Imprenditori e Imu, ecco chi paga di più

La scadenza della prima rata dell’Imu si avvicina e, se la mazzata che si prepara sulle famiglie sarà forte e dolorosa, quella che aspetta imprese, artigiani e professionisti rischia di essere quasi mortale. Quali, precisamente, le categorie più colpite dall’imposta?

Gli albergatori saranno coloro che pagheranno il conto più salato: mediamente ciascuno sborserà 8.405 euro. Poi toccherà alla grande distribuzione, che sarà chiamata a versare un importo medio annuo di 5.930 euro. Gradino più basso del podio per gli industriali, i quali subiranno un prelievo annuo medio di 4.725 euro per ogni capannone.

A seguire gli artigiani del settore produttivo e i piccoli industriali, il cui versamento medio sarà di 2.756 euro. Per i liberi professionisti, l’esborso medio sarà di 1.468 euro, mentre ogni piccolo commerciante o esercente dovrà fare i conti con un valore medio di 729 euro. Fanalino di coda, per loro fortuna, i piccolissimi artigiani, che subiranno un prelievo medio di 574 euro.

Una classifica del terrore elaborata dall’Ufficio studi della Cgia di Mestre, che ha calcolato gli effetti dell’applicazione dell’Imu sulle principali categorie economiche del Paese. L’analisi della Cgia è stata realizzata applicando l’aliquota ordinaria del 7,6‰ e utilizzando le rendite catastali medie nazionali. Va però ricordato che i Comuni possono diminuire o aumentare l’aliquota fino al 10,6‰.

Più amaro del solito il commento del segretario della Cgia di Mestre, Giuseppe Bortolussi: “In una fase economica in cui i consumi sono in forte contrazione, il credito continua ad essere erogato con il contagocce e le tasse continuano ad aumentare a vista d’occhio auspico che il Governo riveda al ribasso le aliquote dell’Imu per le attività produttive, altrimenti corriamo il pericolo che molte piccole aziende chiudano i battenti e finiscano a lavorare in nero“.

Sì, perché artigiani, commercianti, professioniti sono cittadini prima che imprenditori. Puntualizza infatti Bortolussi: “Non dimentichiamo che nella stragrande maggioranza dei casi gli imprenditori pagheranno l’imposta municipale due volte. Una come proprietari di prima casa e l’altra come proprietari di immobili ad uso commerciale o produttivo. Visti gli aumenti introdotti quest’anno, ho il timore che molti artigiani e molti piccoli commercianti non ce la faranno a rispettare nemmeno il pagamento della prima rata“. Cresci Italia, che ad ammazzarti ci pensano le tasse!

Le due Italie degli autonomi

Che tra Nord e Sud ci siano differenze di livello reddituale è cosa talmente nota che pare offensivo ricordarla. Si tratti di effettiva disparità nel mercato del lavoro, di differenza di lavoro sommerso, di maggiore propensione all’evasione di una zona rispetto a un’altra è tutto da vedere. Fatto sta che queste differenze diventano in alcuni casi macroscopiche, come quando si parla di lavoratori autonomi.

Come spesso accade, i conti li ha fatti la Cgia di Mestre, che ha evidenziato come le differenze reddituali tra le macroaree del Paese siano evidentissime. Se, infatti, nel 2010 il livello reddituale medio a Nordovest è stato pari a 36.187 euro, nel Sud si è fermato a 21.111 euro. In percentuale, Nordovest batte Sud con una differenza dell 71,4%. Nel Nordest ci si è fermati a 33.702 euro (+59,6% rispetto al Sud). Al Centro il livello reddituale medio è stato di 29.332 euro, +38,9% rispetto al quello degli autonomi del Sud. Le Isole? Meglio del Sud, ma di poco: 21.810 euro, + 3,3% rispetto al Sud.

Che dinamiche ci sono alla base? Lo spiega spiega Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia di Mestre: “Sono comparazioni che spiegano come i dati medi presentati ieri siano fortemente condizionati dai livelli medi molto contenuti registrati dai lavoratori autonomi del Mezzogiorno. Se poi teniamo contro che l’80% dei contribuenti sottoposti agli studi di settore sono congrui, ovvero presentano ricavi non inferiori a quanto richiesto dai tecnici del ministero delle Finanze, se il 74% di questi autonomi non ha dipendenti e se quasi il 50% delle start up chiude l’attività nei primi 5 anni di vita, i livelli reddituali presentati ieri dal Dipartimento delle Finanze non sono scandalosi. Infine, ricordo che il 20% dei contribuenti non congrui sono costituiti sicuramente da soggetti non fedeli al fisco, ma anche da lavoratori dipendenti o pensionati che fanno un secondo lavoro grazie all’apertura di una partita Iva, da attività autonome marginali e da aziende in forte crisi economica“.

Il lavoro c’è, ma non voglio farlo

Vero, siamo in periodo di crisi nera, nerissima. Ma, a cercar bene, il lavoro c’è: basta trovarlo e avere la voglia di farlo. Ne sa qualcosa la Cgia di Mestre, che ha messo in luce quelli che sono i lavori più gettonati in tempo di crisi ma ha anche sottolineato un dato stupefacente: nonostante la crisi e l’aumento della disoccupazione giovanile, nel 2011 oltre 45mila posti di lavoro sono rimasti inevasi. Attività che, nella maggioranza dei casi, sono riconducibili a mestieri tradizionali ad elevata intensità manuale.

Ma quali sono le professioni più richieste, oggi? Nei lavori di ambito “intellettivo” ingegneri, addetti alla segreteria e cassieri di banche ed assicurazioni. Tra i lavori manuali, invece, addetti alla pulizia, facchini e autisti. Sono le principali professioni e mestieri che nel 2011 hanno offerto i maggiori sbocchi occupazionali tra i giovani con meno di 35 anni. Un’analisi effettuata dall’Ufficio studi della Cgia di Mestre su dati Istat.

Non mancano anche opportunità per esperti di gestione e controllo delle aziende private, spedizionieri e agenti di commercio/pubblicità, ai ragionieri contabili e interni di cassa. E poi i macellai, i panettieri, i pastai e i gelatai, gli installatori impianti elettrici ed elettromeccanici e i riparatori di apparecchiature informatiche. Infine, i meccanici e riparatori d’auto, frigoristi e montatori di apparecchi e macchine industriali.

Commenta il segretario della Cgia, Giuseppe Bortolussi: “Mai come in questo momento è necessario recuperare la svalutazione culturale che ha subito in questi ultimi decenni il lavoro artigiano. Attraverso le riforme della scuola avvenute in questi ultimi anni e, soprattutto, con il nuovo Testo unico sull’apprendistato, alcuni passi importanti sono comunque stati compiuti. Ma non basta. Bisogna fare una vera e propria rivoluzione per ridare dignità, valore sociale e un giusto riconoscimento economico a tutte quelle professioni dove il saper fare con le proprie mani costituisce una virtù aggiuntiva che rischiamo colpevolmente di perdere”.

Atipici o precari? La sostanza non cambia

Atipici, precari, in bilico… chiamateli come volete ma la sostanza è sempre la stessa. Un esercito di persone che, professionalmente ha un presente tutto in salita e un futuro (se c’è) tutto da decifrare. Una categoria di persone il cui identikit è stato tracciato dalla Cgia di Mestre.

In due parole: stipendio medio di 836 euro netti al mese, 15% di laureati, 46% di diplomati, quasi tutti nella Pubblica amministrazione, oltre 1 su 3 al Sud (35,18% del totale). Si tratta di dipendenti a termine involontari; dipendenti part time involontari; collaboratori che hanno contemporaneamente 3 vincoli di subordinazione: monocommittenza, utilizzo dei mezzi dell’azienda e imposizione dell’orario di lavoro; liberi professionisti e lavoratori in proprio (i partitivisti, insomma) che hanno in contemporanea i 3 vincoli di subordinazione descritti nel punto precedente.

Si tratta di oltre 3 milioni e 300mila persone e la loro retribuzione mensile media di cui sopra esclude altre mensilità (tredicesima, quattordicesima, etc.) e voci accessorie come, ad esempio i premi di produttività, indennità per missioni, etc.

La PA la fa da padrona, tra scuola, sanità, nei servizi pubblici e sociali, direttamente nella Pubblica amministrazione (Stato, Regioni, Enti locali, etc.). Gli altri settori che registrano una forte presenza di questi lavoratori atipici sono il commercio (436.842), i servizi alle imprese (414.672) e gli alberghi e i ristoranti (337.379).

A livello territoriale, come detto, il Sud ne conta il numero maggiore. Se oltre 1.108.000 precari lavorano nel Mezzogiorno (pari al 35,18% del totale), le realtà più coinvolte, prendendo come riferimento l’incidenza percentuale di questi lavoratori sul totale degli occupati a livello regionale, sono la Calabria (21,2%), la Sardegna (20,4%), la Sicilia (19,9%) e la Puglia (19,8%).

Insomma, un vero e proprio esercito con caratteristiche ben definite. E un tratto comune che, di questi tempi, non è cosa da poco: per quanto precario, queste persone un lavoro ce l’hanno

Famiglie schiacciate dalle tasse locali

Imposte locali, croce delle imprese e delle famiglie. Soprattutto di queste ultime, che per questo 2012 vedranno cascarsi addosso un gettito che sfiorerà i 35 miliardi di euro. Dato di per sè già impressionante, ma che impallidisce se si guarda alla crescita registrata negli ultimi 10 anni: +86,4%. Che equivale, sempre nello stesso periodo di tempo, a un aumento carico fiscale locale del 69,3% per ogni famiglia italiana.

E indovinate chi ha fatto questi conti. Ancora una volta la “santa” Cgia di Mestre, che ha analizzato quanto il gettito delle principali imposte locali nell’ultimo decennio ha gravato sui bilanci delle famiglie italiane. L’associazione mestrina ha preso in esame l’addizionale regionale Irpef, l’addizionale comunale Irpef e l’Ici/Imu. Morale: secondo la Cgia per il 2012, in particolar modo per l’applicazione dell’Imu sulla prima casa e per l’aumento delle addizionali regionali Irpef, l’impennata sarà forte: su ciascuna famiglia italiana peserà un carico fiscale locale aggiuntivo medio pari a 575 euro, che alzerà la quota totale sino a toccare un valore medio di 1.390 euro.

Il segretario della Cgia Mestrina, Giuseppe Bortolussi: “In buona sostanza nel 2012 ciascuna famiglia italiana verserà alla sua Regione e al Comune di residenza un importo medio pari ad uno stipendio mensile. Va sottolineato che questi risultati a cui siamo giunti sono sottostimati, visto che nel conteggio abbiamo mantenuto il gettito dell’addizionale comunale Irpef pari a quello incassato l’anno scorso. In realtà sappiamo benissimo che non sarà così, visto che per il 2012 molti Sindaci hanno deciso di rivederne all’insù l’aliquota“.

Amara la conclusione di Bortolussi: “Avviato concretamente nella prima fase di questa legislatura, il federalismo fiscale è una riforma che dovrebbe essere ripresa in mano e portata a compimento. Invece, prima di cancellarla dalla sua agenda politica, il Governo Monti ne ha modificato un tassello importante: l’Imu. Inizialmente ne ha cambiato la metodologia di applicazione, poi ne ha anticipato di un anno l’entrata in vigore, con il risultato di favorire, in grande misura, le casse dello Stato centrale a svantaggio di quelle dei Comuni. Risultato: obbiettivo originario completamente rovesciato“.

Vita pesante, busta paga leggera

di Davide PASSONI

Se la vita si fa pesante, lo stipendio si fa… leggero. No, non è una presa in giro ma l’amara verità di quanto tasse e contributi previdenziali ammazzano le buste paga degli italiani in un periodo nel quale non sono rimasti loro nemmeno gli occhi per piangere.

La fotografia è stata scattata, tanto per cambiare, dall’Ufficio Studi della Cgia di Mestre, secondo il quale metà dello stipendio dei lavoratori italiani è sfoltito da tasse e contributi previdenziali. Secondo l’analisi, un operaio occupato nell’industria con uno stipendio mensile netto di 1.226 euro ha un costo azienda di 2.241 euro. Un importo che è dato dalla somma della retribuzione lorda (1.672 euro) e dal prelievo a carico del datore di lavoro (pari a circa 568 euro).

E per il povero impiegato, che lavora in un’azienda industriale e si porta a casa a fine mese 1.620 euro netti? Al suo datore di lavoro costa la bellezza di 3.050 euro. Anche qui una cifra data dalla somma tra la retribuzione lorda (2.312 euro) e il prelievo a carico del titolare (738 euro).

Risultati sconfortanti, che se abbinati ai recenti dati presentati dall’Istat sulla perdita del potere d’acquisto degli italiani, fanno affermare al segretario della Cgia di Mestre, Giuseppe Bortolussi: “Pur riconoscendo che dobbiamo potenziare la qualità della nostra organizzazione produttiva, non sono del tutto convinto che le aziende debbano produrre meglio e di più. Il problema è che i consumi interni sono troppo bassi. La crisi è molto pesante, soprattutto dal punto di vista occupazionale, anche perché continuano a calare i consumi. Meno si consuma, più si sta a casa. Più si sta a casa, meno si consuma. Dobbiamo scardinare questo circolo vizioso per scongiurare di scivolare dentro una fase depressiva”.

Che aggiungere? Ciascun lavoratore dipendente faccia i conti e ci sappia dire (direttore@ejournal.it) se alla Cgia di Mestre hanno bevuto troppo o se ci hanno preso. Secondo noi… la seconda delle due. Mille grazie, stato bandito.

L’Iva aumenta, gli italiani soffocano

di Davide PASSONI

Evviva i professori! Bravissimi tanto ad alzare il ditino e a bacchettare quanti si permettono di obiettare su alcune loro “sviste” (vedi l’abbaglio sugli esodati), quanto a fare ciò che erano bravissimi a fare i loro predecessori, odiosi politici: prendere soldi da chi ha sempre dato e lasciare la spesa pubblica solo al suo destino di aumento senza senso.

E, a proposito di tasse, dopo il pasticcio dell’Imu e la conseguente legnata che ci aspetta, la gente si deve ricordare che a ottobre, con tutta probabilità arriverà un altro regalino dalla banda Monti: l’aumento dell’Iva dal 21 al 23%. Due punti percentuali che, stando ai conti della solita Cgia di Mestre, nel 2012 ai contribuenti italiani costeranno 19,9 miliardi di tasse in più rispetto al 2011. Nel 2013, invece, il maggiore aggravio fiscale, rispetto a due anni prima, sarà pari a 32,5 miliardi. Tra due anni, infine, il peso delle nuove imposte, rispetto a tre anni prima, sarà di 34,8 miliardi. Un’escalation che, salvo novità dell’ultima ora, tra il 2012 e il 2014 porterà sì, Dio lo voglia, il raggiungimento del pareggio di bilancio ma al prezzi di 87,3 miliardi di tasse in più.

Un’analisi fatta prendendo in esame le maggiori e le minori entrate previste dal decreto “salva Italia” e le disposizioni fiscali annunciate nella riforma del mercato del lavoro che, molto probabilmente, farà sentire i suoi effetti a partire dal 2013. Non si è tenuto conto, invece, degli effetti del decreto sulle semplificazioni fiscali che, secondo l’associazione mestrina, saranno molto modesti.

Durissimo Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia di Mestre: “Ormai rischiamo di rimanere soffocati dalle tasse. E’ vero che il Governo Monti è stato costretto ad intervenire in maniera molto decisa per salvare il Paese dal fallimento. Ma è altrettanto vero che si è agito solo ed esclusivamente sul fronte delle entrate. Nel salva Italia, ad esempio, l’effetto complessivo della manovra è costituito per l’81,3% da nuove entrate e solo il 18,7% da tagli alla spesa. Un sacrificio immane che rischia di schiacciare il Paese sotto una montagna di imposte, con il rischio, così come ha sottolineato qualche giorno fa il Fmi, di raggiungere il pareggio di bilancio solo nel 2017 e non, come previsto dal Governo Monti, nel 2013“.

Se poi – prosegue Bortolussialle misure introdotte dal Governo Monti aggiungiamo anche quelle introdotte l’estate scorsa dal Governo Berlusconi, nel triennio 2012/2014 il peso fiscale medio in capo a ciascuna famiglia italiana sarà pari a 8.200 euro circa. Ad oggi le famiglie italiane non hanno ancora subito nessun serio contraccolpo economico, in quanto hanno pagato poco più di 500/600 euro. Praticamente solo il 7% della cifra totale che dovranno sborsare in questo triennio. Purtroppo, la mazzata arriverà verso la fine di quest’anno quando a ottobre subiranno il probabilissimo aumento dell’Iva e a dicembre saranno chiamate a versare il saldo dell’Imu“.

Lunga vita alle imprese. Mica tanto

Il dramma dei suicidi tra gli imprenditori, che finalmente pare aver cominciato a godere dell’attenzione che merita, è la faccia più tragica di un altro fenomeno silenzioso ma devastante: quello della moria delle imprese.

Secondo un’indagine della Cgia di Mestre, un’impresa su due (il 49,6%) chiude entro i primi 5 anni di vita. I motivi di questa strage sono ben chiari a Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia di Mestre: “Tasse, burocrazia, ma soprattutto la mancanza di liquidità sono i principali ostacoli che costringono molti neoimprenditori a gettare la spugna anzitempo. E’ vero che molte persone, soprattutto giovani, tentano la via dell’autoimpresa senza avere il know how necessario, tuttavia è un segnale preoccupante anche alla luce delle tragedie che si stanno consumando in questi ultimi mesi”.

E la mente corre subito alle decine di suicidi tra i piccoli imprenditori che si sono registrati dall’inizio dell’anno: “Il meccanismo si sta spezzando – prosegue Bortolussi; questi suicidi sono un vero grido di allarme lanciato da chi non ce la fa più. Le tasse, la burocrazia, la stretta creditizia e i ritardi nei pagamenti hanno creato un clima ostile che penalizza chi fa impresa. Per molti, il suicidio è visto come un gesto di ribellione contro un sistema sordo e insensibile, che non riesce a cogliere la gravità della situazione”.

La nota preoccupata della Cgia si chiude sottolineando l’importanza delle piccole micro imprese in chiave occupazionale. Se, come risulta da dati dell’Unione Europea, il 58% dei nuovi posti di lavoro è creato dalle imprese con meno di 10 addetti e se, come risulta dai dati Istat, il 60% dei giovani italiani neoassunti nel 2011 è stato assorbito dalle microimprese con meno di 15 addetti, il Governo non può non intervenire abbassando il carico fiscale sulle imprese e in generale sul mondo del lavoro. Esattamente la direzione opposta rispetto a quella presa dall’Esecutivo con le sue ultime misure, tra le quali la delega fiscale.

Gas e luce, aumenti record

Su Infoiva parliamo, per vocazione, di imprese e professionisti. Ma quando si tratta di mettere il dito nella piaga dello Stato ladro o degli aumenti del carovita, non ci dimentichiamo certo delle famiglie. Così come non si dimentica di loro la benemerita Ggia di Mestre, la quale, questa volta, ha puntato il dito contro la crescita spropositata della bolletta energetica.

Secondo l’associazione mestrina, infatti, tra il 2001 e il 2011 le bollette energetiche delle famiglie italiane sono aumentate del +48,3%. In termini assoluti, la maggiore spesa sostenuta è stata pari a 455 euro, spacchettati tra: 141 euro per l’energia elettrica, 314 euro per il gas. La variazione percentuale, invece, ha visto aumentare l’elettricità del +34,5% e il gas del +58,8%. Dati folli, se comparati all’aumento dell’inflazione nello stesso arco temporale: 15,7%. Complessivamente, il costo della bolletta energetica di una famiglia media italiana è stato, nel 2011, di 1.397 euro: quasi, dicono dalla Cgia di Mestre, lo stipendio mensile medio di un impiegato.

Con buona pace delle liberalizzazioni. Il settore del gas è stato infatti liberalizzato nel 2003 e da allora al 2011 le tariffe sono cresciute del 33,5%, contro un aumento medio dell’inflazione pari al 17,5%. Più calmo il settore dell’energia elettrica, liberalizzato dal 1° luglio 2007: da questa data alla fine del 2011, a fronte di un aumento del prezzo medio della luce dell’1,8%, l’inflazione è aumenta del +8,4% .

Commenta Giuseppe Bortolussi, segretario della CGIA di Mestre: “Per fortuna grazie alla liberalizzazione del mercato dell’energia elettrica, gli aumenti sono stati in parte contenuti, anche se non dobbiamo dimenticare che i prezzi dei prodotti energetici sono fortemente condizionati dall’andamento dei costi delle materie prime e dal cambio euro/dollaro”.

Perché la PA non paga le imprese?

di Davide PASSONI

Uno degli scandali più grandi dello Stato ladro che chiede, pretende e poco dà in cambio, è il ritardo cronico con cui salda i propri debiti alle imprese. Un ritardo che, spesso è un “mai”. Forse forse che lo Stato fa finta di nulla per anni per non aumentare il debito pubblico?

Una domanda che si è posta la santa Cgia di Mestre, la voce della coscienza delle imprese e dei professionisti italiani spremuti e mazziati, che da tempo si batte per ridurre i ritardi di pagamento tra la Pubblica amministrazione e le imprese private. Non per nulla, dalla Cgia ricordano che le imprese – a seguito di forniture, servizi od opere pubbliche eseguite – sono in credito con lo Stato di oltre 70 miliardi di euro, oltre 4 punti percentuali di Pil. Scandalo e vergogna.

Una domanda sorta osservando che, secondo il manuale del SEC95, che definisce le regole contabili che valgono per tutti i Paesi UE, i debiti commerciali verso le imprese private non devono essere contabilizzati nel bilancio pubblico. Gli effetti sulle casse pubbliche si fanno sentire solo nel momento in cui tali debiti vengono saldati, alimentando così il fabbisogno pubblico e peggiorando di conseguenza il rapporto tra debito e Pil. Pensa un po’ che furbata!

Tagliente, come sempre, Giuseppe Bortolussi segretario della Cgia di Mestre; “In linea di massima se lo Stato pagasse i 70 miliardi di euro che deve ai suoi creditori, il rapporto debito/Pil aumenterebbe di 4,3 punti percentuali, attestandosi attorno al 125%. Un risultato che, ovviamente, comporterebbe un aumento della spesa pubblica e il rischio di una caduta di credibilità e di fiducia dei mercati finanziari nei confronti del nostro Paese. Tuttavia questi mancati pagamenti stanno mettendo in gravissima difficoltà moltissime piccole imprese che, notoriamente, sono a corto di liquidità, con ricadute occupazionali molto preoccupanti”.

Infine, uno zuccherino al governo dei professori. La Cgia ricorda che il Governo Monti, grazie al decreto sulle liberalizzazioni, ha messo a disposizione della Pubblica amministrazione 5,7 miliardi di euro per saldare una parte dell’ammontare complessivo che deve ai privati e sta studiando, con il meccanismo del “pro solvendo”, una soluzione che potrebbe non trasformare questi debiti commerciali in finanziari. Se le cose andassero così, si potrebbe sbloccare il pagamento dell’intera massa di crediti che le aziende avanzano dallo Stato, scongiurando, da un lato, un’impennata del debito pubblico e garantendo, dall’altro, le più elementari condizioni di democrazia economica: ovvero, pagare i creditori dello Stato in tempi ragionevoli. Miraggio, pensiamo noi…