Il rientro dopo una lunga malattia: questione aperta per le aziende

di Caterina DAMIANO

Tornare a lavorare dopo una malattia lunga o difficoltosa può risultare stressante per il dipendente, ed il rientro del dipendente malato è ancora un problema aperto per le aziende. Questo è quanto emerge da una ricerca della Fondazione Giancarlo Quarta, che ha voluto dare voci ai lavoratori malati gravi e cronici.

Una selezione di questi lavoratori ha ricevuto un questionario sul tema, e per scoprire l’attenzione della imprese a questo problema, lo stesso questionario è stato inviato anche a direttori generali e del personale.

Purtroppo è doveroso precisare che su 2.500 questionari inviati solo 119 sono stati rispediti, cosa che sottolinea come l’attenzione al percorso di questo tipo di dipendenti sia minima e sottovalutata, questo nonostante buona parte delle aziende contattate dalla Fondazione (il 70%) abbiano dichiarato di notare l’espansione del problema e di conoscere dipendenti in queste condizioni. Per quanto riguarda invece i questionari rispediti, il problema risulta di gran rilievo non solo per il malato ma anche per l’azienda.

Il dipendente è spinto a rientrare subito quando gli è possibile per lo più per un motivo: quello di tornare alla normalità dopo un grosso scompenso dovuto alla patologia. Questa aspettativa lo porta però ad essere assalito da paure e angosce d’ogni sorta: da quelle di venire visto come un debole, a quello di essere messo da parte o di percepire pietà negli atteggiamenti di collaboratori e superiori. Nel caso ad ammalarsi sia un dirigente, inoltre, questo viene amplificato: la posizione importante stressa e da maggiori responsabilità, e l’idea che i dipendenti diano più spazio alla pena che alla posizione di guida diviene un grosso ostacolo da superare.

Il punto di vista dell’azienda nei confronti del malato, inoltre, è ancora instabile: divisa tra imbarazzo, problemi di approccio e di inesperienza, crea maggiori insicurezze al soggetto interessato. Nonostante la maggior parte delle aziende (il 42%) sostenga che il malato debba essere trattato con pari dignità e con maggiore attenzione, un numero minore lo vede come un problema organizzativo o un caso umano. Gran parte delle aziende inoltre dimostrano di non sapere in cosa consista un percorso di sostegno per i malati, cosa che sottolinea quanto ci sia ancora da lavorare.

Cesti natalizi, feste ghiotte nonostante la crisi

di Alessia CASIRAGHI

Le imprese in Italia si confermano generose nonostante la crisi. Strenne in arrivo per clienti e dipendenti delle grandi aziende in Italia. Il classico cesto contenente panettone, cioccolata, pandoro, torrone, lenticchie e spumante, busserà alla porta delle famiglie italiane anche quest’anno.

Niente cali in picchiata per gli ordini di strenne natalizie da parte delle aziende, ma offerta differenziata a seconda dei destinatari: “Le aziende ordinano pacchi dono in particolare per terzi e per dipendenti dell’azienda stessa – spiega Roberto Castroni, titolare dell’omonima pasticceria romana. – Non abbiamo registrato cali per quanto riguarda i pacchi dono che le aziende acquistano per inviare a loro clienti o comunque a persone, enti e società esterne all’azienda. Si è verificato invece un calo del 50% tra le strenne che le aziende acquistano per i dipendenti”.

“Il business ‘strenne aziendali’ ha mantenuto lo stesso numero di clienti, che però, rispetto agli anni scorsi, si sono concentrati su un budget di fascia bassa – spiega Corrado Castrovillari, di Nestlé Italiana. -Si registra quindi una riduzione del valore del regalo e la scelta del regalo più essenziale, come ad esempio la scatola di cioccolatini senza oggetto di lusso”.

Le modifiche più sostanziali rispetto al 2010 riguardano quindi il valore della strenna e la tendenza ad acquistare i prodotti più a ridosso delle feste natalizie, magari confidando in qualche offerta o riduzione: “fino alla scorsa settimana la richiesta era piatta, adesso qualcosa si sta muovendo – dichiara Sebastiano Caffo, produttore di liquori. – Le aziende aspettano l’ultimo momento per fare ordini, anche per via della situazione di incertezza che sta caratterizzando questo momento economico”.

I commercianti hanno trovato però un escamotage per superare l’ostacolo crisi. Come? Offrendo cesti con prodotti diversificati in varie fasce di prezzo a seconda del contenuto, come spiega Castroni, “abbiamo predisposto un cesto natalizio, del costo di 55 euro che contiene un pezzo di tutti i prodotti, dallo spumante al panettone fino al torroncino, tutti a marchio Castroni e di qualità. Ne abbiamo venduti tantissimi”.

IMU: alle aziende costerà 1.159 euro l’anno

di Alessia CASIRAGHI

Stangata in arrivo per le imprese nel 2012 con l’introduzione dell’imu prevista dalla nuova manovra finanziaria. ”Nel 2012, l’introduzione dell’Imu comporterà un aumento medio delle imposte a carico delle attività economiche pari a 1.159 euro” denuncia Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia di Mestre. E per artigiani e industriali il conto finale potrebbe essere davvero salato, superando la cifra stellare di 1.500 euro all’anno.

I dati sono il frutto di una simulazione degli effetti economici che l’Imu potrebbe avere sui bilanci delle aziende italiane. Dal 2012, l’Imu interesserà le prime case, assorbirà l’Ici e l’Irpef sui redditi fondiari delle seconde case e sostituirà l’Ici sugli immobili strumentali. L’aliquota Imu, applicata agli uffici, ai negozi commerciali o ai capannoni produttivi, secondo le stime sarà nel 2012 del 7,6 per mille, mentre per il calcolo dell’Ici, si è fatto ricorso all’aliquota media nazionale applicata dai Comuni nel 2009, il 6,4 per mille.

L’equazione elaborata dalla Cgia tiene conto della rivalutazione dei coefficienti moltiplicatori applicati alle rendite catastali, che, a conseguenza del decreto ”salva-Italia”, sono passati da 34 a 55 per i negozi e le botteghe, da 50 a 80 per gli uffici e gli studi privati, da 100 a 160 per i laboratori artigianali e da 50 a 60 per i capannoni industriali e gli alberghi.

Il risultato? L’applicazione dell’Imu nel 2012 aumenterà la pressione fiscale sugli immobili produttivi di proprietà delle aziende per un valore complessivo di 1,57 miliardi di euro – pari ad un aumento medio per ciascuna azienda di 1.159 euro l’anno.

Ma come si arriva a questo coefficiente? 219,5 milioni di euro spetteranno ai negozianti (aumento pro azienda pari a 569 euro), 262 milioni di euro verranno distribuiti tra i liberi professionisti (+949 euro per ciascun proprietario), mentre 1,09 miliardi di euro saranno suddivisi tra gli industriali e gli artigiani (incremento annuo per ciascun imprenditore pari a 1.566 euro).

“Il risultato emerso da questa elaborazione ha confermato la grande preoccupazione sollevata in questi giorni da molti osservatori: lo scambio tra l’Ici e l’Imu rischia di non portare nessun vantaggio alle imprese – precisa Giuseppe Bortolussi. – Anzi è molto probabile che, se non saranno introdotte delle modifiche applicative, dal 2012 le imprese ed i liberi professionisti subiranno un ulteriore aggravio fiscale difficilmente sostenibile”.

Turnaround: una buona opportunità per le aziende

Il successo di un’impresa dipende da diversi fattori, anche se ce ne sono alcuni dai quali non si può prescindere, sia che ci si occupi di marketing sia che ci si rivolga all’attività quotidiana dell’impresa. Per essere sempre competitivi ed autorevoli nel proprio settore, inoltre, occorre saper gestire alcuni fenomeni che, sottovalutati, potrebbero minare la stabilità dell’azienda.

Si tratta di saper gestire la centralità del cliente nello sviluppo dei prodotti e nella gestione della redditività, l’introduzione di nuovi prodotti o la trasformazione da prodotto industriale a offerta di servizi, l’efficacia delle azioni commerciali, la dinamicità delle risorse umane e finanziarie, insomma di tutta una serie di dinamiche fondamentali per il successo di un’impresa che sono identificati con il termine turnaround.

ATEMA, a questo proposito, segnala un convegno che si terrà a Padova il 12 dicembre dal titolo: Temporary Management e il turnaround, per porre l’attenzione sulle diverse possibilità cui le imprese possono accedere per fare del turnaround un’opportunità di sviluppo e di continuità sostenibile.

ATEMA è un’associazione professionale senza scopo di lucro che rappresenta dal 1993 un punto di riferimento della cultura del Temporary Management e, in questo ambito, si pone l‘obiettivo di far conoscere al mercato italiano l’utilizzo del Temporary Management, che racchiude in sé grandi potenzialità non solo di supporto, ma anche di risanamento e di innovazione.

Vera Moretti

Eurispes presenta Sportello Italia

Eurispes ha ideato Sportello Italia, strumento di conoscenza, servizi e lavoro creato per le istituzioni e le aziende pubbliche e private.

Si tratta di uno sportello messo a disposizione di imprenditori, manager e rappresentanti degli enti locali, che potranno usufruire, oltre che dell’esperienza trentennale dell’Istituto, anche dei suoi archivi e dei suoi dati, della sua capacità di analisi e di previsione e, cosa molto importante, dei suoi ricercatori ed esperti di servizio.

Le opportunità riservate a coloro che si assoceranno sono varie e, tra queste, spicca il supporto di ghost writing, assistenza professionale per la scrittura di testi o presentazioni, ma anche la possibilità di attivare Osservatori permanenti, realizzare sondaggi e divulgare la pratica del bilancio sociale.

Da un comunicato di Eurispes emergono alcune importanti dichiarazioni: “Conoscere è la premessa indispensabile per poter definire politiche di intervento, operare scelte imprenditoriali, programmare la propria attività, dare senso e prospettiva alla propria missione. La complessità con la quale istituzioni, enti e aziende devono quotidianamente misurarsi non ammette semplificazioni ma esige, al contrario, interpretazioni sofisticate e complesse che solo un centro di studi e di analisi può produrre“.

Inoltre, chi aderirà a Sportello Italia riceverà anche una newsletter dedicata che metterà a disposizione dell’utente le documentazioni riguardo studi e ricerche istituzionali Eurispes prodotti nell’ultimo anno; materiali di sintesi delle ricerche e delle pubblicazioni Eurispes; inviti a manifestazioni e convegni o, in alternativa, le documentazioni riguardanti tali eventi; la possibilità di acquistare con uno sconto del 50% le pubblicazioni curate dall’Eurispes nel corso degli anni e comunicati stampa relativi alle attività di interesse pubblico dell’Eurispes ricevuti in tempo reale.

Per qualsiasi informazione circa le modalità di adesione possibile collegarsi al sito Eurispes.

Vera Moretti

Commercialisti: in arrivo il Reporting integrato

Parola d’ordine: innovare. Il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ed degli esperti contabili ha deciso di prendere parte a un progetto pilota di due anni per lo sviluppo di un frame work internazionale per il reporting integrato. L’Integrated Reporting rappresenta un modello di rendicontazione innovativo ed efficace per comprendere le reali performance di un’azienda o un’organizzazione, comprese le PMI.

Chiarendo in maniera più semplice e trasparente il rapporto tra valori finanziari e valori diversi da quelli espressi in termini finanziari, il reporting integrato risponde a necessità di informazioni concise, chiare, uniformi e comparabili. Ogni azienda potrà scegliere di strutturalo in base agli obiettivi strategici dell’organizzazione, alla sua governance e al modello d’impresa. L’obiettivo finale è quello di condividere un modello di rendicontazione che possa offrire un quadro chiaro ed esaustivo delle interconnessioni tra opportunità, rischi e performance, lungo la catena del valore.

Al progetto prenderà parte un gruppo di lavoro internazionale composto da 45 società multinazionali e istituzioni leader impegnate nell’evoluzione degli standard di reporting. “Il Consiglio nazionale dei commercialisti ha aderito all’iniziativa con l’intento di promuovere il dibattito sul tema dell’Integrated Reporting anche a livello italiano, apportando l’esperienza dei professionisti contabili, per stimolare l’innovazione nei modelli di reporting da parte delle aziende, comprese le PMI, e per stimolare la convergenza internazionale” ha sottolineato Giovanni Parente, consigliere nazionale con delega all’area della sostenibilità ambientale.

Alessia Casiraghi

Se il franchising ci salverà

Continua a crescere in Italia il mercato del franchising. Crisi economica a parte, il settore ha registrato nel 2010 un trend di crescita notevole, con un incremento dell’1,8% del fatturato, che si stanzia adesso attorno ai 22 miliardi di euro.

Cresce il numero degli impiegati nel settore, con un + 3,3%, per un totale di 186.409 addetti, mentre il numero di insegne è aumentato del +1,6%, a quota 883 sul territorio nazionale. E’ quanto rivelano i dati del centro studi Antonio Fossati, docente di Marketing all’Università di Pavia e presidente di Rds su dati Assofranchising e Unioncamere.

Ma non finisce qui. Negli ultimi due anni, nonostante la pesante crisi economica che ha gravato sull’Europa, le reti in franchising sono aumentate del + 8,9%, a dispetto di molte aziende italiane che non hanno registrato tassi di crescita. Trend che rispecchia perfettamente quanto accade ormai da quasi 10 anni: l’analisi della natalità, calcolata come saldo tra dismissione e lancio di nuove attività imprenditoriali, rivela che le aziende in franchising hanno mostrato fra il 2003 e il 2010 un tasso di crescita in termini percentuali superiore rispetto alle aziende in generale. In particolare tra il 2006 e il 2007 il franchising è cresciuto 89 volte rispetto alle aziende e nel 2008-2009 la crescita è stata 23,6 volte superiore.

La voglia di mettersi in proprio non è calata negli ultimi anni – ha sottolineato Antonio Fossati, docente di Marketing all’Università di Pavia e presidente di Rds –, ma chi avvia un’attività imprenditoriale tende sempre più ad affidarsi a un network dal quale ottenere assistenza e consulenza“.

A.C.

Anche le pmi verso la united communication?

L’arte di arrangiarsi a volte porta davvero buoni frutti. Così si potrebbe spiegare la decisione delle pmi di non servirsi dei sistemi di comunicazione amplificata, utilizzati da aziende medie e grandi, e di selezionare solo specifiche applicazioni.

Questo, se da un lato rappresenta una scelta di convenienza e risparmio, dall’altro porta una serie di vantaggi inizialmente inaspettati, primo fra tutti una maggior efficienza sul lavoro, grazie ad un’ottimizzazione dei tempi considerevole.

Tutto ciò emerge da studi effettuati interpellando direttamente i responsabili di progetti informatici delle aziende esaminate e può servire come esempio per tutte quelle aziende che non hanno ancora adottato i sistemi di comunicazione unificata.

Di cosa si tratta in concreto? Questa soluzione, adottata per ora dalle grandi imprese, implica l’integrazione delle proprie comunicazioni internet e telefoniche su una stessa rete, unificazione che passa dalla stessa piattaforma condivisa da tutta l’azienda.

Le stime per il prossimo futuro sembrano andare tutte in questa direzione, dal momento che Daniela Rao, analista di IDC, prevede che molte aziende seguiranno le 42mila che hanno già adottato la Unified Communication, con una spesa destinata a crescere, tra il 2009 e il 2013, del 16% all’anno.

Vera Moretti

Giovani tecnici, è ora di uscire sul mercato

Siamo alle solite. In Italia si fatica a trovare lavoro, ma le imprese non riescono a reperire il 17,2% della manodopera di cui hanno bisogno. A questo è servita “Scopritalenti“, giornata organizzata da Randstad, società di selezione del personale attiva in numerosi Paesi, e dalla Fondazione Sodalitas.

Giunta alla sua seconda edizione, l’iniziativa, che si è svolta nei giorni scorsi, ha permesso ad alcuni giovani neodiplomati e neolaureati, selezionati durante i corsi di Giovani & Impresa promossi da Assolombarda e Ufficio Scolastico Regionale della Regione Lombardia, di incontrare 8 aziende italiane – ABB, Air Liquide, Ansaldo Sistemi Industriali, Italcementi, Sandvik, Schindler, UBS – e di realizzare più di 250 colloqui.

Contraddizione nella contraddizione, la scelta della scuola superiore. Per l’anno scolastico 2011-2012, infatti, gli iscritti ai licei italiani sono aumentati del 3% mentre quelli degli istituti professionali sono scesi del 3,4% a fronte di una situazione in cui i profili più difficili da reclutare sono la manodopera specializzata, le figure tecniche, personale nel settore turismo e ristorazione, gli ingegneri. Insomma, le aziende non riescono a trovare nei candidati sia le competenze tecniche, sia le attitudini personali fondamentali per la posizioni ricercate  e i giovani non sembrano andar loro incontro.

Secondo Randstad Italia, i giovani talenti più richiesti nel nostro Paese tra i diplomati sono, a Milano e a Roma, periti meccanici, periti elettronici, e ragionieri; a Firenze i diplomati nel settore moda. Le professioni maggiormente proposte in questi casi sono quelle di addetti macchine cnc, produzione, ufficio tecnico, disegnatori/progettisti, impiegati amministrativi, addetti alle vendite.

Riguardo ai neolaureati, la laurea più richiesta è quella in ingegneria meccanica, seguita da economia, ingegneria gestionale, giurisprudenza, lauree nel settore moda a Firenze e scienze infermieristiche. Le professioni proposte in questo caso sono quelle di impiegati tecnici (progettisti, disegnatori, buyer, programmatori cnc), responsabili produzione e programmazione, addetti al controllo di gestione, impiegati amministrativi, addetti al customer service, infermieri professionali. Tutto sta a far incontrare domanda e offerta

I dipendenti chiedono più benefit ma le aziende non ascoltano

 

Quali sono le attività di welfare aziendale già attuate o in via di progettazione da parte delle imprese italiane? Quali sono gli obiettivi, le difficoltà, le prospettive per il futuro e le valutazioni? Questi e altri temi sono stati indagati dall’istituto AstraRicerche, che nel mese di luglio ha condotto una ricerca per conto di Edenred.

Dalla ricerca emerge che le aziende e i lavoratori sono assolutamente d’accordo in particolare su un aspetto: i piani di welfare aziendali sono di grande interesse ma attualmente non sono sufficientemente ampi (il 45% degli imprenditori/dirigenti non è ancora soddisfatto del proprio welfare aziendale) e secondo il 70% dei manager intervistati andranno sviluppati nei prossimi 2/3 anni.

Dopo aver intervistato più di 800 lavoratori sui bisogni legati al welfare aziendale, l’indagine si è concentrata su manager e imprenditori di circa 400 aziende, sia italiane che multinazionali, chiamati a rispondere sulla propria offerta di welfare aziendale, le potenzialità e gli ostacoli.

Tra i motivi per cui molte aziende non offrono piani di welfare ci sono i costi (effettivi e presunti: 55%) e le difficoltà connesse alla crisi economica che penalizza molti settori e porta inevitabilmente a sfoltire i budget destinati alla formazione e alla cura del personale.

Tuttavia, se viene confrontata l’offerta effettiva con i desideri dei lavoratori, è evidente che esiste un divario rilevante, in particolar modo per tutti i servizi non strettamente legati all’alimentazione.

Analizzando il panorama dei servizi attualmente offerti dalle aziende emerge che l’alimentazione la fa da padrona (il 79% del campione offre buoni pasto oppure una mensa interna); seguono i benefit legati alla flessibilità del lavoro come il telelavoro o l’orario ridotto (58%) e i servizi legati all’assistenza medica o burocratica (36%).

Intanto le imprese italiane hanno ben chiari gli obiettivi che sono allineati alla percezione dei dipendenti: migliorare il clima aziendale (86%) e accrescere la soddisfazione delle risorse umane (55%), segue il desiderio di dare una spinta alla produttività (51%), raccogliere vantaggi di immagine (50%) e di apprezzamento interno ed esterno sul terreno della corporate social responsibility (CSR).

I dipendenti intanto rimproverano alle proprie aziende l’incapacità d’individuare e soddisfare le reali esigenze e preferenze (lamentata dal 38% dei dipendenti e da un 22% degli dirigenti).

Marco Poggi