Negozi aperti anche di domenica e nei festivi? No, grazie

Se ne parla in occasione di ogni festività, e infatti l’argomento è emerso anche ieri, 1 maggio, festa del lavoro.
La domanda è sempre quella: è vero oppure no che gli italiani vogliono i negozi aperti sette giorni su sette, feste incluse?

Se sembrava che la risposta fosse uno scontato si, in realtà agli italiani la prospettiva di trascorrere domenica e tutte le feste in un centro commerciale non piace molto, anzi, la evitano volentieri!

Un’indagine condotta da Confesercenti, infatti, ha testimoniato che ben il 62% è favorevole ad introdurre una limitazione delle aperture festive delle attività commerciali.
Niente shopping 24 ore su 24? A quanto pare non è in cima ai desideri degli italiani, i quali, al contrario, capiscono cosa implichi, soprattutto per i piccoli esercenti, rimanere aperti senza sosta, per non lasciarsi sopraffare dalla spietata concorrenza dei centri commerciali, sempre più minacciosi per i negozi di quartiere.

E’ proprio questa consapevolezza che frena il pensiero degli intervistati: ben il 71% di loro, infatti, segnala che negli ultimi due anni ha assistito alla chiusura di parecchi negozi di quartiere, dopo decenni di attività, mentre il 66% ha visto crescere il numero di locali sfitti o che hanno cambiato tipologia di attività, passando dal commercio alla ristorazione o ai servizi.

Questo significa che i consumatori la pensano esattamente come i commercianti, i quali, comunque, sono in maggiore affanno perché la liberalizzazione degli orari spesso li obbliga ad essere aperti 30 giorni al mese, senza mai una vera e propria sosta. Per chi ha un’attività commerciale, infatti, e per la precisione per il 61% di essi, il regime di apertura continua ha danneggiato la propria attività, contro appena un 12% che dichiara effetti positivi.

Ala luce di questi risultati, Confesercenti ha deciso di proporre 12 chiusure festive e domenicali obbligatorie durante l’anno, con la possibilità da parte dei sindaci di raddoppiarle o annullarle a seconda delle esigenze del territorio.
Si tratta di una proposta che riscuote il favore quasi unanime dei commercianti: tra gli intervistati si è detto favorevole l’87%, contro un 4% di contrari e un 9% di incerti.

Massimo Vivoli, presidente di Confesercenti, ha dichiarato in proposito: “La nostra proposta prevede di passare dalla deregulation totale ad un minimo di regolamentazione, ragionevole e assolutamente compatibile con i principi e le prassi prevalenti in Europa in materia di libertà di concorrenza. Monti aveva promesso che con questa liberalizzazione sarebbe aumentato il Pil, sarebbe aumentata l’occupazione, si sarebbe stimolata una maggior concorrenza. Tutte e tre queste cose sono risultate non vere. Gli unici effetti certi rilevati con certezza sono stati la compressione dei diritti dei piccoli imprenditori e lo spostamento di quote di mercato – il 3%, pari a 7 miliardi di fatturato – dai negozi tradizionali alla grande distribuzione. È chiaro che noi non chiediamo di stare chiusi sempre, ma di restare aperti solo quando e dove necessario, come ad esempio nelle località turistiche, per predisporre un programma di aperture attento alle esigenze dei consumatori ma anche di chi lavora e di quel modello distributivo italiano che è, storicamente, fatto di piccole e medie imprese”.

Vera MORETTI

Vendite al dettaglio in calo

Il primo trimestre 2013 è stato caratterizzato da un calo delle vendite al dettaglio, con una contrazione dello 0,3% nel solo mese di marzo.

Rispetto al trimestre precedente, il calo è dello 0,8%, ma, in confronto a febbraio, nel terzo mese del primo trimestre 2013 sono aumentate le vendite di prodotti alimentari (+0,4%), mentre sono diminuite quelle di prodotti non alimentari (-0,8%).
Rispetto a marzo 2012, l’indice grezzo del totale delle vendite segna una flessione del 3,0%, sintesi di un aumento del 2% delle vendite di prodotti alimentari e di un calo del 6,1% di quelle di prodotti non alimentari.

Le vendite hanno registrato, sempre confrontate con marzo 2012, un aumento per la grande distribuzione (+1,3%) e un calo rilevante per le imprese operanti su piccole superfici (-6,6%). Nei primi tre mesi del 2013 l’indice grezzo diminuisce del 3,4% rispetto allo stesso periodo del 2012.

L’Istat rivela che nel confronto con il mese di marzo 2012, si registra un aumento dell’1,3% per le vendite delle imprese della grande distribuzione e un calo del 6,6% per quelle delle imprese operanti su piccole superfici.
Per quanto riguarda la grande distribuzione, le vendite sono aumentate del 3,8% per i prodotti alimentati, ma diminuite del 2,5% per quelli non alimentari.
Le imprese operanti su piccole superfici, invece, sono calate sia le vendite di prodotti alimentari (-2,4%) sia per quelli non alimentari (-7,7%).

Sempre a marzo, tra le imprese della grande distribuzione si rileva un aumento tendenziale per gli esercizi non specializzati (+1,9%), e una diminuzione per quelli specializzati (-2,2%). Tra i primi, in aumento del 2,4% le vendite degli esercizi a prevalenza alimentare mentre diminuiscono del 2,9% quelle degli esercizi a prevalenza non alimentare.

Guardando nel dettaglio agli esercizi non specializzati a prevalenza alimentare, sono in aumento le vendite per i discount (+4,8%), per i supermercati (+2,1%) e per gli ipermercati (+1,5%).
Con riferimento alla dimensione delle imprese, a marzo il valore delle vendite diminuisce, in termini tendenziali, del 6,4% nelle imprese fino a 5 addetti, del 5,1% nelle imprese da 6 a 49 addetti e aumenta dello 0,4% in quelle con almeno 50 addetti.

Per quanto riguarda il valore delle vendite di prodotti non alimentari, a marzo si sono registrati dati negativi per tutti i gruppi di prodotti, a cominciare da Abbigliamento e pellicceria (-9,0%) e Calzature, articoli in cuoio e da viaggio (-8,8%); quelle più contenute riguardano i gruppi Prodotti di profumeria, cura della persona (-1,4%) e Dotazioni per l’informatica, telecomunicazioni, telefonia (-2,1%).

Vera MORETTI

Se i saldi vanno in saldo

 

Tempo di acquisti da mettere sotto l’albero anche nella capitale. Se le previsioni sui consumi degli italiani, come a Milano, non sembrano allettanti, la domanda da porsi è: i saldi di gennaio saranno ancora un salvagente per gli acquisti degli italiani?

Infoiva lo ha chiesto a Gianni Battistoni, Presidente dell’Associazione di Via Condotti, luogo storico delle shopping e delle grandi boutique del made in Italy a Roma.

Le previsioni per i consumi del prossimo Natale non sono incoraggianti. Quali saranno, secondo voi i trend di spesa degli italiani?
Via Condotti attende con fiducia e ottimismo la clientela italiana e straniera per gli acquisti del prossimo Natale. Le vetrine sono molto attraenti e gli arredi natalizi creano un’atmosfera propizia per acquistare doni utili e significativi.

Che cosa maggiormente scoraggia alla spesa per questo Natale? Incertezza, strette fiscali, limiti alle spese in contanti… ?
Le incombenze fiscali dei mesi di novembre e dicembre hanno operato un forte drenaggio dei capitali. L’incertezza ha una sua rilevanza nella flessione degli acquisti ma sono soprattutto le norme relative ai vari sistemi di pagamento che creano gli ostacoli maggiori.

Sul fronte dei limiti alle spese in contanti, il tetto di 1000 euro imposto dal decreto Salva Italia, che conseguenze ha avuto o avrà sugli acquisti (soprattutto di compratori stranieri) in via Condotti?
Nonostante la simpatia con la quale la stragrande maggioranza degli italiani ha accolto il governo Monti, credo che in alcune norme abbia peccato di miopia. Tra queste il tetto di 1000 euro che, anziché Salva Italia, andrebbe ribattezzato Affossa Italia. Le faccio un esempio: quest’estate in Corsica era esposto un grosso striscione con su scritto: “Merci Monsieur Montì”, e lo stesso è successo in Costa azzurra, a Montecarlo, in Grecia e nell’ex Jugoslavia. Norme come il tetto imposto di 1000 euro per gli acquisti in contanti andavano perlomeno concordate ed armonizzate con quanto vigente negli altri membri della comunità. Ha ragione Oscar Giannino nell’ affermare che in certi campi i “professori” si sono dimostrati dei veri e propri somari (una per tutti?La tassa sugli elicotteri: introito previsto 40 milioni, incassato 1 milioni con gravi danni all’industria). Dal canto nostro, il fascino di Via Condotti fortunatamente è tale che i Clienti sia italiani che stranieri credo che faranno qui i loro acquisti di Natale. Ma quanti altri opteranno per le condizioni più agevoli (di pagamento) dei Paesi confinanti?

In che percentuale le boutique di Via Condotti aderiranno all’ iniziativa delle promozioni anticipate pre Natale? Secondo lei si tratta di una valida iniziativa?
Non mi risulta che le aziende di Via Condotti effettuino delle vere e proprie promozioni pre natalizie, tuttavia ognuna potrà riservare, a sua discrezione, facilitazioni alla propria clientela. Ed in questi periodi un incoraggiamento in tal senso non guasta…

Capitolo saldi: sono ancora il salvagente di una stagione, o la gente non ne ha più nemmeno per aspettare il 5 gennaio?
Con l’apertura dei numerosi centri commerciali (spesso in vendita promozionale) e degli outlet che effettuano saldi tutto l’anno, stabilire per legge una data per poter effettuare i saldi è una grossa idiozia. Aggiungo una riflessione: credo che la legge sia anche illegittima in quanto le aziende non hanno un prezzo di vendita imposto e di conseguenza, se non danno pubblicità alla parola saldi (ovvero non espongono il consueto cartello) ipoteticamente – e praticamente – possono applicare il prezzo che vogliono, quando vogliono.

Secondo le sue previsioni, i saldi partiranno da riduzioni più alte rispetto agli anni passati?
Più o meno ritengo che le percentuali di sconto saranno simili a quelle degli anni precedenti.

Il 2013 sarà l’anno delle elezioni. Quali politiche chiedete al governo attuale, nella sua ultima fase, e a quello nuovo per rilanciare il sistema Paese?
Forse sarà meglio chiedere una politica di rilancio del sistema Paese al nuovo governo, sperando che lo inserisca come priorità nel proprio programma. E poi cancellare tutte quelle norme che permettono alla burocrazia di strangolarci quotidianamente, la riduzione dell’ormai insostenibile carico fiscale e lo sviluppo del Turismo. L’unico modo per vendere il “prodotto Italia” all’estero è una politica seria e fatta da persone capaci ed oneste.

Alessia CASIRAGHI

Apertura domenicale dei centri commerciali

Fare la spesa la domenica. Per molti una comodità, per altri – e in particolare per chi lavora nella grande distribuzione – la necessità di sacrificare al lavoro un giorno tradizionalmente dedicato al riposo e alla famiglia. Chi sarebbe d’accordo con l’apertura domenicale dei centri commerciali?

Ha provato ad indagare Promoqui, portale dedicato alla grande distribuzione italiana. Secondo l’indagine del sito internet, fatta tra i circa 100 mila utenti registrati, sono favorevoli alla spesa di domenica il 69% degli intervistati, mentre è contrario il 31%. Tra i favorevoli a trovare i centri commerciali aperti di domenica il vantaggio maggiore sarebbe quello di non avere limitazioni nella scelta di quando fare la spesa (63%), ma la stragrande maggioranza (81%) troverebbe utile anche solo un’apertura domenicale al mese. Il 10% comunque non prenderebbe l’abitudine di far la spesa la domenica, anche se le aperture fossero costanti tutto il mese, mentre il 49% approfitterebbe di questa opportunità solo in casi particolari.

Gli italiani che abitano nelle grandi città, ad esempio, troverebbero sensata un’apertura domenicale soprattutto vicino a festività come Natale e Pasqua (19%). Il 94% delle donne che ha partecipato al sondaggio ha la responsabilità degli acquisti familiari. Per il 70% sono favorevoli all’apertura festiva, soprattutto perché consente loro di fare la spesa quando si ha tempo (46%). Il 70% degli uomini che ha partecipato al sondaggio si è dichiarato il responsabile degli acquisti familiari. Per il 36% sono contrari all’apertura domenicale dei centri commerciali: soprattutto perché si perde il senso della domenica come giorno di riposo (20%) e perché si perde il senso del “santificare le feste” (4%). Dal punto di vista di chi lavora, l’87% dei favorevoli all’apertura domenicale sarebbe in qualche modo d’accordo anche a stare dietro banconi e casse dei centri commerciali: non farebbe piacere al 50% (con la consapevolezza però di non essere gli unici a lavorare di domenica) mentre il 37% non ne vedrebbe proprio il problema, avendo libero poi un altro giorno. Tra gli intervistati maschi, il 20% di chi dovesse lavorare in un supermercato, non vorrebbe farlo di domenica perché andrebbe ad intaccare la qualità della vita (solo uno scarso 36% si “consolerebbe” nella consapevolezza che tante professioni richiedono questo tipo di impegno).

Fonte: ansa.it

Centri Commerciali: la battaglia delle piccole imprese

Avete presente la moda dello struscio per le vie del centro storico per regalarsi qualche ora di shopping o di distrazione dalle noie della routine casa-lavoro-casa? D’ora in poi con buona probabilità lo struscio è destinato a trasferirsi al coperto. Dove? Nei Centri Commerciali.

Vere e proprie eterotopie della società contemporanee, i giganti del commercio sono pronti a fagocitare anche le ultime ribelli boutique del centro. Causa l’aumento spropositato degli affitti, unito al calo drastico delle vendite per la particolare congiuntura storico-economica, il caro vecchio negozietto di fiducia è destinato a estinguersi. A meno che non voglia affittare una cella nel gigantesco alveare di un nuovo Centro Commerciale.

La denuncia di Federcontribuenti parla chiaro: nel 2011 oltre 10.000 imprese hanno abbandonato i piccoli negozi in città, e le quasi totalità rischiare di finire strozzate dalle grandi aziende proprietarie dei centri commerciali.

“Questi piccoli commercianti – sottolinea Federcontribuenti – spinti dal nuovo consumatore che ormai spende solo nei grandi parchi, decidono di migrare, ma a patto di ingaggi a costi elevati e contratti da ‘strozzo’ senza alcuna tutela”.

I costi da sostenere infatti per l’allocazione nei parchi commerciali e’ notevole: varia dalle 300 ai 650 euro a metro quadro. La tipologia contrattuale poi costringe le piccole imprese a restare per sempre ‘precarie‘ e senza possibilità di avere alcuna tutela secondo le norme precise previste dal codice civile.

Un esempio? Cento metri quadri di superficie in un Centro Commerciale costano al commerciante dai 36.000 euro l’anno a punte anche di 90.000 senza considerare le spese condominiali che vanno aggiunte e che incidono per un ulteriore 30%.

Già la prossima settimana sarà presentata dal Sen. Stefano Pedica una interrogazione al Ministro dello Sviluppo Economico, perché, come sottolinea Carmelo Finocchiaro, Presidente di Federcontribuenti – venga avviata un’indagine che accerti l’esatta applicazione dei contratti e dei relativi comportamenti dei centri commerciali rispetto alle imprese allocate”.

Confcommercio Veneto contro la politica regionale e comunale

La reazione del presidente di Confcommercio Veneto, Massimo Zanon, riguardo le dichiarazioni dell’assessore regionale Maria Luisa Coppola relative all’aumento delle aperture domenicali dei negozi veneti non ha lasciato spazio a repliche:

Siamo sbigottiti e indignati, non ci capacitiamo – ha dichiarato Zanon – della miopia e della superbia politica di chi dovrebbe tutelare le imprese-servizio come i negozi di vicinato e invece le affossa creando squilibri nella distribuzione e compromettendo il territorio, distribuisce aperture come se piovesse e soprattutto non accetta il confronto con le parti sociali”.

La politica regionale e comunale, secondo Confcommercio Veneto, sta prendendo decisioni che rischiano di distruggere il vecchio modello distributivo “creando il deserto nelle periferie e nei centri storici, ovvero in quelle parti abitate delle città che, in quanto tali, senza negozi sono già diventate più buie, insicure, scomode”.

I pericoli sono molteplici: oltre ai quartieri periferici che rischiano di diventare “quartieri dormitorio” ed assistere ad un aumento della micro-criminalità, si va incontro al crescere delle aree dismesse che rappresentano un costo per la comunità, in termini economici e sociali.

Vera Moretti

Ecco i dati relativi al settore terziario in Italia

L’Ufficio Studi Confcommercio ha aggiornato alcuni dati del Rapporto sulle economie territoriali e il terziario di mercato: nel 2010 in aumento i negozi di informatica e telecomunicazioni, mentre risentono della crisi mobili e arredamento per la casa.

Vediamo i dati nel dettaglio: in Italia i piccoli esercizi a fine 2010 erano circa 758mila, in modesta crescita (+0,4%) rispetto all’anno precedente. Il tasso maggiore di sviluppo si è registrato nelle regioni centrali (+1,1%), quello più basso nel Mezzogiorno (+0,1).
La Regione che ha fatto registrare il maggior incremento (+2%) è risultato il Lazio, mentre in Sardegna si è registrato il calo più sensibile (-1,4%).

Per quanto riguarda le medie e grandi superfici di vendita, che comprendono, quindi, supermercati e ipermercati, ma anche grandi magazzini e grandi superfici specializzate, hanno avuto uno sviluppo positivo soprattutto nel Centro-Sud, con un incremento complessivo di 341 punti vendita (66% del totale) nello scorso anno.

Più dinamico lo sviluppo degli esercizi non food (aumentati dello 0,5%) rispetto a quelli dell’area food (+0,1%) e, tra i singoli comparti merceologici, spicca la crescita in quasi tutte le regioni dei negozi di informatica e telecomunicazioni, in controtendenza rispetto ad un calo sostanziale del numero di negozi di mobili e arredamento per la casa.

Un ruolo non secondario nel sistema distributivo italiano hanno anche altre forme distributive come il commercio ambulante, il commercio elettronico e la vendita attraverso i distributori automatici, che negli ultimi anni hanno dimostrato una forte dinamicità in termini di sviluppo d’imprese e giro d’affari.

Vera Moretti