Benzina 2.50 euro a litro, e potrebbe non finire qui la salita

Benzina 2.50 euro a litro, è questa la novità che porta il 2023. Del resto c’era da aspettarselo con la riduzione delle accise, ma la salita si è fermata?

Benzina 2.50 euro a litro, un nuovo salasso per le famiglie

Fare benzina ritorna ad essere un salasso per le famiglie e per i lavoratori. Il nuovo anno, come preannunciato, prevede l’eliminazione delle accise sulla benzina e gasolio. Questo non ha fatto altro che schizzare il prezzo alla pompa fino a 2.50 euro a litro per la benzina e 2.55 per il gasolio. Prezzi che fanno rabbrividire, ma che si riferiscono principalmente al costo autostradale.

Secondo le elaborazioni di Quotidiano energia il prezzo medio della benzina servito sale a 1,965 euro mentre quello del diesel sale a 2,023 euro al litro. Il prezzo medio nazionale della benzina in modalità self è 1,821 euro al litro (1,814 il dato del 5 gennaio), con i diversi marchi compresi tra 1,816 e 1,835 euro al litro (no logo 1,819). Il prezzo medio praticato del diesel self è a 1,879 euro al litro (contro 1,875)

Tuttavia in questi aumenti qualcosa non torna. E si perché se da una parta sono ritornati i costi legati alle accise, dall’altra si registra una grande diminuzione del prezzo del petrolio. Quindi questa caduta del prezzo, avrebbe dovuto assorbire il ripristino delle accise. Invece questo non è accaduto, anzi.

Benzina 2.50 euro a litro, indaga anche la Procura

Dopo lo stop degli sconti sulle accise c’è un altissimo rischio di speculazione sul prezzo dei carburanti su strade ed autostrade. Infatti il Ministero dell’Economia, Giorgetti, ha dato mandato alla Guardia di Finanza di controllare la situazione. Tuttavia i risultati dei controlli saranno resi la settimana prossima. Intanto anche la Procura di Roma indicata sui rincari di diesel e benzina.

Ma denunce sono arrivate anche in circa 300 procure in tutta Italia. Come se non bastasse secondo Codacons, il pieno di benzina costa 8,9 euro in più rispetto a quanto costava a fini dicembre. Su questi dati si può stimare quindi un aumento della spesa annua per ogni automobilista pari a 214 euro.

Proteste se non ci saranno ribassi

Insorgono sia le associazioni di categoria dei consumatori che quelle dei lavoratori. Anche i taxisti sono sul piede di guerra, perché è impensabile offrire il proprio servizio con questi prezzi alla pompa. Anche perché si ricorda che sono aumentati anche i pedaggi autostradali. Un problema che riguarda anche l’intero commercio italiano. Si perché la maggior parte del trasporto delle merci, nel nostro territorio, avviene su gomma. Un maggiore costo di autostrade, benzina e diesel si ribalterà inevitabilmente sul costo finale del prodotto, quindi sul consumatore. E non è proprio la soluzione migliore, visto già la situazione provata dalle famiglie e imprese italiane.

Aumento dei prezzi: dalla benzina al pane, l’analisi

Quando la crisi economica per l’emergenza Coronavirus impattò sulle famiglie, si disse una cosa che richiamava al passato. Per trovare una crisi del genere, tra crisi del lavoro e crisi dell’economia globale, bisognava risalire al dopo guerra. Si, si fece accenno a crisi successive a guerre. Immaginate ora cosa accade con l’arrivo di una guerra mentre la crisi economica per il Covid è ancora pienamente in atto (nonostante le istituzioni italiane parlano di ripresa).

L’aumento dei prezzi di qualsiasi cosa una famiglia ha bisogno, produrrà inevitabilmente una inflazione che non risparmierà nessuno. Imprese, commercianti, lavoratori, famiglie. Ecco che scenari rischiano di verificarsi se tra Ucraina e Russia non arriva la tanto agognata pace.

Bollette in aumento, le famiglie se ne sono già accorte

Il primo dato di fatto di questa grave emergenza economica è l’aumento del costo delle bollette energetiche. Luce e gas hanno avuto già da inizio anno una impennata clamorosa. Da gennaio il costo per le famiglie e per le imprese è raddoppiato quasi.

E adesso la guerra in Ucraina, con le sanzioni alla Russia rea di aver invaso lo Stato confinante. Sanzioni che hanno interrotto i rapporti tra Russia e Paesi Occidentali, rapporti economici e finanziari che però hanno il loro rovescio della medaglia. Noi italiani per esempio, dalla Russia ci approvvigioniamo di oltre il 40% del gas che serve quotidianamente.

Proprio ieri il Ministro degli Esteri Luigi Di Maio gongolava per il fatto di aver trovato una intesa per le forniture con l’Algeria. Ma si tratta di un 8% delle forniture, ben lontano da oltre il 40% che ci verrà a mancare per via delle già citate sanzioni contro Putin.

In altri termini c’è il concreto rischio che saliranno ancora i prezzi di queste materie che i cittadini pagano con le bollette. I recenti aumenti di gennaio quindi non saranno gli ultimi, c’è da scommetterci.

L’aumento del prezzo del carburante

È notizia di qualche giorno fa, dell’ennesima risalita del prezzo del carburante, con la benzina salita a oltre 2 euro in alcuni posti. I camionisti e gli autotrasportatori hanno già manifestato e bloccato i trasporti pochi giorni fa.

Ma pensare che l’aumento del prezzo del carburante sia un problema solo degli autotrasportatori è profondamente errato. L’aumento del costo del rifornimento aumenta il costo di tutti i prodotti che vengono trasportati su gomma. E la guerra in Ucraina, aumenterà inevitabilmente tutto questo.  Le sanzioni con la Russia e il blocco dei trasporti marittimi e aerei nelle zone interessate dal conflitto, crea scompensi. Danni ingenti al mercato internazionale portando a rincari di numerosi prodotti.

I beni di prima necessità e l’aumento dei prezzi

Sono già tante le analisi che hanno portato a mettere in luce ciò che accadrà presto anche ai beni di prima necessità in Italia. A dire il vero gli aumenti sono scattati già ad inizio anno, ma adesso andrà sempre peggio. Detto di bollette e rifornimento di carburante, anche farina, pasta, e così via, saliranno di prezzo.

Saliranno i prezzi di grano e fertilizzanti. L’agricoltura rischia di finire ai primi posti come impatto di questa crisi. E se sale il prezzo del bene principale, è assai scontato che saliranno i prezzi della pasta, del pane e così via.

Ma le materie prime con prezzo in netto aumento, riguardano anche alluminio, rame, nickel, ghisa, palladio.

Le stime di questi aumenti fanno paura

Sul sito tg24.Sky, viene messa in luce una attenta analisi di Federalimentari, associazione di categoria molto nota. Secondo l’associazione, sono in imminente aumenti i prezzi di tutto ciò che deriva dei cereali. E l’aumento stimato non è irrisorio visto che si parla del 10% di aumento sulla pasta, che già da inizio anno è salito di molto. E per il pane ancora peggio, perché siamo nell’ordine del 30%.

Come riporta il Messaggero, in crisi ci andrà anche il settore degli allevamenti. Anche in questo caso tutto dipende da una materia prima, in questo caso il mais. Cia Agricoltori ha già sottolineato che il granturco che finisce con l’essere alimento principale per gli allevamenti di animali, proviene per oltre il 50% dall’Ucraina. Inutile dire ciò che accadrà adesso a causa del conflitto con la Russia.

Il mais diventerà introvabile e il suo prezzo è destinato a salire, secondo l’associazione degli allevatori, di oltre il 35%. con inevitabile ricaduta su carne e derivati dagli animali.

Il grano ai massimi livelli

Non è direttamente interessata l’Italia dall’importazione del grano russo e ucraino. L’Italia ne importa solo il 5% di quello che utilizza annualmente. Il fatto che dalla Russia siano i Paesi del Nord Africa ad approvvigionarsi in misura sostenuta di grano, mette a rischio anche l’Italia. Se il Nord Africa avrà carenze, gioco forza entrerà in concorrenza con l’Italia per il grano Australiano e Canadese. E il prezzo è destinato a lievitare sensibilmente, anche se già oggi è a livelli record.

Effettivamente erano 14 anni che il prezzo del grano non arrivava a questi livelli, cioè a 33,3 centesimi al Kg.

Altri prodotti che hanno un prezzo in crescita costante

In aumento anche i prezzi dell’olio di girasole. E non è un prodotto di poco conto visto che in Italia l’80% di quello utilizzato è importato. Ma uscendo fuori dall’alimentare, non è da meno l’aumento dei prodotti legati all’industria della siderurgia. L’acciaio l’Italia lo importa per la gran parte dalla Russia. Che ricordiamo, è il primo esportatore mondiale di questo materiale. E pare che le riserve italiane sono scarne, perché garantiscono massimo un paio di mesi di autonomia.

Senza importazioni dalla Russia quindi, serio pericolo di ingessare le attività.

Benzina, prezzo al massimo dal 2012, difficoltà per tutti

La benzina continua a crescere a livelli mai raggiunti dal 2012 ad oggi. Un problema che si ribalta sulle famiglie e sulle imprese.

Benzina, i prezzi in questo momento

Il costo della benzina verde in modalità self è salito a 1.819 euro a litro. Si tratta di un aumento di circa 2.26 centesimi rispetto alla scorsa settimana. Ma gli aumenti hanno anche interessato il diesel, che ormai ha superato 1.690 euro a litro. Per il gasolio è il prezzo più alto da marzo 2013, mentre per la benzina il costo più elevato dal 2012.

Tuttavia in base all’elaborato di Quotidiano Energia in base ai dati dei gestori all’Osserva prezzi carburanti del Mise, il prezzo medio dei diversi marchi oscilla tra 1.811 e 1.838 euro a litro. Quanto al servito, per la benzina il prezzo medio praticato sale a 1,955 euro/litro (ieri 1,953) con gli impianti colorati che mostrano prezzi medi praticati tra 1,890 e 2,039 euro/litro (no logo 1,849). La media del diesel servito è a 1,834 euro/litro (ieri 1,832). Ci sono punti vendita delle compagnie con prezzi medi praticati compresi tra 1,771 e 1,903 euro/litro (no logo 1,732).

I prezzi praticati del Gpl vanno da 0,819 a 0,834 euro/litro (no logo 0,813). Infine, il prezzo medio del metano auto  si posiziona tra 1,797 e 1,897 (no logo 1,757), con il valore minimo in lieve calo e quello massimo in crescita.

Quali sono i motivi di questo aumento?

In Italia si stanno registrando aumenti di luce, gas e materie prime. Mentre gli aumenti sul carburante stann coinvolgendo tutti i Paesi a livello mondiale. Ci si chiede, quali possono essere i motivi che spingono verso questa direzione? Un primo motivo potrebbe essere legato alla crescita economica a seguito dal lungo periodo di lockdown. La storia insegna che dopo periodi di stop, come pandemie, guerre, i popoli e le economie trainano verso una repentina crescita per cercare di riprendersi. Anche se aumenti del livello generale dei prezzi “ferma l’entusiasmo”, e quindi i governi cercano di tenere sotto controllo l’inflazione.

Mentre un altro motivo potrebbe essere legato al mancato accordo tra i Paesi dell’Opec sull’aumento della produzione del greggio. Infatti i paesi produttori di petrolio non sono riusciti ad accordarsi, pertanto l’Arabia Saudita e gli emirati arabi non hanno chiuso le trattative sperate. Il tutto nasce dalla richiesta degli Emirati Arabi che volevano aumentare la loro produzione. Ma purtroppo diversi Paesi Opec hanno rifiutato e quindi per ritorsione il prezzo del greggio è aumentato, perché si sa maggiore è la produzione, minore è il prezzo.

Un altro motivo è la poca valenza dei nostro paese sul mercato delle trattative. Ebbene l’Italia è importatrice per circa il 96% di energia, ma anche di carburante. Nonostante alcune forze politiche chiedano di riaprire l’argomento “nucleare” per cercare di diminuire questa dipendenza soprattutto dai Paesi dell’Est Europa.

Benzina, perchè l’aumento incide sulle tasche degli italiani?

In merito agli aumenti della benzina, gli italiani subiscono un doppio effetto. Il primo più diretto è che quando si va dal distributore, fare il pieno costa di più. Quindi qualsiasi tipo di spostamento, sia per divertimento, ma soprattutto per lavoro inciderà di più sulle spese mensili.

Mentre un altro effetto è indiretto, perché legato ai trasporti. Infatti se la benzina aumenta, anche i trasportatori dovranno spendere di più per rifornire i propri mezzi, e quindi il costo dai singoli prodotti dal produttore al consumatore aumenta. E’ quello che sta succedendo adesso, dove la grande distribuzione dovrà sostenere maggiori spese per rendere i prodotti disponibili nei supermercati. Aumenti che inevitabilmente si riflettono sulle famiglie che devono fare le spesa per portare in tavola qualcosa da mangiare. Dunque aumenti record che devono essere risolti al più presto, perché davvero le famiglie sono allo stremo e sempre più con le tasche vuote.

 

 

Aumento dell’Iva e tracollo del Paese

di Davide PASSONI

E alla fine, l’aumento di un punto percentuale di Iva arrivò. Complice la crisi di governo, si accompagnerà a mazzate ulteriori per le imprese (aumento dell’Ires e dell’Irap per il 2013) e i cittadini (aumento delle accise sui carburanti).

Dire che lo sapevamo è fin troppo facile, non vogliamo passare per dei sensitivi da quattro soldi, ma era fin troppo scontato che sarebbe stato così. In un Paese che vive di tattica e non di strategia, nel quale la parola d’ordine non è “decidere” ma “rimandare”, sempre e comunque, era l’esito più scontato di questo tira e molla fatto sulla pelle dei contribuenti, imprese o privati che siano.

L’incremento delle accise sui carburanti sarà di 1,5 centesimi al litro fino a dicembre 2013 e poi fino al 15 febbraio 2015 di 2,5 2,5 centesimi al litro. Su Ires e Irap staremo a vedere. Secondo il testo della bozza del decreto legge che contiene le misure sull’Iva, la Cassa integrazione in deroga sarà rifinanziata per il 2013 con un’ulteriore somma di 330 milioni di euro “da ripartirsi tra le regioni”.

Come era prevedibile, le notizie sull’Iva hanno subito scatenato le associazioni dei consumatori. “Sono provvedimenti disastrosi – dice il Codaconsche avranno effetti pesantissimi sulle famiglie. Solo queste due misure determinerebbero, a regime, una stangata pari a 275 euro a famiglia: 66 euro circa per i maggiori costi complessivi legati ai rifornimenti di carburante; 209 euro per l’aumento dell’Iva dal 21 al 22%. Senza contare gli effetti indiretti sui prezzi al dettaglio, considerati arrotondamenti e aumento dei listini dei prodotti trasportati”.

Oltre alle famiglie, la cui capacità di spesa sarà ulteriormente depressa, anche le imprese non beneficeranno di certo di questo aumento, anzi. E allora siamo ancora qui a chiederci dove andremo a finire. Questa mossa di un governo che ha scelto di autodistruggersi dimostra ancora una volta come la classe dirigente e politica di questo Paese non ha una capacità di visione nemmeno di medio periodo. Non riesce a immaginare l’Italia di qui a 5, 10 anni, ha perso ormai da un ventennio abbondante una tensione e un’idea di futuro e di sviluppo, trascinando a fondo con sé la parte migliore e più produttiva del Paese.

Scegliendo ancora una volta di non decidere, l’Italia ha ancora una volta deciso di non voler crescere. Rimanda, rimanda in continuazione. Ma il tracollo del Paese, così, non si rimanda: lo si fa sempre più vicino.

La filiera fa la forza del Made in Italy

di Alessia CASIRAGHI

Ai nastri partenza della Settimana della Moda milanese, che debutta quest’oggi, Infoiva ha chiesto a Michele Tronconi, Presidente di Sistema Moda Italia quale sia il segreto del successo di un settore, come quello della moda italiana e dell’abbigliamento, apprezzato e invidiato in tutto il mondo. Tante piccole aziende, che se da un lato rappresentano un omaggio alla tradizione e all’artigianalità, dall’altro sono la vera forza intrinseca dei capi che vediamo rinnovarsi di anno in anno sulle passerelle di tutto il mondo.

Oggi debutta la Milano Fashion Week: i capi che vedremo in passerella e che faranno il giro del mondo sono però sola la punta dell’iceberg di un’industria, quella della moda, che in Italia è fatta non solo di grandi maison ma da tantissimi piccoli imprenditori, artigiani e artisti. E’ questo il segreto del suo successo?
Il suo segreto è racchiuso nel fatto di essere ancora una filiera: in Italia sono presenti tutte le componenti che concorrono alla realizzazione di un prodotto finito. Un prodotto che ha elevate componenti simboliche e di gusto, caratterizzato da una continua innovazione, in linea con il cambio delle stagioni, che portano al cambiamento del guardaroba. Ma per arrivare al prodotto finito, celebrato attraverso liturgie particolari come le sfilate, il punto di partenza è sempre la materia prima. Il nostro settore, quello della moda e del tessile, ha vinto sulla saturazione della domanda, che caratterizza tutti i settori economici maturi, grazie all’innovazione di prodotto e grazie alla moda stessa, che è una costruzione sociale che richiede continua propositività e che spinge il consumatore a desiderare il prodotto nuovo, anche se il suo armadio è già pieno. Il nostro è un settore che si è specializzato per rispondere alle esigenze che si susseguono di stagione in stagione: non è un caso che nella filiera del tessile e dell’abbigliamento continuino a esistere piccole imprese specializzate, è da loro che deriva la forza complessiva del settore. Una forza che si basa però allo stesso tempo sulla fragilità di ogni singolo elemento, fragilità che deriva dal fatto di non essere mai importante né per i propri clienti né per i propri fornitori. Esiste un ciclo di vita delle aziende incessante, è l’altra faccia della medaglia, le sfilate sono la punta dell’iceberg di questa fragilità strutturale.

Il bilancio del primo semestre del 2012 parla di un calo generalizzato del settore del tessile in Italia. Quali sono le maggiori difficoltà cui si trovano a far fronte gli imprenditori della moda?
La fragilità odierna non è settoriale ma endemica e dovuta a una crisi di carattere macroeconomico: dalla cattiva finanza americana sui debiti sovrani alla debolezza dell’Euro, una crisi che atterra sull’economica reale, generando crisi di domanda e crisi di consumi. Il calo di fatturati del nostro settore si spiega in un orizzonte più ampio. La domanda interna si è fortemente ridotta, la pressione fiscale si è fatta sentire fin dall’ingresso dell’Euro, ma adesso si avverte in misura maggiore anche in tante imposte indirette: il caso più eclatante è quello della benzina. L’aumento del costo di un bene riduce la possibilità di spesa su altri beni. Il forte calo dei consumi colpisce anche il tessile abbigliamento perchè ha come conseguenza diretta una riduzione e una frammentazione dei volumi produttivi, sia sull’artigianato che sull’industria, con la conseguenza che le imprese non riescono sempre a coprire i costi produttivi. Un altro problema riguarda la contrazione del credito, non solo delle banche, ma anche tra gli imprenditori: il rispetto delle scadenze nei pagamenti fra aziende e fornitori diventa sempre più difficile. Quello che fa un po’ specie è vedere come anche le aziende di grandi dimensioni, che dovrebbero avere le spalle più coperte, non sempre comprendano la necessità e l’importanza di sostenere le realtà più piccole e con esse la filiera stessa, allineando le condizioni di pagamento alle condizioni europee. Da ultimo si aggiunge il problema dell’aumento dei costi di produzione, indotto dalla fiscalità crescente e dall’ incremento del costo dell’energia, che penalizza la filiera italiana e dilata ulteriormente il differenziale negativo dell’industria italiana su i competitor più lontani, come Cina e Turchia, ma anche quelli più vicini come Germania e Francia. Se si produce di meno, viene da sè che si contrae anche la nostra capacità esportativa.

Quali sono attualmente i Paesi dove si esporta maggiormente?
Le nostre esportazioni continua a crescere in Cina, anche se rappresentano ancora una piccola fetta rispetto al valore che importiamo: la Cina è il nostro principale fornitore sia di tessile che di abbigliamento, ed è solo il nostro 12mo cliente, anche se sta salendo in graduatoria con un ritmo molto sostenuto dall’inizio del 2012. In Cina esportiamo più tessile che abbigliamento: il tessile ha registrato quest’anno una crescita del 20-22% rispetto allo stesso periodo del 2011, mentre le importazioni dalla Cina sono diminuite della stessa percentuale nel medesimo periodo. Poi c’è la Russia, seguita da Paesi molti interessanti come il Brasile e l’America Latina stessa, dove però è più facile esportare quando si ha un brand molto noto, meno facile invece quando si tratta di middle brand, perché occorre superare lo scoglio di dazi molto elevati: in Brasile parliamo di una media del 35% per capi di abbigliamento.

I mercati BRIC continuano a rappresentare un’ancora di salvezza per l’export e il fatturato del tessile italiano?
Oltre al già citato Brasile, un mercato molto interessante è quello dell’India, anche se la moda italiana fa ancora fatica a penetrare per una questione prettamente culturale: paradossalmente in India si esporta più facilmente la calzatura italiana che non l’abbigliamento. L’export italiano non guarda soltanto ai Bric ma anche i Next Eleven – Bangladesh, Egitto, Indonesia, Iran, Messico, Nigeria, Pakistan, Filippine, Turchia, Corea del Sud e Vietnam – che stanno crescendo a ritmo sostenuto. Fra i Paesi dell’America Latina, grande attenzione è posta sul Messico, un Paese che nonostante venga spesso ritratto dai media come caratterizzato da un alto taso di criminalità è interessato da un fortissimo sviluppo economico, e ancora il Cile e l’Argentina. Tutti Paesi che crescono ad una velocità raddoppiata rispetto alla vecchia Europa.

I buyers stranieri sono indirizzati per lo più verso produzioni di altissimo livello o ad attirare l’attenzione è anche la produzione di medio livello?
I nostri sono prodotti desiderabili sia per chi ha un alto tenore di vita, quindi rivolti al comparto lusso, sia per la classe media, che in Paesi come quelli prima citati cresce a ritmo sostenuto, e desidera avere un prodotto che evochi il sogno, che sia di buona qualità, continuamente innovato, perché gli aspetti simbolici sono quelli a cui si fa più attenzione nel momento in cui si esce da situazioni di precarietà e povertà.

Come si difende l’industria del tessile made in Italy dalla concorrenza, non solo a livello economico ma anche di filiera produttiva, dei Paesi asiatici?
Occorre cambiare la prospettiva: quando noi 10 anni fa ragionavamo di sostegno della nostra filiera, la questione principale riguardava la protezione della produzione italiana. Oggi le cose sono cambiate, oggi siamo chiamati a sostenere le nostre esportazioni in quei Paesi che 10 anni fa erano i nostri principali acquirenti. La Cina ne è l’esempio più lampante: da Fabbrica del mondo si è trasformata in grande mercato del mondo, e paradossalmente, per sostenere la nostra filiera oggi occorre creare prodotti che siano esportabili e vendibili in quei Paesi. Una cosa è rimasta costante nel tempo: la necessità di strumenti di trasparenza, l’indicazione di origine dei prodotti è importante sempre e ovunque. La Cina compra da noi solo quando il prodotto è autenticamente made in Italy; oggi dobbiamo pretendere che anche gli altri Paesi rispettino la piena reciprocità e trasparenza.

Secondo lei, quali soluzioni alternative potrebbe /dovrebbe adottare il Governo per salvaguardare un settore tradizionale e fondamentale dell’industria italiana, quasi identitario, come quello del tessile?
Per esportare di più occorre risolvere i problemi a casa nostra. All’Italia manca quella capacità a fare squadra, i problemi che stanno venendo a galla sono più grossi, e non riguardano solo il tessile e abbigliamento, ma visto che questo settore rappresenta ancora, per fortuna, un’industria di filiera, una maggior attenzione da parte dei grandi poteri andrebbe prestata. Occorrono interventi che agiscano sul conto economico delle imprese: prima di tutto ridurre il costo dell’energia, che è stratosferico ed è un problema solo italiano. Occorre poi ridurre la fiscalità sulle imprese, primo fra tutti il problema dell’Irap che penalizza tutte quelle aziende che presentano una forte incidenza della manodopera. La principale riforma di cui ha bisogno l’Italia in questo momento è fiscale: nell’attività produttiva a livello industriale non si assiste ad uno spostamento verso il sommerso, ma ad un annullamento dell’attività produttiva. Si tratta però di interventi che riguardano unicamente il Governo, non le parti sociali o gli imprenditori. Quando si ha a che fare con una filiera, come la nostra, composta per lo più da piccole realtà imprenditoriali, non ci si può aspettare che i piccoli risolvano i problemi dei grandi.

Auto, bene di lusso degli italiani

Qual è il vero bene di lusso per gli italiani? Gioielli, orologi, ville con piscina, cavalli da corsa? Sbagliato! La risposta esatta è: l’auto. Ma non una fuoriserie o un’auto di grossa cilindrata, no no… persino l’utilitaria è diventata un bene di lusso. Ce ne dà conferma il Conto nazionale delle Infrastrutture e dei trasporti 2010-2011, secondo il quale acquistare e mantenere un’auto si è rivelato negli ultimi 20 anni un investimento oneroso per gli italiani.

Qualche esempio? L’esborso per i soli carburanti è aumentato del 170%, passando dai 15,24 miliardi del 1990 ai 41,15 miliardi del 2010. Complessivamente per l’esercizio dell’auto la spesa è passata dai 47,28 miliardi del 1990 ai 103,71 miliardi del 2010 (il 43,81% del totale): un’impennata del 119%. Più che triplicate le spese relative all’rc auto, passate dai 5,17 miliardi del 1990 ai 15,64 miliardi del 2010.

L’ammontare complessivo delle spese per le auto a uso privato è stato stimato per il 2010, in circa 147,205 miliardi di euro. Al netto della cifra inerente gli interessi sul capitale investito, spiega il Rapporto “la valutazione delle spese di esercizio delle autovetture si quantifica, per il 2010, in 93,934 miliardi di euro dei quali circa il 44% è da attribuire a spese per carburanti, quasi il 18% a spese per manutenzione ordinaria, circa il 17% a spese per assicurazioni, poco meno del 6% a tasse automobilistiche ed il restante 15% circa a spese per il ricovero, per pneumatici, per lubrificanti e pedaggi autostradali“.

E il Codacons ruggisce. Per una famiglia media italiana, mantenere un’auto costa ormai, dopo gli ultimi rialzi della benzina, 4.010 euro all’anno, una “vera e propria stangata“, commenta l’associazione dei consumatori. Una cifra che risulta dalla somma di: 1728 euro per il carburante, 715 per l’Rc auto, 491 euro per le riparazioni, tra meccanici e carrozzieri, 222 euro tra pedaggi e posteggi, 265 euro per il bollo, 235 per le multe, 143 euro per il gommista, 126 euro per l’affitto del garage (non è calcolato il costo dell’acquisto di un box, essendo un investimento), 85 tra lavaggio e revisione auto.

And so… come direbbero gli anglosassoni? Per il Codacons, “ora che il ministero ha scoperto quello che ogni automobilista sapeva già, sarebbe bene che cercasse anche delle soluzioni, visto che la responsabilità di questi aumenti dipende in primo luogo dal Governo che non ha preso misure di liberalizzazione e che in questi anni ha aumentato ripetutamente le accise sui carburanti, l’Iva, ha indicizzato, invece degli stipendi e delle pensioni, le tariffe autostradali e, infine, in nome del federalismo, ha consentito l’innalzamento delle tasse sull’rc auto per finanziare le Province“.

Sarà un caso che il nostro articolo sulla prima stazione di rifornimento per veicoli elettrici ha avuto oltre 1100 like su Facebook? Meditate ministri, meditate…

Benzina, nuovo record sul servito

L’aumento del prezzo del carburante sembra inarrestabile: la verde ha toccato il nuovo record di 2,013 euro al litro nel centro Italia, mentre in alcuni distributori del Sud Italia ha raggiunto 1,850 euro al litro.

La situazione nazionale vede invece una media, considerando il servito, di 1,916 euro al litro per la benzina e di 1,800 euro/litro per il diesel: si va dai 1,920 euro/litro per la benzina di Eni agli 1,906 di Tamoil, mentre per il diesel i prezzi spaziano da 1,793 di Tamoil a 1,803 di Eni e Shell.

Si è intanto concluso il penultimo weekend di sconti sul self service, con Eni come punto di riferimento per i competitor, ma i prezzi finali sono stati inevitabilmente più alti rispetto all’inizio della promozione: il ribasso Eni, per esempio, è stato 1,750 euro/litro per la benzina e 1,650 per il diesel (contro l’avvio rispettivamente a 1,600 e 1,500 eur/litro).

Francesca SCARABELLI

Cara benzina…più ti tiri su più ci mandi giù…

 

… La voglia di vacanze.

Perché gli sconti sul prezzo della benzina devono valere solo per il tempo del week end? Perché dobbiamo ritrovarci tutti in coda alla pompa per godere di quel pieno di greggio a prezzo ribassato, tipo partenze intelligenti per le vacanze, che però, tra la crisi economica ed il costo quotidiano dell’oro nero, ci abbassano la voglia di prendere e andare? Noi ce lo stiamo chiedendo da un po’, e se lo sono chiesti anche in Federconsumatori…

Il prezzo dei carburanti continua a crescere: come sempre le reti distributive sono sensibilissime alla variazioni in aumento dei prezzi del greggio mentre sono molto poco sensibili nel caso di variazioni al ribasso della materia prima.

Così oggi siamo di fronte ad un nuovo incremento che va da 1,5 a 2 centesimi al litro, con buona pace degli sconti del weekend che, per poter influire sull’aumento dei prezzi dovrebbero essere permanenti, strutturali e praticati attraverso tutti i canali di distribuzione.

Il margine per un’ampia riduzione esiste, lo hanno dimostrato non solo gli sconti praticati dalla maggiore compagnia del Paese, ma anche la cascata di promozioni e diminuzioni dei prezzi attuate dalle altre compagnie.

Ogni nuovo aumento, per di più nel corso della settimana, quando cioè gli sconti non sono in pieno regime, è quindi del tutto ingiustificato.

A maggior ragione alla luce degli effetti e delle ripercussioni che l’aumento di tali prezzi ha sul mercato.

Non dimentichiamo, infatti, che l’incremento dei carburanti è una ulteriore spinta al generale rialzo dei prezzi, che a giugno ha già raggiunto il 3,3%, mentre proprio oggi l’Istat certifica che oltre il 35% delle famiglie ha ridotto la quantità e persino la qualità della spesa alimentare!

Gli automobilisti sono stremati: la riduzione dell’utilizzo dell’auto ha già abbondantemente superato la soglia del 25%, con un conseguente aumento delle presenze sullo spesso carente servizio di mezzi pubblici e trasporto locale.

È indispensabile intervenire immediatamente per far sì che i prezzi si attestino, una volta per tutte, su una soglia adeguata, eliminando ogni traccia di meccanismi speculativi sulla determinazione dei prezzi e bandendo dai listini l’inutile cifra dei millesimi, che ha la sola
funzione di complicare il confronto dei prezzi praticati dai diversi distributori.

Che ne pensate?

IVA al 21%: da oggi è realtà

L’aumento dell’Iva dal 20 al 21% è ormai cosa nota, ma, nel dettaglio, in quanti sanno che cosa rincarerà, e da quando?
Occorre, a questo proposito, fare un po’ di chiarezza, ed analizzare la situazione in modo preciso.

Ciò che è importante da sapere, per i professionisiti, gli esercenti, gli imprenditori, è che da oggi scatteranno i rialzi per alcuni prodotti e servizi. Per i consumatori questo infatti sarà il primo week-end di shopping al 21%.

In generale, possiamo dire che l’aumento non si avvertirà sul singolo acquisto perché, per fare un esempio, un paio di scarpe subirà un rincaro di 1 euro ma, se si pensa che si prevede l’arrivo nelle casse dello Stato di 700 milioni di euro già quest’anno, allora ci rendiamo conto che sì, qualcosa cambierà anche nelle nostre tasche. E non sarà un gioco al rialzo.

Secondo una stima fatta dalla Cgia di Mestre, l’esborso per le famiglie sarebbe di 123 euro in più all’anno, mentre Federconsumatori e Adusbef ritengono che la cifra si avvicinerà più a 173 euro, fino ai preoccupanti 500 euro di rincaro previste dalle grandi catene di distribuzione.

Sembra dunque difficile dare dati certi e del tutto attendibili. Vero è che tutti saremo “colpiti” da questa spada di Damocle, perchè tanti sono i prodotti, anche di consumo quotidiano, che ci costeranno di più.

|F.A.Q.| Se il software di fatturazione o del registratore di cassa non è aggiornato con l’Iva al 21%, cosa succede? leggi la risposta

La buona notizia è che nessun rincaro ci sarà per pane, latte, pomodori e giornali, per fare degli esempi di prodotti con Iva al 4%.

I golosi di cioccolato, invece, faranno fatica ad orientarsi: aumenti in vista per le confezioni di pregio, prezzi fermi invece per le comuni ‘tavolette’.

Discorso analogo per gli habitueè del caffè: sé è da aspettarsi un rincaro per la confezione al supermercato, invariato dovrebbe restare il prezzo della tazzina al bar, perche nel primo caso l’Iva è al 20 e aumenterà al 21% nel secondo caso è al 10% e resta com’è.

Una delle tante note dolenti sarà la benzina che, con l’aumento dell’Iva, ha calcolato l’Unione Petrolifera, “aumenterà di 1,2-1,3 centesimi al litro”.

Ecco un elenco dei principali beni per i quali aumenta l’imposta di consumo dal 20 al 21% (Fonte: Ufficio studi Confcommercio Imprese per l’Italia):

– Televisori e prodotti per l’home entertainment – Macchine fotografiche e videocamere
– Computer desktop, portatile, palmare e tablet – Autocaravan, caravan e rimorchi
– Imbarcazioni, motori fuoribordo ed equipaggiamento barche – Strumenti musicali
– Giocattoli, giochi tradizionali ed elettronici – Articoli sportivi
– Manifestazioni sportive e parchi divertimento – Stabilimento balneare
– Piscine, palestre e altri servizi sportivi – Articoli di cartoleria e cancelleria
– Pacchetti vacanza
– Automobili, ciclomotori e biciclette
– Trasferimento proprietà auto e moto
– Affitto garage, posti auto e noleggio mezzi di trasporto – Pedaggi e parchimetri
– Apparecchi per la telefonia fissa, mobile e telefax – Servizi di telefonia fissa, mobile e connessioni internet – Tabacchi
– Abbigliamento e calzature
– Rasoi elettrici, taglia capelli, phon – Articoli per la pulizia e per l’igiene personale – Profumi e Cosmetici
– Gioielleria e orologeria
– Valigie e borse e altri accessori
– Servizi di parrucchiere
– Servizi legali e contabili
– Mobili e articoli per illuminazioni
– Biancheria e tessuti per la casa
– Frigoriferi, lavatrici, lavastoviglie, forno – Piccoli elettrodomestici per la casa
– Piatti, stoviglie e utensili per la casa – Detergenti e prodotti per la pulizia della casa – Carburanti
– Caffè
– Bevande gassate, succhi di frutta e bevande analcoliche – Liquori, superalcolici, aperitivi alcolici – Vini e spumanti.

Vera Moretti

E la benzina si impenna

Il presidente della Figisc, Luca Squeri, ha commentato i i dati del consueto osservatorio settimanale sull’andamento del costo della benzina.

Come sappiamo le cose non stanno andando nel migliore dei modi per i consumatori di greggio.

Ecco il commento di Squeri: “nella settimana corrente la quotazione del greggio Brent spot è lievemente aumentata (+1,64 euro/barile, +0,012 euro/litro), in presenza di un modesto arre-tramento del cambio euro/dollaro, con analoghe movimentazioni del prezzo dei prodotti ‘finiti’ Platt’s: per la benzina in misura pari a +0,014 euro/litro, per il ga-solio pari a +0,012 euro/litro. I prezzi medi Italia sono aumentati da venerdì 1° luglio di +0,015 euro/litro per la benzina e di +0,009 per il gasolio”.

“Il saldo tra variazioni internazionali e variazioni nazionali è, dunque, per questa settimana pari a +0,001 euro/litro per la benzina ed a -0,003 per il gasolio, importi, cioè, che, a seconda del prodotto, sono stati scaricati in più (ben-zina) o non sono stati scaricati (gasolio) sui prezzi interni.”

E per i prossimi giorni? Squeri prevede una tendenza all‘aumento dei prezzi dei carburanti: “Mentre le quotazioni del greggio Brent sono balzate sui 118 dollari/barile, le chiusure del Platt’s di giovedì 6 giugno hanno marcato un incremento di circa 2,5-2,6 eurocent/litro per ambedue i prodotti, IVA compresa. Per i prossimi giorni ci si può attendere un ulteriore incremento medio dei prezzi nell’ordine di 2,0 eurocent/litro.