Imprese artigiane in ripresa ma ancora in saldo negativo

Bilancio negativo per le imprese artigiane, soprattutto se si tratta di pmi.
Il saldo tra iscrizioni e cessazioni di impresa per le ditte individuali, infatti, è di -12.333 unità, pari all’1,39%, a fine 2016, mentre si arriva a 6mila in meno per le società di persone (-2,51%).
Le società di capitali, al contrario, hanno registrato un bilancio positivo: +2.477 imprese pari al +3,28% rispetto al 2015.
Nel complesso, dunque, il 2016 si è chiuso con segno negativo tra iscrizioni e cessazioni (-15.811 unità) ma in miglioramento rispetto al 2015. Ed è il risultato meno pesante dal 2011.

Si tratta di dati resi noti dall’analisi di Unioncamere e InfoCamere, condotta analizzando i numeri raccolti dal registro delle imprese delle Camere di commercio relativi allo scorso anno.

Ci sono, però, alcuni settori in cui si è registrato un segno positivo, come le imprese artigiane attive nel noleggio, agenzie di viaggio e servizi alle imprese, anche grazie all’impulso positivo proveniente dalle Attività di servizi per gli edifici e per il paesaggio.
Saldo positivo anche per gli Altri servizi (+864), trainati dai servizi alla persona (+1.205).

Riduzioni più consistenti, invece, per le costruzioni, che nel 2016 hanno perso oltre 10mila attività, e la manifattura, che si riduce di quasi 5.500. Quasi 2mila in meno, poi, le imprese artigiane che operano nel Trasporto e magazzinaggio.

A livello territoriale, le uniche province con saldo positivo sono Milano (+300 imprese, +0,43%) e Bolzano (+26, +19%). Tutte le altre archiviano un 2016 con segno meno, con cali compresi tra il -0,12% di Grosseto e il -2,95% di Chieti.

Vera MORETTI

Congiuntura, il 2016 parte bene ma il 2015 ha fatto meglio

I dati sulla congiuntura economica relativi all’inizio del 2016 indicano un avvio di anno complessivamente positivo, ma in rallentamento rispetto al 2015, a conferma di un’economia che avanza lentamente. 

I dati congiunturali derivano dall’indagine relativa al primo trimestre 2016, che ha riguardato un campione di più di 2.600 aziende manifatturiere, suddivise in imprese industriali (1.576 imprese) e artigiane (1.190 imprese).

Nel primo trimestre 2016 si registra un rallentamento della crescita della produzione industriale, con variazioni congiunturale (+0,1% dato destagionalizzato) e tendenziale (+1,3%) entrambe positive, ma inferiori ai risultati di fine 2015 (+0,4% congiunturale e +1,9% tendenziale).

Anche per le aziende artigiane manifatturiere la congiuntura a inizio 2016 registra una decelerazione della produzione rispetto ai risultati dello scorso anno, con la variazione tendenziale al +0,7% e la variazione congiunturale che torna negativa al -0,3%.

L’indice della produzione industriale non riesce a superare quota 99, mantenendo la distanza dal massimo pre-crisi intorno ai 9 punti percentuali.

Per le aziende artigiane l’indice della produzione scende a quota 70,4, ma rimane quasi tre punti rispetto al minimo di inizio 2013, recupero realizzato quasi interamente nel corso del 2015, anno caratterizzato da una discreta congiuntura economica.

Per quanto riguarda i settori produttivi, la dinamica tendenziale della produzione risulta essere ancora differenziata, con i 13 settori oggetto di analisi divisi in due tra crescita e contrazione. Guidano i settori in ripresa: chimica e mezzi di trasporto (+2,7%), seguiti da siderurgia (+2,4%), gomma-plastica (+2,3%), meccanica (+1,7%), carta-stampa e legno-mobilio (+1,0%).

Tra i settori negativi metà presenta variazioni della congiuntura di poco inferiori allo zero (abbigliamento -0,2%; tessile -0,6%; alimentari -0,8%) quasi assimilabili ad una stazionarietà dei livelli produttivi; i restanti sono i settori che più hanno risentito della crisi e ancora non accennano a riprendersi (minerali non metalliferi -3,2%; industrie varie 
-2,4%; pelli-calzature -1,4%).

Anche per l’artigianato a livello settoriale la situazione è eterogenea, con il segno positivo che caratterizza circa metà dei comparti. I cinque settori in espansione sono guidati dalle industrie varie (+6,1%), dalla gomma-plastica (+5,9%), l’alimentare (+2,4%) e la meccanica (+1,0%). In leggera crescita la carta-stampa (+0,5%). In contrazione il comparto moda (abbigliamento: -3,9%; tessile: -2,5%; pelli e calzature: -2,1%), a cui si aggiunge la siderurgia (-2,2%), i minerali non metalliferi (-1,5%) e il legno-mobilio 
(-0,4%).

Lo spaccato dimensionale presenta dati di congiuntura sulla produzione positivi per tutte e tre le classi, ma con differenti velocità: più intensa in questo trimestre per le grandi (+1,6%) e più contenuta per medie e piccole imprese (+1,2%), schema che si ripresenta anche per l’artigianato con le imprese più piccole, con un numero di addetti compreso tra 3 e 5, che registrano i risultati peggiori (-0,7%) e quelle di dimensioni maggiori che mantengono crescita tendenziale (+1,1% le imprese da 6 a 9 addetti e +1,7% quelle con più di 10 addetti).

L’occupazione per l’industria presenta un saldo positivo significativo (+0,7%) grazie a una consistente contrazione delle uscite (1,1% il tasso d’uscita) e ad una tenuta degli ingressi (1,8% il tasso d’ingresso). In rallentamento anche il ricorso alla cassa integrazione, con una quota di aziende che dichiara di aver utilizzato ore di cassa integrazione che scende al 13,2%, e la quota sul monte ore al 2,0%.

Le aspettative degli imprenditori industriali per la domanda estera e interna si stabilizzano sui livelli di fine 2015. Per la produzione il saldo rimane in area positiva ma si riduce ulteriormente a causa di un incremento dei pessimisti, mentre la quota degli imprenditori che non prevedono variazioni della congiuntura rimane stabile al 58%. In leggero miglioramento le aspettative sull’occupazione, ma rimane elevata la quota di imprenditori che non prevede variazioni nei livelli (84%).

Imprese artigiane ancora in calo nel 2015

Se l’economia italiana nel 2015 ha dato qualche segnale di risveglio, nel nostro Paese è comunque continuato il periodo nero per le imprese artigiane, calate lo scorso anno di 21.780 unità. Solo l’ultimo anello di una catena cominciata con la crisi e che, dal 2009, ha fatto calare di 116mila attività il mondo delle imprese artigiane, scese a meno di 1 milione e 350mila al 31 dicembre 2015.

A pagare il prezzo più alto, ancora una volta le imprese edili (-65.455 unità), seguite dai trasporti (-16.699), dalle imprese artigiane metalmeccaniche (-12.556 per i prodotti in metallo, -4.125 per i macchinari) e da quelle del legno (-8.076, -11.692 considerando anche i produttori di mobili).

Cresciuto, invece, il numero di imprese artigiane di pulizia e di giardinaggio (+ 11.370), gelaterie-rosticcerie-ambulanti del cibo da strada (+ 3.290), parrucchiere ed estetiste (+2.180).

Un calo che non accenna a diminuire e che, secondo il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia Paolo Zabeo, ha diverse spiegazioni: “La caduta dei consumi delle famiglie e la loro lenta ripresa, l’aumento della pressione fiscale e l’esplosione del costo degli affitti hanno spinto fuori mercato molte attività, senza contare che l’avvento delle nuove tecnologie e delle produzioni in serie hanno relegato in posizioni di marginalità molte professioni caratterizzate da un’elevata capacità manuale. Ma oltre al danno economico causato da queste cessazioni, c’è anche un aspetto sociale molto preoccupante da tenere in considerazione. Quando chiude definitivamente la saracinesca una bottega artigiana, la qualità della vita di quel quartiere peggiora notevolmente. C’è meno sicurezza, più degrado e il rischio di un concreto impoverimento del tessuto sociale”.

Ripresa per la manifattura italiana

L’industria pesante italiana sta vivendo un periodo di ripresa evidente anche dai consuntivi che riguardano il secondo trimestre 2015.
Meccanica e industria elettrica ed elettronica, infatti, possono esibire dati che incoraggiano all’ottimismo e che vanno a rinforzare i numeri, già di per sé positivi, del primo trimestre dell’anno.

Ora, però, hanno ricominciato a sorridere anche gli imprenditori della manifattura tipica del Made in Italy, a cominciare dalla moda fino all’alimentare, passando per legno e arredo.

Ciò è quanto emerge da un’indagine condotta dal Centro studi di Unioncamere e dall’Area Studi e Ricerche dell’Istituto Guglielmo Tagliacarne.

Ad esempio, i saldi tra preconsuntivi di aumento e di diminuzione della produzione e del fatturato delle imprese manifatturiere ammontano rispettivamente a +20 e a +22%, considerando sempre il secondo trimestre 2015.

I miglioramenti più netti arrivano dalle imprese con almeno 50 addetti, con un saldo positivo del 28% per produzione e 34% per fatturato, mentre le piccole imprese si assestano a +12%.

I numeri, inoltre, mostrano una sostanziale differenza tra i comparti dell’industria leggera e della manifattura pesante, con la prima in affanno rispetto alla seconda.

L’industria “pesante” viene trainata in particolare dalle industrie elettriche ed elettroniche (+27 la produzione e +36 il fatturato) a cui si affianca il comparto delle industrie meccaniche e dei mezzi di trasporto che, favoriti dalla ripresa delle immatricolazioni automobilistiche, vanta un’analoga performance in termini di produzione collocandosi appena dietro per quanto concerne il fatturato (+33).

Più defilate le industrie chimiche, petrolifere e delle materie plastiche che fanno segnare un +26 di produzione e un +30 di fatturato.
Ancora più indietro è il sistema moda, con una percentuale positiva solo del 12%.

L’artigianato, benchè presenti dati in positivo, si mostra più prudente, e infatti ha chiuso il secondo trimestre con un saldo di +9 in termini di produzione e +8 come fatturato.

A dare maggior slancio al manifatturiero è stato in particolare il Mezzogiorno, considerando che al sud il settore ha chiuso il secondo trimestre con un buonissimo +26%in termini di produzione e del 29% di fatturato.

Complice di questo risultato è la domanda estera, che ancora una volta la fa da padrone sui mercati.

Vera MORETTI

La crisi mette in ginocchio l’artigianato

L’artigianato sta conoscendo un periodo di forte crisi.
I dati, a questo proposito, parlano chiaro: tra il 2009 e i primi nove mesi del 2014, infatti, più di 91mila imprese hanno dovuto alzare bandiera bianca.

Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia, il cui Ufficio Studi ha effettuato questa indagine, ha commentato così questa situazione: “Nonostante la crisi economica abbia cancellato a livello nazionale ben 91.000 aziende artigiane, i giovani, soprattutto nel comparto casa, costituiscono la maggioranza degli addetti. E’ un segnale molto importante che squarcia un quadro generale molto critico. A nostro avviso ciò è dovuto a due motivi. Il primo: questi mestieri, legati al mondo dell’edilizia, impongono una forza e una tenuta fisica che difficilmente possono essere richiesti a dei lavoratori di una certa età. Il secondo: il forte aumento del numero dei diplomati avvenuto in questi ultimi anni nel settore edile, elettrico e termoidraulico ha favorito l’ingresso di molti ragazzi nel mercato del lavoro. In generale, malgrado le difficoltà e i problemi che sta vivendo il nostro settore, i giovani stanno ritornando all’artigianato, ma non ai vecchi mestieri. Dai nostri dati, ad esempio, gli artigiani che lavorano il vetro artistico, i calzolai, gli artigiani del cuoio, delle pelli e quelli e i sarti corrono il rischio, fra qualche decennio, di estinguersi”.

Per quanto riguarda l’ubicazione delle imprese che sono state costrette a chiudere, una su due si trovava al Nord, con picchi in Lombardia, dove all’appello mancano 12.496 aziende, seguita dall’Emilia Romagna (-11.719), il Veneto (- 10.944) e il Piemonte (-8.962).

Tra i settori che maggiormente hanno sofferto la contrazione numerica, ci sono sicuramente quello delle costruzioni/installazione impianti (-42.444), ma anche le attività manifatturiere (- 31.256), i carrozzieri e le autofficine (- 15.973).

Al contrario, in espansione ci sono i servizi alla persona (parrucchieri, estetiste, massaggiatori, etc.), con un saldo pari a + 1.405 attività, le gelaterie e le pasticcerie, con +5.579 imprese, e le attività di pulizia/giardinaggio, con + 10.497 aziende artigiane.

Ma quali sono le cause che hanno portato a questa crisi?
In primo luogo i costi, che hanno cominciato a lievitare tanto da registrare un picco del 21% dal 2008 al 2013 nell’energia, e del 23,5% per il gasolio.
Anche la Pubblica Amministrazione è colpevole di aver causato disagi alle imprese artigiane, poiché, nello stesso lasso di tempo, ha aumentato di 35 giorni i pagamenti ai suoi fornitori.

Le banche, ovviamente, ci hanno messo del loro, se consideriamo che in questi sei anni gli affidamenti bancari alle imprese con meno di 20 addetti sono diminuiti del 10%, con un taglio complessivo alle micro imprese di ben 17 miliardi di euro.

Infine, le tasse e la burocrazia: dopo la rivalutazione del Pil, nel 2013 la pressione fiscale in Italia si è stabilizzata al 43,3 per cento: picco massimo mai raggiunto in passato, anche se per le micro imprese il carico fiscale supera abbondantemente il 50 per cento.
La burocrazia costa al mondo delle imprese italiane 31 miliardi di euro all’anno. Ciò implica che su ogni impresa grava mediamente un costo annuo pari a 7 mila euro. A differenza di quelle più grandi, le piccolissime imprese non possiedono una struttura amministrativa al proprio interno, che quindi si vedono costrette ad avvalersi dei servizi di professionisti esterni, con una conseguente spesa ben più alta della media.

Vera MORETTI

Riduzioni del premio assicurativo per gli artigiani

In alcuni casi, sono previste riduzioni per i premi assicurativi da versare all’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro.

In genere, capita per le imprese in regola con gli obblighi previsti in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, che non abbiano registrato infortuni nel biennio precedente (2012-2013) e che abbiano presentato la preventiva richiesta di ammissione al beneficio barrando la casella “Certifico di essere in possesso dei requisiti ex legge 296/2006, art. 1, commi 780 e 781” nella dichiarazione delle retribuzioni.

Per quanto riguarda le imprese artigiane, la riduzione prevista per l’anno in corso è stata fissata al 7,99%.

Questo beneficio è riservato alle aziende iscritte alla gestione Artigianato che siano in regola con gli adempimenti contributivi e con tutti gli obblighi previsti.

Per poter accedere al beneficio, la richiesta va effettuata in sede di Autoliquidazione 2014/2015.
Nei prossimi giorni, sarà emanato il relativo decreto attuativo del ministero del Lavoro.

Vera MORETTI

Le opportunità di lavoro arrivano dall’artigianato

Contro la crisi economica, che ha reso pressoché impossibile trovare lavoro, soprattutto se si è giovani, il rimedio è reinventarsi ed aprire una propria attività, oppure tornare ai vecchi mestieri, quelli che, per molto tempo, erano stati messi da parte o, comunque, considerati poco allettanti.

Un settore che ora torna in auge è quello dell’artigianato, che spesso manca di ricambio generazionale, poiché il passaggio tra padre e figlio è sempre meno frequente.

Ebbene, questo potrebbe essere il momento più propizio per buttarsi a capofitto in una nuova e fiorente avventura lavorativa, che racchiude in sé buone opportunità anche dal punto di vista economico.

Perché proprio adesso?
La risposta è semplice: per molti artigianati titolari di prima e seconda generazione, è arrivato il momento della pensione e, a meno che non ci sia qualcuno pronto a cogliere il testimone, anche quello di chiudere definitivamente le serrande.

Sarebbe un peccato riporre in un cassetto esperienza ed arte, due delle caratteristiche che hanno contribuito a far conoscere l’eccellenza della manodopera italiana anche se, negli ultimi anni, la burocrazia e le nuove leggi non hanno certo giocato a loro favore.

Tartassati da tasse e tributi, gli artigiani sono pronti ad attaccare i ferri del mestiere al chiodo, anche se con un dilemma sul destino della loro attività: vendere o chiudere?

Certamente la domanda troverebbe una risposta più facile se si sapesse a chi lasciare la bottega, e lo si farebbe più volentieri se andasse a finire in mani sapienti ed appassionate.
E’ qui che entrerebbero in gioco le nuove leve, disposte ad apprendere un mestiere e portarlo avanti con cura ed entusiasmo, e al contempo uscire dalle liste di disoccupazione, ormai sature.

Ma non è così facile reperire un apprendista fidato e capace a cui lasciare tutto e per questo ci sono le organizzazioni della rappresentanza artigianale, che possono gestire una staffetta generazionale a favore del lavoro manuale, ma con l‘aggiunta della sfera digitale e del web, che sarebbe in grado di svecchiare la professione e di aprire nuovi orizzonti, sfruttando in primo luogo l‘e-commerce.

Se questa opportunità venisse presa in considerazione, troverebbero lavoro almeno quattrocentomila giovani, ora alla ricerca disperata di un’occupazione.

Vera MORETTI

Cucinelli punta sui giovani e sugli antichi mestieri

Il Made in Italy non si ferma e, anzi, la sua corsa all’export sembra solo all’inizio.

I dati, a questo proposito, parlano chiaro: nel 2013 le esportazioni sono aumentate del 6%, con picchi di fatturato dei beni di lusso che hanno superato i 200 miliardi di euro, con il coinvolgimento di 380 milioni di consumatori , numero destinato a salire, entro il 2020, a 440 milioni.

Il Made in Italy riscuote una grossa attrattiva anche sui giovani, tanto che si sono presentati in 400, tra i 20 e i 27 anni, per i 20 posti a disposizione nella Scuola dei mestieri artigianali creata da Brunello Cucinelli, colui che viene chiamato semplicemente il re del cachemire e che vanta proventi impressionanti, con un aumento in Borsa, in un anno e mezzo, del 200% delle azioni.

I venti giovani che frequentano la scuola dei mestieri artigianali vanno ad aggiungersi agli altri sessanta che stanno seguendo corsi di formazione tramite un contratto di apprendistato di 700 euro al mese.

Parlando del suo progetto, Cucinelli ha dichiarato: “Mi piacerebbe far crescere giovani sarti di genio che sappiano parlare di teatro e di umanesimo con Ronconi e Albertazzi, e pagati come ingegneri: da noi un sarto comincia con 1800 euro al mese, ma nel giro di qualche anno può arrivarne a prenderne 2-3 mila. Restituire all’uomo e al lavoro la dignità che è loro propria è sempre stato il mio sogno. La scuola vuole essere un’esperienza viva e concreta in cui l’apprendimento di un mestiere avviene in un ambito di valori umanistici. Lorenzo il Magnifico considerava gli artigiani in qualche maniera fratelli dei grandi artisti. Come le botteghe rinascimentali, le scuole dei mestieri sono un’espressione nobile dell’artigianato, a metà tra arte e tecnica che va a completare un percorso di formazione umana, culturale e spirituale”.

Fortunatamente non c’è solo Cucinelli, ma altri imprenditori che, come lui, hanno deciso di investire nei giovani, puntando sul rilancio degli antichi mestieri attraverso la frequentazione di scuole specialistiche.

Il re del cachemire è animato da una convinzione: “L’Italia ha nelle proprie mani e nella sua creatività il suo tesoro più ricco e affidabile, cioè l’Artigianato. Il nostro Artigianato è amato nel mondo: non dobbiamo lasciare che venga ingoiato dalla velocità rapace dei nostri tempi tecnologici. Se lo perderemo, perderemo la nostra memoria e noi stessi”.

Vera MORETTI

Mercato immobiliare in calo anche per i capannoni

Non solo nel settore degli appartamenti, ma anche per quanto riguarda i capannoni il mercato immobiliare sta registrando risultati in calo, come viene testimoniato da un’indagine condotta da Tecnocasa.
Il segno negativo è relativo sia alle soluzioni di nuova costruzione (-4,1% per le soluzioni vicino alle arterie e -4,2% per quelle lontane dalle arterie) sia per quelle usate (-5,5% per i capannoni vicino alle arterie e -6,0% per quelli lontani dalle arterie).

I dati in discesa si riflettono anche sui contratti di locazione. In questo caso, per i capannoni di nuova costruzione si tratta di -4,9% se vicino alle arterie e -4,4% se lontano dalle arterie, per le soluzioni usate il ribasso è stato rispettivamente del 4,0% e del 3,6%.

Generalmente, gli interessati optano per l’affitto di spazi vicino alle arterie di comunicazione e che siano in buono stato e con impiantistica a norma, per non dover effettuare troppi lavori nel momento in cui la locazione ha inizio, anche se il requisito principale è la presenza di un’area di carico e scarico merci.

Nella maggior parte dei casi, si tratta di clienti che svolgono attività artigianale o, in alternativa, di vendita all’ingrosso o di deposito e stoccaggio merci.
La metratura media degli immobili locati è compresa tra 250 e 750 mq mentre i tempi di locazione di un capannone si aggirano intorno a 230 giorni.

Vediamo nel dettaglio cosa è accaduto nel secondo semestre 2013 in alcune delle aree più dinamiche ed attive.

Nella zona di Torino le quotazioni ed i canoni di locazione dei capannoni sono diminuiti maggiormente sulle tipologie lontane dalle arterie.
Se, infatti, le tipologie nuove hanno registrato un calo di prezzi del 7% vicino alle arterie di comunicazione e dell’8,9% lontano dalle arterie di comunicazione, i canoni di locazione sono calati diminuiti rispettivamente del 2,5% e del 6,2%.

I prezzi delle tipologie usate hanno registrato una contrazione del 7,4% se posizionate vicino alle arterie e del 7,8% se lontano dalle arterie. I canoni di locazione delle tipologie usate sono diminuiti rispettivamente del 5,9% e del 7,6%.

La ricerca dei capannoni, in affitto e in vendita, interessa maggiormente i comuni della provincia di Torino, meno la città stessa.
Quasi assente la ricerca di capannoni in acquisto dal momento che, su questo segmento, ci si muove soprattutto sulla locazione.
Il capannone tipo è situato in prossimità delle arterie di comunicazione, è dotato di un’area di manovra per carico e scarico ed ha un’ampiezza compresa tra 500 e 1000 mq.
Le attività che s’insediano sono prevalentemente quelle di produzione, di meccanica e di tipo artigianale.
La maggioranza delle richieste si concentra sugli immobili dell’hinterland: Borgaro Torinese, Collegno, Grugliasco, Moncalieri, Rivoli e Settimo.

Tra le più richieste rimane l’area della Brianza, che, grazie al passaggio dell’autostrada A4 nonché della tangenziale est diretta a Bergamo, Brescia e Torino, mantiene una invidiabile posizione strategica per le grandi e piccole imprese.
Ciò è ampiamente dimostrato dai dati del secondo semestre del 2013, dinamici ed attivi grazie anche ad aziende sempre alla ricerca di centri direzionali e capannoni da destinare ad attività artigianali.

Tra le grandi aziende in zona, ricordiamo Siemens, Sap e Cisco che occupano di importanti spazi direzionali e di conseguenza anche le aziende satellite cercano in zona, creando un forte indotto.

Sul segmento dei capannoni si registra una buona domanda: la zona infatti è interessante per la vicinanza alle vie di comunicazione più importanti. I tagli più richiesti sono di 300-500 mq, in buono stato e a norma. Le quotazioni sono di 600-800 € al mq mentre i canoni di locazione sono di 40-50 € al mq annuo. Ad insediarsi sono attività artigianali e società che lavorano per conto terzi.

Per quanto riguarda la situazione del mercato non residenziale di Verona, nel secondo semestre 2013 sono stati stipulati soprattutto contratti di locazione, il cui mercato si è mantenuto pressoché stabile, in relazione sia allo stato dell’immobile sia alla posizione relativa alle arterie di comunicazione.

La quasi totalità delle richieste si concentra sugli affitti, la cui domanda proviene da piccoli imprenditori che impiantano attività di artigianato o di deposito e stoccaggio merci.

Le richieste sono soprattutto per tipologie vicine ad importanti arterie viarie (tangenziali ed autostrade): In questo periodo dell’anno si sono compravenduti tagli da 300 a 1000 mq con una spesa media di acquisto di 500-600 € al mq e con un canone di locazione di 30 € al mq annuo.

Un sensibile calo delle quotazioni e dei canoni dei capannoni è stato registrato a Perugia, dove i prezzi sono diminuiti del 6,7% per le soluzioni nuove vicino alle arterie e del 9,8% quelle lontane dalle arterie.
Le tipologie usate hanno avuto rispettivamente una contrazione del 4% e del 5%.

Sul versante delle locazioni si è avuta una contrazione del 3,8% per le soluzioni nuove vicino alle arterie e dell’1,8% per quelle lontano dalle arterie.
Per le tipologie usate invece il ribasso è stato dell’1,3% e del 2,2%.
La domanda di acquisto è fortemente diminuita ed il mercato è movimentato esclusivamente da artigiani che cercano strutture in locazione. Le richieste si focalizzano su capannoni con un’ampiezza compresa tra 200 e 400 mq, dotati di porte carraie e di un’altezza non inferiore ai 6,20 metri, che permettano facilmente le operazioni di carico e scarico.

A Napoli le domande per i capannoni arrivano da artigiani, impegnati in particolare nel settore della lavorazione della pelle e dell’abbigliamento, e si concentra su metrature comprese tra 50 e 60 mq con tagli massimi da 300 mq.
Capannoni con metrature superiori a 1000 mq sono richiesti esclusivamente da cinesi che li utilizzano per la vendita all’ingrosso.

Il mercato si basa quasi esclusivamente su contratti di locazione, soprattutto se si tratta di strutture che si trovano in complessi industriali, più accattivanti rispetto a locali che si trovano in zone isolate.

Sul mercato dei capannoni a Catania si registrano variazioni al ribasso dei prezzi e stabilità dei canoni di locazione.
Sul versante dei prezzi si registra una contrazione del 7,1% per le soluzioni nuove vicino alle arterie e del 4,5% per quelle lontano dalle arterie. Le soluzioni usate hanno segnalato una contrazione del 5% (vicino alle arterie).

La richiesta è in genere per soluzioni intorno a 800-1000 mq, ricercati soprattutto da cinesi per svolgere attività di vendita all’ingrosso e al dettaglio di abbigliamento, calzature, oggettistica. Cercano immobili open space, con pochi pilastri, ampie vetrate e parcheggi di pertinenza esclusivi. I canoni di locazione sono di 40-50 € al mq annuo.

Vera MORETTI

Rinnovato protocollo tra RTI e Equitalia

La stretta collaborazione tra il mondo del commercio e quello dell’artigianato con Equitalia continua, con l’obiettivo di semplificare il rapporto tra fisco e imprese.
A tal fine, è stata rinnovata la convenzione tra Equitalia e le Confederazioni aderenti a Rete Imprese Italia (Casartigiani, Cna, Confartigianato, Confcommercio, Confesercenti).

Il protocollo che è stato sottoscritto fa intuire esigenze di semplificazione e snellimento delle procedure, che possano permettere di attivare alcune convenzioni locali tra gli Agenti della riscossione e i rappresentanti regionali e provinciali delle Confederazioni, con l’obiettivo di rafforzare e consolidare il dialogo con il mondo imprenditoriale.

Le associazioni che aderiscono alle cinque Organizzazioni potranno utilizzare uno sportello web interattivo che consentirà loro, per conto degli associati, la presentazione di istanze e la richiesta di informazioni nell’ottica di rendere più agevole e rapido il rapporto.
Inoltre, ci sarà la possibilità di fissare appuntamenti presso gli sportelli Equitalia per esaminare con i funzionari argomenti di particolare complessità e pratiche di rateazione.

Prenderanno il via, inoltre, a breve, alcuni incontri periodici sul territorio e la sottoscrizione di protocolli locali per realizzare una maggiore interazione tra le Confederazioni ed Equitalia e porre le basi di una rafforzata assistenza nei confronti dei contribuenti.

Vera MORETTI