Segnalazione CRIF e alla Centrale Rischi della Banca d’Italia: differenze

Abbiamo visto nei precedenti articoli che coloro che hanno in corso dei finanziamenti possono essere segnalati alla Centrale Rischi della Banca d’Italia e abbiamo visto le condizioni in cui ciò si verifica e le conseguenza, ora vediamo la segnalazione al CRIF.

Cos’è il CRIF e differenze con la Centrale Rischi

CRIF è acronimo di Centrale Rischi di Intermediazione Finanziaria è una società che gestisce il SIC (Sistema di Informazioni Creditizie) e svolge un ruolo del tutto simile a quello della Centrale Rischi della Banca d’Italia, ma ha una gestione di tipo privato. Le informazioni contenute in CRIF sono fornite direttamente dalle banche ma su base volontaria e sono sempre le banche e gli altri soggetti di intermediazione a poter consultare il dati al fine di valutare la solvibilità di un potenziale cliente. La prima differenza quindi è data dal fatto che non vi è per le banche l’obbligo di trasmettere i dati, cosa che invece succede con  la Centrale Rischi, questo però non vuol dire che questo sistema sia meno affidabile perché ad oggi la CRIF riceve molto credito da parte delle banche e hanno aderito a questo sistema praticamente tutte.

La segnalazione al CRIF

Essere segnalati al CRIF non vuol dire essere cattivi pagatori, infatti vengono inseriti i dati anche relativi alle richieste in corso e alle erogazioni, in questo caso si potrà valutare la serietà del debitore tenendo in considerazione il suo comportamento durante il periodo del piano di ammortamento. Un’altra differenza riguarda le segnalazioni, anche in questo caso sono inserite le informazioni inerenti prestiti e mutui, fidi, carte di credito e leasing erogati a persone fisiche e giuridiche.

Si è visto in precedenza che la segnalazione alla Centrale Rischi avviene al superamento della soglia di censimento di 30.000 euro, in questo caso non vi è soglia,  ma occorre sottolineare un ulteriore aspetto. La segnalazione dei prestiti/mutui avviene esclusivamente con il consenso informato del contraente/debitore, consenso che invece non è necessario per la Banca d’Italia. Il consenso non è necessario nel caso in cui la segnalazione al CRIF non riguardi l’esistenza del prestito, ma la segnalazione per ritardi.

Quali ritardi sono oggetto di segnalazione CRIF

Abbiamo visto che per la Centrale Rischi della banca d’Italia non sono ben determinati i criteri per la segnalazione dei ritardi e quindi come “cattivi pagatori”, questo non succede con la segnalazione CRIF, infatti qui tutto è ben determinato, in particolare:

  • Primo ritardo nel pagamento relativo a un rapporto di credito: viene segnalato quando vi è il mancato pagamento per due mesi consecutivi. Viene inviato al debitore un preavviso di 15 giorni in modo che possa sanare la sua posizione ed evitare la segnalazione CRIF;
  • Ritardi successivi al primo: sono segnalati nella comunicazione mensile, quindi in questo caso non occorre che ci sia il mancato pagamento di due successive rate, la segnalazione è immediata.

Tempi di conservazione dei dati

I tempi di conservazione dei dati cambiano rispetto alla segnalazione Centrale Rischi e sono stabiliti dal Codice di Condotta, la prima cosa da dire è che le segnalazioni al CRIF riguardano tutti gli atti anche propedeutici alla concessione del credito. I termini di conservazione dei dati sono:

  • per le richieste di credito, le informazioni sono detenute per 180 giorni dalla data della richiesta.
  • Nel caso di un prestito non concesso o rinuncia, le informazioni restano archiviate e disponibili per 90 giorni dalla rinuncia/rifiuto;
  • Finanziamenti estinti regolarmente senza ritardi, i dati sono conservati per 60 mesi (5 anni) dal pagamento dell’ultima rata;
  • 1 o 2 rate non pagate regolarmente, questa informazione si conserva per 12 mesi decorrenti dalla regolarizzazione del rapporto, però in questi 12 mesi non devono esservi altri ritardi;
  • Ritardi nel pagamento di 3 o più rate, in questo caso le informazioni sono conservate per 24 mesi successivi rispetto alla regolarizzazione del rapporto. Per ottenere la cancellazione di questa particolare informazione è necessario che nei 24 mesi non sia maturato alcun ritardo;
  • Finanziamenti non rimborsati,  i dati sono conservati per 36 mesi dalla scadenza contrattuale.

Occorre fare una precisazione, infatti i dati ora forniti si riferiscono al periodo in cui il CRIF può rendere disponibili i dati ai soggetti interessati, ad esempio banche a cui a cui il soggetto a cui i dati si riferiscono ha chiesto credito, ma il CRIF può detenere tali dati, senza fornirli a terzi, per 10 anni, ciò in base al Codice di Condotta.

Note finali

Si è detto in precedenza che il soggetto che chiede un prestito può negare il consenso alla trasmissione dei dati inerenti la sua linea di credito al CRIF, ma la banca è altrettanto libera di non concedere il prestito/mutuo, finanziamento, ciò avvalendosi delle disposizioni contenute nel decreto legislativo 141 del 2010 che richiede agli istituti di credito di verificare il merito creditizio prima di concedere liquidità.

Da questa disamina si può notare che banche e istituti di credito prima di erogare prestiti, finanziamenti, mutui, carte di credito, per verificare la solidità del richiedente e la sua capacità di rimborso, e quindi se è un potenziale cattivo pagatore, possono chiedere informazioni alla Centrale Rischi della Banca d’Italia, e se aderiscono al CRIF, possono accedere anche alle segnalazioni CRIF. Non è detto che se un soggetto non risulti segnalato alla Centrale Rischi, non risulti invece in quella del CRIF, anzi. Le banche possono inoltre trovare più informazioni attraverso il SIC perché, come visto, questa banca dati è più completa e permette di tracciare un profilo preciso del merito creditizio.

Si è visto che nel caso di errori nelle segnalazioni o mancata cancellazione (la cancellazione solitamente è automatica, non c’è bisogno di richieste) dalla banca dati della Centrale Rischi della Banca d’Italia, è necessario rivolgersi alla propria banca. Nel caso di segnalazione CRIF, invece è possibile procedere alla richiesta sia presso il CRIF, sia presso la banca che ha comunicato i dati. Il CRIF inizia una procedura per la verifica, che può anche essere lunga, ma fin da subito annota che in realtà quel determinato dato è oggetto di contestazione e questo può essere utile nella valutazione del merito creditizio.

Segnalazione Centrale Rischi: cos’è e come funziona

Hai mai sentito parlare di segnalazione Centrale Rischi? Ecco cosa devi sapere su questa particolare procedura che può riguardare chiunque chieda un prestito/mutuo.

Cos’è la Centrale dei Rischi

La Centrale dei Rischi, anche conosciuta semplicemente come CR o CdR,  è una banca dati gestita dalla Banca d’Italia, in cui sono contenuti le informazioni inerenti il merito creditizio di coloro che hanno richiesto crediti e prestiti presso istituti finanziari e banche. L’obiettivo è fotografare la situazione debitoria delle famiglie  e delle imprese verso il sistema bancario e finanziario.  Sebbene sia vista con una certa diffidenza, in realtà non dovrebbe essere così, infatti questo database raccoglie i dati di chiunque chieda un prestito/mutuo, ciò ha una valenza positiva nella ricostruzione della storia creditizia di un soggetto, soprattutto quando è regolare nei pagamenti.

Fin da subito deve essere precisato che in Italia esistono altri archivi simili, ma non gestiti dalla Banca d’Italia, il più conosciuto è sicuramente il CRIF (Centrale Rischio Finanziario), in questo caso si tratta di una banca dati gestita da un soggetto privato a cui le banche possono o meno aderire, di fatto è ritenuto molto affidabile.

Funzione della segnalazione Centrale Rischi

Ritornando alla Centrale Rischi, deve essere sottolineato che ha due obiettivi. In particolare per coloro che hanno richiesto dei prestiti e dei finanziamenti e li hanno estinti in modo regolare  rappresenta una sorta di garanzia perché, se dovessero avere bisogno nuovamente di liquidità, ad esempio per investimenti, saranno ritenuti affidabili da banche e istituti di credito in generale.

Per le banche, la Centrale Rischi rappresenta un modo per valutare la solvibilità di coloro che richiedono un prestito e per determinare se concederlo e le condizioni a cui concederlo, ma anche per studiare soluzioni personalizzate. Ad esempio, un cliente può essere restio a dare informazioni su altri finanziamenti in corso, se  si recasse in banca e questa concedesse semplicemente il prestito senza valutare la capienza effettiva, potrebbe generarsi una posizione di sovraindebitamento, mentre il controllo della posizione di colui che ha chiesto il prestito può aiutare la banca a studiare soluzioni che il cliente può gestire al meglio, ad esempio con una rata piccola e un piano di ammortamento più lungo.

Gli intermediari possono chiedere informazioni esclusivamente sui loro clienti e su soggetti che si sono rivolti ad essi per chiedere un finanziamento, questo implica che non possono indagare su chiunque, ma solo su soggetti determinati.

Soggetti che agiscono nella Centrale dei Rischi

Presso la banca dati della Centrale Rischi sono inseriti:  finanziamenti come mutui, prestiti personali, aperture di credito e le garanzie.

L’inserimento di tali dati presso la Centrale Rischi avviene da parte di:

  •  banche;
  •  società finanziarie;
  • società di cartolarizzazione dei crediti;
  • organismi di investimento collettivo dei risparmi (OICR);
  •  Cassa Depositi e Prestiti.

La soglia di censimento e le segnalazioni a sofferenza

Affinché possa essere formalizzata la segnalazione è necessario che siano presenti delle condizioni. In questo caso si parla più propriamente di soglia di censimento, la stessa è stabilita in 30.000 euro di esposizione, soglia che però viene ridotta a 250 euro nel caso in cui il debitore risulti essere in sofferenza; si parla di “segnalazione a sofferenza”, per poterla effettuare in modo corretto occorre  una segnalazione preventiva al cliente. Per il mancato preavviso il cliente non può ottenere la cancellazione della segnalazione, se comunque oggettivamente valida, ma può ottenere un risarcimento per il mancato preavviso.

La segnalazione non viene più fatta nel momento in cui si estingue il debito oppure nel caso in cui l’ammontare dello stesso scende sotto la soglia di censimento. Le informazioni restano però registrate per tre anni decorrenti dal momento in cui cessano le condizioni per il censimento.

Precisazioni sulla segnalazione a sofferenza

Purtroppo i dubbi sorgono proprio sulla qualificazione di un debitore come “sofferente” perché non sono indicati dei criteri uniformi e proprio per questo vi è una certa discrezionalità da parte della banca creditrice. I criteri delineati dicono che non basta valutare un singolo rapporto contrattuale in sofferenza per determinare il verificarsi della soglia di segnalazione, ma occorre guardare la situazione complessiva del debitore.

Per la segnalazione con la soglia di 250 euro, non basta il ritardo nel pagamento di una singola rata, la Corte di Cassazione ha stabilito che un nominativo può essere iscritto presso la centrale rischi solo se si tratta di un’insolvenza conclamata, occorre inoltre un’indagine sulla natura delle difficoltà che affronta il debitore per capire se si tratta di una situazione meramente temporanea e quindi se il cliente può rientrare in breve tempo. La Corte di Cassazione ha inoltre stabilito che non si può procedere alla segnalazione alla Centrale Rischi nel caso di scopertura del conto corrente. La Corte ha ribadito che per la segnalazione alla centrale rischi occorra un’oggettiva situazione debitoria difficile da coprire.

Note sulla Segnalazione alla Centrale Rischi

Devono però essere fatte alcune precisazioni, infatti si viene segnalati alla CR non solo se si è debitori principali, ma anche nel caso in cui si assuma il ruolo di garante in una fideiussione e l’importo della fideiussione supera il limite per il censimento.

Un’altra precisazione riguarda i soggetti che possono accedere alle informazioni presenti presso la CR, si tratta dei soggetti che possono eseguire le segnalazioni (visti in precedenza), le autorità di vigilanza del settore ad esempio CONSOB e IVASS, ma nell’esercizio delle proprie funzioni e, infine, l’autorità giudiziaria nell’ambito di procedimenti penali in cui tali informazioni possano avere rilevanza.

Ognuno può inoltre accedere ai propri dati personali attraverso il sito della Banca d’Italia e registrandosi con le proprie credenziali, un codice SPID, CNS o CIE (Carta Identità Elettronica), naturalmente si può avere accesso solo alle proprie informazioni personali. Nel caso si persone giuridiche può accedere alle informazioni il legale rappresentante.

E’ bene ribadire che la Centrale Rischi gestita dalla Banca d’Italia deve essere disgiunta dal CRIF, di cui si parlerà a breve.

 

Banche: ad ottenere il credito sono sempre le grandi aziende

Considerando i numeri messi a disposizione dalla Banca d’Italia emerge come le banche, nonostante abbiano conosciuto un periodo di forte crisi, continuano a premiare chi risulta essere responsabile di questo dissesto, ovvero le grandi aziende e i grandi gruppi societari.

A conferma di ciò ci sono i dati, secondo i quali la quota dei prestiti ottenuta dal primo 10% degli affidati è pari al 79,8% del totale. Il restante 90% ottiene invece poco più del 20%.

Traducendo queste percentuali in numero, si evince che, su 1.500 miliardi erogati dagli istituti di credito italiani, ben 1.200 sono andati a un ristretto numero di soggetti che però hanno un elevato potere negoziale.

Paolo Zabeo, coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia, ha dichiarato in proposito: “Non ci sarebbe nulla di strano se questo primo 10 per cento di affidati fosse solvibile. Una banca, infatti, deve aiutare chi ha bisogno di risorse finanziarie ma, allo stesso tempo, è anche nelle condizioni finanziarie di restituire nei tempi concordati quanto ottenuto. In Italia, invece, le cose continuano ad andare diversamente. Se, infatti, analizziamo l’incidenza percentuale sul totale delle sofferenze bancarie ascrivibile a questo ristrettissimo club di affidati, la quota ammonta all’81 per cento del totale. In altre parole, le grandi imprese continuano a ricevere la quasi totalità dei prestiti bancari, sebbene presentino livelli di insolvenza allarmanti”.

Inoltre, al 30 settembre del 2017, le sofferenze bancarie lorde presenti in Italia ammontavano a 170,2 miliardi, con 16,2 miliardi in meno rispetto al 2016.

Renato Mason, segretario della Cgia, ha aggiunto: “Questo elevato numero di crediti deteriorati ha provocato una forte contrazione dei prestiti all’economia reale. Non essendo in grado di recuperare una buona parte dei finanziamenti erogati, le banche hanno deciso di non rischiare più e hanno progressivamente chiuso i rubinetti del credito. Solo nell’ultimo anno c’è stata una leggera inversione di tendenza. Tra novembre 2017 e lo stesso mese del 2016, la quantità di finanziamenti alle imprese è aumentata mediamente dello 0,3 per cento, anche se si sono registrati dei risultati molto diversi tra le varie classi dimensionali di impresa. Nelle medio-grandi, ad esempio, la crescita è stata dello 0,6 per cento, nelle piccole e micro, invece, la contrazione è stata dell’1 per cento, nonostante la domanda generale di credito registrata in questi ultimi mesi sia tendenzialmente in crescita”.

A livello regionale si nota che al Sud il primo 10% degli affidati ottiene meno credito delle rispettive fasce presenti nel resto d’Italia, ma genera una quota di sofferenze quasi in linea con il dato medio nazionale. Al Nord, invece, le grandi imprese ottengono percentuali di credito molto alte, con livelli di affidabilità che, comunque, si allineano attorno al dato medio nazionale.

A livello provinciale, invece, il primo 10% degli affidati ha in capo l’87,8% delle sofferenze a La Spezia: record nazionale rispetto a una media Italia pari all’ 81 per cento. Al secondo posto con l’86,% Verbania-Cusio-Ossola, al terzo con l’86,2 Bolzano, al quarto con l’85,9 Roma e al quinto con l’85,8% Parma.
In coda alla classifica nazionale ci sono con il 69,% Sondrio, con il 69,7% Agrigento e con il 68,7% Lodi.

Vera MORETTI

Sofferenze bancarie, 8 su 10 in capo a grandi gruppi

All’indomani del referendum sulla Brexit, le Borse europee hanno subito un tracollo con pochi precedenti, trascinate a fondo dalle forti vendite sui titoli delle banche. La peggiore è stata Milano, non solo perché i nostri istituti, come quelle di altri Paesi, sono molto esposti nel Regno Unito, ma anche perché sono tra le più deboli del Vecchio Continente a causa delle forti sofferenze bancarie, farcite come sono di crediti deteriorati, ossia denaro prestato che difficilmente riusciranno a riottenere.

Per colpa dei privati, cui le banche hanno prestato soldi in maniera incauta? No. Secondo un’analisi dell’Ufficio studi della Cgia, l’80% delle sofferenze bancarie, somme quindi inesigibili, è in capo a grandi gruppi finanziari o industriali.

Al 31 marzo 2016, l’80% circa dei finanziamenti per cassa era stato erogato dalle banche italiane al primo 10% degli affidati, che ha causato da solo poco più dell’81% di sofferenze bancarie per crediti deteriorati.

E non si tratta di poca roba. Sempre secondo la Cgia, al 31 marzo 2016 il totale dei crediti deteriorati del nostro Paese tra sofferenze, inadempienze probabili o finanziamenti scaduti o sconfinati era pari a 333,2 miliardi: 196 di sofferenze lorde, 125,2 di inadempienze probabili e 12 miliardi di finanziamenti scaduti o sconfinati

Una situazione drammaticamente ingiusta soprattutto nei confronti delle imprese sane che richiedono finanziamenti, verso le quali le banche hanno chiuso i rubinetti del credito. Da aprile 2015 ad aprile 2016 gli impieghi alle imprese italiane sono calati di 24,3 miliardi, mentre dal 2011, anno di massima erogazione dei crediti, le imprese italiane hanno avuto 144 miliardi in meno di prestiti bancari. A livello di regione le strette al credito più rilevanti a seguito delle sofferenze bancarie si sono avute nel Lazio (-5,6 miliardi) e nel Veneto (-4,9 miliardi).

E se ancora ci fosse bisogno di una conferma su dove giace la maggior parte dei crediti deteriorati, ecco che, analizzando i dati relativi alle sofferenze bancarie per classi di grandezza, al 31 marzo 2016 il 70% delle sofferenze era concentrato nelle classi sopra i 500mila euro.

UniCredit, Ghizzoni saluta

E alla fine si è verificato quello che tutti già sapevano ma che nessuno poteva dire: l’ad di UniCredit, Federico Ghizzoni, ha fatto un passo indietro dando la propria disponibilità all’uscita dal gruppo e dando il via all’avvicendamento ai vertici dell’istituto di piazza Gae Aulenti. Ghizzoni manterrà le proprie deleghe fino alla nomina del successore.

UniCredit ha emanato una nota al termine del cda straordinario, nella quale sottolinea come il consiglio di amministrazione e Ghizzoni hanno constatato che si sono verificate le condizioni per un avvicendamento al vertice del gruppo bancario.

Ecco dunque che Ghizzoni ha dato la propria disponibilità a definire, insieme al presidente di UniCredit, un’ipotesi di accordo per la risoluzione del proprio rapporto con il gruppo, impegnandosi però a mantenere le proprie funzioni fino alla nomina del suo successore, che sarà da lui supportato durante la fase di transizione.

Diversi, finora, i nomi circolati per la successione di Ghizzoni alla guida di UniCredit, anche se ancora un a certezza su chi siederà sulla sua poltrona non c’è. Quello che è certo è che il nuovo si troverà di fronte a diversi scenari e sfide da portare avanti.

UniCredit dovrà infatti muoversi lungo due direzioni principali: dismettere alcune attività, in Italia e all’estero razionalizzare la struttura in Italia, al fine di equilibrare un aumento di capitale che pare non più rimandabile. essere inevitabile.

E non si tratta di bruscolini. Secondo JpMorgan, UniCredit avrebbe bisogno di nuovo capitale fino a 9 miliardi, 5 dei quali potrebbero venire da un aumento vero e proprio e il resto dalla cessione del 45% di Fineco e del 20% di Bank Pekao, la banca polacca di cui UniCredit controlla circa il 50%. Due istituti estremamente in salute e performanti che, con la banca turca Yapi Kredi pesano sull’utile del gruppo per circa il 40%.

Grandi manovre verso le quali i piccoli risparmiatori guardano con attenzione, per evitare possibili colpi di scena che penalizzerebbero, come sempre accade in questi casi, la base della piramide. Mentre il vertice cadrebbe sempre in piedi, atterrando sul soffice materasso di una buonuscita milionaria.

Mipaaf e UniCredit per l’ agroalimentare italiano

L’onda lunga di Expo 2015 continua a far sentire i propri effetti benefici sull’ agroalimentare italiano. Del resto, il settore agroalimentare, vero e proprio fiore all’occhiello dell’economia italiana, contribuisce per oltre l’11% al valore aggiunto dell’economia del nostro Paese, raccoglie 2,1 milioni di imprese e dà occupazione a 3,4 milioni di persone.

Per la sua natura anticiclica, il settore agroalimentare ha contenuto l’impatto della crisi e già nel 2015 ha portato i primi segnali di ripresa. La sola fase di produzione e trasformazione dei beni alimentari genera un giro d’affari di circa 190 miliardi di euro.

L’agricoltura italiana ha un fatturato globale di oltre 55 miliardi di euro, mentre l’industria alimentare e delle bevande produce un valore di oltre 130 miliardi di euro. Nel 2016 il settore agroalimentare ha saputo confermarsi il secondo comparto economico per l’economia italiana, dopo le costruzioni.

Sulla scorta di questi numeri di tutto rispetto, UniCredit e il ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali (Mipaaf) hanno illustrato nei giorni scorsi a Milano un programma finalizzato a sostenere gli investimenti e favorire l’accesso al credito delle imprese operanti nel settore agroalimentare italiano.

È il “Progetto UniCredit Mipaaf. Coltivare il futuro”, che è stato descritto nei suoi contenuti da Maurizio Martina, Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, Federico Ghizzoni, Amministratore Delegato di UniCredit, e Gabriele Piccini, Country Chairman Italy dell’Istituto.

Il “Progetto UniCredit Mipaaf. Coltivare il futuro” si fonda su alcuni pilastri. Il primo poggia sulla erogazione di nuova finanza per sostenere progetti e investimenti delle imprese dell’ agroalimentare italiano. UniCredit ha deciso di destinare a questo settore 6 miliardi di euro di nuove linee di credito nel triennio 2016-2018. Inoltre, UniCredit lancerà il nuovo Agribond, una tranched cover dedicata alle imprese della filiera agricola che, basandosi sulla garanzia pubblica fornita da ISMEA e sfruttandone l’effetto moltiplicatore, consentirà l’attivazione di nuove erogazioni inizialmente per 300 milioni di euro, replicabili nel tempo.

Il secondo pilastro riguarda la formazione e lo sviluppo delle conoscenze, con la nascita della Agri-Business School che poggia su tre macro aree tematiche: Competenze di base, ovvero un percorso formativo per acquisire le principali conoscenze finanziarie; Export Management, che comprende sessioni formative dedicate a tematiche di internazionalizzazione; Innovazione, che propone sessioni formative su tematiche di particolare attualità come la filiera corta, la tracciabilità e l’agricoltura di precisione.

Per sviluppare il concetto di Smart Agriculture viene invece creata Value for Food, iniziativa congiunta di UniCredit, Cisco Systems Italy e Penelope Spa per finanziare e realizzare programmi di evoluzione tecnologica delle aziende agroalimentari, che coniughino le esigenze di comunicazione e marketing territoriale, di efficientamento e automazione dei processi di filiera, di dematerializzazione e di digitalizzazione degli asset informatici.

Value For Food si propone di fare in modo che le imprese valorizzino il proprio marchio e l’immagine del Made In Italy (branding), la difesa dalla contraffazione diffusa dei prodotto (anticontraffazione), l’efficientamento dei processi produttivi garantendo la sinergia con i fornitori e i distributori (tracciabilità) e il vantaggio competitivo a livello internazionale.

I commercialisti sul decreto banche

Non è tutto oro quello che luccica nel recente decreto banche emanato dal governo, almeno secondo il punto di vista dei commercialisti italiani. Per il presidente dei commercialisti, Gerardo Longobardi, il decreto legge contiene infatti aspetti poco condivisibili.

Secondo Longobardi, in tutta la questione “desta innanzitutto perplessità il fatto che si utilizzi l’abusato strumento del decreto legge, senza connotazione dei requisiti costituzionalmente richiesti della necessità e dell’urgenza, su materie che dovrebbero essere condivise dalle forze politiche rappresentate in Parlamento”.

Prosegue il presidente dei commercialisti: “Non convincono alcune novità inserite nell’ambito delle procedure concorsuali, quali ad esempio quelle che prevedono, quale ulteriore ipotesi di revoca per giusta causa del curatore, il mancato rispetto dell’obbligo di presentare un progetto di ripartizione delle somme disponibili ogni quattro mesi a partire dalla data di emissione del decreto di esecutività dello stato passivo”.

Secondo Longobardi, così facendo “non si considera che non sempre è possibile procedere al riparto nei termini suddetti e che il curatore risulta essere ulteriormente gravato da adempimenti importanti che ne complicano sensibilmente l’attività. Del resto, con la manovra della scorsa estate (d.l. n. 83/2015, convertito con modificazioni dalla legge n. 132/2015) erano state previste nuove ipotesi di giusta causa di revoca del pubblico ufficiale nei casi di mancato rispetto dei termini previsti per la predisposizione del programma di liquidazione e di quelli previsti per la realizzazione della liquidazione dell’attivo”.

I commercialisti esprimono anche perplessità sulle proposte relative al mercato dei crediti deteriorati e sulle diposizioni di cui all’art. 1, relative al pegno mobiliare non possessorio. “Tralasciando le questioni strettamente giuridiche sull’opportunità di veicolare in modo definitivo l’istituto del patto marciano nel nostro ordinamento – sottolinea infatti Longobardi – le perplessità maggiori al riguardo si rinvengono nella previsione di differenti ipotesi di inadempimento correlate alle modalità effettive di rimborso e nella efficacia costitutiva dell’iscrizione del pegno in un registro informatizzato istituito presso l’Agenzia delle Entrate, che, come è noto è istituzionalmente tenuta a svolgere, secondo il proprio statuto, tutte le funzioni ed i compiti ad essa attribuiti dalla legge in materia di entrate tributarie e diritti erariali, al fine di perseguire il massimo livello di adempimento degli obblighi fiscali” .

Da UniCredit e Bei 700 milioni di finanziamenti alle imprese italiane

Una nuova iniziativa destinata ai finanziamenti alle imprese è stata messa in pista da un grande gruppo bancario italiano. Si tratta di UniCredit, che ha firmato con la Banca Europea per gli Investimenti (BEI) quattro nuove linee di finanziamento destinate alle imprese italiane dei settori produttivi e dei servizi, per un totale di 670 milioni di euro, ai quali si aggiungerà un plafond da 30 milioni specifico per la Regione Lazio.

Unitamente agli importi sopra indicati, UniCredit si impegna a erogare altrettanti fondi a medio termine, sempre destinati a piccole e medie imprese e Mid-Cap, portando così a 1 miliardo e 400 milioni di euro le risorse complessivamente a disposizione del sistema produttivo italiano.

Le quattro linee di finanziamenti alle imprese concordate con BEI sono così articolate:

300 milioni destinati alle imprese con un organico fino a 250 dipendenti (Pmi) per finanziare investimenti in beni materiali e immateriali, ovvero in capitale circolante. I progetti finanziabili non potranno superare l’importo di 25 milioni, con la possibilità per le imprese di accedere anche alla garanzia del Fondo Centrale;

200 milioni destinati alle imprese fino a 3mila dipendenti (Mid-Cap) per realizzare investimenti materiali e immateriali e finanziare capitale circolante (linea che vedrà la partecipazione anche di UniCredit Leasing). In questo caso gli investimenti finanziati non potranno superare i 50 milioni di euro;

100 milioni di euro destinati alle imprese agricole e dei settori correlati (tra i quali anche agroindustria), di piccole e medie dimensioni, per investimenti materiali e immateriali, ovvero per finanziare il circolante. I finanziamenti alle imprese con fondi BEI per investimenti immobiliari agroindustriali e agroturistici, di risparmio energetico e/o ambientali potranno avere una durata compresa tra 2 e 15 anni;

70 milioni dedicati alla linea di Mini bond, destinata alle Pmi con sede legale nel territorio italiano, aventi le seguenti caratteristiche: non siano quotate, non versino in situazione di difficoltà, eseguano investimenti materiali e immateriali, ovvero finanzino il capitale circolante per esigenze di liquidità strettamente e oggettivamente riconducibili agli investimenti (consulenze, simulazioni, studi, brevetti, ecc.). Le imprese potranno accedere alla garanzia di portafoglio del Fondo di Garanzia.

E’ prevista inoltre a breve la stipula di un’ulteriore linea di 30 milioni per i finanziamenti alle imprese destinata al supporto degli investimenti delle Pmi e Mid-Cap della Regione Lazio.

Finanziamenti alle imprese che operano in Corea del Sud

Il nuovo eldorado dove le aziende italiane dovrebbero andare a investire è la Corea del Sud. Se non altro per i finanziamenti alle imprese che scelgono di operare nel Paese asiatico: oltre 1,5 miliardi di euro già stanziati dalle banche italiane, secondo una rilevazione effettuata dall’Abi.

Un impegno in grande stile per i finanziamenti alle imprese a sostegno dell’internazionalizzazione, confermato da Guido Rosa, Presidente del Comitato Tecnico per l’internazionalizzazione Abi, durante il recente Forum economico tenutosi a Seul, in occasione della missione di sistema organizzata in Corea (la seconda di questo genere nel Paese) da banche, imprese e istituzioni italiane.

Sono state otto le delegazioni, in rappresentanza dei principali gruppi bancari italiani, che hanno partecipato alla missione in Corea, con l’obiettivo di supportare l’internazionalizzazione attraverso i finanziamenti alle imprese: BNL – BNP Paribas, Banca Popolare di Milano, Banca Popolare di Vicenza, ICCREA, Intesa SanPaolo, Monte dei Paschi di Siena, UBI Banca, UniCredit.

Del plafond di oltre 1,5 miliardi stanziato dalle banche italiane per i finanziamenti alle imprese, il 76% è stato utilizzato. Oltre alle linee di credito, gli imprenditori italiani che operano in Corea del Sud possono contare sugli uffici di rappresentanza a Seul di due tra i più importanti gruppi bancari italiani.

Particolarmente soddisfatto della missione a sostegno dell’internazionalizzazione e dei finanziamenti alle imprese Guido Rosa: “Le banche partecipano alla missione per assistere e supportare le imprese italiane che vorranno cogliere le numerose opportunità di investimento nel Paese e stabilire dei contatti con le banche locali, la cui collaborazione è fondamentale per lo sviluppo delle relazioni economiche bilaterali, soprattutto alla luce dell’Accordo di libero scambio con L’Unione Europea, che è entrato in vigore il 1° luglio 2011. L’internazionalizzazione rappresenta un driver strategico per innescare il processo di crescita virtuosa”.

Conti correnti e conti di deposito: come si muovono

È sempre interessante osservare le dinamiche e le tendenze del risparmio italiano, specialmente quelle legate ai conti correnti e ai conti di deposito. In questo senso si rivela utile l’analisi elaborata da confrontaconti.it sul mese di gennaio 2016, che ha dato origine agli Osservatori sui Conti Correnti e sui Conti di Deposito.

Nello specifico, l’analisi rivela che sono over 55 (il 44,8% dei richiedenti) gli italiani che nel corso del primo mese del 2016 hanno preferito utilizzare i conti di deposito tra i vari strumenti bancari. L’importo depositato sui conti di deposito per il 29,8% degli utenti è stato oltre i 50mila euro, in lieve aumento rispetto al 25,4% del primo semestre 2015. Inoltre, il 58,3% degli italiani ha preferito un deposito di tipo vincolato rispetto a quello non vincolato, scelto dal 41,7% dei risparmiatori.

Il 59,6% delle richieste di conti di deposito ha interessato un investimento con orizzonte temporale compreso tra 7 mesi e 1 anno, con un importo medio dei conti di deposito per età degli utenti di poco superiore ai 49mila euro (49.197) per gli over 55, in leggero aumento rispetto al primo semestre 2015 quando la cifra si era attesta a poco più di 47mila euro (47.102).

Spostando lo sguardo sui conti correnti, l’analisi rileva che gli italiani hanno utilizzato di più i canali online (il 47,8% dei richiedenti) rispetto alle filiali (solo il 9,2% dei richiedenti) e che il saldo medio dei conti correnti a gennaio 2016 era di 16.566 euro, in aumento rispetto al primo semestre 2015 quando si era fermato a 12.545 euro.

Per quanto riguarda la distribuzione geografica, confermati i dati del primo semestre del 2015, tanto per i conti di deposito quanto per i conti correnti (72,4%) con le richieste concentrate maggiormente al Nord Italia.