Permessi retribuiti per lavoro: ecco quanti e quali sono

In questa rapida ma esaustiva guida andremo a vedere come funziona il mondo dei permessi di lavoro, quali possono essere retribuiti e quanti sono quelli che si possono utilizzare.

Permessi retribuiti per lavoro: una carrellata

Eccoci di fronte ad una vera e propria guida esaustiva sul mondo dei permessi di lavoro. Nei prossimi paragrafi andremo a vedere quali sono e quanti sono i permessi che permettono una retribuzione.

Solitamente, nei contratti di lavoro troviamo due tipologie di permessi retribuiti diversi, entrambi devono essere indicati in busta paga: i ROL (Riduzione Orario di Lavoro) e le ex festività.

Inoltre, ci sono sia per i lavoratori del comparto privato che pubblico delle speciali tipologie di permessi retribuiti riconosciuti per particolari necessità, come nei casi in cui occorre assentarsi dal lavoro per sostenere un esame all’Università oppure quando si è subito il lutto di un familiare.

Tuttavia, vi sono anche dei permessi di lavoro che non sono retribuiti, ma che consentono l’assenza dall’impiego al lavoratore.

Vediamo nei prossimi paragrafi quali sono, nello specifico.

Permessi retribuiti: quante ore si possono prendere

Quante sono le ore di permesso che si possono ottenere, in via di retribuzione, sul lavoro? Questa è una delle domande più frequenti per i lavoratori.

Sostanzialmente, le ore di permessi retribuiti che spettano ai dipendenti prevedono per tutti i CCNL (Contratti Collettivi Nazionali Lavoro) le 32 ore derivanti dalle ex festività, ma risultano invece variabili i permessi retribuiti che si differenziano non solo per tipo di contratto, ma anche in base alle dimensioni della azienda.

Per conoscere in maniera specifica i permessi retribuiti che spettano al dipendente si dovrà quindi fare riferimento al CCNL, in modo da inquadrare in modo preciso la propria situazione.

Permessi retribuiti: quali sono

In questo paragrafo andiamo a vedere, in maniera elencata, quali sono i permessi retribuiti sul lavoro.

Questi permessi sono periodi temporali duranti i quali è concesso al dipendente, per particolari circostanze, di assentarsi dal lavoro senza che gli venga meno la retribuzione.

Trattasi di permessi che il lavoratore richiede in base alle sue necessità che non sempre è possibile accordare facilmente a quelle del datore di lavoro.
Datosi che i permessi e le ferie non goduti dovranno essere liquidati in busta paga, andando quindi a gravare sul bilancio aziendale.

Quelli che seguono sono tutti i permessi retribuiti possibili:

  • Ex festività
  • Lutto o grave infermità
  • Riduzione orario lavoro (ROL)
  • Partecipare a concorsi o esami
  • Motivi di studio
  • Donazione di sangue e midollo osseo
  • Cariche pubbliche elettive
  • Impiegati nei seggi elettorali
  • Motivi personali (non necessariamente specificati)
  • Matrimonio
  • Genitorialità imminente
  • Assistenza familiari con handicap

Ad ogni modo, va sempre sottolineato che i permessi retribuiti sono un’istituzione differente dalle ferie ed è diritto di ogni lavoratore avere a disposizione dei giorni in cui assentarsi dal lavoro senza perdere né il posto di lavoro tanto meno la retribuzione.

Alcuni permessi di lavoro, nello specifico

Vediamo, molto rapidamente, alcuni dei permessi di lavoro elencato, con qualche dettaglio in più.

Come funzionano, ad esempio le ore di permesso e le ex festività?

Si tratta di giorni di permesso che spettano quando una delle ex festività non più riconosciute dal nostro ordinamento cadono in un giorno lavorativo.

Come ad esempio, il 19 marzo (San Giuseppe) o l’ Ascensione (39° giorno dopo Pasqua).

Come funzionano i permessi per un concorso o esame?

Il permesso, in questi specifici casi, è valido solo per il giorno esatto dell’esame ed il lavoratore sarà tenuto a presentare una certificazione della Commissione esaminatrice, debitamente timbrata e firmata, allegata alla richiesta di permesso.

Questo, dunque è quanto di più necessario ed esaustivo da sapere in merito ai possibili permessi di lavoro retribuiti.

Busta paga e ROL: cosa sono e come si richiedono

Cosa sono i permessi ROL e come si richiedono, come si utilizzano in busta paga e tutto quello che c’è da sapere in merito. Nella nostra guida le risposte in merito alla questione.

ROL di cosa si tratta

Quando si parla di ROL si fa riferimento a dei permessi lavorativi presenti in busta paga, la loro finalità è quella di garantire al lavoratore maggior tempo da poter dedicare ai propri interessi ma servono anche a far fronte alle esigenze personali e familiari, evitando di ricorrere alle giornate di ferie e quindi di perdere il diritto alla retribuzione.

L’acronimo ROL sta per Riduzione Orario Lavoro.

Sostanzialmente, l’ammontare delle ore di ROL che spetta ad ogni singolo lavoratore cambia in relazione al contratto collettivo applicato in azienda, così come la modalità di fruizione.

Nei prossimi paragrafi andremo a vedere qualcosa in più in merito alla questione dei ROL.

A chi spettano i ROL e come richiederli

Andiamo, dunque a vedere qualcosa in più in merito ai permessi ROL in busta paga. Come è possibile richiederli e chi può averne diritto?

I permessi ROL spettano ai lavoratori dipendenti qualora essi siano a tempo determinato ed anche indeterminato, compresi i soci lavoratori nelle cooperative di produzione e lavoro.

Mentre i lavoratori parasubordinati e autonomi sono esclusi dalla possibilità di usufruire dei ROL, come loro anche tirocinanti e stagisti sono tagliati fuori da questo diritto.

Per concedere al dipendente l’utilizzo dei permessi ROL va dato adito al datore di lavoro la modalità, così come avviene per le ferie. Ad ogni modo, l’azienda deve tener conto delle esigenze personali del dipendente che non devono contrapporsi con quelle produttive del datore di lavoro.

In sostanza, la decisione di far fruire dei permessi ROL al dipendente può essere frutto di un’iniziativa del datore di lavoro ma anche far seguito ad una specifica richiesta fatta dal lavoratore di poterne usufruire ed assentarsi dal lavoro.

Permessi ROL, cosa occorre sapere ancora

In ultima analisi, andiamo a vedere cos’ altro c’è da sapere in merito ai permessi ROL, come ad esempio quando scadono e quanti ne spettano al dipendente.

I contratti collettivi possono fissare un tempo limite, quindi un termine, entro cui i permessi ROL devono essere consumati dai dipendenti. Ad esempio goderne entro una certa età o entro un determinato anno lavorativo.

In caso di residui di ROL alla scadenza, generalmente è prevista la liquidazione in busta paga senza che il lavoratore possa più godere dei ROL.

Ad ogni modo, viene concesso ai dipendenti la possibilità di chiedere la monetizzazione dei permessi ROL in busta paga, in ogni momento.

Per quanto riguarda il monte ore ROL spettante viene definito dai singoli contratti collettivi. Per esempio, stando al CCNL Commercio e terziario – Confcommercio al lavoratore spettano 56 ore annue per le aziende fino a 15 dipendenti, aumentate a 72 ore per le realtà con più di 15 dipendenti.

Mentre per CCNL Edilizia – industria, così come il CCNL Centri elaborazione dati, son previste 88 ore all’anno.

Retribuzione in busta paga dei ROL

In conclusione vediamo come funzionano i ROL in busta paga in questo ultimo paragrafo.

Per quanto concerne le ore di assenza a titolo di permessi ROL è spettante la stessa retribuzione riconosciuta al dipendente che svolge il lavoro regolarmente.

I compensi avendo natura retributiva per i permessi ROL costituiscono base imponibile sia ai fini contributivi che fiscali.

Ogni qualvolta che i permessi ROL vengono utilizzati od anche monetizzati sarà necessario darne evidenza in busta paga ed anche sul Libro Unico del Lavoro.

Questo, dunque è quanto di più utile e necessario da sapere in merito ai permessi ROL in busta paga per i dipendente che ne hanno diritto.

Busta paga, senza bonus Renzi, cosa succede per i dipendenti

Busta paga senza bonus Renzi è già diventata realtà per molti lavoratori dipendenti. Quindi facciamo il punto della situazione e le novità.

Busta paga, molti non hanno più il bonus Renzi

Come già preannunciato molti dipendenti non si sono più ritrovati il Bonus Renzi in busta paga. Una somma 100 euro che è scomparsa, ma non misteriosamente. Infatti la Manovra fiscale ha modificato il trattamento integrativo pari a 1.200 euro annui. Ecco appunto le famose 100 euro al mese sullo stipendio.

A scompigliare le carte in tavola è stata la manovra finanziaria. A partire dal primo gennaio 2022 ha riconosciuto il credito d’imposta pari a 1.200 euro riconosciuto a coloro che hanno un reddito complessivo non superio a 15 mila euro. Mentre il Bonus Renzi prevedeva una soglia più elevata, pari a 28 mila euro. Quindi non hanno più avuto 100 euro in busta paga tutti coloro che hanno un reddito superiore a 15 mila euro.

Cosa succede adesso per la fascia di reddito da 15.000 a 28.000 euro.

La diminuzione dell’importo totale non è piaciuto a molte famiglie. Anche se molti nuclei familiari stanno ricorrendo all’assegno unico universale per figlio a carico. Tuttavia per questa fascia di reddito sono riconosciute delle detrazioni, se sono superiori all’IRPEF lorda. Queste detrazioni spettano per:

  • redditi da lavoro dipendente ed assimilati;
  • interessi passivi ed oneri su mutui agrari o prestiti;
  • familiari a carico;
  • interessi passivi ed oneri accessori corrisposti in dipendenza di mutui garantiti da ipoteca su immobili, contratti per costruire un’unità immobiliare da adibire ad abitazione principale (con riferimento agli oneri sostenuti per mutui o prestiti contratti fino al 31 dicembre 2021);
  • spese sanitarie;
  • interventi relativi al recupero edilizio;
  • riqualificazione energetici;
  • interessi passivi ed oneri accessori corrisposti in dipendenza di mutui garantiti da ipoteca su immobili, siglati per acquistare un’unità immobiliare da adibire ad abitazione principale (con riferimento agli oneri sostenuti per mutui o prestiti contratti fino al 31 dicembre 2021).

Come cambia la busta paga?

A questo punto è importante stabilire il valore delle detrazioni. Per stabilire se le detrazioni sono superiori, o meno, dell’imposta lorda occorre considerare una serie di importi come le spese sanitarie. Quindi occorre valutare la situazione nella sua complessità, basandosi anche sui valori dell’anno precedente.

Infatti per ogni singolo mese di stipendio, il datore di lavoro riconosce le detrazioni fiscali come quella da lavoro dipendente e familiari a carico, ed il trattamento integrativo simulando quello del reddito complessivo dell’anno. Ma nulla sembra essere sicuro, perché potrebbero arrivare ulteriori chiarimenti da parte dell’Agenzia delle entrate, per definire in modo chiaro come comportarsi nella prossima dichiarazione dei redditi.

Inoltre si ricorda che la manovra ha cambiato anche le aliquote Irpef passando da 5 a 4. Nello specifico gli scaglioni sono i seguenti:

  • 23% fino a 15.000 euro di reddito;
  • 25% sopra 15.000 e fino a 28.000 euro di reddito;
  • 35% sopra 28.000 e fino a 50.000 euro di reddito;
  • 43% sopra i 50.000 euro di reddito

Staremo a vedere quali saranno le valutazioni sul primo anno di applicazione di queste nuove regole.

 

 

 

 

 

Busta paga 2022, cosa c’è da aspettarsi tra nuovi scaglioni e novità

La busta paga 2022 prevede delle novità in merito al nuovo Irpef, detrazioni, assegno figlio unico, tutto quello che c’è da aspettarsi.

Busta paga 2022, le novità della legge di bilancio

La legge di bilancio ha introdotto alcune modifiche che avranno i loro riflessi sulle busta paghe degli italiani. Uno dei grandi cambiamenti riguarda proprio i nuovi scaglioni IRPEF in vigore dal 2022. Infatti gli scaglioni sono passati da cinque a quattro, cambiano le relative percentuali.

Nel 2022 l’aliquota del 27% è scesa a 25% per i redditi a partire da 15 mila euro e fino a 28 mila euro. Ma anche per i redditi tra 28.001 euro e fino 50mila euro. In quanto l’aliquota è in questo caso scesa dal 38% al 35%. Invece, sopra i 50.000 euro la tassazione progressiva dal 2022 prevede l’applicazione dell’aliquota massima che è quella al 43%.

La “no tax area”, ovvero la soglia al di sotto delle quale non è prevista l’applicazione di tasse, è rimasta fissa a 8.174 euro per i lavoratori dipendenti, si è innalzata a 5.550 euro per gli autonomi (+700 euro) ed è aumentata a 8.500 euro per i pensionati (+326 euro).

Busta paga 2022, il tanto amato bonus Renzi

La legge di bilancio interviene anche in merito al Bonus Renzi. Fino ad oggi il Bonus Renzi, ha avuto un valore di 100 euro, direttamente sulla busta paga del lavoratore. Tuttavia a percepirlo sono solo i lavoratori dipendenti che hanno un reddito che rientra tra gli 8.174 e i 40.000 euro.

Per i redditi da 15 mila a 28 mila euro bisogna fare un discorso a parte. Questo perché il Bonus Renzi, come spiega la circolare del 13 gennaio 2022 dei Consulenti del lavoro, viene riconosciuto solo se la somma delle detrazioni è di ammontare superiore all’imposta lorda.

Detrazioni a carico delle famiglie e assegno unico

In merito alle detrazioni a carico delle famiglie gli articoli 12 e 13 del Tuir indicano le detrazioni a carico delle famiglie. Queste riguardano:

  • familiari a carico;
  • mutui immobiliari per l’acquisto della prima casa;
  • mutui agrari;
  • spese sanitarie;
  • redditi da lavoro dipendente e assimilati;
  • redditi per i lavori in casa.

Inoltre se l’importo delle detrazioni spettanti supera l’importo lorda dovuta, il trattamento integrativo viene erogato fino ad un massimo di 1.200 euro.

Infine da marzo 2022 dovrebbe essere versato ai richiedenti l’assegno universale per figli a carico fino a 21 anni. L’assegno ha un valore pari a 176 euro a figlio, ma cambia anche in relazione al numero dei componenti del nucleo familiare e al valore ISEE indicato. L’importo dovrebbe essere accreditato sul conto corrente indicato, che spesso coincide con quello indicato e usato dal datore di lavoro per accreditare lo stipendio.

Busta paga tagliata da marzo: cosa succede?

Ci sono novità riguardo il cedolino della busta paga, a partire da marzo 2022, scopriamo in sostanza cosa accadrà e cosa sarà tagliato.

Busta paga, marzo 2022: cosa cambia

Ci sarà un effetto busta paga tagliata, a partire dal prossimo Marzo 2022, ma non sarà dovuto ad una decurtazione di stipendio attuato dal datore di lavoro, piuttosto avverrà un cambiamento dovuto all’assegno familiare.

Tutto ciò, dunque sarà l’effetto dell’entrata in vigore dell’assegno unico universale per i figli. In sostanza, il datore di lavoro non inserirà più nel cedolino la detrazione fiscale per i figli e l’attuale assegno familiare. Tutto ciò significa che il netto in busta paga sarà più basso del solito.

E cosa accadrà della parte mancante?

Parte tagliata in busta paga, come funziona

Dunque, per quanto riguarda l’importo che andrà a sparire dalla busta paga dovrà essere versato dall’Inps direttamente sul conto corrente a titolo, appunto, di assegno unico per i figli. All’inizio dovrebbe andare a compensare la parte che il datore di lavoro non riconoscerà più, ma non per tutti: infatti, solo chi ha un Isee fino a 25mila euro, si renderà conto che non gli è cambiato nulla, se non il fatto di ricevere la stessa somma da due soggetti diversi (azienda e Inps).

Cambia qualcosa, invece per chi ha una soglia economica superiore. Scopriamo il perché nei seguenti paragrafi.

L’ inserimento dell’assegno unico a partire da marzo 2022 va a comportare la cosiddetta «clausola di invarianza» che, in sostanza, garantisce al lavoratore di non rimetterci dei soldi rispetto a prima. Questa clausola, però, entra in gioco solo sui nuclei con Isee fino a 25mila euro e soltanto per il primo anno, ovvero fino a marzo 2023. Di fatto, nel 2023 sarà valida per 2/3 dell’anno, mentre nel 2024 per 1/3 dell’anno. Una volta che sarà trascorso tale periodo, con il contributo a regime nel 2025, per sapere se ci si guadagna, ci si perde o resta tutto uguale con l’assegno unico per i figli occorrerà fare riferimento ad un solo parametro: cioè l’Isee. Più sarà basso l’indicatore e più sarà alto l’assegno. E, di conseguenza, viceversa.

Cos’ altro c’è da sapere sulla busta paga tagliata da marzo 2022

In ultimo, ma non ultimo alla questione, va aggiunto che ad effetto della suddetta clausola di invarianza, dunque, chi possiede un Isee più alto di 25mila euro potrebbe già vedere qualche differenza (in maniera negativa) nella propria busta paga di marzo 2022.

Va ricordato, infatti, che l’assegno pieno sarà di 175 euro al mese, fino a 260 euro a partire dal terzo figlio e di altri 100 euro complessivi qualora i figli fossero quattro o più di quattro. Quando si parla di «assegno pieno» si intende quello destinato alle famiglie con un Isee fino a 15mila euro (ovvero circa la metà delle famiglie italiane): da tale soglia in poi, infatti, l’importo del contributo inizierà a scendere gradualmente fino ad arrivare alla soglia Isee di 40mila euro. A quel punto, chi ha un indicatore economico pari o superiore a quella cifra, andrà a ricevere un assegno di 50 euro al mese o di 65 dal terzo figlio in poi.

Dunque, questo è quanto vi fosse di più utile e necessario da sapere in merito alla questione legata alla busta paga, a partire dal prossimo marzo 2022 che subirà questo increscioso cambiamento che sarà risentito solo da alcune categorie, mentre per alcuni altri sarà un cambiamento indolore.

Elemento perequativo in busta paga: cos’è e come evitarla

Molti lavoratori leggendo la busta paga scoprono di avere una voce in più, si tratta dell’elemento perequativo, ma cos’è, a chi spetta e a quanto ammonta? Scopriamo anche come il datore di lavoro può evitare di corrisponderlo aumentando anche la soddisfazione dei lavoratori.

Cos’è l’elemento perequativo in busta paga

L’elemento perequativo spetta ai lavoratori che non hanno accesso alla contrattazione di secondo livello, il suo obiettivo è rendere “uguali”, di conseguenza perequare le posizioni economiche dei lavoratori. Per capire di cosa si tratta esattamente è necessario distinguere tra la contrattazione di primo livello e quella di secondo livello.

Contrattazione di primo livello e di secondo livello: differenze

In Italia per le varie categorie di lavoratori si applica il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) questo prevede le regole base del rapporto di lavoro, tenendo anche in considerazione diversi livelli di inquadramento. L’elemento principale che ci può desumere dal CCNL è il trattamento salariale base che obbliga il datore di lavoro a corrispondere uno stipendio che non può essere inferiore rispetto a quello previsto nel contratto collettivo.

Nelle aziende ed enti che hanno dimensioni medio grandi sono però presenti le rappresentanze sindacali e solitamente queste con l’azienda stessa concordano la contrattazione di secondo livello, che tende a ottenere condizioni di lavoro migliori rispetto alla contrattazione di primo livello e di conseguenza prevede l’attribuzione di premi, bonus e comunque una retribuzione migliore. Di fatto le rappresentanze sindacali non sono presenti in tutte le aziende e in particolare in quelle di piccole dimensioni, da ciò consegue creazione di lavoratori di serie A, maggiormente tutelati dalla contrattazione di secondo livello e lavoratori di serie B.

Ciò deve essere visto in prospettiva, infatti il tessuto economico italiano si basa soprattutto su aziende di piccole e medie dimensioni e di conseguenza la stragrande maggioranza di lavoratori non trova la tutela della contrattazione di secondo livello.

Per offrire un contrappeso e riportare uguaglianza tra i lavoratori è stato previsto l’elemento perequativo in busta paga.

Come viene determinato l’elemento perequativo in busta paga

L’elemento perequativo viene determinato a livello di contrattazione nazionale, quindi nel CCNL di molte categorie di lavoratori, ad esempio nel comparto metalmeccanici è specificato che nelle aziende in cui non è presente la contrattazione aziendale di secondo livello, debba essere prevista la corresponsione dell’elemento perequativo in busta paga. Naturalmente l’ammontare degli importi nel tempo può cambiare e quindi al rinnovo dei contratti possono essere previsti degli aumenti. Per i metalmeccanici l’elemento perequativo previsto nel contratto è di 485 euro da corrispondere annualmente nel mese di giugno.

Nel contratto metalmeccanici è precisato che l’elemento perequativo spetta a tutti i lavoratori in forza dal primo gennaio di ogni anno al 31 gennaio. Nel caso in cui il rapporto di lavoro termini prima del mese di giugno, con le ultime spettanze si procede anche a liquidare in proporzione ai mesi effettivamente lavorati anche l’elemento perequativo. Inoltre spetta anche ai lavoratori somministrati, cioè con contratto di lavoro in somministrazione.

Il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro nel settore chimico-farmaceutico prevede diversi importi in base al livello di inquadramento. Per il livello di inquadramento più basso, cioè la categoria F è previsto un ammontare mensile di 21 euro, mentre per l’inquadramento più alto, cioè la categoria A, ammonta a 41 euro mensili. L’elemento perequativo è presente anche nei contratti dei dipendenti pubblici. In ogni caso non incide sul calcolo del TFR. Per conoscere l’ammontare del proprio elemento perequativo è necessario consultare quindi il CCNL del settore in cui si lavora.

Aziende: posso evitare di corrispondere ai lavoratori l’elemento perequativo?

Se sei un’azienda devi sapere che la corresponsione dell’elemento perequativo è obbligatorio, cioè le aziende che non hanno il secondo livello di contrattazione devono inserirlo e devono riconoscerlo nella misura prevista dalla legge. L’alternativa è introdurre in azienda una contrattazione di secondo livello che preveda dei premi legati alla produttività e ad altri elementi che naturalmente devono essere “contrattati” con le parti sociali e con le rappresentanze dei lavoratori che possono essere comunque previste anche in aziende di piccole dimensioni.

Ti starai chiedendo perché dovrei farlo? L’elemento perequativo in busta paga non differenzia tra i lavoratori, cioè non è legato a un meccanismo di meritocrazia e premialità e quindi non stimola i lavoratori a dare il meglio in azienda. Scegliendo di optare per la contrattazione di secondo livello con meccanismi premiali legati alla produttività, ai risultati ottenuti, fai in modo che la corresponsione dei premi sia legata a maggiori entrate dell’azienda e che allo stesso tempo il lavoratore sia stimolato a dare il meglio di sé e si senta gratificato.

Lavoro straordinario: concorre alla formazione del TFR?

Le ore di lavoro straordinario possono concorrere a formare l’imponibile per il Trattamento di fine rapporto (TFR)? E, in analoga situazione, i premi di produttività senza la percentuale agevolata del 10% valgono per il TFR? Per rispondere a queste domande è necessario rifarsi alla natura della prestazione come disciplinata dal Codice civile e al contesto lavorativo nel quale si svolgano ore di straordinario e si percepiscano premi.

Cos’è il Trattamento di fine rapporto?

Il Trattamento di fine rapporto è definito dall’articolo 1320 del Codice civile. Nella situazione di cessazione del rapporto di lavoro, “il prestatore di lavoro ha diritto a un trattamento di fine rapporto. Tale trattamento si calcola, sommando per ciascun anno di servizio, una quota pari e comunque non superiore all’importo della retribuzione dovuta per l’anno stesso divisa per 13,5. La quota è proporzionalmente ridotta per le frazioni di anno, computandosi come mese intero le frazioni di mese uguali o superiori a 15 giorni”.

Come si calcola il Trattamento di fine rapporto (TFR)?

Il Codice civile dispone, dunque, anche come si calcola il TFR. Pertanto, per ogni anno di attività prestata a un datore di lavoro, è necessario dividere la retribuzione annua per 13,5. Lo stesso calcolo può essere fatto moltiplicando la retribuzione annua per il 7,41%. Il risultato costituisce l’accantonamento della quota di TFR per l’anno preso in considerazione e al quale fa riferimento la retribuzione.

Esempio di calcolo del TFR

Facendo un esempio, se la retribuzione annua è di 20.000 euro lordi, il calcolo del TFR inerente l’anno di lavoro è pari a 1.481 euro lordi. Il risultato costituisce l’accantonamento del Trattamento di fine rapporto per l’anno al quale si riferisce la retribuzione.

Retribuzione utile ai fini del calcolo del TFR

Per comprendere pienamente se il lavoro straordinario rientra nel calcolo dell’imponibile utile ai fini del Trattamento di fine rapporto è necessario verificare cosa rientra nella retribuzione. Sempre l’articolo 2120 del Codice civile specifica che la retribuzione annua “comprende tutte le somme, compreso l’equivalente delle prestazioni in natura, corrisposte in dipendenza del rapporto di lavoro, a titolo non occasionale e con esclusione di quanto è corrisposto a titolo di rimborso spese”.

Lo straordinario rientra nel calcolo del Trattamento di fine rapporto?

Da quanto deriva dall’articolo 2120 del Codice civile, il lavoro straordinario rientra nella retribuzione utile ai fini del Trattamento di fine rapporto se viene svolto in maniera continuativa. Diversamente, lo straordinario non rientra se viene svolto in maniera occasionale.

Esempi di calcolo TFR con lavoro straordinario in busta paga

È il caso, ad esempio, di un dipendente che svolga lavori su turni, con la conseguenza di un frequente ricorso al lavoro straordinario. Le maggiorazioni che ne derivano nella busta paga concorrono a formare il TFR. Nel secondo caso, per straordinari svolti in via occasionale, figurano ore di straordinario pagate in busta paga ma queste non concorrono alla formazione dell’imponibile per il Trattamento di fine rapporto.

E i premi di produttività concorrono al calcolo del TFR?

I premi di produttività, soggetti a normale tassazione, concorrono sempre all’imponibile per il calcolo del Trattamento di fine rapporto. Si tratta, infatti, di una parte della retribuzione che non può definirsi “occasionale” e che esula dal concetto delle prestazioni meramente “a titolo non occasionale” di cui parla l’articolo 2120 del Codice civile.

Quali sono le voci della busta paga che rientrano nel calcolo del TFR?

È possibile, pertanto, fare un resoconto delle voci della busta paga che devono essere incluse nel calcolo dell’imponibile per il Trattamento di fine rapporto. Oltre allo stipendio base, rientrano:

  • il lavoro straordinario svolto in maniera non occasionale;
  • i premi di anzianità o di fedeltà;
  • le ferie non godute;
  • le festività non godute;
  • i premi di rendimento individuale;
  • la quota retributiva, pari al 50%, delle trasferte;
  • il lavoro all’estero;
  • le indennità di alloggio;
  • il lavoro svolto in maniera non occasionale di notte, nei festivi e durante le domeniche.

Cosa non rientra nel calcolo dell’imponibile per il TFR?

Dal calcolo dell’imponibile ai fini del calcolo del Trattamento di fine rapporto devono essere escluse le seguenti voci:

  • i rimborsi delle spese;
  • le liberalità che il datore di lavoro concede ma che non sono connesse al rapporto di lavoro. Si tratta, dunque, di compensi e premi relativi a occasioni particolari, che non hanno la caratteristica della continuità, come ad esempio il cinquantenario dell’azienda;
  • di conseguenza, ogni compenso corrisposto in maniera occasionale non rientra nel calcolo del TFR.

Busta paga sempre più povera

Siamo abituati a parlare e a sentir parlare degli effetti che la crisi ha sull’andamento della macroeconomia, ma non sempre ci fermiamo a riflettere su quanto incide nella vita di tutti i giorni e, soprattutto, sulle retribuzioni. In sostanza, quali sono gli effetti della crisi economica sulla busta paga degli italiani?

A questa domanda ha provato a dare una risposta l’Osservatorio JobPricing, costruito in collaborazione con il sito di Repubblica.it. E ha provato a darla basando la propria analisi sui dati forniti dai lettori del quotidiano in merito alla propria busta paga.

Si tratta quindi di dati parziali, che non rivestono un valore statistico rilevante ma che aiutano a capire come, dall’inizio della crisi (2008) a oggi, la contrazione dell’economia non abbia influito negativamente solo sull’occupazione ma anche sulla busta paga di molti di noi.

Secondo l’osservatorio, negli ultimi 7 anni gli stipendi più penalizzati dalla crisi sono stati quelli agli estremi opposti della catena produttiva: gli operai hanno perso quasi 1.700 euro di potere d’acquisto complessivo e i dirigenti si sono trovati un totale di quasi 6mila euro in meno in busta paga.

I livelli intermedi come quelli degli impiegati hanno tenuto botta (-254 euro), mentre una ai quadri è andata decisamente peggio: -4mila euro e più.

Nel realizzare la propria indagine, JobPricing ha preso come base la Ral nella parte fissa, calcolando la perdita del potere d’acquisto sull’inflazione Istat per i beni ad altra frequenza d’acquisto. Il risultato: busta paga sempre più povera, grazie alla crisi.

Col nuovo millennio la busta dei dipendenti è rimasta al palo

Aumenti pressochè inesistenti nelle busta paga dei dipendenti nei primi 10 anni del nuovo millennio. Le retribuzioni medie reali nette dal 2000 al 2010, infatti, sono aumentate solo di 29 euro, passando da 1.410 a 1.439 euro (+2%). E’ quanto emerge dalle tabelle contenute nella relazione annuale di Bankitalia. Risultati su cui pesa, ovviamente, la crisi economica e gli interventi che hanno toccato in particolare gli statali. Su cui, per il momento, sembra scampato il pericolo di un taglio delle tredicesime.

Dai dati emerge inoltre che il gap tra Centro-Nord e Sud-isole non arresta la sua corsa: l’incremento è stato del 2,5% contro lo 0,7%. In termini reali, al Centro-Nord si è passati da 1.466 euro del 2000 a 1.503 euro del 2010, con un aumento di 64 euro; mentre nel Mezzogiorno le retribuzioni passano da 1.267 euro a 1.276 euro, con una crescita di soli 9 euro. Rispetto alla media nazionale, le retribuzioni si attestano a un +4% per i lavoratori del Centro-Nord e -10,1% per quelli di Sud e isole, mentre 10 anni dopo di arriva a +4,4% e -11,3%.

I grafici mostrano anche gli effetti negativi che la crisi ha avuto sulle retribuzioni; secondo le rilevazioni condotte con cadenza biennale, emerge che nel 2006 le retribuzioni medie arrivavano a 1.489 euro, due anni dopo (con l’inizio della crisi) erano scese a 1.442 euro, e nel 2010 la situazione era ulteriormente peggiorata, arrivando a 1.439 euro. La riduzione in termini reali, in quattro anni, è stata di 50 euro (-3,3%).

In generale, la crisi ha influito sulle buste paga di tutti i lavoratori dello stivale: nel Centro-Nord del paese la riduzione è stata di 46 euro (-2,9%), mentre nel Sud e isole il taglio è stato di 56 euro (-4,2%). Le differenze restano notevoli anche tra i due sessi; con gli uomini che sono passati da 1.539 euro a 1.586 euro (+47 euro), e le donne, che partivano da 1.220 euro e sono arrivate e 1.253 euro (+35 euro).

Tra il 2008 e il 2010, le retribuzioni reali mensili pro capite dei lavoratori a tempo pieno, al netto di imposte e contributi sociali, spiega Bankitalia, sono cresciute dello 0,8% (2% per le donne). Nello stesso periodo, la quota dei lavoratori a bassa retribuzione è salita di tre decimi di punto percentuale, al 9,4%. Palazzo Koch spiega che, proprio a causa dell’espansione del part-time, le retribuzioni nette medie per il totale dei lavoratori dipendenti sono diminuite dello 0,2%, riflettendo esclusivamente il calo del Mezzogiorno.

In busta paga gli effetti di nuove addizionali Irpef

Gli effetti delle nuove addizionali Irpef regionali e comunali arrivano nel cedolino. Da questo mese, infatti, “i lavoratori dipendenti e i pensionati pagheranno il loro tributo al salvataggio del Paese” e, “a parità di reddito, la differenza tra chi sborsa di più e chi di meno la fa la città in cui si pagano le tasse”, mentre “l’aumento delle addizionali regionali è per tutti dello 0,33%”.

A spiegare l’impatto in busta paga degli aumenti è il Consiglio nazionale dell’Ordine dei consulenti del lavoro, che ha elaborato circa 7 milioni di rapporti di lavoro riferiti al mese di marzo 2012 e messo a confronto 2012 e 2010. Si precisa, infatti, che “gli aumenti introdotti nel corso del mese di dicembre 2011 riguardano contemporaneamente il 2011 e il 2012, pertanto se si vuole vedere l’aumento rispetto al passato bisogna retroagire al 2010”.

Gli scaglioni di reddito interessati sono pari a 20.000 euro, 40.000 euro e 60.000 euro e il calcolo è effettuato sullo stipendio lordo annuo. In ciascuna provincia e per ciascuno scaglione di reddito, sono stati fatti i confronti con i singoli prelievi che sono con segno positivo (maggiore prelievo) e automaticamente è stato messo in evidenza quanto diminuisce il netto in busta (con segno negativo).

Così, si scopre che nel Lazio il netto in busta paga scende complessivamente di 86 euro su un reddito di 20mila euro l’anno, di 172 su 40mila e di 258 su 60mila. In Lombardia, il netto diminuisce di 65,48 euro per il primo scaglione, di 210,46 per il secondo e di 316,46 per il terzo. In Puglia, la perdita è, rispettivamente, di 126 euro, 276 e 442 euro. Secondo i calcoli dei consulenti del lavoro, poi, uno stesso ‘destino’ accomuna i redditi di Friuli Venezia Giulia, Veneto, Emilia Romagna, Campania, Sicilia: si perdono 66 euro su 20mila annui, 132 euro su 40mila e 198 euro su 60mila.

Fonte: adnkronos.com