Assegno di invalidità: quanto spetta a chi non lavora

In questa rapida ma esaustiva guida andremo a sviscerare la questione inerente all’ assegno di invalidità e come funziona per coloro che non lavorano, ed a quanto ammonta ciò che può spettargli. E se vi sono o meno compatibilità con l’ indennità di disoccupazione.

Assegno di invalidità: di cosa si tratta

Innanzitutto, vediamo di cosa si tratta quando si parla di assegno di invalidità.

Sostanzialmente, un assegno di invalidità civile non è altro che una provvidenza economica riconosciuta ai mutilati ed invalidi civili che abbiano una età compresa tra i 18 anni e i 67 anni, nei cui confronti sia accertata una invalidità civile compresa tra il 74% ed il 99%.
Andiamo nei paragrafi successivi ad approfondire la questione, in merito ai non lavoratori.

Assegno di invalidità per chi non lavora

Andiamo subito a precisare che l’assegno ordinario d’invalidità, spettante a chi è in presenza di determinati requisiti contributivi (minimo 5 anni di contributi, di cui 3 nell’ultimo quinquennio), agli invalidi oltre i 2/3, viene ridotto per chi è in possesso di redditi da lavoro.

I suddetti redditi da lavoro sono infatti cumulabili parzialmente con l’assegno d’invalidità ordinario.

Andiamo, di seguito a vedere in quali modalità:

  • se il reddito da lavoro è fino a 4 volte il minimo Inps (pari a 501,89 euro mensili), ovvero fino a 098,28 euro annui, avremo un assegno cumulabile al 100%;
  • se il reddito da lavoro è, invece superiore a 4 volte il minimo Inps, ovvero da 098,28 euro annui fino a 32.622,85 euro annui, l’assegno sarà cumulabile al 75%, cioè è ridotto del 25%;
  • se il reddito da lavoro è, in ultimo, ma non ultimo, superiore a 4 volte il minimo Inps, ossia da  622,85 euro annui in poi, l’assegno sarà cumulabile al 50%, ovvero sarà dimezzato.

Va aggiunto, a tutto ciò, che la somma dei redditi non può essere inferiore a quella che sarebbe spettante al lavoratore qualora fosse rimasto nei limiti della precedente fascia.

Va inoltre anche considerato che va applicata anche una seconda riduzione se, malgrado la decurtazione, l’assegno resta comunque superiore al trattamento minimo e l’anzianità contributiva risulta inferiore a 40 anni.

Assegno di invalidità per chi ha smesso di lavorare: come funziona

Dunque, qualora la persona che percepisce l’assegno ordinario d’invalidità smettesse di lavorare, cosa accade?

Possiamo dire che in tal caso non esiste più un reddito da lavoro che si somma all’assegno, pertanto la prestazione non viene più decurtata, ma sarà per intero.

Occorre, però, prestare attenzione nel caso in cui, dopo la cessazione del rapporto di lavoro, spetti la Naspi, ovvero l’indennità di disoccupazione.

Di fatto, l’assegno ordinario di invalidità e l’indennità di disoccupazione Naspi sono due prestazioni che non possono essere cumulabili tra loro.

Assegno di invalidità e disoccupazione

Come si è potuto evincere dal precedente paragrafo, l’ assegno ordinario d’invalidità, diversamente dalla pensione d’invalidità civile, non è compatibile con l’indennità di disoccupazione.

Tuttavia, grazie a una nota sentenza della Corte Costituzionale, è possibile, per il disoccupato, fare una scelta tra il sussidio di disoccupazione e l’assegno d’invalidità ordinario.

Il diritto di opzione è un qualcosa che è stato riconosciuto pure da una successiva circolare dell’Inps, attraverso la quale l’istituto si è reso conforme alle previsioni della sentenza della Corte Costituzionale: il lavoratore è, quindi, libero di scegliere il trattamento più conveniente, ovvero tra disoccupazione e invalidità ordinaria. L’opzione è inoltre valida pure per l’indennità di mobilità e per analoghe indennità alla Naspi (come nei casi di Asdi e Dis Coll), in maniera ugualmente incompatibile con l’assegno d’invalidità ordinario.

Questo, dunque è quanto vi fosse di più utile e necessario da sapere in merito alla percezione dell’ assegno di invalidità e alle modalità di percezione, in particolar modo per coloro che non lavorano e/o che sono in disoccupazione.

Sconto contributivo, qual è il limite di retribuzione mensile per il taglio dello 0,8%?

Arrivano le istruzioni dell’Inps sull’applicazione dello sconto contributivo con tetto mensile della retribuzioni pari a 2.692 euro. Il limite rappresenta il limite massimo per applicare il taglio dello 0,8% dei contributi nella busta paga. Sulla tredicesima mensilità lo sconto contributivo opera solo se il suo ammontare non ecceda la stessa somma. Sono le indicazioni riportate nella circolare numero 43 dell’Inps del 22 marzo 2022. La nota comprende le indicazioni sull’applicazione dell’esonero di 0,8 punti percentuali sulla quota dei contributi previdenziali per la pensione di vecchiaia, per l’invalidità e per i superstiti a carico del lavoratori.

Sconto contributivo Inps, quali lavoratori possono accedere?

Secondo quanto chiarito dall’Inps sulla base dello sconto contributivo introdotto dalla legge di Bilancio 2022 (la legge numero 234 del 2021), possono accedere alla riduzione dei contributi tutti i lavoratori dipendenti di datori di lavoro privati e pubblici, indipendentemente dalla circostanza che assumano o meno la natura di imprenditore. Pertanto, il taglio dei contributi trova applicazione per tutto il periodo temporale di applicazione (dal 1° gennaio al 31 dicembre 2022) per tutti i rapporti di lavoro alle dipendenze a esclusione di quelli domestici (compresi gli apprendisti), purché venga rispettato il limite della retribuzione mensile.

Sconto contributivo, cosa succede se la retribuzione mensile risulta superiore al limite di 2.692 euro?

Ciò significa che la retribuzione imponibile ai fini previdenziali deve essere al massimo pari a 2.692 euro al mese. Se la retribuzione mensile risultasse eccedente, il lavoratore non avrebbe diritto alla facilitazione. L’unica eccezione al superamento del limite fissato mensilmente è rappresentata dalla tredicesima mensilità di dicembre. In questo caso, secondo le indicazioni fornite dall’Inps, si prospetta un doppio limite di pari importo.

Sconto contributivo, come considerare la retribuzione mensile e la tredicesima mensilità di dicembre?

Ovvero l’importo di 2.692 euro deve essere applicato, in via separata, sia alla retribuzione relativa allo stipendio ordinario, sia alla tredicesima mensilità. Pertanto, il limite non si deve eccedere né come tetto della retribuzione mensile ordinaria, né come mensilità aggiuntiva. Il controllo del doppio limite per l’applicazione dello sconto contributivo vale solo per il singolo mese e non per l’anno completo. Ciò significa che i contribuenti che speravano che l’applicazione del limite valesse per l’anno completo, ovvero un limite complessivo di 2.692 euro per 13 mensilità pari a 34.996 euro (con recupero a conguaglio delle mensilità non agevolate) dovrà rivedere i calcoli.

Sconto contributivo, perché non si può considerare il limite annuale e bisogna considerare il tetto mensile?

Su questo punto, infatti, l’Inps ha chiarito che l’interpretazione della norma non può ritenersi estensiva. Pertanto, il limite di 2.692 euro va inteso per la retribuzione mensile ordinaria, mentre per il rateo della tredicesima mensilità, il rispetto del limite deve essere calcolato come riferimento a un dodicesimo di 2.962 euro, pari a 224 euro.

Sconto contributivo, va applicato anche alla quattordicesima mensilità?

Per i contribuenti che ricevono anche la quattordicesima mensilità, l’Inps ha chiarito inoltre che il riconoscimento del taglio dello 0,8% dei contributi nel mese di erogazione della mensilità aggiuntiva non avviene se l’imponibile previdenziale mensile eccede il limite dei 2.962 euro. Pertanto, nel caso della quattordicesima, se il cumulo della retribuzione mensile e la quota aggiuntiva eccede la soglia di 2.962 euro, lo sconto dello 0.8% non deve essere applicato.

Sconto contributivo dello 0,8%, cosa avviene se il contribuente chiude il rapporto di lavoro prima della fine del 2022?

Cosa avviene se il rapporto di lavoro si chiude prima del termine del 2022 ai fini dello sconto contributivo e del taglio dello 0,8% sui versamenti? In questa situazione, l’Inps ha chiarito che devono essere valutate separatamente la retribuzione ordinaria e le quote della tredicesima liquidati. Il che significa che il mese del termine del rapporto di lavoro deve essere valutato come se fosse quello di dicembre 2022.

Sconto contributivo, cosa avviene se l’imponibile previdenziale si abbassa per un indennizzo dell’Inps?

Un caso singolare potrebbe capitare nel momento in cui l’imponibile previdenziale si riduca a causa di un evento per il quale l’Inps corrisponde un indennizzo. La situazione potrebbe presentarsi per i lavoratori che percepiscono una retribuzione lorda di 2.700 euro mensili e siano costretti alla malattia per alcuni mesi. Ottenere l’indennità dall’Inps potrebbe comportare la riduzione retributiva mensile al di sotto del limite di 2.962 euro. Di pari passo, l’aliquota contributiva pensionistica, pari al 9,19%, si ridurrebbe all’8,39%.

 

Pensioni quota 102, decorrenza dal 2 aprile 2022: ecco tutte le istruzioni

Prime indicazioni dell’Inps delle pensioni a quota 102. L’Istituto previdenziale, infatti, è intervenuto per chiarire le regole valide per questa formula di pensione anticipata con decorrenza della pensione a partire dal 2 aprile 2022. I requisiti di accesso alla quota 102 sono fissati nell’età di 64 anni e nel numero di anni di contributi pari a 38. Entrambi i requisiti devono essere maturati nell’arco dell’anno 2022. Inoltre, l’Inps ha formulato le ipotesi per le quali si potrà accedere alla quota 102 anche dopo il 2022.

Pensioni anticipate a 64 anni con quota 102, chi può accedere al prepensionamento?

Con la circolare numero 38 dell’8 marzo 2022, l’Inps ha fornito le istruzioni per le pensioni a quota 102. Possono accedere alla formula di pensionamento anticipato, in via sperimentale fino al 31 dicembre di quest’anno, gli iscritti:

  • all’assicurazione generale obbligatoria;
  • alla Gestione separata Inps;
  • alle formule esclusive e sostitutive gestite dall’Inps rispetto all’assicurazione generale obbligatoria.

Pensioni a quota 102, da quanto decorre il pensionamento anticipato?

Sulla decorrenza delle pensioni a quota 102, la prima data utile è per i lavoratori assicurati alle gestioni esclusive, come ad esempio il fondo dei dipendenti postali. Per questi soggetti, la decorrenza della quota 102 parte dal 2 aprile 2022. Per i lavoratori del settore privato, invece, la decorrenza inizia trascorsi i tre mesi dalla data di maturazione dei requisiti. Pertanto, la decorrenza della pensione non può essere anteriore alla data del 1° maggio 2022.

Pensioni con quota 102, quando decorre il trattamento per i lavoratori della Pubblica amministrazione e della scuola?

Per i lavoratori dipendenti della Pubblica amministrazione, la decorrenza è fissata in sei mesi dalla maturazione dei requisiti previsti. Pertanto, il trattamento di pensione sarà liquidato a partire dal 1° agosto 2022. Per il personale impiegato nella scuola e nell’Afam, si deve continuare a far riferimento alle disposizioni specifiche previste dal comma 9, dell’articolo 59, della legge numero 449 del 1997.

Maturazione requisiti di pensione a quota 102, come vanno considerati i contributi versati?

Per la maturazione dei diritto ad andare in pensione con quota 102, i contributi richiesti sono di almeno 38 anni. Per raggiungere questo requisito, la circolare Inps specifica che risulta “valutabile la contribuzione a qualsiasi titolo versata o accreditata in favore dell’assicurato, fermo restando il contestuale perfezionamento del requisito di 35 anni di contribuzione utile per il diritto alla pensione di anzianità, ove richiesto dalla Gestione a carico della quale è liquidato il trattamento pensionistico”. Inoltre, “i lavoratori che perfezionano i prescritti requisiti, nel periodo compreso tra il 2019 e il 2021, per la pensione quota 100, ovvero entro il 2022, per la pensione anticipata introdotta dalla disposizione in oggetto, possono conseguire il relativo trattamento pensionistico in qualsiasi momento, anche successivo alle predette date, al ricorrere delle condizioni previste”.

Pensioni a quota 102, diritto ‘cristallizzato’ per uscite anche dopo il 2022

Pertanto, chi perfeziona i requisiti di uscita per le pensioni a quota 102 nel 2022, potrà comunque richiedere di accedere alla misura anche dopo il termine di quest’anno. Il diritto alla quota 102, come per la quota 100, si intente pertanto cristallizzato alla maturazione dei requisiti di uscita richiesti maturati durante l’anno in corso.

Possibilità di cumulare i contributi per arrivare alla pensione a quota 102: ecco come

Come per la quota 100, anche per la quota 102 i lavoratori hanno la possibilità di cumulare i contributi. A tal proposito, l’Istituto previdenziale chiarisce che i lavoratori hanno la facoltà di cumulare i contributi accantonati in tutte le gestioni dell’Inps per arrivare ai 38 anni di versamenti richiesti. Inoltre, la circolare Inps chiarisce anche la possibilità dei riscatti contributivi. I lavoratori che avessero raggiunto nel 2022 il numero di anni di contributi previsti grazie al riscatto, potranno accedere alla pensione a quota 102. L’accesso è diretto, e può avvenire rispettando le finestre di uscita a seconda che si lavori nel pubblico o nel privato.

Accesso alla quota 102 per chi è titolare di assegno ordinario di invalidità

La circolare Inps, inoltre, chiarisce l’accesso alla pensione a quota 102 per chi fosse titolare di assegno ordinario di invalidità. Ci si riferisce all’istituto previsto dalla legge numero 222 del 12 giugno 1984. I soggetti che maturino i requisiti richiesti per la quota 102, hanno la possibilità di conseguire, mediante domanda, la pensione anticipata in argomento. Ciò può avvenire “subordinatamente alla cessazione della titolarità dell’assegno ordinario di invalidità, per mancata conferma o a seguito di revisione per motivi sanitari”.

Trattamento di fine rapporto (Tfr) o di fine servizio (Tfs) con la pensione a quota 102

L’erogazione delle indennità di Trattamento di fine rapporto (Tfr) per i lavoratori del settore privato o del Trattamento di fine servizio (Tfs) per quelli del pubblico, anche nel caso di uscita con le pensioni a quota 102, non è contestuale alla conclusione del rapporto di lavoro. Pertanto, i lavoratori interessati non riceveranno il Tfr o il Tfs a decorrere dal collocamento a riposo. Ma dalla data in cui il lavoratore avrebbe maturato il diritto al trattamento pensionistico secondo le disposizioni in vigore.

Quanto viene pagato il Tfr o il Tfs dalla data di pensionamento anticipata con quota 102?

La circolare, pertanto, chiarisce anche la decorrenza del Trattamento di fine rapporto o di fine servizio a decorrere dal collocamento a riposo con quota 102. “Il trattamento di fine servizio o di fine rapporto – si legge nella circolare Inps – sarà pagabile decorsi 12 mesi dal raggiungimento del requisito anagrafico utile alla pensione di vecchiaia ovvero dopo 24 mesi dal conseguimento teorico del requisito contributivo per la pensione anticipata”. Alla decorrenza dei 12 o dei 24 mesi, partono gli ulteriori tre mesi di intervallo temporale affinché l’Inps possa provvedere al pagamento della prestazione previdenziale.

 

Assegno mensile di assistenza invalidi 74%, guida 2022

Rispettando determinate condizioni alcuni invalidi possono rientrare in una misura poco nota ma abbastanza importante. Si chiama assegno mensile di assistenza, ed è una misura economica concessa ai mutilati e agli invalidi civili. Servono alcuni requisiti specifici, cioè una determinata età, una determinata condizione reddituale e un altrettanto determinato grado di invalidità.

Assegno mensile di assistenza, i requisiti

Entrando nel dettaglio della misura, va detto che negli anni ciò che è cambiato radicalmente è l’età a partire dalla quale la misura può essere percepita.
Infatti si è passati da 65 anni fino al 2012, a 65 anni e tre mesi dal 2013, per poi arrivare ai 66 anni e 7 mesi fino al 2019 ed ai 67 anni di oggi.
La misura riguarda gli invalidi con una percentuale di disabilità accertata pari ad almeno il 74%.
Oltre ai canonici requisiti utili per la stragrande maggioranza delle prestazioni assistenziali e previdenziali oggi vigenti, serve anche una determinata condizione reddituale.
Per accedere all’assegno ordinario di assistenza, occorre essere un cittadino italiano o dell’Unione Europea. Possibile pure per un extracomunitario, ma in possesso del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo. Serve inoltre che il richiedente sia effettivamente residente in Italia.

La condizione reddituale per l’assegno mensile di assistenza

La misura si rivolge esclusivamente al soggetti con età compresa tra i 18 ed i 67 anni. Va ricordato che al compimento dei 67 anni di età questo assegno cessa di essere erogato. Dai 67 anni infatti, automaticamente e d’ufficio, la prestazione viene trasformata nell’assegno sociale sostitutivo.
Per quanto riguarda la condizione reddituale invece, i limiti di reddito utili alla fruizione dell’assegno vengono aggiornati dall’Inps annualmente. Al momento, come si legge sul sito ufficiale dell’Istituto nazionale di previdenza sociale italiano, tale soglia è fissata a  4.931,29 euro come reddito imponibile ai fini Irpef.
Per il paletto del requisito reddituale, si considerano i redditi dell’anno in cui si presenta domanda. Tali redditi quindi vanno  dichiarati dall’interessato in via presuntiva. Questo in prima liquidazione, perché per la continuità di fruizione, cambia tutto. Infatti per gli anni successivi vanno considerati i redditi percepiti nell’anno solare di riferimento se trattasi di redditi da pensione e nell’anno precedente per le altre tipologie di redditi.

Collocamento al lavoro, l’adempimento obbligatorio per i beneficiari

La fruizione dell’assegno mensile di assistenza dal 2008 non è più collegato alla condizione di incollocabilità lavorativa del soggetto beneficiario. Basterà infatti dichiarare in sede di domanda che non so svolge alcuna attività lavorativa.
Difatti, entro determinate soglie, lavorare non impedisce all’interessato la fruizione di questo assegno.Tutto questo come da orientamento introdotto dal 2008. L’importante è che vengano rispettati i limiti di reddito provenienti dall’attività lavorativa svolta. Inoltre è importante che si tratti di attività lavorativa minima.
La persona disabile che è impegnata in una attività lavorativa, può lo stesso percepire l’assegno. Ma non deve superare il reddito personale annuo pari a 7.500 euro se di tratta di lavoro dipendente e 4.500 euro se si tratta di lavoro autonomo.
Occorre comunque che l’interessato sia iscritto alle liste di collocamento presso gli Uffici Territoriali del Lavoro. Solo se l’interessato è stato dichiarato incollocabile al lavoro, l’assegno viene concesso comunque. In pratica, anche in assenza di iscrizione alle liste di collocamento beneficio garantito. Obbligo di iscrizione che non si applica nemmeno ai soggetti che dimostrano di frequentare corsi di studio.

Assegno mensile di assistenza e cause di incompatibilità per determinati invalidi

 
L’assegno mensile di assistenza è incompatibile con qualsiasi altra prestazione concessa e legata alla medesima invalidità, anche se si tratta di rendite Inail,  di prestazioni per cause di servizio, cause di lavoro o di guerra.
Incompatibilità acclarata anche per qualsiasi altra pensione di invalidità Inps. Parliamo dell’assegno di accompagnamento,delle pensioni di inabilità e così via.

Importo della misura e altre notizie utili per gli invalidi

L’importo dell’assegno è fisso e viene erogato mensilmente su 13 mesi. Nel caso si percepiscano altre prestazioni per invalidi che rientrano nei casi di incompatibilità prima citati, la normativa concede all’interessato la facoltà di scegliere il trattamento più favorevole.
Ogni anno è l’Inps a determinare tramite decreto, l’importo valido per l’anno di riferimento. In attesa delle novità 2022,  l’importo mensile della prestazione è di 287,09 al mese.
L’assegno mensile di assistenza decorre dal primo giorno del mese successivo a quello di presentazione della domanda.
Ogni anno, entro marzo, i beneficiari dell’assegno mensile di assistenza devono presentare una dichiarazione di responsabilità. Si tratta dell’autocertificazione in cui si dichiara il mantenimento dei requisiti previsti per beneficiare della prestazione.
Va ricordato che contrariamente a tutte le altre prestazioni assistenziali di questo tipo, il ricovero in strutture ospedaliere o assistenziali, non è ostativo. Infatti, pure se a carico dello Stato, non sono incompatibili con la fruizione della misura.
Da tenere a mente infine che la residenza è requisito cardine della misura. Infatti, a prescindere dalla cittadinanza o dai permessi, il soggetto non più residente in Italia perde il diritto alla concessione di questo assegno mensile di assistenza per invalidi. Essendo questa una prestazione di carattere meramente assistenziale, come normativa vuole per questo genere di misure, non può essere erogata a soggetti residenti all’estero.

Nel decreto fiscale ripristinato l’assegno di invalidità per chi lavora

In seguito a diverse pronunce della Corte di Cassazione, l’INPS con il messaggio 3495 del 14 ottobre 2021 aveva sospeso con effetto immediato l’erogazione dell’assegno di invalidità alle persone che avevano un contratto di lavoro. Ora con il decreto fiscale cade questa regola e viene ripristinato l’assegno di invalidità anche per gli invalidi che hanno un lavoro e percepiscono un piccolo reddito.

INPS sospende l’erogazione dell’assegno di invalidità a chi ha un lavoro indipendentemente dal reddito

La vicenda parte da due pronunce della Corte di Cassazione che hanno stabilito la possibilità di erogare l’assegno di invalidità solo agli invalidi civili che risultassero inoccupati. Una qualunque attività lavorativa, a prescindere dal reddito che il disabile ne ricava è considerata ostativa rispetto alla possibilità di percepire l’assegno. L’INPS ha quindi pensato di evitare il moltiplicarsi di tali giudizi andando ad eliminare il problema alla fonte. Ha quindi sospeso l’erogazione dell’assegno di 287 euro a tutti coloro che, a prescindere dal reddito avevano un contratto di lavoro.

Al momento della cancellazione del diritto a percepire l’assegno di invalidità per i soggetti disabili che hanno un contratto di lavoro sono stati molti a insorgere. In primo luogo i tanti invalidi che percepiscono meno di 300 euro al mese hanno dovuto scegliere tra questo importo, che di sicuro non offre autosufficienza economica, e il lavoro. Il fattore che più di tutti ha scatenato la rabbia è rappresentato dalla sospensione dell’assegno di invalidità senza distinguere tra redditi bassi e redditi alti. Ciò ha impedito anche a chi ha contratti di poche ore, part time o di collaborazione occasionale, di poter integrare l’assegno di invalidità civile con un piccolo lavoro.

Per approfondire la ratio della scelta dell’INPS, puoi leggere l’articolo: INPS: gli invalidi che hanno un reddito perdono l’assegno di invalidità

Ripristinato  assegno di invalidità per chi lavora

Molti politici hanno cercato fin da subito di correggere questa scelta dell’INPS considerata una vera ingiustizia. Con il decreto fiscale sembra sia andata proprio così. Gli emendamenti per la riscrittura dell’articolo 13 della legge 118 del 1971 sono stati presentati dal M5S e dal Partito Democratico e prevedono la possibilità per gli invalidi che percepiscono un reddito da lavoro inferiore a 4.391 euro di continuare a percepire anche l’assegno di invalidità di 287 euro mensili.

Particolare soddisfazione per l’emendamento che ha ripristinato l’assegno di invalidità per chi ha un piccolo lavoro, approvato in Commissione al Senato, è stata espressa dal ministro Orlando che si era impegnato in prima persona per ottenere tale modifica a sostegno delle posizioni delle associazioni e delle famiglie che lottano per l’inclusione. Reazioni positive sono arrivate anche l’ex ministra del Lavoro Nunzia Catalfo, del M5S e responsabile Economia e finanze del Pd Antonio Misiani. Hanno manifestato soddisfazione anche le associazioni di categoria, come FISH (Federazione italiana per il superamento dell’handicap ) e ANMIC (Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi Civili). Naturalmente ora sono in tanti a chiedere anche il versamento degli assegni non versati in questi mesi.

Assegno invalidità dopo lo stop Inps a svolgere un lavoro, si attendono nuovi limiti reddituali

Si attende lo stop alla stretta degli assegni di invalidità dopo il messaggio Inps numero 3495 del 2021. A intervenire nella giornata del 3 novembre è stato il ministro del Lavoro Andrea Orlando che ha illustrato, nel question time del Parlamento, i passaggi fondamentali per risolvere la questione degli assegni di invalidità. L’intervento atteso sulle invalidità potrebbe essere contenuto già durante la conversione in legge del decreto fiscale. Il provvedimento, attualmente, è in discussione nelle Commissioni Finanze e Lavoro del Senato.

Assegno di invalidità, il messaggio Inps numero 3495 del 2021 che ha sollevato la questione

La questione di chi percepisce un assegno di invalidità e svolga un’attività di lavoro è stata sollevata dal messaggio dell’Inps numero 3495 del 14 ottobre 2021. Nella nota, si legge, “la Corte di Cassazione, con diverse pronunce, è intervenuta sul requisito dell’inattività lavorativa di cui all’articolo 13 della legge 30 marzo 1971, numero 118, come modificato dall’articolo 1, comma 35, della legge 24 dicembre 2007, numero 247, affermando che il mancato svolgimento dell’attività lavorativa integra non già una mera condizione di erogabilità della prestazione ma, al pari del requisito sanitario, un elemento costitutivo del diritto alla prestazione assistenziale, la mancanza del quale è deducibile o rilevabile d’ufficio in qualsiasi stato e grado del giudizio”.

Invalidità, cosa dice la Giurisprudenza sulla possibilità di lavorare?

Pertanto, la Giurisprudenza di legittimità ritiene che lo svolgimento di un’attività lavoratori, a prescindere dal reddito che ne consegue, preclude il diritto al beneficio dell’assegno di invalidità. L’Inps termina il messaggio disponendo che l’assegno mensile di invalidità “sarà pertanto liquidato, fermi restando tutti i requisiti previsti dalla legge, solo nel caso in cui risulti l’inattività lavorativa del soggetto beneficiario”.

Chi percepisce un assegno di invalidità può lavorare?

Il che significa, come nella domanda posta dall’onorevole Stefano Lepri del Partito democratico nel question time del 3 novembre 2021, che l’assegno sarà corrisposto da ora in avanti solo a fronte di una totale inattività da parte del beneficiario. Fino al messaggio dell’Inps, al beneficiario dell’assegno con una percentuale di invalidità tra il 74% e il 95% e con un reddito di 4.931 euro all’anno è stato concesso di lavorare in quanto si tratterebbe di un reddito non rilevante.

Attività lavorativa come mezzo di inclusione nella società di chi percepisce l’assegno di invalidità

“Il messaggio dell’Inps – conclude Lepri – è un passo indietro perché si disincentiva la persona con invalidità ad attivarsi, a darsi da fare e a non ripiegarsi nella sua condizione di invalidità. La seconda ragione è che in questo modo si mortifica la grande attività di associazioni ed enti che hanno provato con successo in molti casi a inserire gli invalidi nel mondo del lavoro”.

Posizione ministero del Lavoro dopo messaggio Inps sui percettori di assegno di invalidità

Il ministro del Lavoro e delle Politiche sociali Andrea Orlando sul punto ha fornito risposta. “La questione è oggetto in questi giorni di grande attenzione da parte delle associazioni di settore e dal Parlamento stesso – ha informato Orlando – La tutela degli invalidi civili che hanno diritto al riconoscimento di determinate prestazioni economiche richiede con urgenza una soluzione efficace a una questione che investe la situazione di persone e di famiglie in condizioni di fragilità e difficoltà.

Assegno di invalidità, sulla possibilità di lavorare si attende una proposta emendativa per attività entro certi limiti di reddito

Il ministro Orlando ha concluso il suo intervento in Parlamento con parole di rassicurazione: “Dopo un confronto con l’Inps, il ministero del Lavoro sta producendo una proposta emendativa che permetta di risolvere il problema per consentire la prestazione lavorativa entro certi limiti reddituali a prescindere dalla natura del reddito. La proposta – ha continuato l’onorevole Andrea Orlando – sarà inserita nel veicolo normativo più opportuno tra quelli in discussione in Parlamento ed è molto probabile che arrivi già durante la conversione in legge del decreto fiscale, ora in discussione in Senato, al fine di giungere a una celere soluzione della questione per assicurare un sostegno economico agli invalidi civili parziali”.

INPS: gli invalidi che hanno un reddito perdono l’assegno di invalidità

Con un messaggio scarno l’INPS ha fatto sapere che a decorrere dalla data del 14 ottobre 2021 non sarà più erogato l’assegno mensile di assistenza previsto dall’articolo 13 della legge 30 marzo 1971 n°118 a coloro che hanno un reddito. Naturalmente sono molti gli invalidi che mostrano una certa preoccupazione di fronte a questo importante cambiamento. Ecco la nuova normativa.

L’assegno mensile di assistenza/invalidità

Per capire bene di cosa ci occupiamo è bene delimitare prima il campo. L’articolo 13 della legge 30 marzo 1971 prevede l’erogazione in favore di coloro a cui viene riconosciuta una percentuale di disabilità compresa tra il 74% e il 99% di un assegno mensile di assistenza per 13 mensilità.

Oltre a tali requisiti (disabilità) è necessario avere un’età compresa tra i 18 e i 65 anni di età e percepire un reddito annuo personale inferiore a 4.931,29 euro.

Sono destinatari dell’assegno di invalidità i cittadini italiani o cittadini di altri paesi dell’Unione Europea che però siano residenti in Italia, inoltre si riconosce tale diritto anche ai cittadini extracomunitari in possesso del permesso di soggiorno e soggiornanti di lungo periodo. L’assegno è incompatibile con altre pensioni erogate da INPS, INAIL o altri enti.

L’ammontare dell’assegno di assistenza è nel 2021 di 287,09 euro mensili ed è oggetto di rivalutazione di anno in anno in base all’inflazione. Al compimento del sessantesimo anno di età si trasforma in assegno sociale.

Cosa dice il Messaggio INPS 3495 del 14 ottobre 2021?

Questa è appunto la disciplina generale. Su essa nel tempo vanno a incidere delle sentenze della Corte di Cassazione e nel messaggio 3495 del 14 ottobre 2021 dell’INPS si sottolinea proprio che ci sono molte sentenze che confermano che il requisito economico previsto dalla disciplina della legge non debba essere considerato una “mera condizione di erogabilità” ma un elemento costitutivo del diritto a percepire l’assegno mensile di assistenza. Di conseguenza, secondo l’INPS, nel rispetto delle diverse sentenze dei tribunali italiani, è necessario affermare che lo svolgimento di un’attività lavorativa “a prescindere dalla misura del reddito ricavato, preclude il diritto al beneficio”. La scrivente ha preferito citare alla lettera le parole del messaggio perché esse non lasciano spazio ad alcun dubbio.

Resta, infine, da ricordare che il Messaggio INPS 3495 del 14 ottobre 2021 non si riferisce a coloro che hanno il riconoscimento dell’invalidità al 100%.

Appare in tutta evidenza che con questo messaggio si modifica una parte importante delle disposizioni prima vigenti, cioè quella che prevede la possibilità di mantenere l’assegno mensile di assistenza nel caso in cui il reddito sia inferiore a 4.931 euro annuali.

Naturalmente non sono mancate prese di posizione contrastanti con questo messaggio, infatti, pensare che un disabile possa essere autonomo economicamente con una blanda misura di 287 euro mensili è assurdo. Di conseguenza per lui cercare un lavoro, magari da casa, in smart working, un leggero part time, è essenziale . E’ però altrettanto vero che le entrate di tali lavori sono comunque basse e da sole non possono dare indipendenza economica mentre con il piccolo aiuto dell’assegno di invalidità sicuramente vi può essere una maggiore disponibilità economica, anche tenendo in considerazione le esigenze peculiari di chi è diversamente abile.

Come ha reagito la politica alla decisione dell’INPS di sospendere l’erogazione dell’assegno di invalidità?

A far scudo contro questa decisione ci sono volti importanti, ad esempio Iacopo Melio, free lance e ora consigliere nella regione Toscana che sottolinea come per un disabile sia difficile accedere a posizioni lavorative stabili e soddisfacenti dal punto di vista economico (anche a causa dei limiti alla mobilità) e, di conseguenza, tagliare l’assegno mensile di assistenza a fronte di erogazioni spesso precarie, rappresenta una forte ingiustizia. In effetti come dargli torto? Una condizione lavorativa anche precaria può essere un forte sostegno anche dal punto di vista psicologico perché lavorare può offrire stimoli importanti, ma se il prezzo da pagare è perdere l’assegno di assistenza, molti si troveranno a dover rinunciare anche a piccoli incarichi e collaborazioni da free lance.

Intanto qualcosa inizia a muoversi sul fronte politico, infatti dal dicastero del Ministro del Lavoro, Orlando, emerge che la questione è all’esame degli uffici competenti, mentre l’ex ministra del Lavoro Nunzia Catalfo (M5S) ha fatto sapere che c’è l’intenzione di presentare un emendamento fiscale che possa far superare gli ostacoli posti dall’INPS.

Nel frattempo i delegati delle due assiciazioni maggiormente impegnate sul fronte dalla tutela dei diritti dei disabili, Federazione italiana per il superamento dell’handicap (Fish) e Federazione tra le associazione nazionali delle persone con disabilità (Fand) hanno incontrato il ministro per la Disabilità Erika Stefani che ha confermato l’interesse a porre fine alla questione e a tutelare i disabili. Le associazioni propongono una radicale modifica della legge 118 in modo che non vi possano essere difficoltà interpretative e che sia concessa ai disabili la possibilità di lavorare senza perdere l’assegno di assistenza.

Se vuoi saperne di più sull’assunzione di soggetti disabili, leggi la guida: Assunzione come categoria protetta: caratteristiche e informazioni