Successo in Germania per Moda Made in Italy, fiera della calzatura

Si è chiusa lo scorso 21 marzo al MOC, Munich Order Center di Monaco di Baviera, la 48esima edizione di Moda Made in Italy, la manifestazione organizzata da Assocalzaturifici che ormai è diventata un punto di riferimento per il mondo delle calzature in Germania, tanto che quest’anno ha registrato 1400 presenze.

Alla fiera hanno partecipato ben 215 marchi, con un’esposizione che gi presentava le novità per le collezioni autunno-inverno 2017/2018.

Ha avuto buon successo anche lo stand dedicato all’artigianato di qualità Made in Italy, dove era possibile assistere in diretta alla creazione della scarpa italiana, grazie all’abilità degli artigiani calzaturieri.
Ciò, oltre all’affluenza così massiccia, ha dimostrato come la Germania rappresenti un mercato fondamentale per l’Italia, tanto da assorbire il 17% del totale dell’export di casa nostra.

A questo proposito, Giovanna Ceolini, vice presidente di Assocalzaturifici, ha dichiarato: “Moda Made in Italy è un appuntamento immancabile per il mondo della calzatura in Germania. La manifestazione ha confermato la propria centralità per tutte le imprese che lavorano per il mercato tedesco che nel 2016, dopo il recupero del 2015, ha mostrato positivi segnali di tenuta, in un contesto mondiale della domanda generalmente poco premiante. E il suo ruolo di piattaforma di business strategica che copre un’area significativa che va dalla Svizzera all’Austria fino alla Repubblica Ceca. La nostra fiera vuol dire business a trecentosessanta gradi. Proprio per questo, Assocalzaturifici ha in programma un piano di rafforzamento e valorizzazione della manifestazione perché buyer ed espositori trovino ambienti più accoglienti, dallo stile moderno e funzionale, grazie all’introduzione di una serie di novità che renderanno più alto il livello dei servizi a disposizione delle aziende espositrici e dei nostri visitatori”.

Appuntamento alla prossima edizione di Moda Made in Italy, in programma dal 6 all’8 ottobre 2017 sempre a Monaco.

Vera MORETTI

Assocalzaturifici, ritorno al passato guardando al futuro

Si è svolta venerdì a Milano l’assemblea annuale di Assoclzaturifici, dedicata al tema “Manifattura 2.0 o ritorno al futuro?”.

Al centro del dibattito c’è la tendenza che vede un ritorno al passato, con le produzioni che ritornano a lavorare in Italia, e il desiderio di adottare strategie che possano tutelare al meglio l’eccellenza produttiva italiana, alla luce anche della battaglia a livello europeo per l’etichettatira Made in, supportata dal voto del Parlamento europeo di aprile e ora al vaglio del Consiglio.

Ma ora le aziende del settore, senza smettere di guardare al futuro, ritornano al passato e ne hanno ben donde.
Le imprese che, negli anni Novanta, hanno resistito alla tentazione di delocalizzare la propria produzione, sono ora premiate con bilanci positivi, ben migliori rispetto a chi, invece, aveva ceduto alle lusinghe estere.

Ciò è accaduto perché, nonostante i costi maggiori che comporta produrre in Italia, è proprio qui, tra i confini domestici, che sono garantiti l’alta artigianalità, il saper fare, la tradizione ultrasecolare che certo non si trovano in Romania o in Tunisia.

L’argomento è stato affrontato da Cristina Tajani, assessore alla moda e design del Comune di Milano, che ha introdotto i lavori, seguita poi dalla relazione sull’andamento del settore da parte del presidente di Assocalzaturifici, il maceratese Cleto Sagripanti.
Non è mancata una tavola rotonda moderata da Ilaria D’Amico, alla quale hanno partecipato Giuseppe De Rita, Dario Di Vico, Marco Fortis, Luca Paolazzi.

Vera MORETTI

Le scarpe italiane sfilano al MOC

Trasferta tedesca per le calzature italiane, uno dei settori che rappresentano l’eccellenza dell’artigianalità e della qualità del Belpaese.

La crisi, che si è fatta sentire anche su questo comparto, è stata per ora messa da parte, per non perdere la ghiotta occasione di esporre al MOC, Munich Order Center, oggi e domani, a Monaco di Baviera.

Assocalzaturifici ha deciso di inviare nella città bavarese ben 145 aziende italiane, per un totale di 315 brand presenti nello spazio espositivo.
In questa occasione, fanno mostra di sé le collezioni autunno/inverno 2014/15, e ci si augura che, ancora una volta, il Made in Italy possa conquistare il pubblico straniero.

Nei primi 11 mesi del 2013, l’export verso la Germania è aumentato rispetto alle contrazioni registrate nell’anno precedente, dello 0,8%, pari a 806.63 milioni di euro.

Ovviamente, il MOC rappresenta una vetrina non solo per presentarsi al pubblico tedesco, ma a tutta l’Europa settentrionale, Svizzera e Austria comprese e i contatti che questo importante evento potrà contribuire a creare, rappresenta senza dubbio un’opportunità da non perdere, anche e soprattutto per uscire dalla crisi.

Vera MORETTI

Scarpe di lusso: sempre più difficile produrle in Italia

L’Italia è conosciuta nel mondo soprattutto per la moda, anche quando riguarda le calzature.
Non a caso, i marchi più amati e conosciuti al mondo vedono la luce tra i nostri confini nazionali.
Qualche nome? Si comincia da Fratelli Rossetti, Santoni e Ballin, per arrivare a Roger Vivier, Church’s e Fabi. Tutti i primi della classe arrivano da qui.

La maggior parte dei produttori di calzature di alta gamma ha il suo quartier generale tra le Marche, la Toscana e la Lombardia, dove sono presenti i più importanti distretti del settore.
Qualità della lavorazione, unita alla tradizione italiana che passa di generazione in generazione, rendono impensabile delocalizzare la produzione, anche se ultimamente la vita di chi produce calzature sta diventando particolarmente faticosa.

Il motivo principale è che operare in Italia comporta una serie di costi e obbliga le aziende a sottostare ad un regime di pressione fiscale che sta rendendo la situazione quasi insostenibile.

Tra gli svantaggi del produrre in Italia, Diego Rossetti ha individuato anche “il talvolta elevato costo del lavoro, la fiscalità stringente e lo scarso accesso a capitali per il debutto di aziende/designer emergenti oppure per sostenere le politiche di crescita internazionali; parliamo quindi di svantaggi legati a un contesto e non di specifici difetti intrinseci al sistema della calzatura“.

Cleto Sagripanti, presidente di Assocalzaturifici, ha inoltre aggiunto: “Se dopo tanti anni non siamo ancora riusciti ad approvare un regolamento comunitario sulla etichettatura “made-in” significa che manca una visione strategica sul mercato europeo. Oggi, pur in Paesi dell’Unione che vedono i consumi crescere, la domanda è in mano a importatori che speculano su prodotti a basso prezzo e a bassa qualità con margini enormi e senza che il consumatore ne sia informato. Non siamo contro la delocalizzazione, siamo contro chi delocalizza nascondendosi dietro l’assenza di regole e quindi senza la necessità di dichiarare dove viene fatta la produzione. Anche nel nostro continente si rischia di innescare una battaglia di puro prezzo che finisce per rendere insostenibile la produzione in Europa anche per la fascia alta del mercato, perché il consumatore non è in grado di sapere ciò che è prodotto fuori dai confini europei“.

Ad oggi, l’83% delle calzature di alta gamma prodotte in Italia viene venduto all’estero, e, se quindi fuori dai confini nazionali la crescita è continua, tra le mura domestiche sta diminuendo sempre di più, e questa non è una buona notizia, neanche a fronte degli ottimi risultati che arrivano dall’export, perché, come ha spiegato Sagripanti: “senza una domanda interna qualificata, la stessa industria nazionale finisce per perdere uno degli elementi distintivi che hanno marcato il suo successo all’estero“.

Per ora, è stato rilevato che le esportazioni, per l’anno 2013, hanno registrato un aumento del 5,6%, con un volume d’affari assestato intorno al 2,6%.
Le vendite sono andate bene dovunque, anche tra i Paesi Ue, con exploit della Francia (+9,5%) e della Germania (+1,8) in recupero rispetto agli anni precedenti,

Vera MORETTI

CafèNoir debutta nell’abbigliamento femminile

CafèNoir è pronto ad un importante debutto: l’azienda di San Miniato Basso, in provincia di Pisa, che dagli anni Novanta produce calzature e pelletteria di lusso, sta per lanciare i modelli della nuovissima collezione di abbigliamento femminile.

Dopo scarpe ed accessori di alta gamma, dunque, arrivano felpe, capispalla e pantaloni dedicati a un pubblico femminile di età compresa fra i 25 e i 40 anni.
Saranno capi easy e casual che, da gennaio, approderanno in 400 speciality store dislocati su tutto il territorio nazionale, ma soprattutto nei nuovi glam store firmati CafèNoir, ovvero quattro negozi monomarca, due dei quali si trovano a Firenze, mentre gli altri due sono all’interno di OrioCenter, mall dell’aeroporto di Orio al Serio, e a Pechino, nello shopping center Solana.

Ma i lavori fervono per la prossima apertura di un monomarca a Villesse.

Stefano Peruzzi, socio e direttore generale del marchio, ha presentato così il progetto: “L’abbigliamento, grazie anche a congrui investimenti pubblicitari, sta già dando ottimi risultati di vendita, ed è stato testato nelle nostre boutique dal settembre 2012. Oggi ci sembra il passo più importante di una strategia di crescita che, passando per la diversificazione mediante il lancio di nuove categorie merceologiche, culmina nell’apertura di nuovi negozi monomarca: per il 2014 ne abbiamo in programma almeno 4 nei paesi dell’ex Unione Sovietica, Russia compresa dove siamo approdati dal 2008“.

Ovviamente l’export è considerato importante per il lancio della nuova linea, anche perché il 30% del fatturato del brand viene coperto dall’eurozona, con Germania, Francia, Spagna e Portogallo in testa, che nel 2012 ha fruttato 35 milioni di euro: un risultato che secondo le previsioni dei piani alti della società tricolore oggi guidata oltre che da Peruzzi anche da Riccardo Panzarasa e Fabrizio Mazzantini, rimarrà stabile per il 2013, anche se penalizzato dalla perdita di quote in Grecia, recuperate dagli altri mercati di Eurolandia, “ma entro tre anni è nostro obbiettivo portare l’export a generare il 50% del nostro giro d’affari“.

Nonostante ciò, comunque, l’Italia rimane il mercato più importante, a dimostrazione che il punto di forza di CafèNoir è l’essenza Made in Italy che da sempre si porta con sé: “La parte più artigianale delle nostre collezioni di borse e calzature è realizzata dai laboratori terzisti di Toscana, Emilia Romagna e Veneto che lavorano in esclusiva per noi; e poi la nostra sede si trova a pochi chilometri da Santa Croce sull’Arno, ribattezzato il “comprensorio del cuoio”, ossia il distretto conciario a cui attingono i grandi marchi del lusso italiano per la ricerca sui pellami più pregiati applicati a borse e scarpe”.

A bollire in pentola c’è anche un importante progetto che coinvolge gli Stati Uniti: “Stiamo esplorando il mercato americano e abbiamo ottimi contatti ma per ora non possiamo dire di più“.

Vera MORETTI

Crisi per le calzature italiane

Le calzature italiane, famose ed apprezzate in tutto il mondo per qualità e tradizione artigiana, stanno attraversando un periodo di “sofferenza”.
A mancare non è certo la creatività, né il pregio, che ancora rappresentano i simboli del lusso Made in Italy. Ciò che scarseggia sono i soldi, sempre meno nelle tasche dei potenziali acquirenti, a causa di una crisi ormai senza fine.

Per questo motivo, il settore ha registrato, nel periodo gennaio-aprile 2013, un calo degli ordini dello 0,9%, determinato da una flessione dell’8,7% della domanda interna, bilanciata solo in parte dal +3,6% dell’export.

Meglio in trasferta piuttosto che in casa? A quanto pare sì, come i dati diffusi da Assocalzaturifici hanno dimostrato.
Fra i paesi esteri che hanno sostenuto la domanda ci sono gli Stati Uniti (+42,2%), clienti affezionati ai prodotti Made in Italy, ma soprattutto i Paesi emergenti, tra i quali spiccano Russia (+49,2%), Giappone (+34,8%), ma soprattutto Cina e Hong Kong (+70,8%).

Nonostante queste percentuali siano in forte salita, il 2012 non è stato un anno positivo per il comparto calzaturiero, poiché ben 250 imprese sono state costrette a chiudere, a danno di 1.700 addetti.
Peggio sta andando l’anno in corso, poiché nei primi tre mesi del 2013 sono andati persi quasi altri 1.000 addetti e 83 calzaturifici, quasi uno al giorno.

Cleto Sagripanti, presidente di Assocalzaturifici, ha dichiarato: “Il dato dei consumi interni pone con forza la necessità di rilanciare la crescita nel nostro Paese. Le ricette le diciamo da tempo, così come le ripete Confindustria: l’alleggerimento della pressione fiscale eccessiva, a cui oggi si corre il rischio di dover aggiungere la fiscalità locale; l’iniezione di liquidità nel sistema, che seppure è presente non si trasmette alle imprese e ai cittadini; infine la modernizzazione della Pubblica Amministrazione, che oggi è una priorità perché il mondo è globalizzato e corre veloce“.

Vera MORETTI

Scarpe italiane in viaggio per il mondo

 

Si è conclusa da poco la sua edizione milanese, ma MICAM pensa già a volare verso Oriente: dal 9 all’11 aprile infatti si terrà theMICAMshanghai, prima tappa di un progetto più ampio che prevede di portare la fiera della calzatura più importante in Italia a spasso per il mondo. Del resto se il settore calzaturiero del made in Italy ha raggiunto nel 2012 i 3,8 miliardi, il merito è soprattutto dei Paesi extra europei e dei mercati emergenti, dove la domanda continua ad essere trainante.

Infoiva chiude la settimana dedicata alla filiera della calzatura italiana con un’intervista a Cleto Sagripanti, Presidente di ANCI, l’Associazione Nazionale dei Calzaturifici Italiani.

Il 2012 si chiude per il settore calzaturiero tra luci e ombre e il 2013 non si è aperto diversamente. Quali le sensazioni dall’osservatorio privilegiato di ANCI?
Il 2012 è stato un anno difficile per l’economia italiana e il 2013 si è aperto con la riconferma delle criticità sul fronte produttivo e occupazionale, con ovvie conseguenze sul reddito disponibile, sul clima di fiducia delle famiglie e sui consumi. L’auspicata ripresa appare, ancora una volta, rinviata a data da destinarsi. Il calzaturiero, dopo i recuperi del 2010 e 2011, ha dovuto fare i conti nel 2012 con una sensibile contrazione dei consumi nazionali e con il peggioramento della domanda estera, soprattutto sui mercati dell’Unione Europea, che assorbono ben il 70% dei flussi e sui quali viene realizzato il 54% delle vendite estere in valore. Nonostante il quadro negativo, il settore calzaturiero nel suo complesso dà un contributo importante al Paese: il saldo commerciale nei dati preconsuntivi raggiungerebbe i 3,8 miliardi di euro, con un aumento del 12,6% rispetto al 2011. Ciò è dovuto non solo alla tenuta delle esportazioni, soprattutto trainate dalle vendite nei paesi extra-UE, ma anche da una forte frenata delle importazioni. In ogni caso, i numeri che emergono dal preconsuntivo elaborato da ANCI non lasciano dubbi sul momento di difficoltà per il settore: nonostante i buoni risultati degli anni post crisi oggi dobbiamo commentare dati non soddisfacenti in relazione agli sforzi che hanno fatto e stanno facendo le aziende sui prodotti e sugli strumenti commerciali.

Quali sono, oggi, i punti di debolezza e quali quelli di forza della filiera italiana delle calzature?
Oltre alla forte contrazione sul mercato interno, che da anni ormai non è in grado non soltanto di crescere, ma nemmeno di confermare i dati dell’anno precedente, si aggiungono altre difficoltà: vi sono imprese che ormai si rifiutano di lavorare con l’Italia in cui i comportamenti scorretti come i pagamenti ritardati indefinitamente o addirittura gli insoluti sono diventati frequentissimi. Questo non è altro che l’esito di una pressione fiscale eccessiva che risale la filiera e che finisce per danneggiare le imprese due volte, quando pagano le tasse e quando fanno da banca impropria al proprio cliente. Senza contare che la giustizia civile così lenta e inefficiente finisce per allontanare non solo gli investitori stranieri, ma le stesse imprese italiane che trovano all’estero un rischio insoluto inferiore. Tra gli altri mali che affliggono il nostro tessuto produttivo ci sono inoltre la contraffazione e la mancanza di politiche efficaci per l’occupazione e per l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro.
Ma le aziende hanno saputo rimboccarsi le maniche rispondendo alle difficoltà con il cambiamento. Il vero punto di forza della nostra filiera in questi ultimi anni è stato infatti il processo di ripensamento strutturale delle imprese, di cui l’Associazione è promotrice e testimone. Le imprese hanno investito di più in creatività e proposte innovative, ma hanno anche saputo integrare all’antico sapere industriale e creativo quello commerciale e di servizio al cliente. Per questo, il settore ha bisogno di supporti maggiori sia sul fronte della defiscalizzazione delle spese di campionario sia sul fronte della promozione.

Il settore calzaturiero è in grado di fare sistema o ancora si procede in ordine sparso?
Tutti i temi e le battaglie di ANCI hanno senso proprio perché tutti insieme viaggiamo in un’unica direzione. La posta in gioco è troppo alta per permetterci di muoverci da soli, lasciando spazio ai particolarismi. ANCI è un’Associazione forte, che ha saputo confermarsi come strumento reale per fare sistema e permettere di far sentire la propria voce a tutte le aziende calzaturiere, anche a quelle piccole e medie imprese che sono il tessuto e la storia di questo Paese. Penso ad esempio ai tanti sforzi presso le istituzioni europee per ottenere l’etichettatura made in, una battaglia non ancora conclusa ma che si avvia verso una fase cruciale, fondamentale per tutelare la nostra tradizione manifatturiera e la nostra eccellenza produttiva. Una sfida che ANCI ha portato avanti unendo le voci, le istanze e gli sforzi delle aziende calzaturiere italiane.

Nuovi mercati emergenti: più una risorsa per l’export o una minaccia per la concorrenza a basso costo?
Le esportazioni italiane di calzature hanno registrato, secondo i dati Istat dei primi 11 mesi 2012, un incremento del +3,1% in valore, raggiungendo la cifra record di 7,1 miliardi di euro, pur con una flessione del -6,3% in quantità. I prezzi medi – nonostante la severità del contesto economico in molti dei nostri principali Paesi clienti – sono aumentati del 10%, a testimonianza dell’appeal invariato dei prodotti made in Italy.
Per diventare sempre più competitivi ANCI sta promuovendo importanti progetti come theMICAM nel mondo, la cui prima tappa sarà theMICAMshanghai dal 9 all’11 aprile. L’eccellenza italiana è il nostro biglietto da visita e non può essere certo minacciata dalla concorrenza a basso costo, ma non basta. Occorre imparare, conoscere ed esplorare e l’impegno di ANCI è proprio quello di aiutare il posizionamento delle aziende e la loro penetrazione sui nuovi mercati strategici.

Quali sono le prime istanze o richieste che, come ANCI, presenterete al nuovo Governo?
Il mercato non aspetta, eppure questa convinzione sembrano averla solo le imprese e i lavoratori: l’economia reale, quella che da anni attende risposte sul cuneo fiscale e sull’Irap, sembra essere utile solo quando è fonte di reddito fiscale oppure quando serve a coprire i buchi di bilancio. L’ingovernabilità pesa non soltanto sui mercati finanziari ma anche sulle imprese, e in particolare quelle calzaturiere che da anni attendono risposte efficaci. È sempre più urgente, in un momento così complicato del nostro Paese, tornare a parlare di economia reale: da qui nascono le nostre proposte come il recupero di uno strumento finanziario come era la legge 1083, la quale permetteva a soggetti istituzionali nazionali, come le Associazioni di categoria, di finanziare progetti di alto livello, come theMICAMshanghai. Se progetti simili hanno l’ambizione di indicare una via alle aziende e alle Istituzioni che le devono supportare, è altrettanto importante che queste ultime diano segnali di vicinanza reale al mondo delle imprese che sta vivendo un momento molto difficile. Il supporto all’internazionalizzazione, l’abbassamento del cuneo fiscale, le agevolazioni fiscali per le attività di ricerca e sviluppo e le misure per facilitare il credito sono ormai diventati una questione di sopravvivenza per tanti imprenditori.

Che cosa si sente di dire come incoraggiamento per questo 2013 alle migliaia di piccole imprese che operano nel settore calzaturiero?
In un momento così delicato, ma anche carico di possibilità e aperto a nuovi scenari, occorre dare speranza e fiducia alle imprese non con le parole e gli slogan, ma con impegni e fatti concreti. ANCI vuole proprio fare questo, ascoltando e unendo le voci delle aziende per dialogare con i partner istituzionali a vario livello con la forza della propria credibilità e coerenza e anche con durezza, se necessario, gettando così le basi concrete per il futuro per cogliere le opportunità che il mondo e i nuovi mercati ci offrono.

Davide PASSONI