Pensioni quota 102, decorrenza dal 2 aprile 2022: ecco tutte le istruzioni

Prime indicazioni dell’Inps delle pensioni a quota 102. L’Istituto previdenziale, infatti, è intervenuto per chiarire le regole valide per questa formula di pensione anticipata con decorrenza della pensione a partire dal 2 aprile 2022. I requisiti di accesso alla quota 102 sono fissati nell’età di 64 anni e nel numero di anni di contributi pari a 38. Entrambi i requisiti devono essere maturati nell’arco dell’anno 2022. Inoltre, l’Inps ha formulato le ipotesi per le quali si potrà accedere alla quota 102 anche dopo il 2022.

Pensioni anticipate a 64 anni con quota 102, chi può accedere al prepensionamento?

Con la circolare numero 38 dell’8 marzo 2022, l’Inps ha fornito le istruzioni per le pensioni a quota 102. Possono accedere alla formula di pensionamento anticipato, in via sperimentale fino al 31 dicembre di quest’anno, gli iscritti:

  • all’assicurazione generale obbligatoria;
  • alla Gestione separata Inps;
  • alle formule esclusive e sostitutive gestite dall’Inps rispetto all’assicurazione generale obbligatoria.

Pensioni a quota 102, da quanto decorre il pensionamento anticipato?

Sulla decorrenza delle pensioni a quota 102, la prima data utile è per i lavoratori assicurati alle gestioni esclusive, come ad esempio il fondo dei dipendenti postali. Per questi soggetti, la decorrenza della quota 102 parte dal 2 aprile 2022. Per i lavoratori del settore privato, invece, la decorrenza inizia trascorsi i tre mesi dalla data di maturazione dei requisiti. Pertanto, la decorrenza della pensione non può essere anteriore alla data del 1° maggio 2022.

Pensioni con quota 102, quando decorre il trattamento per i lavoratori della Pubblica amministrazione e della scuola?

Per i lavoratori dipendenti della Pubblica amministrazione, la decorrenza è fissata in sei mesi dalla maturazione dei requisiti previsti. Pertanto, il trattamento di pensione sarà liquidato a partire dal 1° agosto 2022. Per il personale impiegato nella scuola e nell’Afam, si deve continuare a far riferimento alle disposizioni specifiche previste dal comma 9, dell’articolo 59, della legge numero 449 del 1997.

Maturazione requisiti di pensione a quota 102, come vanno considerati i contributi versati?

Per la maturazione dei diritto ad andare in pensione con quota 102, i contributi richiesti sono di almeno 38 anni. Per raggiungere questo requisito, la circolare Inps specifica che risulta “valutabile la contribuzione a qualsiasi titolo versata o accreditata in favore dell’assicurato, fermo restando il contestuale perfezionamento del requisito di 35 anni di contribuzione utile per il diritto alla pensione di anzianità, ove richiesto dalla Gestione a carico della quale è liquidato il trattamento pensionistico”. Inoltre, “i lavoratori che perfezionano i prescritti requisiti, nel periodo compreso tra il 2019 e il 2021, per la pensione quota 100, ovvero entro il 2022, per la pensione anticipata introdotta dalla disposizione in oggetto, possono conseguire il relativo trattamento pensionistico in qualsiasi momento, anche successivo alle predette date, al ricorrere delle condizioni previste”.

Pensioni a quota 102, diritto ‘cristallizzato’ per uscite anche dopo il 2022

Pertanto, chi perfeziona i requisiti di uscita per le pensioni a quota 102 nel 2022, potrà comunque richiedere di accedere alla misura anche dopo il termine di quest’anno. Il diritto alla quota 102, come per la quota 100, si intente pertanto cristallizzato alla maturazione dei requisiti di uscita richiesti maturati durante l’anno in corso.

Possibilità di cumulare i contributi per arrivare alla pensione a quota 102: ecco come

Come per la quota 100, anche per la quota 102 i lavoratori hanno la possibilità di cumulare i contributi. A tal proposito, l’Istituto previdenziale chiarisce che i lavoratori hanno la facoltà di cumulare i contributi accantonati in tutte le gestioni dell’Inps per arrivare ai 38 anni di versamenti richiesti. Inoltre, la circolare Inps chiarisce anche la possibilità dei riscatti contributivi. I lavoratori che avessero raggiunto nel 2022 il numero di anni di contributi previsti grazie al riscatto, potranno accedere alla pensione a quota 102. L’accesso è diretto, e può avvenire rispettando le finestre di uscita a seconda che si lavori nel pubblico o nel privato.

Accesso alla quota 102 per chi è titolare di assegno ordinario di invalidità

La circolare Inps, inoltre, chiarisce l’accesso alla pensione a quota 102 per chi fosse titolare di assegno ordinario di invalidità. Ci si riferisce all’istituto previsto dalla legge numero 222 del 12 giugno 1984. I soggetti che maturino i requisiti richiesti per la quota 102, hanno la possibilità di conseguire, mediante domanda, la pensione anticipata in argomento. Ciò può avvenire “subordinatamente alla cessazione della titolarità dell’assegno ordinario di invalidità, per mancata conferma o a seguito di revisione per motivi sanitari”.

Trattamento di fine rapporto (Tfr) o di fine servizio (Tfs) con la pensione a quota 102

L’erogazione delle indennità di Trattamento di fine rapporto (Tfr) per i lavoratori del settore privato o del Trattamento di fine servizio (Tfs) per quelli del pubblico, anche nel caso di uscita con le pensioni a quota 102, non è contestuale alla conclusione del rapporto di lavoro. Pertanto, i lavoratori interessati non riceveranno il Tfr o il Tfs a decorrere dal collocamento a riposo. Ma dalla data in cui il lavoratore avrebbe maturato il diritto al trattamento pensionistico secondo le disposizioni in vigore.

Quanto viene pagato il Tfr o il Tfs dalla data di pensionamento anticipata con quota 102?

La circolare, pertanto, chiarisce anche la decorrenza del Trattamento di fine rapporto o di fine servizio a decorrere dal collocamento a riposo con quota 102. “Il trattamento di fine servizio o di fine rapporto – si legge nella circolare Inps – sarà pagabile decorsi 12 mesi dal raggiungimento del requisito anagrafico utile alla pensione di vecchiaia ovvero dopo 24 mesi dal conseguimento teorico del requisito contributivo per la pensione anticipata”. Alla decorrenza dei 12 o dei 24 mesi, partono gli ulteriori tre mesi di intervallo temporale affinché l’Inps possa provvedere al pagamento della prestazione previdenziale.

 

Pensione di inabilità: differenze con invalidità civile, assegno ordinario. Guida

Le misure di sostegno in favore di persone con patologie di varia natura sono diverse e hanno presupposti diversi. Purtroppo in questo campo c’è molta confusione, soprattutto sull’assegno ordinario di invalidità, invalidità civile e pensione di inabilità. Cercheremo quindi di fare chiarezza su questi punti.

Cos’è la pensione di inabilità e requisiti

La pensione di inabilità è una prestazione economica che può essere richiesta da lavoratori dipendenti, lavoratori autonomi iscritti all’assicurazione generale INPS e lavoratori parasubordinati. Affinché possa essere riconosciuto tale diritto, è necessario avere un’anzianità contributiva di almeno 5 anni (260 contributi settimanali ) di cui almeno 3 anni (156 settimane) versati negli ultimi 5 anni.

Il riconoscimento del diritto alla pensione di inabilità è incompatibile con qualunque prestazione lavorativa,  sia con lavoro dipendente, con l’iscrizione alla Camera di Commercio, ad albi professionali, nei coltivatori diretti, negli elenchi degli operai agricoli. Appare evidente da questa introduzione alla pensione di inabilità che la stessa costituisca un diritto esclusivamente per soggetti che non abbiano una residua capacità lavorativa. Il lavoratore deve quindi essere colpito da un’infermità o una patologia che sia causa di una permanente impossibilità a svolgere qualsiasi lavoro.

La pensione di inabilità non è cumulabile con rendite vitalizie erogate dall’INAIL, si tratta in questo secondo caso di rendite erogate in seguito a infortunio sul lavoro che abbiano portato a una menomazione permanente che siano però legate allo stesso evento. Questo implica che se la rendita è erogata, ad esempio per la perdita di un braccio sul lavoro, ma la pensione di inabilità sia invece collegata ad altra patologia, magari anche successiva, si possono continuare a percepire entrambi gli importi.

La pensione di inabilità spetta a coloro che hanno incapacità di deambulare autonomamente e a coloro che necessitano di assistenza continuativa per lo svolgimento delle azioni quotidiane. Viste le peculiarità di questa prestazione, occorre sottolineare che la pensione di inabilità è compatibile con la percezione dell’assegno per l’assistenza personale e continuativa (il classico accompagnamento).

Come si calcola l’importo della pensione di inabilità?

L’importo si calcola aggiungendo all’importo maturato in base all’anzianità contributiva, contributi ulteriori fino al raggiungimento dei requisiti contributivi per la pensione.

Cos’è l’assegno ordinario di invalidità e requisiti

L’assegno ordinario di invalidità (IO) si differenzia dalla pensione di inabilità per il fatto che è di spettanza di coloro che hanno la perdita di almeno 2/3 della capacità lavorativa, in riferimento comunque alla tipologia di lavoro effettivamente svolto. Questo implica che, a differenza della pensione di inabilità, vi è una residua capacità lavorativa e quindi non è incompatibile con lo svolgimento di attività di lavoro o professionale. Da ciò deriva che si può essere iscritti in ordini professionali, si può svolgere lavoro dipendente con mansioni che siano comunque compatibili con la propria disabilità.

Il rinnovo

Si ottiene il riconoscimento a percepire l’assegno ordinario di invalidità a fronte di una infermità permanente di natura mentale o fisica. L’assegno viene corrisposto per un periodo di 3 anni, su domanda dell’interessato può essere prorogato per ulteriori 2 periodi di 3 anni ciascuno. Dopo la terza proroga diventa definitivo. Il rinnovo deve essere chiesto dal beneficiario nel periodo intercorrente tra i sei mesi antecedenti e i 120 giorni successivi alla scadenza del triennio. In caso di omissione si decade dal beneficio. Deve essere ricordato che in qualunque momento l’INPS può sottoporre a revisione il titolare della prestazione, come disciplinato dall’art. 9 della Legge 222/1984 .

Se il lavoratore dopo l’inizio della percezione dell’assegno ordinario di invalidità continua a svolgere attività lavorativa, l’accertamento sanitario avviene con cadenza annuale. I requisiti contributivi sono gli stessi previsti per la pensione di inabilità.

Il periodo in cui si è fruito dell’assegno ordinario di invalidità, se erogato senza il lavoratore abbia continuato l’attività lavorativa, viene considerato utile ai fini del raggiungimento dei requisiti per la pensione di vecchiaia. Raggiunti tali requisiti viene quindi trasformato in pensione di vecchiaia e quindi gli importi sono “aggiornati”.

Sottilineiamo ora che l’importo dell’assegno ordinario di invalidità non è fisso, ma come per la pensione ordinaria dipende dalla situazione contributiva del titolare. Non è previsto un requisito anagrafico per ottenere tale trattamento e neanche un requisito economico. Viene riconosciuto semplicemente a coloro che hanno un’infermità da cui residui meno di un terzo di capacità lavorativa.

Invalidità civile: differenze con l’assegno ordinario di invalidità

L’assegno ordinario di invalidità a sua volta non deve essere confuso con l’invalidità civile. L’invalidità civile è una prestazione assistenziale, viene erogata in favore di coloro che hanno una percentuale di invalidità di almeno il 33%. Le prestazioni a cui si ha però diritto dipendono dal grado di invalidità:

  • dal 33% al 73% si ha diritto ad assistenza sanitaria ed agevolazioni fiscali;
  • dal 46%  iscrizione nelle liste speciali dei Centri per l’Impiego per l’assunzione agevolata;
  • per percentuali dal 66% all’esenzione dal ticket sanitario;
  • dal 74% al 100% si ha diritto a prestazioni economiche.

A differenza dell’assegno ordinario di invalidità e della pensione di inabilità, in questo caso non si tiene in considerazione il requisito contributivo, inoltre l’importo dell’invalidità civile è fisso e riconosciuto a coloro che hanno un’invalidità dal 74% al 100%, cioè non è determinato in base ai contributi.

Per conoscere gli importi leggi l’articolo: Adeguamento indennità di invalidità 2022: piccoli importi maggiorati.

Ci sono inoltre limiti reddituali, cioè non ha diritto alla percezione dell’assegno di invalidità civile chi supera determinati limiti di reddito. Tali limiti variano anche in base alla tipologia di invalidità quindi non è questa la sede per approfondire questo tema.

Revisione e rivedibilità

Cambia anche la procedura per la revisione, solitamente nel verbale di accertamento si dispone la rivedibilità e la commissione indica anche il limite temporale entro il quale si prevede la nuova visita. Lo stesso varia da 2 a 5 anni, dipende dall’età e dalla patologia che hanno portato al riconoscimento dell’invalidità civile. Anche questa è una differenza rispetto all’assegno ordinario di invalidità. La rivedibilità solitamente si applica anche a coloro che hanno patologie irreversibili. Solo per alcune patologie indicate nel Decreto Ministeriale del 2 agosto 2007, in ottemperanza dell’articolo 25, comma 8, della Legge n.114/14 è esclusa la rivedibilità. Anche questa è una differenza rispetto all’assegno ordinario di invalidità.

La reversibilità: quando spetta?

Un’altra differenza tra pensione di inabilità e invalidità civile è data dalla reversibilità, infatti la pensione di inabilità essendo una prestazione economica previdenziale legata alla situazione contributiva è reversibile, quindi in caso di morte il coniuge e gli aventi diritto possono accedere alla pensione superstiti.

Non è reversibile neanche l’assegno ordinario di invalidità.

Assegno ordinario di invalidità: nella trasformazione in pensione di vecchiaia l’importo cambia?

L’assegno ordinario di invalidità è riconosciuto ai lavoratori che perdano almeno 2/3 della capacità lavorativa, ma cosa succede al momento in cui maturano i requisiti per la pensione? In particolare: cambia l’importo percepito in seguito alla trasformazione?

Cos’è l’assegno ordinario di invalidità?

L’assegno ordinario di invalidità, da non confondere con l’indennità di invalidità civile, è una prestazione economica, non reversibile, riconosciuta ai lavoratori dipendenti e autonomi, sono esclusi i lavoratori del settore pubblico. La disciplina di questo istituto è contenuta nella legge 222 del 1984.

Il diritto a percepirlo è riconosciuto ai lavoratori che abbiano maturato almeno 5 anni di anzianità contributiva, di cui 3 nel quinquennio precedente rispetto al momento in cui si presenta l’istanza. Per ottenere l’assegno ordinario di invalidità è inoltre necessaria la perdita di almeno 2/3 della capacità lavorativa a causa di un’infermità fisica o mentale. La sentenza della Corte di Cassazione 7770/2006 ha sottolineato che la riduzione delle capacità lavorativa non deve essere valutata avendo come riferimento le tabelle utilizzate per l’invalidità civile, ma avendo come punto di riferimento le mansioni generalmente svolte dal soggetto che presenta l’istanza.

Per ottenere l’assegno ordinario di invalidità non sono previsti requisiti anagrafici. Ci sono invece dei limiti inerenti la durata, infatti lo stesso viene corrisposto per 3 anni ed è  prorogabile su richiesta del lavoratore. Naturalmente la proroga avviene solo nel caso in cui persistano i requisiti che hanno portato al riconoscimento dell’assegno. Dopo tre conferme, quindi dopo nove anni, si rinnova automaticamente, infine al raggiungimento dei requisiti per la pensione di vecchiaia si trasforma automaticamente in tale misura. La differenza è data dal fatto che l’assegno ordinario di invalidità non prevede reversibilità, mentre la pensione di vecchiaia sì, inoltre vi è anche un adeguamento dal punto di vista economico.

Come si calcola l’importo dell’assegno ordinario di invalidità?

L’importo dell’assegno ordinario di invalidità si misura sulla base dei contributi effettivamente versati dal lavoratore.

Se il lavoratore ha maturato dei contributi prima del 1996 si adotta il criterio misto (contributivo e retributivo) per il calcolo dell’ammontare. In questo caso se prima del 1996 il lavoratore aveva maturato almeno 18 anni di contributi, il sistema retributivo si applica fino al 2011, mentre se prima del 1996 i contributi maturati erano meno di 18 anni, il calcolo retributivo si applica fino al 1996.

Per coloro che hanno iniziato a lavorare dopo il 1° gennaio 1996 il calcolo è interamente contributivo.

Fatta questa premessa, la normativa stabilisce che, se applicando i criteri visti il risultato è una assegno ordinario di invalidità di valore inferiore al minimo previsto dalle singole gestioni, il contributo mensile sarà adeguato al minimo. Vi sono però dei correttivi:

  • per i soggetti coniugati e non separati legalmente l’integrazione ora vista non spetta se il reddito complessivo supera di tre volte il minimo per la gestione a cui appartiene il richiedente;
  • l’integrazione inoltre non spetta a coloro che hanno ulteriori redditi propri di importo superiore a due volte il valore previsto per la pensione sociale.

A questo punto occorre ricordare che coloro che, nonostante il riconoscimento dell’assegno ordinario di invalidità continuano a svolgere attività lavorativa, possono andare incontro a una riduzione degli importi. La stessa è del 25% per coloro che dichiarano redditi compresi tra 4 e 5 volte il minimo dell’assegno sociale e del 50% per coloro che dichiarano redditi superiori a 5 volte il minimo sociale. Per il 2022 il trattamento minimo sociale è 523,83 euro.

Nella trasformazione in pensione di vecchiaia, l’importo cambia?

Maturati i requisiti per la pensione di vecchiaia, l’assegno ordinario di invalidità viene automaticamente trasformato in pensione di vecchiaia. Ciò porta dei vantaggi, infatti se prima del riconoscimento del sostegno economico erano maturati dei contributi, l’assegno viene appunto calcolato su questo, con la possibile integrazione vista prima.

Nel frattempo, visto che residua della capacità lavorativa, il lavoratore può continuare a maturare dei contributi a fini pensionistici. Nel momento della trasformazione dell’assegno dovranno essere considerati anche tali contributi e questo porterà a un aumento dell’assegno riconosciuto.

Non ci sarà aumento nel caso in cui invece il percettore non abbia maturato ulteriori contributi e quindi abbia cessato ogni attività lavorativa.

Con la trasformazione dell’assegno ordinario di invalidità in assegno di pensione viene meno anche un altro svantaggio, avevamo visto in precedenza che vi era una riduzione degli importi nel caso in cui residuava al lavoratore capacità lavorativa e lui riusciva ad ottenere un reddito imponibile. Con la trasformazione non c’è più questa decurtazione quindi l’assegno sarà percepito per intero anche nel caso in cui il soggetto ha altre entrate.

Infine, come già anticipato, una volta trasformato l’assegno ordinario di invalidità in assegno di pensione matura anche il diritto a percepire la pensione superstiti o di reversibilità.

Pensione a qualsiasi età per invalidi anche non gravi: ecco quando spetta

Sei invalido e non riesci più a svolgere il tuo lavoro? Fai fatica rispetto ai tuoi colleghi a portare a termine i tuoi compiti a causa della tua disabilità? Forse non lo sai ma puoi avere diritto all’assegno ordinario di invalidità, una prestazione che spetta sia continuando a lavorare sia decidendo di cessare l’attività lavorativa. Si tratta di una prestazione previdenziale calcolata sui contributi realmente versati al momento della presentazione della domanda della durata triennale che può essere rinnovata per 3 volte prima di diventare permanente. Vediamo come funziona e a chi spetta.

Assegno ordinario, la pensione indipendente dall’età

Gli unici requisiti richiesti per avere diritto all’assegno ordinario di invalidità sono: riduzione della capacità lavorativa a meno di due terzi ed almeno 5 anni di contributi versati, di cui almeno 3 nei 5 anni precedenti la presentazione della domanda.

Ma attenzione: non basta il 67% di invalidità per avere indiscutibilmente diritto all’assegno ordinario. Si parla, infatti, di riduzione della capacità lavorativa e non di percentuale di invalidità. Questo perchè l’assegno viene riconosciuto nello specifico sul grado di capacità di svolgere la propria mansione. Se, ad esempio, un lavoratore fa il muratore ha problemi a camminare, la sua disabilità pregiudica la sua capacità di svolgere il proprio lavoro, gli crea un handicap non indifferente visto che deve muoversi sulle impalcature. E proprio per questo si vedrà quasi sicuramente riconoscere l’assegno ordinario di invalidità.

Se la stessa patologia, però, ce l’ha un impiegato, un insegnante, una segretaria, ad esempio, la riduzione della capacità lavorativa non sarà la stessa visto che il non camminare bene o il fare fatica a camminare non pregiudica la propria professione.

L’assegno, quindi, viene riconosciuto sulla perdita della capacità lavorativa riferita al lavoro che si svolge e non in via generale come accade nel riconoscimento della percentuale di invalidità civile.

Spetta a qualsiasi età

Detto questo l’assegno ordinario di invalidità spetta a qualsiasi età, visto che i requisiti che richiede sono solo quello sanitario e quello contributivo. Per il titolare di AOI è possibile anche continuare a svolgere la propria attività lavorativa in full time, scegliere di svolgerla in part time o decidere di cessare l’attività lavorativa. Da tenere presente, però, che dopo il primo riconoscimento l’assegno ha una durata di soli 3 anni. Poi deve essere rinnovato e devono essere nuovamente verificate le condizioni sanitarie del richiedente. Solo dopo il terzo rinnovo l’assegno diventa definitivo e non ha più scadenza, fermo restando il diritto dell’INPS di procedere a visita di revisione se lo ritiene opportuno.

 

Assegno invalidità dopo lo stop Inps a svolgere un lavoro, si attendono nuovi limiti reddituali

Si attende lo stop alla stretta degli assegni di invalidità dopo il messaggio Inps numero 3495 del 2021. A intervenire nella giornata del 3 novembre è stato il ministro del Lavoro Andrea Orlando che ha illustrato, nel question time del Parlamento, i passaggi fondamentali per risolvere la questione degli assegni di invalidità. L’intervento atteso sulle invalidità potrebbe essere contenuto già durante la conversione in legge del decreto fiscale. Il provvedimento, attualmente, è in discussione nelle Commissioni Finanze e Lavoro del Senato.

Assegno di invalidità, il messaggio Inps numero 3495 del 2021 che ha sollevato la questione

La questione di chi percepisce un assegno di invalidità e svolga un’attività di lavoro è stata sollevata dal messaggio dell’Inps numero 3495 del 14 ottobre 2021. Nella nota, si legge, “la Corte di Cassazione, con diverse pronunce, è intervenuta sul requisito dell’inattività lavorativa di cui all’articolo 13 della legge 30 marzo 1971, numero 118, come modificato dall’articolo 1, comma 35, della legge 24 dicembre 2007, numero 247, affermando che il mancato svolgimento dell’attività lavorativa integra non già una mera condizione di erogabilità della prestazione ma, al pari del requisito sanitario, un elemento costitutivo del diritto alla prestazione assistenziale, la mancanza del quale è deducibile o rilevabile d’ufficio in qualsiasi stato e grado del giudizio”.

Invalidità, cosa dice la Giurisprudenza sulla possibilità di lavorare?

Pertanto, la Giurisprudenza di legittimità ritiene che lo svolgimento di un’attività lavoratori, a prescindere dal reddito che ne consegue, preclude il diritto al beneficio dell’assegno di invalidità. L’Inps termina il messaggio disponendo che l’assegno mensile di invalidità “sarà pertanto liquidato, fermi restando tutti i requisiti previsti dalla legge, solo nel caso in cui risulti l’inattività lavorativa del soggetto beneficiario”.

Chi percepisce un assegno di invalidità può lavorare?

Il che significa, come nella domanda posta dall’onorevole Stefano Lepri del Partito democratico nel question time del 3 novembre 2021, che l’assegno sarà corrisposto da ora in avanti solo a fronte di una totale inattività da parte del beneficiario. Fino al messaggio dell’Inps, al beneficiario dell’assegno con una percentuale di invalidità tra il 74% e il 95% e con un reddito di 4.931 euro all’anno è stato concesso di lavorare in quanto si tratterebbe di un reddito non rilevante.

Attività lavorativa come mezzo di inclusione nella società di chi percepisce l’assegno di invalidità

“Il messaggio dell’Inps – conclude Lepri – è un passo indietro perché si disincentiva la persona con invalidità ad attivarsi, a darsi da fare e a non ripiegarsi nella sua condizione di invalidità. La seconda ragione è che in questo modo si mortifica la grande attività di associazioni ed enti che hanno provato con successo in molti casi a inserire gli invalidi nel mondo del lavoro”.

Posizione ministero del Lavoro dopo messaggio Inps sui percettori di assegno di invalidità

Il ministro del Lavoro e delle Politiche sociali Andrea Orlando sul punto ha fornito risposta. “La questione è oggetto in questi giorni di grande attenzione da parte delle associazioni di settore e dal Parlamento stesso – ha informato Orlando – La tutela degli invalidi civili che hanno diritto al riconoscimento di determinate prestazioni economiche richiede con urgenza una soluzione efficace a una questione che investe la situazione di persone e di famiglie in condizioni di fragilità e difficoltà.

Assegno di invalidità, sulla possibilità di lavorare si attende una proposta emendativa per attività entro certi limiti di reddito

Il ministro Orlando ha concluso il suo intervento in Parlamento con parole di rassicurazione: “Dopo un confronto con l’Inps, il ministero del Lavoro sta producendo una proposta emendativa che permetta di risolvere il problema per consentire la prestazione lavorativa entro certi limiti reddituali a prescindere dalla natura del reddito. La proposta – ha continuato l’onorevole Andrea Orlando – sarà inserita nel veicolo normativo più opportuno tra quelli in discussione in Parlamento ed è molto probabile che arrivi già durante la conversione in legge del decreto fiscale, ora in discussione in Senato, al fine di giungere a una celere soluzione della questione per assicurare un sostegno economico agli invalidi civili parziali”.

Pensione di invalidità civile e pensione di vecchiaia: spettano entrambe?

La pensione di invalidità civile e la pensione di vecchiaia spettano entrambe? Per rispondere a questa domanda è necessario chiarire che entrambe possono essere godute da un contribuente, ma le due misure di pensione non sono cumulabili. Ovvero non possono essere percepite entrambe nello stesso momento. Per arrivare a questa conclusione è necessario verificare quando decorra la pensione di invalidità civile e quando quella di vecchiaia, con subentro di quest’ultima alla maturazione dei relativi requisiti.

Che cos’è la pensione di invalidità civile?

La pensione di invalidità (o di inabilità) civile è una prestazione riconosciuta e pagata dall’Inps per le persone in stato di bisogno. Rientrano nello stato di bisogno i soggetti che hanno un’invalidità civile riconosciuta nella misura pari al 100%. Tuttavia, l’Inps riconosce lo stato di necessità se il richiedente non supera anche determinati tetti di reddito.

A chi spetta la pensione di invalidità civile?

La pensione di invalidità civile spetta ai cittadini che:

  • hanno un’età compresa tra i 18 e i 67 anni;
  • sono stati riconosciuti con una riduzione della capacità di lavorare nella misura del 100%;
  • sono cittadini italiani, europei o extracomunitari (è necessario il permesso di soggiorno da minimo un anno);
  • risiedono stabilmente e continuativamente in Italia;
  • hanno un reddito che non supera i 16.982,49 euro all’anno, per il 2020 e il 2021.

Quanto si prende di pensione di invalidità civile?

Per l’anno 2021, l’importo della pensione di invalidità civile è pari a 287,09 euro. La rata mensile è uguale a tutti gli invalidi civili, sia totali che parziali. Tuttavia, per gli invalidi civili totali la rata può essere ulteriormente aumentata grazie alle recenti novità normative che hanno disposto per i maggiorenni l’incremento al milione. Ciò significa che gli invalidi civili totali di almeno 18 anni, con redditi annui non superiori a 8.476,26 euro, possono ottenere l’aumento sino a 651,51 euro al mese. Il limite di reddito aumenta a 14.459,90 euro per il 2021 se l’invalido risulta coniugato. Chi, invece, riceve ha un reddito annuo tra 8.476,26 e 16.982,49 euro continua a percepire la pensione di inabilità di 287,09 euro.

Chi prende la pensione di invalidità può avere anche la pensione di vecchiaia?

Il soggetto che percepisce già la pensione di invalidità civile non può prendere, contemporaneamente, anche la pensione di vecchiaia. La motivazione risiede nel fatto che l’assegno di invalidità che si percepisce si trasforma d’ufficio in pensione di vecchiaia alla maturazione dei requisiti anagrafici previsti dalla legge Fornero per le pensioni di vecchiaia. Tale principio tutela chi percepisce la pensione di invalidità civile. Infatti, il soggetto beneficiario non può vedersi revocato l’assegno mensile per il venir meno del requisito sanitario connesso alla prestazione.

Pensioni, come avviene il passaggio dall’invalidità civile alla vecchiaia?

La trasformazione dell’assegno di invalidità civile in pensione di vecchiaia avviene in maniera automatica. Ad agire è proprio l’Inps senza che il beneficiario debba presentare alcuna domanda. L’Istituto previdenziale, al compimento dell’età pensionabile fissata attualmente a 67 anni, unitamente alla verifica dei contributi minimi (20 anni), provvede alla trasformazione dell’assegno mensile.

Quali vantaggi nascono dalla trasformazione della pensione di invalidità civile in vecchiaia?

Alla maturazione dei requisiti per la pensione di vecchiaia, che per il 2021 e il 2022 decorre dai 67 anni, la trasformazione della pensione di invalidità civile comporta due vantaggi. Il primo riguarda la possibilità, per il pensionato, di cumulare senza limiti la pensione con eventuali altri redditi da lavoro. Tali redditi potranno maturare sia in un rapporto di lavoro da dipendente, che da lavoratore autonomo. Con la prestazione di pensione di invalidità civile, invece, la cumulabilità dell’indennità con redditi da lavoro può essere solo parziale per la decurtazione dell’indennità stessa.

Reversibilità della pensione di vecchiaia e dell’invalidità civile

Il secondo vantaggio della trasformazione dell’indennità di invalidità civile in pensione di vecchiaia risiede nel fatto che, in caso di decesso del pensionato, gli eredi possono godere della pensione di reversibilità. L’assegno di invalidità civile, invece, non è reversibile verso gli eredi. Gli stessi, in caso di morte del lavoratore titolare di un’assicurazione obbligatoria, dovranno verificare la sussistenza di requisiti contributivi ai fini della pensione indiretta.

Contributi ai fini della pensione di vecchiaia

I periodi nei quali il percettore dell’invalidità civile ha ottenuto l’assegno e non ha lavorato, sono utili ai fini del perfezionamento del diritto a maturare la pensione di vecchiaia, ma non sono decisivi per la determinazione della misura della pensione stessa. Dunque, se un soggetto ha ricevuto l’assegno di invalidità con quindici anni di contributi, e per dieci lo ha ricevuto senza svolgere alcuna attività lavorativa, l’Inps accrediterà i 25 anni di contribuzione ai fini dei 20 anni minimi richiesti a 67 anni per la pensione di vecchiaia. Ma la misura dell’assegno mensile di pensione sarà determinato solo sui 15 anni di contributi effettivamente versati. Verranno pertanto esclusi i 10 anni in cui il lavoratore non ha effettuato versamenti.

Invalidità civile e pensione anticipata

La trasformazione dell’assegno di invalidità civile può avvenire solo con i requisiti della pensione di vecchiaia dei 67 anni. Lo stesso non può dirsi per la trasformazione in pensione anticipata. Pertanto, se il lavoratore invalido dovesse raggiungere i 42 anni e dieci mesi richiesti per la pensione anticipata, continuerà a percepire l’indennità di invalidità fino alla maturazione dei 67 anni della pensione di vecchiaia.

Quando può essere anticipata l’età dei 67 anni della pensione di vecchiaia per un invalido civile?

L’unico caso in cui il lavoratore invalido può anticipare la pensione di vecchiaia dei 67 anni è quello disciplinato dal comma 8, dell’articolo 1 del decreto legislativo numero 503 del 1992. Secondo quanto prescrive la norma, infatti, l’età per la pensione di vecchiaia può essere ridotta a 61 anni per gli uomini e a 56 per le donne che hanno un’invalidità pari o superiore all’80%. È utile ricordare che la norma riguarda i lavoratori dipendenti del settore privato. Inoltre,  alla maturazione dei requisiti, l’invalido deve attendere i 12 mesi di finestra mobile.

Pensione quota 41: perché non spetta con assegno ordinario di invalidità?

Può un contribuente con pensione di invalidità ordinaria (AIO) presentare domanda per la quota 41 dei lavoratori precoci? La risposta è negativa, innanzitutto perché la legge non lo consente. In secondo luogo, nel campo delle ipotesi, sarebbe necessario analizzare anche l’opportunità del passaggio dall’AIO alla pensione dei precoci.

Per chi ha l’assegno di invalidità ordinario niente domanda di pensione con quota 41

La domanda potrebbe interessare i contribuenti che abbiano intorno ai quattro decenni di versamenti e un’invalidità, ad esempio, dell’80% che permette già di avere la prestazione di invalidità. Le pensioni anticipate con la quota 41 dei precoci sono incompatibili con gli assegni di invalidità ordinari perché i due trattamenti sono alternativi. E, dunque, il contribuente, finché percepisce l’assegno di invalidità ordinario non potrà presentare domanda della prestazione prevista per i precoci con 41 anni di contributi.

Pensione di invalidità e quota 41 precoci: quali differenze?

La natura delle due prestazioni pensionistiche è, inoltre, diversa. L’assegno ordinario di invalidità rappresenta una prestazione economica pur sempre calcolata sui contributi versati e, dunque, sottostante alle medesime regole ai fini della misura. Tuttavia l’invalidità è regolata da requisiti sottoposti ad accertamenti dopo la presentazione della domanda che solo in parte potrebbero soddisfare quelli della pensione con quota 41.

Requisiti richiesti dall’Inps per la domanda di assegno di invalidità ordinario

Pur non essendo prevista la cessazione dell’attività lavorativa, chi presenta domanda di pensione di invalidità deve aver subito la riduzione della capacità lavorativa a meno di un terzo a causa dell’infermità fisica o mentale. Inoltre, per ottenere l’assegno di invalidità, è necessaria una contribuzione di almeno 260 settimane, pari a 5 anni di contribuzione e di assicurazione, delle quali 156 settimane, pari a 3 anni di contribuzione e di assicurazione, devono rientrare nei cinque anni che precedono la data di presentazione della domanda.

Riduzione della capacità lavorativa nell’invalidità e nella pensione con quota 41

Un punto importante da tener presente sia nell’assegno di invalidità che nella pensione con quota 41 è la riduzione della capacità lavorativa. Infatti, mentre l’Inps per la domanda di invalidità parla di una riduzione a “meno di un terzo della capacità lavorativa”, per la quota 41 dei precoci la riduzione accertata dalle competenti commissioni per il riconoscimento dell’invalidità civile deve essere superiore o per lo meno uguale al 74%.

Quando la ridotta capacità lavorativa va bene per l’invalidità ma non per la quota 41?

C’è una zona grigia nella quale l’invalidità dell’una non è sufficiente per i requisiti richiesti dall’altra misura di pensione. Ciò significa che una ridotta capacità lavorativa al 30% soddisferebbe il requisito per la pensione di invalidità ma non quello della quota 41 dei precoci. È facile intuire che per quest’ultima misura la ridotta capacità al 30% rappresenterebbe una condizione non sufficiente (una delle quattro situazioni nelle quali può trovarsi un lavoratore per chiedere la quota 41 insieme alla condizione di disoccupazione, all’assistenza di persone non autosufficienti o allo svolgimento di mansioni usuranti o gravose) per presentare la domanda.

I requisiti dei contributi richiesti per le pensioni con quota 41

È altrettanto vero che la pensione con la quota 41 richiede ulteriori requisiti per la presentazione della domanda. In merito al versamento dei 41 anni di contributi, infatti, la legge richiede che almeno 12 mesi siano stati versati, anche in maniera non continuativa, prima dei 19 anni di età del contribuente. Pertanto, l’ipotetica richiesta del passaggio dall’assegno di invalidità alla pensione con quota 41 necessiterebbe di una verifica:

  • sia del montante dei contributi versati, con traguardo dei 41 anni di versamenti a qualsiasi età venga raggiunto;
  • che dell’inizio della prima attività lavorativa in età adolescenziale.

Trasformazione dell’assegno di invalidità in pensione di vecchiaia a 67 anni

Tornando nel campo di applicazione delle norme previdenziali, chi percepisce una pensione di invalidità ordinaria deve aspettare la maturazione della pensione di vecchiaia per vedersi trasformato l’assegno di invalidità in, appunto, pensione di vecchiaia. Questo passaggio avviene al compimento dei 67 anni di età. Pertanto, il contribuente già titolare di assegno di invalidità definitivo ha come obiettivo del suo trattamento solo quello della trasformazione in pensione di vecchiaia. Risulta pertanto incompatibile il passaggio a una formula di pensione anticipata come la quota 41 dei precoci.

 

Assegno ordinario di invalidità, quando da diritto a contribuzione figurativa?

Cosa si intende per assegno ordinario di invalidità, come si calcola il suo importo e soprattutto quando questo da diritto ad una contribuzione figurativa? Questo ed altro ancora in merito all’assegno ordinario di invalidità, andremo a scoprire in questa rapida guida.

Assegno ordinario di invalidità, cosa è?

Ovviamente, come è ben definito dal suo stesso nome, quando si parla di assegno di invalidità si fa riferimento ad un pagamento economico rivolto a persone con invalidità.

Nello specifico, possiamo dire che quando si parla di tale assegno, ovvero l’assegno ordinario di invalidità, si parla di una prestazione economica, erogata a domanda, in favore di coloro la cui capacità lavorativa è ridotta a meno di un terzo a causa di infermità fisica o mentale.

Quindi per tradurre il tutto in domanda più essenziale,  chi spetta l’assegno ordinario di invalidità? Molto semplicemente, hanno diritto allassegno di invalidità INPS i lavoratori dipendenti, gli autonomi (tra cui, artigiani, commercianti, coltivatori diretti, coloni e mezzadri), nonché gli iscritti ad alcuni fondi pensione sostitutivi ed integrativi dell’assicurazione generale obbligatoria, i quali vedono ridotta la propria capacità lavorativa di un terzo.

A differenza degli invalidi ad un terzo, vi sono gli invalidi civili.

Ovvero, per stessa definizione dell’INPS

Si considerano mutilati e invalidi civili i cittadini affetti da minorazioni congenite o acquisite, anche a carattere progressivo (compresi gli irregolari psichici per oligofrenie di carattere organico o dismetabolico o per insufficienze mentali derivanti da difetti sensoriali e funzionali), che abbiano subito una riduzione permanente della capacità lavorativa non inferiore ad un terzo o, se minori di anni 18, che abbiano difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro età“.

Come si calcola l’ importo dell’assegno di invalidità?

Questo onere, diciamo così, è un qualcosa che spetta all’INPS. Ma su quali basi, avverrà questo calcolo?

L’INPS andrà a calcolare l’importo dell’ assegno ordinario di invalidità sulla base dei contributi che risultano versati a nome del richiedente e, nello specifico:
  1. Con il sistema contributivo se si ha iniziato a lavorare dal 1996.
  2. Con il sistema misto (retributivo e contributivo) qualora si avesse iniziato a lavorare prima del 1996.

Quando tale assegno dà contributi figurativi

E dunque, veniamo al nodo della questione, ovvero scoprire se e quando l’assegno di invalidità ordinaria da diritto a contribuzione figurativa.

La risposta a tale quesito è presto data. Infatti, nei periodi in cui si percepisce un assegno ordinario di invalidità senza svolgere attività lavorativa, viene riconosciuta contribuzione figurativa utile al riconoscimento futuro (può accadere nel caso l’assegno ordinario non venga riconfermato in revisione) dell’assegno stesso. La contribuzione figurativa dell’assegno ordinario di invalidità viene, inoltre, riconosciuta per il raggiungimento dei requisiti di accesso alla pensione di vecchiaia per un massimo di 3 anni a chi, al raggiungimento dei 67 anni non ha maturato i 20 anni di contributi necessari per l’accesso. In questo caso, però, la contribuzione sarà valida solo per il diritto e non per ma misura.

Va aggiunto che per i lavoratori del settore privato (autonomi o dipendenti che essi siano) l’ordinamento prevede che l’assegno ordinario di invalidità venga trasformato in pensione di vecchiaia al perfezionamento dei requisiti anagrafici e contributivi previsti dalla legge Fornero.

Dunque, questo è quanto di più utile ed essenziale vi fosse da sapere in merito alla questione degli assegni ordinari di invalidità.

 

Assegno ordinario di invalidità: la guida completa alla misura

Per ottenere l’assegno ordinario di invalidità, al destinatario deve essere riconosciuta una riduzione della capacità lavorativa superiore a due terzi. Tale prestazione economica è irreversibile per superstiti e viene erogata dall’INPS per la perdita di codesta capacità di lavoro a causa di una riscontrata infermità mentale o fisica.

L’assegno ordinario di invalidità è diverso dall’assegno di invalidità civile che consiste in una prestazione assistenziale non legata al requisito della contribuzione e ottenibile dai soggetti in possesso di determinati requisiti di reddito.

A chi spetta l’assegno ordinario di invalidità?

Possono fruire di codesta prestazione economica i lavoratori dipendenti, parasubordinati e autonomi, ma non i dipendenti pubblici che fruiscono già delle discipline speciali previste dalla normativa vigente.

In ogni caso i dipendenti pubblici non sono esclusi a priori dal beneficio: un lavoratore che ha ottenuto l’assegno ordinario di invalidità, per esempio, può cambiare lavoro ed essere assunto nella pubblica amministrazione pur conservando il diritto all’AOI (maturato con i contributi versati nel settore privato).

Un dipendente pubblico, poi, che svolge, ad esempio anche lavoro autonomo può avere diritto all’assegno grazie ai contributi maturati nell’attività autonoma o, ancora, può avere diritto se ha versato almeno 5 anni di contributi di cui almeno 3 nell’ultimo quinquennio, lavorando nel settore privato. Di fatto, quindi, non si può parlare di incompatibilità tra assegno ordinario di invalidità e lavoro nella pubblica amministrazione.

I destinatari dell’assegno ordinario di invalidità devono essere lavoratori iscritti all’AGO e in alcune gestioni sostitutive. L’invalidità deve ridurre a meno di un terzo della capacità lavorativa e devono risultare versati cinque anni di contributi, di cui tre nei cinque anni precedenti la richiesta dell’agevolazione.

E’ possibile svolgere un’attività lavorativa?

I percettori di un assegno ordinario di invalidità possono svolgere un’attività di lavoro sia dipendente che autonoma. Ma se i redditi percepiti sono superiori a quattro volte il trattamento minimo INPS, l’assegno viene ridotto del 25% che sale al 50% nel caso in cui i redditi conseguiti sono superiori cinque volte il trattamento minimo.

Il requisito contributivo

Per ottenere l’assegno ordinario di invalidità i lavoratori devono essere iscritti all’AGO da almeno cinque anni con altrettanti contributi versati, di cui tre nel quinquennio precedente la data di presentazione della relativa domanda.

Tuttavia, vanno esclusi i seguenti periodi “neutri” ai fini della determinazione del requisito contributivo:

  • congedo parentale;
  • lavoro subordinati all’estero non devono essere protetti agli effetti delle assicurazioni interessate in base a convenzioni o da accordi internazionali;
  • servizio militare eccedente il servizio di leva;
  • malattia superiori a un anno;
  • iscrizione a forme di previdenza obbligatorie diverse da quelle sostitutive dell’assicurazione Ivs per i quali sia stabilito altro trattamento obbligatorio di previdenza, quando non diano luogo a corresponsione di pensione.

Il requisito medico legale

Il beneficiario dell’assegno ordinario di invalidità deve avere una capacità di lavoro ridotta permanentemente, causa un’infermità psichica o fisica, ad almeno un terzo. La determinazione di questa condizione è legata al requisito medico legale che viene effettuato in relazione all’attività lavorativa confacente alle capacità dell’assicurato. Per tale motivo, non si può fare riferimento alla determinazione delle tabelle previste per l’assegno di invalidità civile che prendono in considerazione la riduzione della capacità lavorativa in generale. Per questo motivo non si parla di percentuale di invalidità civile quando si prendono in considerazione i requisiti di accesso alla misura, molto spesso, infatti, solo il 67% di invalidità civile non basta per avere diritto all’assegno, sopratutto se la patologia invalidante non compromette la capacità lavorativa propria della mansione svolta.

Si acquisisce il diritto all’assegno ordinario di invalidità anche se la riduzione lavorativa limitata ad almeno un terzo sia preesistente al rapporto assicurativo, sempre che ci sia stato un successivo aggravamento o il sopraggiungere di nuove infermità. In tal caso, si procederà a un nuovo accertamento fisico o psichico che rilevi le nuove condizioni di salute dopo l’instaurazione del rapporto di lavoro.

La valenza figurativa dei periodi di fruizione dell’assegno

Indipendentemente dai motivi per cui cessa l’assegno ordinario di invalidità, i periodi di cui si è beneficiato della prestazione nei quali non è stata prestata attività lavorativa, vengono considerati figurativamente utili ai fini del conseguimento dei requisiti di contribuzione per un eventuale altro riconoscimento dell’assegno o per il conseguimento della pensione di vecchiaia. In questo caso, il riconoscimento è utile ai fini del diritto ma non della misura della prestazione. L’agevolazione vale solo per i dipendenti e non per gli autonomi.

La durata dell’assegno

La prestazione previdenziale è riconosciuta per un periodo di tre anni ed è confermabile, su richiesta del titolare, per altri due trienni se permangano le medesime condizioni medico legali. Dopo tre riconoscimenti consecutivi l’assegno di invalidità è confermato automaticamente, ferma restando la facoltà di revisione.

L‘Inps può in qualsiasi momento sottoporre il titolare della prestazione ad accertamenti medico legali per la revisione dello stato di invalidità.

L’importo

L’assegno è calcolato sulla base dei contributi effettivamente versati al momento della richiesta, con eventuale integrazione al minimo, a condizione che non vengano considerati le soglie di reddito personali e coniugali.

  • Anno 2021 – pensionato 11.967,28 euro – pensionato coniugato 17.950,92 euro

Integrazione al minimo

Quando l’assegno è inferiore al trattamento minimo, potrà essere integrato a quella della stessa gestione. Tuttavia, l’integrazione non spetta ai possessori di redditi tassati IRPEF per un importo superiore a due volte l’ammontare annuo della pensione sociale; ai coniugati e non separati legalmente, qualora il reddito totale sia superiore a tre volte l’importo della pensione sociale; a coloro che hanno la pensione interamente calcolata con il sistema contributivo.

Al compimento dei requisiti per il conseguimento della pensione di vecchiaia l’assegno ordinario di invalidità si trasforma d’ufficio in pensione di vecchiaia.

La compatibilità con la prestazione di attività lavorativa

La soglia di invalidità per il riconoscimento dell’assegno è costituita dal almeno due terzi della capacità lavorativa. Pertanto il beneficiario può continuare a svolgere un’attività di lavoro redditizia, percependo al contempo la prestazione previdenziale. Tuttavia, se il reddito conseguito è quattro volte superiore il trattamento minimo INPS vigente, l’assegno viene decurtato del 25% che diventa 50% se è superiore a cinque volte l’importo dell’assegno.