Iva rimandata a settembre

Dopo l’Imu, anche l’Iva rischia di essere rimandata a settembre.
Insomma, dove non sembra possibile intervenire drasticamente, si cerca, almeno, di congelare gli adempimenti in attesa di tempi migliori, se mai verranno.

Con la speranza che l’estate porti consiglio, ma soprattutto soldi, dunque, il Governo ha deciso di posticipare la decisione, e c’è già qualcuno che prevede, al rientro dalle vacanze, una mazzata doppia di Imu e di Iva.
Difficile, infatti, pensare ad una cancellazione definitiva delle aliquote. Più facile, invece, una rimodulazione di entrambe, anche se non c’è nulla di certo.

L’esecutivo, per smentire i maligni, sta lavorando per cercare le migliori soluzioni, ma soprattutto le coperture necessarie, in attesa di buone notizie da Bruxelles, per capire come finirà la trattativa sul deficit.

Stefano Fassina, viceministro all’Economia, spiega che “la misura migliore per incrementare l’occupazione è il rinvio dell’aumento dell’Iva. Occorre sospendere l’aumento fino a dicembre e poi procedere strutturalmente. Le risorse si possono trovare“.

Si vedrà. Per ora, godiamoci l’estate senza aumento dell’Iva.

Vera MORETTI

Aumento Iva, Confcommercio: 26mila negozi a rischio

A causa del previsto aumento dell’Iva dal 21% al 22% ben 26mila negozi rischiano di sparire entro la fine del 2013.

A lanciare l’allarme è l’Ufficio studi di Confcommercio, che rivede la previsione del saldo natalità-mortalità delle imprese del commercio al dettaglio alla luce dell’aumento dell’Iva. Un aumento che riguarda circa il 70% dei consumi totali e che sarebbe una mazzate per imprese e famiglie.

Se il Governo andrà avanti con l’aumento dell’Iva, gli aggravi di imposta sui portafogli delle famiglie italiane saranno pari a 2,1 miliardi di euro nel 2013 e 4,2 miliardi nel 2014.

Secondo Confcommercio, l’aumento dell’Iva potrebbe portare 26mila imprese del settore ad abbassare una volta per tutte le saracinesche. Ecco perché il presidente dell’associazione, Carlo Sangalli, ha chiesto di “evitare un’altra calamità sui consumi“, perché la domanda “che fra investimenti e consumi, muove l’80 per cento del Pil, ora è ferma: alzare l’aliquota significa assestarle un ultimo, letale, colpo. Alle aziende in crisi serve un segnale forte è quel segnale non c’è“.

Basterà questo ennesimo grido a far suonare un campanello d’allarme nella testa del governo?

Aumento Iva, altro che entrate record!

Volete sapere che cosa succederà davvero alle casse dello Stato con l’aumento dell’Iva al 22%? Altro che recuperare quella bella cifra tra i 2 e i 4 miliardi di euro che si aspetta il governo. L’effetto sarà ben altro e la manovra rischia di essere del tutto inutile, se non addirittura dannoso per l’Erario.

Secondo il presidente di Confesercenti Marco Venturi, l’aumento dell’aliquota ordinaria Iva, previsto per l’1 luglio prossimo, potrebbe portare a una diminuzione del gettito di 300 milioni di euro. Una stima che porta Venturi e la sua associazione a bocciare l’innalzamento al 22% dell’imposta, definendolo “l’ennesimo passo falso” in materia fiscale.

Secondo Confesercenti, le stime sono state effettuate a parità di transazioni, mentre alcuni beni interessati dalla modifica dell’aliquota, hanno dei trend di vendita in calo anche del 10%, una percentuale che l’aumento dell’Iva potrebbe deprimere ulteriormente. Caso mai, secondo l’associazione l’obiettivo dovrebbe essere quello di stimolare i consumi, riportando l’aliquota ordinaria al 20%, come era fino all’agosto del 2011.

Il gettito necessario a coprire questo ammanco non dovrebbe essere trovato, come al solito, innalzando aliquote o introducendo nuove tasse, ma intervenendo su sprechi ed evasioni. In occasione dell’assemblea elettiva di Confesercenti Toscana, Venturi è stato chiaro: “Lasciate perdere l’Iva e colpite con decisione la corruzione denunciata da tempo immemorabile dalla Corte dei Conti ed il fenomeno del sommerso che inquina, con la presenza della criminalità, l’economia e la convivenza civile. In questo modo daremmo maggior respiro ai conti pubblici e più forza al valore della legalità“.

Dal 2007 ad oggi – ha proseguito Venturi, per effetto del rigonfiamento monetario dei redditi, il Fisco ha incassato ingiustificatamente 10 miliardi di euro in più di imposte, circa 530 euro a nucleo familiare. Si deve stare molto attenti a non far salire ancora la rabbia dei piccoli imprenditori, che è già da tempo ai livelli di guardia“. E ditelo a noi di Infoiva, che ogni giorno ascoltiamo questo grido di rabbia…

Su l’Iva, giù i consumi

Un’altra voce ferocemente contraria all’aumento dell’aliquota Iva al 22% previsto per luglio è quella di Comitas, l’associazione italiana delle microimprese. Secondo l’associazione il punto percentuale in più determinerà, a regime, una stangata per le famiglie italiane fino a 349 euro annui. Ecco perché Comitas ha chiesto al Governo Letta di bloccare il provvedimento, che “rappresenterebbe una disgrazia per cittadini e imprese”.

In base ai calcoli di Comitas, l’aumento dell’Iva peserà in modo particolare sui nuclei familiari composti da 5 persone, determinando a parità di consumi rispetto allo scorso anno, un aggravio di spesa pari a 349 euro su base annua. Le famiglie con 4 componenti dovranno invece beccarsi una maggiore spesa di circa 279 euro annui, contro i 209 euro di un nucleo di 3 persone.

A questi dati, secondo Comitas, è necessario aggiungere gli effetti negativi che l’incremento dell’Iva determinerà sui consumi: con tutta probabilità le famiglie reagiranno al rincaro dei prezzi riducendo gli acquisti, con un’ulteriore contrazione dei consumi compresa tra il -2,5% e il -3%.

Proprio la riduzione dei consumi aggraverebbe lo “stato comatoso” di migliaia di esercizi commerciali, che pagano il prezzo di acquisti costantemente in declino e un potere d’acquisto degli italiani che è ormai ridotto al lumicino: se non sarà evitato l’aumento dell’Iva di luglio, conclude Comitas, almeno 50mila negozi saranno costretti a chiudere i battenti entro la fine dell’anno.

d.S.

Aumento dell’Iva, il grido delle imprese

Sicuramente quello che fa più rumore mediaticamente riguardo all’aumento dell’Iva al 22% dall’1 luglio prossimo è la stangata che colpirà e famiglie, specialmente quelle meno abbienti. Non dimentichiamo però che questo punto percentuale in più sarà una maledizione anche per le imprese, già provate pesantemente dalla crisi e dalla mancanza di domanda interna.

Proprio per questo motivo imprese di tutti i settori sono scese in campo contro il detestato aumento. Dai distributori di alimentari ai giocattoli, dalla musica alle imprese del mondo agricolo e dei servizi (ossia tutti i settori merceologici i cui beni saranno colpiti dall’aumento), diverse associazioni hanno scritto al presidente del Consiglio Letta chiedendo di scongiurare l’aumento dell’Iva e dare ai consumatori e alle imprese un segnale forte di sostegno, in un momento di estrema difficoltà.

Afi, Agrinsieme, Ancc Coop, Ancd Conad, Assogiocattoli, Ceced Italia, Centromarca, Federalimentare, Federdistribuzione, Federlegnoarredo, Fimi  e Univideo sostengono che l’aumento di un punto di Iva provocherebbe un ulteriore rallentamento dei consumi deprimendo ancora di più la domanda interna, che deve al contrario essere rilanciata per far ricrescere il Pil.

Si legge nella lettera: “Le più recenti stime effettuate da centri studi e istituti specializzati indicano, a regime, l’impatto di questa misura in un aggravio di costi pari a oltre 160 euro a famiglia, fatto tanto più grave in considerazione delle 9 milioni di famiglie che versano in situazioni di difficoltà economica, di cui 5 milioni a rischio povertà”.

L’aumento dell’Iva avrebbe infatti effetti pesanti sul settore distributivo, su quello della produzione industriale, sull’agricoltura e sul mondo dei servizi, con conseguenze anche sui livelli occupazionali. Le associazioni firmatarie auspicano che il Governo, pur in una situazione di difficoltà nel recuperare risorse, trovi una soluzione definitiva a questo difficile problema, dando così un chiaro segnale ai consumatori italiani e alle imprese che hanno ancora la volontà di investire in questo Paese”. Dura farsi ascoltare…

Iva killer. Prime vittime le famiglie, poi le imprese

Chi pagherà l’aumento dell’Iva al 22%? In prima battuta le famiglie e, conseguentemente, le imprese e l’intero sistema produttivo italiano. È quanto ipotizza la Cgia di Mestre, secondo la quale se il Governo non riuscirà a scongiurare l’aumento, gli aggravi di imposta sulle famiglie saranno pesantissimi: 2,1 miliardi di euro nel 2013, 4,2 miliardi nel 2014.

La Cgia stima che, ipotizzando che i comportamenti di consumo delle famiglie italiane misurati secondo le rilevazioni Istat rimangano immutati, per un nucleo costituito da 3 persone l’aggravio medio annuo sarà di 88 euro. Nel caso di un nucleo familiare di 4 persone, l’incremento medio sarà invece di 103 euro.

Visto che per il 2013 l’aumento dell’Iva interesserà solo il secondo semestre, per l’anno in corso gli aumenti di spesa saranno la metà: 44 euro per la famiglia da 3 persone e 51,5 euro per quella da 4.

Quali saranno i principali beni e servizi a rincarare dall’1 luglio? Ricordando che il passaggio dal 21% al 22% dell’Iva ordinaria non inciderà sulla spesa dei beni di prima necessità come alimentari, sanità, istruzione, casa (ai quali si applica l’Iva al 10% o al 4%, o non si applica affatto), la Cgia stima che saranno vino e birra tra le bevande; e poi carburanti, riparazioni dell’auto, abbigliamento, calzature, mobili, elettrodomestici, giocattoli e computer.

Ecco perché, secondo la Cgia, i rincari che peseranno di più sulle famiglie italiane si verificheranno quando si farà il pieno all’auto o la si farà riparare (33 euro all’anno per una famiglia di tre persone, 39 euro per 4 persone), si acquisteranno capi di abbigliamento e calzature (18 euro all’anno per una famiglia di 3 persone, 20 euro per 4) o si acquisteranno mobili, elettrodomestici o articoli per la casa (13 e 17 euro).

Secondo Giuseppe Bortolussi, segretario dell’organizzazione mestrina, “bisogna assolutamente scongiurare questo aumento. Se il Governo Letta non lo farà, corriamo il serio pericolo di far crollare definitivamente i consumi che ormai sono ridotti al lumicino con gravi ripercussioni economiche non solo sulle famiglie, ma anche su artigiani e commercianti che vivono quasi esclusivamente della domanda interna. Rispetto al 2011 la riduzione della spesa per consumi delle famiglie italiane è stata del 4,3%, una variazione negativa molto superiore a quella registrata nel biennio 2008-2009, quando, al culmine della recessione, i consumi avevano segnato una caduta tendenziale del 2,6%“.

Iva al 22%, perché? Fisco, ovvero quando il buon senso finisce in un cassetto

di Davide PASSONI

Siamo ancora tutti qui a chiederci perché. Perché il governo ha deciso di portare famiglie e imprese al collasso innalzando di un punto percentuale l’Iva. Una tagliola che scatterà tra poco più di un mese, se non ci dovessero essere clamorosi ripensamenti e retromarce da parte dell’Esecutivo.

Esecutivo che, a onor del vero, sembra voler trovare una copertura alternativa per i soldi che dovrebbe incassare dall’aumento dell’imposta. Si parla di 2 o 3 miliardi, ma al momento l’orientamento è quello di lasciare che scatti l’Iva al 22%. Semplicemente perché i soldi in alternativa non ci sono.

Del resto, se nella campagna elettorale prima e subito dopo la formazione del governo poi si è tanto parlato di Imu (tra abolizione e sospensione), sulla necessità di evitare la mazzata dell’Iva nessuno si è mai pronunciato. E i risultati si vedono ora, con lo spettro del 22% che si avvicina sempre di più.

E allora torniamo all’inizio. Perché? Perché quando si tratta di imposte e fisco, in Italia il buon senso viene sempre lasciato nel cassetto? A nessuno sfugge il fatto che la crisi bastarda nella quale ci dibattiamo è frutto anche e soprattutto di un crollo di domanda interna e di consumi, che come in domino perverso porta con sé crollo della produttività e dell’offerta, crollo del potere d’acquisto delle famiglie, crisi di liquidità per le imprese. Bene, e allora perché a chi dovrebbe decidere dei destini fiscali sfugge il fatto che aumentare l’Iva significa deprimere ulteriormente i consumi e aumentare la spirale recessiva che sta portando il Paese al dissesto?

Noi di Infoiva non siamo dei geni, ma lo abbiamo capito. Perché usiamo il buon senso di chi tutti i giorni parla con chi lavora, produce e… si ritrova con un pugno di mosche. Questa settimana vedremo di capire di più su questa maledizione dell’Iva, sperando ma non facendoci illusioni che l’aumento possa in qualche modo saltare, anche all’ultimo. Dopotutto, c’è chi ancora crede a Babbo Natale…

“Imu sopra le attese, ridare i soldi a imprese e cittadini”

di Davide PASSONI

E alla fine arrivò Confcommercio. Anche l’associazione di rappresentanza dei commercianti ha presentato la propria indagine sulle previsioni dei consumi natalizi e anch’essa non lascia spazio a ottimismo. Nonostante qualche segnale positivo non manchi. Due soli dati: ogni famiglia spenderà in consumi il 13% in meno delle tredicesime rispetto al 2011 e, tra Imu, bollo auto e canone Rai, le tasse nel 2012 sono in crescita del 94,5%.

Bastino questi, non vogliamo tediare oltre i lettori. Chi volesse avere i dati puntuali, può scaricare il rapporto di Confcommercio cliccando qui. Non diamo la parola a Mariano Bella, direttore dell’Ufficio Studi di Confcommercio.

Lette le risultanze della vostra indagine… ma dove stiamo andando?
Non dobbiamo valutare con troppo pessimismo le indicazioni emerse dall’indagine presentata ieri. Certamente, però, non dobbiamo lanciare falsi messaggi rassicuranti; la crisi c’è, tanto che dal 2007 alla fine del 2012 ogni italiano ha perso circa 2600 euro di reddito disponibile, pari al 13,2% e, contestualmente, ha destinato 1400 euro in meno ai consumi. Difficile alla luce di questi dati, pensare a un Natale con una inversione di rotta.

Ma…
Ma ci sono due dati positivi. Il primo è la propensione di un italiano su 2 nonostante la crisi – dato leggermente crescente rispetto agli anni scorsi – a non abbandonare la consuetudine di fare i regali per Natale: questo ci dice che esiste un residuo capitale fiduciario nelle famiglie italiane che andrebbe valorizzato e non disperso con segnali e campagne allarmistiche.

E il secondo?
Il secondo è che da tre mesi a questa parte i prezzi al consumo sono in calo. Questo significa che le imprese della distribuzione guardano avanti, non perdono la voglia di fare business, riducono i prezzi perché hanno voglia di sopravvivere e non vogliono fare margini subito, tanto poi si vedrà… Insomma, un atteggiamento proattivo che va incontro alla necessità di risparmio che le famiglie manifestano e che fa ben sperare.

Poi, però, ci sono le tasse…
Sì, e per dicembre direi soprattutto il problema dell’Imu, che falcidia le tredicesime dei lavoratori dipendenti e gli accantonamenti di lavoratori autonomi, artigiani, commercianti. Un’imposta che di fatto è raddoppiata rispetto allo scorso anno, quando esisteva solo per le seconde case, e che erode il valore delle tredicesime di oltre il 13% in termini reali.

Che cosa chiedete alla politica per salvaguardare il potere di acquisto delle famiglie e la sopravvivenza stessa delle imprese italiane, alla luce di questi dati sempre più cupi?
Come associazione di rappresentanza con obiettivi collettivi non chiediamo naturalmente soldi per i nostri associati. Non è un mistero che con questa pressione fiscale che continua a crescere non ci sono serie prospettive di ripresa per la nostra economia. Facciamo una valutazione: il gettito Imu, stando alle cifre a disposizione del governo, dovrebbe essere di circa 5-7 miliardi superiore rispetto alle stime d’incasso che aveva fatto l’Esecutivo. Ovvero, ci sono soldi in più. Vogliamo provare a restituirli a imprese e cittadini, magari riducendo l’Imu sulle imprese o evitando l’ormai certo aumento dell’Iva? I soldi ci sono, decidano governo o parlamento come restituirli.

Minore asimmetria tra il fisco e il contribuente, sempre lo stesso problema…
Non può esserci un sistema fiscale capace solo di prelevare quando e dove vuole e incapace o senza la volontà di restituire quando possibile o necessario. I soldi ci sono, vediamo se questa inversione di tendenza ci sarà, almeno questa volta.

Cercasi saldi disperatamente

Se il Calendario dell’Avvento natalizio è stato ufficialmente inaugurato lo scorso weekend, lo stesso non si può dire dell’avvento dello shopping natalizio. Strenne, pacchi e pacchettini hanno decorato a fatica il paesaggio prenatalizio in una Milano più grigia che mai. E non soltanto scrutando il cielo, ma piuttosto mettendo mano al portafoglio.

Meno 15% rispetto al 2011 i dati diffusi riguardo alle vendite nel primo weekend di dicembre. Ma cosa dobbiamo aspettarci da questo lungo avvento, soprattutto in termini economici, del Natale 2012?

Infoiva lo ha chiesto a Gabriel Meghnagi, Presidente di Ascobaires, l’Associazione che riunisce i Commercianti di Corso Buenos Aires.

Le previsioni per i consumi del prossimo Natale non sono incoraggianti. Quali saranno, secondo lei i trend di spesa degli italiani?
La spesa a scontrino per gli omaggi natalizi credo che quest’anno sarà compresa tra i 55 e i 110 euro. Dal punto di vista generale credo che si registrerà un calo degli acquisti rispetto al Natale 2011 che dovrebbe aggirarsi attorno al 10-15%, mantenendo il trend che si è già verificato a novembre 2012. Se per novembre 2012, mese molto sottile per gli acquisti, il calo si è attestato sul -15%, a dicembre potrebbe esserci una lieve risalita, con un calo medio del 10%. Per i ‘non regali’ la gente attenderà sicuramente l’apertura dei saldi.

Che cosa maggiormente scoraggia alla spesa per questo Natale? Incertezza, strette fiscali, limiti alle spese in contanti… ?
L’incertezza sicuramente, e in questo giocano un ruolo centrale i media e gli organi di informazioni che creano senza dubbio un clima di apprensione e labilità per quanto riguarda il futuro. Dall’altra parte il crescente numero di famiglie che si ritrovano con un coniuge senza lavoro saranno fortemente limitate nelle possibilità di acquisto.

Sul fronte dei limiti alle spese in contanti, il tetto di 1000 euro imposto dal decreto Salva Italia, che conseguenze ha avuto o avrà sugli acquisti?
Per noi, come Ascobaires, ha avuto conseguenze evidenti solo nel primissimo periodo. Il cliente italiano che spende più di 1000 euro, in linea generale escludendo il Quadrilatero della Moda, non è molto frequente, e in ogni caso abituato ad utilizzare la carta di credito. Il tetto dei 1000 euro ha senza dubbio scoraggiato la clientela estera, che pur potendo usufruire dell’estensione a 15 000 euro del tetto massimo prevista nella deroga al decreto, non si trova certo a suo agio a dover compilare moduli di autocertificazione, rilasciare i dati del passaporto e le altre procedure previste.

Veniamo alla questione saldi anticipati a dicembre: se ne è discusso, prima sembravano dati per certi poi il dietrofront…
In dicembre non si è mai detto che sarebbero potuti partire i saldi, ma è stata fatta un po’ di confusione: Federmoda aveva detto che la Regione Lombardia e il Comune di Milano avevano tolto il divieto di poter fare  sconti 30 giorni prima di Natale. Quindi non si tratta di saldi anticipati, ma di promozioni. Io personalmente credo poco all’iniziativa delle promozioni anticipate: la gente per essere invogliata ad acquistare ha bisogno di leggere la scritta ‘saldi’ fuori dalle vetrine, in tutti i negozi e avere la certezza della riduzione. La situazione delle promozione è invece molto più a macchia di leopardo: 10 negozi praticano promozioni, altri 20 non hanno aderito. Inoltre non c’è la certezza dello sconto applicato: alcuni fanno il 20%, altri il 10%, altri ancora il 30%, e la clientela è restia nella maggior parte dei casi ad acquistare in un clima di confusione.

In che percentuale i negozianti di Corso Buenos Aires hanno aderito all’ iniziativa delle promozioni anticipate pre Natale? 
Parliamo di un 25% degli esercizi commerciali della zona: si tratta perlopiù di grosse catene di store, perchè il piccolo e medio imprenditore non può permettersi di applicare promozioni anticipate. Sarebbe impossibile resistere, dal momento che la stagione della vendita di articoli invernali e natalizi comincia proprio adesso!

Qual è la sua previsione sui saldi canonici del 5 gennaio 2013?
Credo che quest’anno ci saranno dei saldi alti, con una percentuale di sconto già in partenza di almeno il 40%.

Il 2013 sarà l’anno delle elezioni. Quali politiche chiedete al governo attuale, nella sua ultima fase, e a quello nuovo per rilanciare il sistema Paese?
Assolutamente che non venga alzata l’aliquota Iva, come già auspicato dal Presidente di Confcommercio Sangalli, che è molto importante perchè se è vero che si tratta di un solo punto percentuale, è un 15 che va a condizionare il potere d’acquisto di tutta quella fascia di cittadini che spendono i soldi e permettono all’economia di girare. Aumentare dell’1% l’Iva determina poi in ogni caso un aumento finale più elevato, e questo metterebbe in ginocchio noi commercianti e l’economia italiana intera.

Alessia CASIRAGHI

“Crisi, l’uscita dal tunnel è lontana”

Alla recente assemblea di Confcommercio svoltasi a Roma, il presidente Carlo Sangalli non le ha mandate a dire al Governo: “Siamo – ha detto – innanzi ad un tornante cruciale della storia europea e della storia della nostra Repubblica. Secondo un’agenda che chiama in causa la responsabilità della politica e delle istituzioni, ma certamente anche delle forze sociali. L’uscita dal tunnel della crisi appare davvero ancora lontana. Serve un’agenda che faccia anzitutto tesoro del recente richiamo del presidente della Banca europea, Mario Draghi, sulla forma ‘ideale’ delle politiche di consolidamento fiscale. Servono politiche di riduzione del deficit e del debito sviluppate all’insegna delle riduzioni di spesa corrente e non già di aumenti di tasse, proprio allo scopo di contenerne l’impatto sul prodotto interno“.

Poi una mazzata alla politica fiscale: “Bisogna attivare al più presto il principio di destinare almeno una quota rilevante delle risorse derivanti dal recupero di evasione ed elusione alla riduzione della pressione fiscale a carico dei contribuenti in regola. Una pressione giunta ormai al livello record del 55% circa e che costituisce, dunque,un’insostenibile zavorra a carico di investimenti e consumi. Occorre insomma una prospettiva realistica di riduzione netta della pressione fiscale complessiva“.

Infine, parole chiare nei confronti del prossimo aumento dell’Iva: “Sul fronte dell’Iva è rimasta aperta la prospettiva dell’aumento dell’aliquota ordinaria dal 21% al 22%. Lo abbiamo detto e lo ribadiamo: si è fatto un passo avanti, ma ancora non ci siamo perché l’aggravio dell’aliquota ordinaria colpirà, con un ulteriore onere fiscale complessivamente ben superiore ai 4 miliardi di euro, una larghissima fascia di prodotti e servizi. Per questo chiediamo venga fatto di tutto per archiviare definitivamente l’ipotesi di un nuovo aggravio dell’aliquota Iva ordinaria. Sarebbe, infatti, una doccia gelata che smorzerebbe le prospettive di ripartenza dell’economia“.

“Oggi – ha concluso Sangallila qualità delle scelte politiche si misura anzitutto sul versante della risposta ad un drammatico deficit di legalità. Serve, allora, l’efficienza del sistema giustizia ed il contrasto più determinato della piaga della corruzione, giustamente definita dalla Corte dei Conti come una “tassa immorale ed occulta” stimata nell’ordine dei 60 miliardi di euro l’anno“.