabilmente, la Germania, calata dell’8,5%. Fortunatamente la forte domanda dall’area Bric ha fatto “tenere” l’export verso alcuni mercati chiave (Cina-Hong Kong +27,6%, Russia +14,7%), ma il trend non è bastato per mantenere, in Italia, i livelli di occupazione: secondo l’Anci, lo scorso anno hanno chiuso circa 250 aziende del settore, che ora conta su poco più di 5300 imprese attive (5356).

Un dato preoccupante, che però il “sistema scarpa” italiano sta cercando di rendere meno amaro con operazioni di promozione forte della calzatura italiana all’estero. Va in questa direzione l’imminente theMicamShanghai, appuntamento nato dall’accordo con Fiera Milano che potrebbe estendersi agli Stati Uniti; intanto, però, dal prossimo 9 aprile sarà nella metropoli cinese in concomitanza con la Shanghai Fashion Week e vedrà nei padiglioni 240 espositori, metà dei quali stranieri. Se l’export è il salvagente cui aggrapparsi aspettando tempi migliori, iniziative come queste sono solo da appoggiare. Perché a fine 2013 non vorremo trovarci di nuovo a fare la triste conta delle imprese calzaturiere fallite.

Siamo ancora i più bravi a fare le scarpe al mondo? Luci e ombre della filiera della calzatura

di Davide PASSONI

Sarà anche un’espressione abusata, ma come facciamo noi italiani le scarpe al mondo, non le fa nessuno. L’industria calzaturiera italiana è infatti, a nostro parere, la più importante e la migliore del globo. Migliore in termini di materiali utilizzati, capacità produttiva, capacità di innovazione e maestria artigianale.

Come tutte le filiere industriali e artigianali, però, anche quella della calzatura è in sofferenza a causa di una crisi che non smette di mordere, della dimensione spesso troppo familiare delle imprese produttive, di una concorrenza, specie dai Paesi dell’Estremo Oriente, fatta di prezzi bassi, materiali scadenti, qualità sotto standard accettabili.

Anche per quanto riguarda la filiera della calzatura, purtroppo, il film è uno di quelli già visti: scarsa attenzione da parte di chi dovrebbe tutelarne il valore e la capacità competitiva, difficoltà a venire a capo di una fiscalità e di una burocrazia che, non bastassero il crollo dei consumi e l’aggressività della concorrenza estera, impedisce qualsiasi sviluppo industriale sano, incapacità cronica di fare sistema che fa sì che quasi mai si remi nella stessa direzione. C’è comunque da sottolineare che, su quest’ultimo punto, l’Anci – l’Associazione Nazionale Calzaturifici Italiani – da anni svolge un’opera meritoria per cercare di compattare le fila della nostra industria per meglio spenderne il valore all’estero.

Resta però ancora molto da fare anche perché, stando a quanto emerso dal recente Micam di Milano – la più importante fiera calzaturiera d’Italia e, probabilmente, d’Europa -, i segnali che vengono dalla nostra industria delle scarpe sono contrastanti e la contrazione dell’export nel 2012 non lascia per nulla tranquilli. Ecco, proprio sulla scorta di quanto uscito dal Micam, Infoiva ha deciso di puntare i propri fari, questa settimana, su questo settore chiave per la nostra economia. Per capire, dalla voce di alcuni protagonisti del settore, se ancora noi italiani siamo maestri nel fare le scarpe agli altri o se questi altri ce le stanno facendo senza che ce ne accorgiamo.

Le imprese edili friulane chiedono una revisione del Patto di Stabilità

Sono tre associazioni, ovvero Ance, Anci e Cal, a chiedere che venga rivisto il Patto di Stabilità e che vengano portati a 190, dai 90 attuali, i milioni di euro di tondi destinati agli enti pubblici.

Viene anche richiesta una certificazione dei crediti per fare in modo che le imprese possano ricevere gli anticipi dei pagamenti da parte delle banche.

Valerio Pontarolo, presidente dell’associazione costruttori edili del Friuli, ha voluto inoltre sottolineare lo stato di criticità in cui versano le imprese edili, anche a causa dei ritardi dei pagamenti da parte degli enti pubblici: “Il Patto è un meccanismo scellerato e impattante di cui non riusciamo a comprendere la logica. Per l’Ance Fvg la priorità, in questo momento, è dare la possibilità alle nostre autonomie locali di pagare i debiti relativi ai lavori pubblici già eseguiti, anche perché le risorse, comuni e province, le hanno già in cassa. La Regione dovrà intervenire aggiungendo ai 90 milioni già promessi, altri 100 milioni. In caso contrario assisteremo a una moria di imprese “per crediti”, che per un’azienda è la peggiore possibile“.

Ciò che si pretende, in concreto, è di liquidare le imprese per i lavori già eseguiti, evitando in questo modo l’inevitabile fallimento di numerose attività e la conseguente perdita di posti di lavoro.
Questo è quanto è stato sottolineato da Mario Pezzetta, presidente dell’Anci del Friuli: “Quello che vogliamo fare è rivedere il Patto di stabilità regionale al fine di poter pagare le imprese per i lavori già svolti, scongiurando così il fallimento di decine di aziende e il licenziamento di centinaia di addetti“.

Vera MORETTI

Il presidente di Confindustria Alberghi scrive a Mario Monti

Che le tasse, per il settore turistico, costituissero quest’anno una pericolosissima spada di Damocle, era risaputo, ma Giorgio Palmucci, presidente dell’Associazione Italiana Confindustria Alberghi, ha voluto lanciare un vero e proprio grido di allarme scrivendo direttamente a Mario Monti e a Vittorio Grilli, ministro dell’Economia, nonché all‘ANCI, Associazione Nazionale Comuni Italiani.

Siamo ben consapevoli del delicato equilibrio in cui si muove l’economia del nostro Paese, ma ci troviamo nella necessità di evidenziare la gravissima criticità che l’applicazione dell’IMU, nei livelli oggi fissati, sta creando alle aziende alberghiere“.

Ciò che Palmucci chiede in particolare, oltre alla revisione dell’Imu per il 2013, è anche la rateizzazione del saldo 2012 che sta mettendo in seria difficoltà le imprese, già in grosso affanno a causa della crisi dell‘intero comparto.
Per sensibilizzare ancora di più il Governo, infine, il presidente di Confindustria Alberghi ha invitato i propri soci sul territorio a presentare la stessa richiesta ad amministratori locali e Governo centrale.

Vera MORETTI

Cnf e Anci contro la soppressione dei tribunali

Consiglio Nazionale Forense e Associazione dei Comuni italiani non mollano sulla soppressione dei tribunali. Riparte infatti il gruppo di lavoro CNF-ANCI sulla geografia giudiziaria che servirà, secondo le parole del Cnf, a “smascherare, sulla base di dati certi di finanza pubblica locale, l’inefficacia e la sostanziale inutilità del progetto di soppressione di tribunali e procure varato dal Governo per recuperare efficienza nel sistema giustizia“.

Il gruppo di lavoro predisporrà una Commissione tecnica che si avvarrà di professionalità anche esterne al settore della giustizia, provenienti dal mondo dell’organizzazione aziendale, del lavoro e della informatica, oltre ai rappresentanti della magistratura e del personale amministrativo impiegato nei tribunali, per predisporre un progetto alternativo che tenga conto dei criteri alla base della spending review nella pubblica amministrazione e, in particolare, della Legge di Stabilità.

In questo senso, il primo passo concreto che Cnf e Anci faranno sarà la definizione di un piano di risparmio, attraverso la razionalizzazione della spesa sostenuta dai Comuni per la giustizia, che produca una riduzione complessiva del 10% dei costi dell’intero comparto dei tribunali sub-provinciali e delle sezioni distaccate, superiore quindi alla riduzione di costi che il Governo punta a ottenere sopprimendo invece,con tagli lineari, molti uffici giudiziari. Tentativo che il Ministero della Giustizia , dice il Cnf, “si è ben guardato dal fare, procedendo invece con la secca riduzione del 30% degli stanziamenti pubblici per il funzionamento degli uffici giudiziari“.

Cnf e Anci hanno in progetto di annunciare questa “operazione risparmio” con un convegno nazionale in occasione del quale verranno presentate le conclusioni della Commissione tecnica.

Il gran ballo dell’Imu

Se pian piano si dirada la nebbia su tempi e modi per il pagamento dell’Imu, ora ci si mettono i comuni a fare casino. L’Anci ha infatti lanciato l’allarme: il gettito Imu sarà inferiore rispetto alle stime del Mef “e questo sarà un problema” per i cittadini che “dovranno pagare molto di più“. Virgolettati del presidente dell’Anci, Graziano Delrio, che chiede al governo di correggere la rotta: “c’è urgenza di sedersi intorno a un tavolo e modificare l’attuale situazione o rischiamo una grande tensione sociale al pagamento della prima rata“.

Allarmismo? Ci pensa il governo a smorzare i toni, prima nella persona del sottosegretario al ministero dell’Economia, Vieri Ceriani, che assicura che Palazzo Chigi “è fiducioso” sull’incasso e che sarà possibile non alzare l’aliquota; prima di lanciare l’allarme, occorre attendere il pagamento della prima tranche dell’imposta. Secondo i calcoli del ministero, i comuni incasseranno dall’Imu tre miliardi in più nel 2012, rispetto all’Ici del 2011. Dei 21 miliardi di gettito previsto dall’Imu, 9 andranno allo stato e 12 ai Comuni, mentre nel 2011 questi ne avevano incassati 9. Dalla nuova imposta sulla casa, dunque, il guadagno è di circa 3 miliardi mentre, dice Ceriani, “la carenza di risorse” lamentata dai Comuni deriva dai trasferimenti dello Stato che hanno subito “un taglio forte“.

Infine, museruola definitiva all’Anci dal Governo, che in una nota conferma il gettito complessivo di circa 21 miliardi di euro e dice che la notizia di un ammanco di 2,5 miliardi di euro, diffusa attraverso le stime elaborate dall’Ifel, l’Istituto per la finanza e l’economia locale dell’Anci, sulla base delle previsioni di gettito formulate dai Comuni “non deve generare allarmismo“. Insomma, zitti e mosca, i soldi arriveranno. Come al solito… intanto pagate, poi si vedrà.