Non ottieni un prestito per la tua azienda? Prova con i Confidi

Le aziende per poter crescere e restare sul mercato hanno bisogno di investire, ma nella maggior parte dei casi non hanno abbastanza liquidità per poterlo fare senza chiedere prestiti e finanziamenti dedicati. Solitamente in questi casi ci si rivolge a una banca, ma anche qui non tutto è così semplice perché occorre fornire idonee garanzie e non sempre si ottengono risultati. In questi casi arrendersi non è proprio la scelta migliore, per tentare tutte le strade si può provare il Confidi.

Cos’è il Confidi?

Il termine Confidi è acronimo di Consorzio di garanzia collettiva dei fidi, nasce proprio con l’obiettivo di aiutare micro, piccole e medie imprese ad ottenere dei prestiti fornendo delle garanzie. La storia di questo istituto non è recente, sebbene se ne parli molto poco, infatti rientra nella famiglia delle associazioni di mutua assistenza nate nei primi anni Cinquanta. Naturalmente nel tempo i Confidi sono stati disciplinati dalla legge cercando di adattare la normativa alle esigenze e ai cambiamenti sociali. Attualmente questo istituto è regolato dal TUB, Testo Unico Bancario e dal D.L. 269/2003, convertito con modificazioni nella legge 326/2003 . Dal punto di vista della struttura sono dei Consorzi a cui le aziende/imprese possono partecipare attraverso una quota associativa. In cambio possono ottenere non prestiti, ma garanzie sui prestiti concessi dalle banche e dai vari istituti di credito.

Se vuoi conoscere la definizione di Micro, Piccola e Media Impresa, leggi l’articolo: Micro, Piccola e Media Impresa: definizione e differenze

Le tipologie di Confidi: Maggiori e Minori

Questi consorzi hanno una normativa diversa a seconda della tipologia, in ogni caso sono sottoposti a controlli esterni, vista la delicatezza della materia. Aderire a una tipologia o a un’altra per le aziende può fare la differenza, ma vedremo al termine della disamina che spesso, in base all’area geografica di ubicazione non vi sono molte possibilità di scelta.

I Confidi si dividono in: Maggiori e Minori

Caratteristiche dei Confidi Maggiori

Maggiori o vigilati (articolo 107 TUB), si tratta di Confidi vigilati dalla Banca d’Italia, devono avere un capitale sociale abbastanza importante, più è elevato il capitale disponibile e maggiori sono le garanzie che possono prestare. Naturalmente partecipare a essi consente di ottenere prestiti più facilmente e di maggiore entità proprio perché essendo vigilati dalla Banca d’Italia sono più affidabili. I Confidi vigilati sono considerati degli intermediari finanziari e devono essere iscritti al relativo albo. Possono avere un volume di affari pari o superiore a 150 milioni di euro.

Caratteristiche dei Confidi Minori

Minori o non vigilati, sono disciplinati dall’articolo 155 comma 4 del TUB, devono avere un fondo consortile di almeno 100.000 euro le aziende (in qualunque forma quindi imprese o società), per aderire devono versare una quota di importo minimo di 250 euro. La quota di ciascuna impresa/azienda però non può essere superiore al 20% del capitale sociale o fondo consortile.

Il volume di attività non può essere superiore a 150 milioni di euro e possono svolgere solo attività di prestazione di garanzie in favore di PMI e servizi connessi, devono intendersi come tali le consulenze comunque inerenti la garanzia stessa. Al fine di superare l’ostacolo della mancata sottoposizione a vigilanza da parte della Banca d’Italia sui Confidi Minori, è prevista l’iscrizione presso un Organismo dei Confidi Minori (OCM) con personalità giuridica il cui statuto sia approvato dal MEF, sentita la Banca d’Italia. L’Organismo vigila sui Confidi Minori, mentre la Banca d’Italia vigila sull’Organismo, quindi vi è comunque un controllo indiretto.

Una delle principali differenze tra i Confidi Minori e quelli Maggiori è lo spettro di attività che possono compiere, infatti i Maggiori oltre a prestare garanzie a PMI, possono anche gestire fondi pubblici di agevolazione, prestare garanzie a favore dell’amministrazione finanziaria dello Stato, sono abilitati a concedere forme di finanziamento anche a soggetti diversi dei soci, rispettando il limite massimo del 20% del totale dell’attivo.

Perché un’azienda dovrebbe aderire a un Consorzio di garanzia collettiva dei fidi?

Fatta questa piccola precisazione inerente le caratteristiche e la natura dei Confidi, si deve ora capire quali possono essere i vantaggi per le imprese nell’aderire a essi. I Confidi sono diretti ad aiutare micro, piccole e medie imprese a ottenere liquidità attraverso una garanzia prestata appunto da tale “intermediario”. Naturalmente la garanzia viene prestata attraverso i fondi che il consorzio scelto ha a disposizione. La garanzia però non viene prestata nei confronti di tutti, si è visto in precedenza che solo i Confidi Maggiori possono concedere i propri servizi anche a soggetti non associati e comunque in modo limitato.

Questo vuol dire che per poter ottenere i benefici l’azienda deve in primo luogo entrare nel consorzio versando la quota prevista e in un secondo momento potrà recarsi presso un istituto di credito, chiedere un prestito/finanziamento e proporre la garanzia da parte del Confidi. Deve però essere precisato che solitamente le quote da versare sono tre:

  • associativa;
  • per la gestione del fondo;
  • per il fondo rischi.

In questo modo sarà più semplice riuscire ad accedere ai fondi e questo perché la banca potrà avere il capitale garantito e se il debitore non dovesse pagare, sarà il Confidi a versare gli importi. Naturalmente il Confidi avrà la possibilità comunque di recuperare nel tempo le somme versate in luogo del debitore principale.

Come ottenere la garanzia

Ottenere la garanzia del Confidi però non è così immediato perché, chi vuole far parte del consorzio e godere dei vantaggi che può offrire deve in primo luogo presentare un’idonea documentazione che comprende il documento di identità del titolare dell’azienda, gli ultimi due bilanci aziendali e per le aziende giovani il business plan adottato. Per ottenere la garanzia del Confidi devono essere anche dichiarati eventuali finanziamenti in corso, esposizioni bancarie e fidi in corso. Una volta ottenuta la garanzia, ci si potrà recare in banca a chiedere il prestito e al termine dell’istruttoria, l’esito sarà comunicato al Confidi.

Distribuzione in Italia

Per conoscere i Confidi presenti nella propria zona è consigliato rivolgersi a patronati e soggetti che svolgono servizi in favore delle imprese. Purtroppo la situazione in Italia è piuttosto frastagliata infatti al 2019 si registravano 311 Confidi e di questi solo 35 iscritti all’Albo dei Confidi Maggiori, mentre la rimanente parte era sottoposta alla disciplina dei Confidi Minori con tutti i limiti visti. Purtroppo anche la distribuzione geografica lascia molto a desiderare, infatti 21 Confidi vigilati si trova nel Settentrione con una prevalenza di Lombardia e Veneto, mentre la metà dei Confidi minori si trova al Sud, questo vuol dire che per le aziende del Sud vi sono comunque minori possibilità di ottenere garanzie ai loro prestiti.

Programma strategico sull’intelligenza artificiale: linee guida

Sebbene in forte ritardo rispetto agli altri Paesi dell’Unione Europea, anche l’Italia si è dotata di un Piano Strategico sull’Intelligenza Artificiale, lo stesso ha durata triennale 2022-2024. Ecco cosa comporta.

Cos’è il Piano Strategico sull’Intelligenza Artificiale

La prima cosa da fare nel trattare l’argomento è delimitare il campo e quindi capire di cosa si parla quando si fa riferimento all’Intelligenza Artificiale. In base al Piano, la IA consiste in applicazione di “modelli digitali, algoritmi e tecnologie che riproducono la percezione, il ragionamento, l’interazione e l’apprendimento”. Nel piano Strategico si ricorda che nel prossimo futuro l’intelligenza artificiale fornirà il sostegno per una maggiore produttività, sviluppo tecnologico e attività analitiche in tutti i settori.

L’obiettivo di dotarsi di un Piano strategico sull’Intelligenza Artificiale è del 2019, ma nei fatti non è arrivato fino al novembre 2021. Inizialmente doveva lavorare allo stesso solo il MISE, nel tempo sono però stati coinvolti anche altri Ministeri e in particolare quello per la Innovazione Tecnologica e della Transizione Digitale e il Ministero dell’Università e Ricerca.

Il Piano intende:

  1. rafforzare le competenze ed attrarre talenti;
  2. aumentare i finanziamenti per la ricerca (in realtà ad oggi non sono stati ancora correttamente individuati i fondi anche se notevoli risorse potrebbero arrivare dal PNRR che come sappiamo sarà vigente fino al 2026);
  3. incentivare l’adozione dell’Intelligenza Artificiale sia nel settore pubblico sia in quello privato.

Il piano comprende 24 policy suddivise in questo modo:

  • 5 sui talenti e le competenze (policy A);
  • 8 sulla ricerca (policy B e C);
  • 11 sulle applicazioni (policy D e E).

Il programma strategico sull’intelligenza artificiale prevede una cooperazione rafforzata tra i vari dipartimenti universitari e centri di ricerca, mentre si è rinunciato al progetto iniziale che prevedeva la realizzazione di un centro ricerca.

I progetti del Piano stragegico sull’Intelligenza Artificiale

Tra i progetti più importanti vi è la previsione di un aumento dei dottorati di ricerca con l’obiettivo di attrarre in Italia i migliori ricercatori del mondo, naturalmente l’ambito specifico della ricerca è inerente l’intelligenza artificiale, ciò anche al fine di favorire il rientro dei cervelli (Policy C2). Si ricorda che il rientro dei cervelli è favorito anche da un particolare regime fiscale, per conoscere i dettagli leggi l’articolo:

Rientro dei cervelli: agevolazioni fiscali fino a 11 anni dal rientro.

Il programma prevede l’implementazione dei corsi sulle materie STEM (science, technology, engineering and mathematics ) e di rafforzare le competenze digitali. Si punta alla istituzione di nuove cattedre di ricerca sull’intelligenza artificiale e una migliore collaborazione tra mondo accademico e della ricerca, industria, enti pubblici e società. Inoltre sono previste misure volte ad aiutare le aziende nel Piano di Transizione 4.0, le misure sono volte sia ad aiutare le aziende già presenti sul mercato, sia quelle di nuova apertura.

Se vuoi conoscere il Piano di Transizione 4.0 leggi l’articolo: Piano di Transizione 4.0 per Ricerca e Sviluppo: come accedere

Il Piano Strategico IA e la Pubblica Amministrazione

Naturalmente il Piano Strategico sulla Intelligenza Artificiale non poteva trascurare la Pubblica Amministrazione interessata da tante novità negli ultimi anni e alla ricerca di competenze sempre più ad elevata specializzazione. In questo caso le risorse saranno concentrate sullo sviluppo di sistema per la gestione dei Big Data, si tratta di un progetto essenziale, infatti ad oggi circolano in rete dati sensibili e supersensibili, trattati con l’uso delle nuove tecnologie e questo anche grazie a una Pubblica Amministrazione sempre più digitale (Policy E5). Diventa quindi essenziale fare in modo che tutti questi dati siano protetti e allo stesso tempo possano essere conservati correttamente senza particolari problemi.

Un segno del cambio di passo nella Pubblica Amministrazione è nella possibilità di ottenere online i certificati che solitamentei cittadini richiedevano presso il proprio Comune di residenza. Se vuoi conoscere quali puoi avere e come ottenerli, leggi l’articolo:

Certificati anagrafici gratuiti e online dal 15 novembre 2021. Guida

La Pubblica Amministrazione non viene coinvolta nel Piano Strategico sull’Intelligenza artificiale solo in riferimento alla gestione dei big data, ma anche tramite il rafforzamento dell’ecosistema GovTech in Italia che mira a introdurre bandi periodici per supportare le Start Up che decidono di applicare la IA (Policy E2).

Per quanto riguarda la Pubblica Amministrazione nella policy denominata A3 è prevista l’attuazione di tre cicli di dottorato rivolti in modo specifico alle esigenze della Pubblica Amministrazione.

Dottorato Nazionale in Intelligenza Artificiale

Il Piano Strategico sull’Intelligenza Artificiale ha una struttura complessa basata anche sull’istruzione, infatti a supporto di esso è stato creato nel 2021 il Dottorato Nazionale in “Intelligenza Artificiale” (PhD-AI.it) si tratta di uno dei percorsi più complessi a livello mondiale, coinvolge oltre 50 soggetti tra università, enti di ricerca e organizzazioni di ricerca. Si tratta di 5 corsi di dottorato federati, ognuno con un’area di specializzazione diversa:

  1. salute e scienze della vita;
  2. agroalimentare e ambiente;
  3. sicurezza e sicurezza cibernetica;
  4. industria 4.0;
  5. società.

Il dottorato ha già visto l’erogazione di 200 borse di studio con un budget di 16 milioni di euro.

Infine, per coordinare tutte le strategie viene creato il Gruppo di Lavoro Permanente sull’Intelligenza Artificiale.

I Punti deboli del Sistema Italia nell’applicazione della IA

Il Piano Strategico sull’Intelligenza Artificiale elenca anche quelli che sono considerati i punti deboli del Sistema Italia. In particolare si ricorda che vi è un’eccessiva frammentarietà della ricerca, una incapacità di attrarre talenti, su questo punto si ribadisce che in Italia vi è un’adeguata capacità di formare nuovi talenti, ma vi è una difficoltà ad attrarre talenti dall’estero e a trattenere i giovani ricercatori italiani.

Viene sottolineato anche il significativo divario di genere, infatti solo il 19,6% dei ricercatori di IA sono donne. Su questo specifico punto è possibile leggere l’articolo:

Imprenditoria femminile e gender gap digitale nell’industria 4.0.

Infine, il documento ribadisce che in Italia vi è una limitata capacità di registrare brevetti.

Nel Piano Strategico sull’intelligenza artificiale non mancano criticità, la più importante è lo scarso coinvolgimento delle PMI nello stesso. Il Piano Strategico sull’Intelligenza Artificiale, infatti per essere realmente efficiente deve essere attuato a tutti i livelli e in particolare in seno alle Piccole e Medie Imprese che più di altre realtà possono trovare giovamento nell’applicazione di nuovi strumenti, applicativi, protocolli di produzione. Il coinvolgimento doveva riguardare soprattutto l’aspetto della formazione in modo da rendere più semplice l’innovazione da parte delle aziende.

Un altro punto critico sono le risorse, infatti il documento nella parte finale individua i finanziamenti, ma si tratta di “possibili finanziamenti” quindi si individuano dei capitoli all’interno del PNRR, ma di fatto ancora non c’è nulla di concreto.

Assunzioni disabili: dal 2022 aumentano sanzioni per le aziende

Il Ministro Andrea Orlando con una nota pubblicata il 30 settembre 2021 ha provveduto ad adeguare gli importi delle sanzioni per la mancata comunicazione dei dati relativi alle assunzioni disabili e del contributo esonerativo per ogni disabile non assunto. Ecco le novità per le aziende.

Contributo per la quota di riserva: contributo esonerativo

La legge 12 marzo 1999 n° 68 si occupa del collocamento a lavoro dei disabili, la stessa prevede tutta una serie di tutele per chi si trova in una situazione di svantaggio e prevede delle soglie di riserva, cioè un numero minimo di dipendenti disabili che le aziende devono assumere. Le soglie sono:

  • 1 disabile per le aziende da 15 a 35 dipendenti;
  • 2 disabili per le aziende che hanno da 36 a 50 dipendenti;
  • per le aziende che hanno un numero di dipendenti superiore a 50, la percentuale di disabili è al 7%.

L’articolo 5 prevede però una quota di esonero, cioè alcune tipologie di aziende possono chiedere un esonero parziale del numero di dipendenti disabili da assumere. Questa agevolazione però non è generica, ma viene riconosciuta esclusivamente:

quando la tipologia di attività svolta all’interno dell’azienda è pericolosa, troppo faticosa o comunque presenta particolarità di svolgimento.

In questo caso però è previsto il versamento di un contributo esonerativo commisurato a ciascun soggetto non occupato e per ogni giorno di lavoro non prestato. Il contributo deve essere versato in favore del Fondo regionale per l’occupazione dei disabili. Attualmente il contributo ammonta a 30,64 euro per ogni lavoratore disabile non occupato. Il provvedimento del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali Andrea Orlando ha provveduto ad aumentare a 39,21 euro giornaliere per ogni disabile non assunto a partire dal primo gennaio 2022.

Assunzione disabili e sanzioni per il mancato inviso del prospetto informativo

Le novità però non finiscono qui, infatti l’articolo 13 della legge già citata prevede anche che le aziende entro il 31 gennaio di ogni anno debbano comunicare telematicamente al Servizio territorialmente competente un prospetto informativo in cui sono indicati:

  • il numero dei disabili complessivamente occupati;
  • il numero dei lavoratori computati nella quota di riserva;
  • l’ammontare del numero dei lavoratori da occupare tra i disabili.

I dati devono essere riferiti alla situazione dell’azienda del 31 dicembre dell’anno precedente, quindi entro il 31 gennaio 2022, deve essere inviato il prospetto relativo al 31 dicembre 2021.

Tale obbligo viene meno solo nel caso in cui non ci siano state modifiche in azienda circa l’obbligo di assunzioni disabili o sulla quota di riserva.

Se nell’arco di un anno solare ci sono posizioni scoperte per disabili, l’azienda è tenuta ad assumere per la copertura delle posizioni scoperte, cioè a regolarizzare la posizione entro 60 giorni dal momento in cui si verifica tale vacanza. In seguito alla nuova assunzione l’azienda non è tenuta a inviare un nuovo prospetto informativo.

L’articolo 13 prevede sanzioni per il mancato invio del prospetto informativo o invio in ritardo dello stesso. Le sanzioni attuali sono di 635,11, cui si sommano 30,76 euro per ogni giorno di ulteriore ritardo. Dal primo gennaio 2022 anche tali somme però variano e la sanzione per la mancata trasmissione o il ritardo della stessa sarà di 702,43 euro, mentre le sanzioni per l’ulteriore ritardo sarà di 34,02 euro per ogni giorno trascorso senza regolarizzare la posizione.

Calcolo delle sanzioni

Dal punto di vista pratico è bene fare qualche precisazione, ad esempio nel caso in cui rispetto al 31 gennaio maturi un giorno di ritardo l’importo sarà di 702,43+34,02, quindi l’importo minimo della sanzione è sempre di 736,45 euro.

Il Ministro Orlando nell’annuncio presente sul portare lavoro.org ha sottolineato che tali nuove sanzioni sono dovuti al fatto che erano ormai 11 anni che tali importi non venivano modificati.

Per i disabili ci sono ulteriori agevolazioni, se vuoi saperne di più leggi:

Bonus disabili: ecco il decreto attuativo per richiederlo

 

Eredità azienda di famiglia, ecco come gestire il passaggio generazionale

Per un’azienda di famiglia, nell’ambito del diritto successorio, è possibile gestire in Italia il passaggio generazionale da vivi? La risposta è affermativa in quanto, a partire dal 2006, nel nostro Paese, ed in particolare nell’ordinamento giuridico, sono stati introdotti i cosiddetti patti di famiglia.

Il patto di famiglia, nello specifico, permette all’imprenditore, che in genere è il capofamiglia, di trasferire da vivo la proprietà dell’azienda ad uno o più discendenti. Senza che, in questo modo, possano poi esserci delle contestazioni in sede di eredità.

Come funzionano i patti di famiglia per gestire ai sensi di legge il passaggio generazionale

Il patto di famiglia, essendo in tutto e per tutto un atto pubblico, si stipula dinanzi al notaio, e sancisce il trasferimento dell’impresa di famiglia con effetto immediato. Pur tuttavia, il capofamiglia che detiene tutte le quote dell’impresa non può presentarsi dal notaio da solo. Ma devono essere presenti pure e comunque almeno tutti coloro che sono i potenziali e legittimi beneficiari. Per esempio, nella stipula di un patto di famiglia deve essere presente il coniuge ed i figli. Come se in quel momento non si dovesse far altro che aprire la successione.

I legittimari, nell’ambito della stipula di un patto di famiglia, possono rinunciare in tutto o in parte alle quote spettanti dell’impresa di famiglia. Oppure possono ottenere, sempre in ragione delle quote spettanti, la liquidazione da parte degli altri legittimari. Una liquidazione che può essere in denaro ma anche in natura. Ovverosia, ricevendo altri beni al posto del cash.

Eredità azienda con patto di famiglia, cosa può succedere all’apertura della successione?

All’apertura della successione, il patto di famiglia stipulato in vita dinanzi al notaio ha piena efficacia. Pur tuttavia, potranno presentarsi nuovi legittimari a chiedere la loro parte spettante. Per esempio, i nuovi figli ma anche un nuovo coniuge. In tal caso, cosa succede? Nella fattispecie, riporta il sito Internet del Consiglio Nazionale del Notariato, i nuovi legittimari avranno il diritto a chiedere la liquidazione in denaro o in natura della parte che spetta loro ai sensi di legge.

Come e quando un patto di famiglia si può sciogliere oppure si può modificare

Sempre in presenza di un notaio, l’atto pubblico che è rappresentato dal patto di famiglia può essere modificato oppure può essere sciolto. In particolare, con la modifica del patto di famiglia originario si va e stipulare, sempre tramite un atto pubblico, il nuovo patto di famiglia. Oppure, se nel patto di famiglia originario è previsto, i legittimari possono pure esercitare il diritto di recesso.

Ma per farlo, con una comunicazione e quindi con una dichiarazione agli altri contraenti il patto di famiglia, servirà sempre la presenza del notaio. Dal punto di vista prettamente normativo, l’istituto giuridico che è rappresentato dal patto di famiglia è disciplinato in Italia dalla Legge numero 55 del 14 febbraio del 2006. Ed anche dal codice civile in corrispondenza degli articoli che vanno dal 768-bis al 768-octies.

Successione d’azienda, ecco tutto quello che c’è da sapere per gestire il passaggio

Quella della successione d’azienda è operazione che è sempre molto delicata, e che spesso può avere delle ricadute anche rilevanti sul piano fiscale. In linea generale, per la successione d’azienda le complessità da affrontare, tra l’altro, sono quelle legate pure al tipo di azienda per la quale c’è da gestire la successione.

Dalla successione d’azienda nel caso di ditta individuale alla successione d’azienda nel caso di società di persone, e passando per la successione d’azienda in caso di società di capitali. Inoltre, cosa accade se per la successione d’azienda gli eredi sono più di uno? Ecco allora tutto quello che c’è da sapere per gestire il passaggio.

Ecco tutto quello che c’è da sapere sulla successione d’azienda

Quando una o più persone ereditano un’aziende causa morte, a valere è il cosiddetto principio di neutralità fiscale. In pratica, i valori di carico dell’azienda nei riguardi degli eredi sono gli stessi di quelli fiscalmente riconosciuti al de cuius.

Inoltre, supponendo la continuazione aziendale, cosa succede se gli eredi di un’azienda sono più di uno? In tal caso questi ai sensi di legge costituiscono una società di fatto che, entro un anno, dovrà poi essere regolarizzata. Ovverosia, andando a costituire una società di capitali oppure una società di persone.

La successione d’azienda in caso di ditta individuale

In caso di ditta individuale, in assenza di testamento, tutti gli eredi sono soci con le quote paritarie. Il passaggio è automatico anche se magari uno degli eredi non è interessato all’attività. Entro un anno, come sopra accennato, la società deve essere regolarizzata con un atto costitutivo. Altrimenti si rischiano delle sanzioni pesanti specie se nella successione d’azienda in caso di ditta individuale ci sono inseriti in patrimonio degli immobili.

La successione d’azienda in caso di società di persone

Per la successione d’azienda in caso di società di persone, per esempio una S.N.C., la situazione potenzialmente si complica in base alle caratteristiche della compagine societaria. E precisamente se trattasi di una S.N.C. che è composta da due soci, oppure di una S.N.C. con figli e con o senza estranei, ovverosia soci senza vincoli di parentela.

Inoltre, per la successione d’azienda in caso di società di persone si guarda sempre ai patti sociali che sono stati stipulati. Per esempio, nei patti sociali di una S.N.C. possono essere state inserite delle clausole di continuazione anche obbligatorie in caso di decesso di uno dei soci. Così come possono essere presenti pure delle clausole di successione che sono automatiche.

La successione d’azienda in caso di società di capitali

Per la successione d’azienda in caso di società di capitali, il principio generale è quello della libera circolazione delle partecipazioni mortis causa. Pur tuttavia, ai sensi di legge, questo principio generale può essere bypassato tramite il testamento oppure in base ai contenuti dello statuto. Per esempio, nelle società per azioni in genere nello statuto c’è la cosiddetta clausola di gradimento. Un diritto di opzione, sostanzialmente, per l’acquisizione delle quote dell’azionista defunto a favore degli soci superstiti.

Presentismo, questo sconosciuto

Che l’assenteismo sia una piaga sociale e un danno per l’economia è risaputo, mentre è un po’ meno noto il fatto che altrettanti danni può creare l’eccesso di presenza sul luogo di lavoro, indicato comunemente come presentismo. Tipicamente, chi soffre di presentismo tende a recarsi sul posto di lavoro anche quando è malato.

Uno studio condotto dall’università britannica dell’East Anglia e pubblicato sul Journal of Occupational Health Psychology ha scavato a fondo nel fenomeno del presentismo comparando i dati di una sessantina di studi a livello europeo che hanno coinvolto oltre 175mila persone e ha scoperto che una delle cause più frequenti che inducono ad ammalarsi di presentismo è il rischio di perdere il posto di lavoro.

Al contrario, chi si ritrova a lavorare costantemente sotto pressione, a rischio stress, tende ad assentarsi di meno, spesso a causa di organici sottostaffati o per richieste di produttività eccessiva. Se invece l’ambiente di lavoro è più amichevole nei rapporti con i colleghi e meno esigente da un punto di vista produttivo, l’assenza per malattia (giustificata) rientra in parametri normali e il presentismo non colpisce più di tanto.

Fino a qui è evidente una cosa: il presentismo fa male a chi ne soffre perché induce a non staccare mai, a innalzare il livello di stress e a non curare anche piccole indisposizioni che, poi, si potrebbero trasformare in patologie più gravi. Ma in che modo nuoce anche all’azienda e all’economia?

È abbastanza facile intuire che chi, malato di presentismo, si presenta in ufficio non nelle miglior condizioni psico-fisiche è più soggetto a errori, produttività scadente e sotto le attese, oltre che essere una possibile fonte di contagio per i colleghi. Secondo alcuni degli studi presi in esame dalla ricerca inglese, i danni del presentismo (soprattutto la produttività bassa e scadente) sarebbero peggiori di quelli provocati dall’assenteismo.

Consoliamoci con il fatto che il presentismo, a volte, spinge le persone al lavoro anche se malate non tanto per stress o paura quanto per un senso di fedeltà all’azienda, di forte riconoscimento nei valori aziendali, di amore per il proprio lavoro. Però, ogni tanto, le persone dovrebbero capire quando è ora di staccare…

Niente Irap in Alto Adige

 

L’Alto Adige rilancia l’economia e lo fa grazie all’approvazione da parte della Giunta provinciale dell’azzeramento dell’Irap per i primi cinque anni. La misura, contro l’aliquota ordinaria a livello statale pari al 3,9%, verrà presa a favore di quelle aziende che sceglieranno la provincia di Bolzano come sede di insediamento e sviluppo del proprio business.

Tale decisione, presentata dall’assessore provinciale all’Economia Thomas Widmann, intende stimolare lo sviluppo, le nuove attività economiche del territorio noto per essere all’avanguardia nel settore green ed estremamente attivo nel settore delle start-up, nonché rafforzare la localizzazione economica e dare impulso all’occupazione.

Ma quella dell’azzeramento dell’Irap non è l’unica decisione chiave approvata. È stato infatti varato il piano d’azione 2013-2015 per lo “sviluppo della ricerca tecnologica”, progetto che prevede lo stanziamento di 22 milioni di euro destinati a coprire i costi di laboratori, attrezzature ma anche di ricercatori e personale che saranno impiegati nel Parco Tecnologico locale, attualmente in fase di costruzione alle porte di Bolzano, che sarà dedicato alle aree: energia, tecnologie alpine e tecnologie agro-alimentari.

La Giunta ha inoltre approvato la concessione di contributi biennali al canone di locazione di immobili con l’obiettivo di sostenere la crescita imprenditoriale. Tale agevolazione nei confronti di nuove imprese prevede un contributo biennale per l’affitto dell’immobile che non può superare i parametri massimi dell’equo canone. Il contributo arriva fino al 75% del canone il primo anno e, al 50% il secondo, a patto che le aziende dimostrino l’assunzione di almeno quattro dipendenti. E infine misure a favore dell’export attraverso nuovi contributi destinati all’internazionalizzazione e l’istituzione di un fondo di 5 milioni di euro che può offrire garanzie per capitali sino a 50 milioni di euro. 

Commenta l’assessore Widmann: «L’Alto Adige vuole essere competitivo a livello nazionale e internazionale. Ecco perché abbiamo adottato una politica incentivante nei confronti di aziende motivate a investire nel nostro territorio. Ci attendiamo che le considerevoli facilitazioni che la Provincia ha inteso accordare in un momento come quello attuale, che pure non è privo di difficoltà, si rivelino un formidabile motore di attrazione di opportunità per lo sviluppo economico di questa regione».

«Elevati standard di qualità della vita e del fare impresa, geografia strategica quale ponte commerciale verso l’import-export, plurilinguismo, una green economy diffusa, burocrazia ridotta e stabilità politica sono elementi distintivi dell’Alto Adige. La nostra agenzia si mette al servizio di tutte le imprese con un pacchetto di incentivi e consulenze. Oggi insediarsi in provincia di Bolzano è più semplice e costituisce una possibile via di rilancio per tante imprese» , ha concluso Ulrich Stofner, Direttore BLS.

Giulia DONDONI

Idee innovative in mostra a Bologna

Le idee più innovative e le aziende a caccia di cervelli hanno trovato un punto di incontro alla Borsa della Ricerca, un evento che fino a venerdì fa di Bologna, e più precisamente di Palazzo Re Enzo, la capitale dell’innovazione e della ricerca.

L’appuntamento, giunto alla sua terza edizione, consente a ricercatori provenienti da tutta Italia di incontrare 60 aziende a caccia di cervelli e di idee. I dati parlano di numeri importanti: 500 progetti innovativi nati nelle migliori università nazionali e internazionali e 800 incontri one to one durante i quali i giovani ricercatori avranno l’opportunità di presentare le proprie proposte ai responsabili delle aziende.

C’è chi promette lunga vita agli alimenti grazie ad un nuovo tipo di imballo che mantiene intatte le proprietà organolettiche dei prodotti, chi propone un metodo per individuare le taglie dei vestiti senza bisogno del camerino, chi propone algoritmi che consentono di risparmiare energia e acqua nella produzione industriale e chi presenta guide multimediali che permettono l’accessibilità ai contenuti culturali, anche in presenza di deficit sensoriali o disturbi del linguaggio: idee e settori sono i più svariati e hanno attirato l’attenzione di nomi di primo piano nel panorama industriale, come Alenia, Electrolux, Elica, Enel Green Power, Amadori, Beghelli, Datalogic, Dallara, Lamborghini e TetraPak.

L’evento è ideato e organizzato da Emblema (società specializzata nel creare iniziative in ambito di placamento e ricerca), Fondazione Crui, Camera di Commercio di Bologna e Dassault Systems.

Francesca SCARABELLI 

Articolo 18, i costi della riforma per le Pmi

Ne abbiamo parlato qualche giorno fa. I costi della riforma del lavoro, specialmente quelli legati alla modifica dell’articolo 18, rischiano di ricadere pesantemente sulle aziende. Qualcuno, ora, i conti di queste ricadute possibili li ha fatti e i risultati non sono proprio incoraggianti.

Lo studio meritorio è ancora una volta opera della Cgia di Mestre, secondo la quale, se sarà confermata la riforma dell’articolo 18 che prevede un indennizzo tra le 15 e le 27 mensilità per i dipendenti licenziati per ragioni economiche, i costi a carico dell’impresa potranno arrivare, per gli operai qualificati (sia del settore metalmeccanico, sia del settore del commercio), a un esborso massimo che sfiora i 49mila euro.

La Cgia di Mestre ha rilevato che un operaio metalmeccanico generico con 10 anni di anzianità e uno stipendio lordo di 1.418 euro, in caso di licenziamento per ragioni economiche dovrà essere indennizzato, nel caso delle 15 mensilità, con almeno 21.271 euro, nel caso delle 27 con 38.289 euro. Un operaio qualificato con 1.812 euro di stipendio mensile lordo, invece, percepirà un minimo di 27.177 euro (15 mensilità) fino ad un massimo di 48.918 euro (27 mensilità).

Passando dal metalmeccanico al commercio in caso di licenziamento per ragioni economiche, un operaio generico con una retribuzione mensile pari a 1.393 euro sarà risarcito con 20.895 euro (15 mensilità), con 37.612 euro (27 mensilità). Nel caso di un operaio specializzato con una retribuzione mensile lorda pari a 1.737 euro, con una indennità di 15 mesi prenderà 26.053 euro, 46.896 euro con 27 mensilità

Acuto, come sempre, il commento di Giuseppe Bortolussi segretario della Cgia di Mestre: “Al di là delle legittime posizioni di chi sostiene che un licenziamento non è mai monetizzabile, l’ammontare degli indennizzi da noi individuati è di tutto rispetto. Pertanto, non crediamo che gli imprenditori utilizzeranno questo strumento con una certa superficialità“.

Particolare non trascurabile, queste simulazioni le indennità sono al lordo delle ritenute Irpef. Nel caso poi fossero riconosciuti anche i contributi Inps (cosa che finora non paredovuta), l’esborso da parte dell’azienda aumenterà di un altro 30%.

Siamo proprio sicuri che una riforma dell‘articolo 18 in questi termini agevolerà la flessibilità in uscita?

Reggio Calabria: sostegno alle aziende

Sostenere le aziende e i futuri imprenditori che hanno difficoltà di accesso al credito ordinario, ovvero non bancabili, in questa fase di calo di fatturati e di stretta creditizia: è l’obiettivo del programma microcredito della Camera di Commercio di Reggio Calabria che ha stanziato 200mila euro, creando un fondo per garantire finanziamenti agevolati per un totale di 400mila euro.

Il programma camerale, operativo dal 2010, ha avuto un ottimo riscontro sul territorio reggino.

Il microcredito è rivolto a soggetti in difficoltà economica, e non bancabili, che desiderano creare o far crescere la propria impresa: persone fisiche, singole o in gruppo, e microimprese (ditte individuali, cooperative, società di persone) con sede legale e/o operativa nella provincia di Reggio. I microimprenditori interessati devono far domanda alla Camera di Commercio che, valutata la fattibilità del progetto, segnalerà i soggetti selezionati alla Banca Etica. Concesso il prestito, la Camera sosterrà la loro idea con un fondo di garanzia e un fondo per abbattere il tasso di interesse. Il finanziamento va da un minimo di 5mila a un massimo di 25mila euro e può essere dilazionato fino a 84 mesi. Non bisogna sostenere spese per la richiesta né per l’istruttoria e l’avvio della pratica, né per l’estinzione anticipata se effettuata dopo un anno dalla concessione. Deve essere restituito con rate mensili posticipate.

«Questo meccanismo di restituzione del prestito crea una sorta di fondo rotativo che si alimenta automaticamente e consente ad altri aspiranti imprenditori di accedere alla misura. In un momento in cui le banche sono poco propense a dare fiducia al mercato, la Camera di Commercio di Reggio Calabria riafferma e consolida la propria natura sociale di Ente che opera sul territorio a fianco delle aziende e che investe ingenti capitali per sostenere il loro mercato» ha dichiarato Lucio Dattola, presidente della Camera reggina.

È previsto un percorso di assistenza per verificare la sostenibilità dell’idea di impresa e la fattibilità del piano di restituzione del prestito, e per presentare la domanda e tutta la documentazione necessaria. Il bando integrale e la domanda sono reperibili sul sito della Camera di Commercio di Reggio Calabria.

Oltre al microcredito la Camera di Commercio ha attivato anche altre azioni per sostenere concretamente le imprese. Ha messo a disposizione un fondo di 400mila europer abbattere i tassi di interesse e, grazie all’accordo camerale con la Banca Popolare del Mezzogiorno, le neoimprese e le microimprese attive in provincia possono accedere a finanziamenti fino a 30mila euro con un abbattimento del tasso di interesse pari al 2% (elevato al 3% nel caso di nuove imprese, giovanili, femminili, innovative). Le domande vanno presentate alla Camera di Commercio, dopo la concessione del finanziamento da parte dell’istituto bancario.

Fonte: camcom.gov.it