Trise: ecco quanto costerà ai cittadini

La Trise è appena stata presentata, anche se non ancora in maniera ufficiale, e già si fanno i primi calcoli, per capire se i cittadini ci rimetteranno o se, invece, ci guadagneranno.

L’Ufficio Studi della Cgia ha calcolato che un proprietario di prima casa, purtroppo, sarà chiamato a pagare, per il 2014, un tributo superiore rispetto al 2013 ma inferiore rispetto al 2012.

L’analisi è stata realizzata considerando, per l’anno 2012, l’importo del servizio di asporto rifiuti e dell’Imu sostenuto da un proprietario di prima casa; per l’anno 2013 si è invece considerato solo l’importo della Tares (tassa sui rifiuti), comprensivo della maggiorazione di 30 centesimi al metro quadrato; infine, per l’anno 2014, si è calcolato l’esborso derivante dall’introduzione della Trise, la nuova tassa che dovrebbe essere composta dalla somma della Tari (ex Tarsu/Tia/Tares) e della Tasi (tassa sui servizi indivisibili) che in queste simulazioni abbiamo ipotizzato con aliquota all’1 per mille.

Facciamo qualche esempio: il proprietario di un abitazione di categoria A2, ovvero di tipo civile, con superficie di 114 mq (media nazionale) e con rendita catastale di 625 euro, nel 2014 dovrà pagare 369 euro (264 euro di rifiuti più 105 euro di Tasi).
Rispetto all’anno in corso, sarebbero 71 euro in più ma 147 in meno di quanto pagato nel 2012, anche se occorre fare un’ulteriore precisazione.
Se si tiene conto anche della composizione familiare, il beneficio rispetto al 2012 diminuisce al crescere del numero dei figli, in quanto l’Imu prevedeva una detrazione di 50 euro per ogni figlio residente.

Prendendo in considerazione, poi, un’abitazione di tipo economico (A3), con una superficie di 80 metri quadrati e una rendita catastale di 423 euro, nel 2014 il proprietario potrebbe pagare 257 euro (186 di rifiuti e 71 euro di Tasi).
Vale a dire 47 euro in più rispetto al 2013 e 35 euro in meno di quanto dovuto per il 2012.
Se si tiene conto della composizione familiare, emergono sempre degli aggravi rispetto al 2012: con un figlio pagherebbe 15 euro in più, con due avrebbe un aggravio di 65 euro e con tre addirittura di 81 euro.

Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia, ha dichiarato: “Se fosse confermato l’impianto della Trise, così come abbiamo avuto modo di leggere nella bozza circolata in queste ore rischiamo di fare entrare dalla porta quello che abbiamo lanciato dalla finestra. Insomma, dopo esserci liberati dell’Imu sulla prima casa, con la Trise corriamo il pericolo di ritrovarci una nuova patrimoniale che in questo caso colpirebbe, a differenza di due anni fa, anche gli inquilini“.

Vera MORETTI

La Cgia chiede al Governo di riabbassare l’Iva

Con la crisi di Governo scongiurata, dopo aver tirato un sospiro di sollievo, se non altro pensando al destino del Paese se ancora una volta lo scenario politico fosse stato ribaltato, ora si chiede ai Ministri, e al loro Presidente, di tornare nei ranghi, tirarsi su le maniche e trovare soluzioni convincenti in merito ai tanti problemi ancora esistenti.

Primo fra tutti è l’aumento dell’Iva, avvenuto ahimè in concomitanza con l’inizio del mese di ottobre, al quale, però, non è giusto arrendersi ma, anzi, chiedere a gran voce che l’aliquota venga riportata al 21%, dall’attuale 22.

A questo proposito, Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia Mestre, è stato piuttosto esplicito e non si è fatto “intenerire” dalle spinose questioni che il Consiglio dei Ministri deve affrontare. Nonostante il problema degli esodati, il rifinanziamento della Cig in deroga, la seconda rata dell’Imu, il rientro del rapporto deficit/Pil sotto il 3%, secondo lui occorre ripartire dall‘Iva, per permettere all‘Italia di riprendersi dalla crisi buia nella quale ancora si trova.

A questo proposito, Bortolussi ha infatti dichiarato: “La riduzione dell’aliquota dal 22 al 21% non dovrà avvenire attraverso l’introduzione di nuove tasse. La bozza di decreto in circolazione venerdì scorso prevedeva che il mancato aumento dell’Iva fosse coperto da un ritocco all’insù delle accise sui carburanti e da un aumento degli acconti Ires e Irap in capo alle imprese. Bisogna assolutamente trovare nuove coperture agendo sulla spesa pubblica improduttiva: il Paese non è più in grado di sopportare un ulteriore incremento del carico fiscale”.

La CGIA ricorda che l’aumento dell’Iva scattato martedì scorso graverà sulle tasche dei consumatori per un importo di circa 1 miliardo di euro per il 2013 e di 4,2 miliardi per il 2014. Di questi ultimi, 2,8 miliardi circa saranno a carico delle famiglie, i rimanenti da attribuire agli Enti non commerciali, alla Pubblica Amministrazione e alle imprese.

Vera MORETTI

Bolzano svantaggiata dall’aumento dell’Iva

L’aumento dell’Iva è previsto per domani: porterà, come è stato più volte denunciato, una serie infinita di aggravi e svantaggi a molti settori.

Tra i cittadini comuni, a pagare il conto più salato dell’Iva al 22% saranno i residenti a Bolzano, dove l’aggravio medio annuo è stato stimato a 135 euro. A seguire, le famiglie venete, con 113 euro, quelle emiliano–romagnole, con 111 euro e quelle lombarde, con 108 euro.

Meno danni al Sud, dove in Calabria l’aumento medio annuo per nucleo famigliare sarà di 59 euro, in Sardegna di 57 euro ed in Sicilia di 50 euro. Il dato medio nazionale si attesterà attorno agli 88 euro.

Giuseppe Bortolussi, segretario della CGIA che ha svolto questa indagine con il proprio Ufficio Studi, ha dichiarato a proposito: “Ovviamente a subire gli aggravi maggiori saranno le realtà territoriali dove la propensione alla spesa delle famiglie è più elevata, anche se sappiamo che l’incremento dell’Iva inciderà maggiormente sui redditi famigliari più bassi e meno su quelli più elevati“.

A guadagnarci saranno le casse dello Stato, poiché l’aumento dell’aliquota dovrebbe garantire un maggior gettito pari a 4,2 miliardi di euro all’anno: 2,8 dovrebbero essere a carico delle famiglie, i rimanenti da attribuire agli Enti non commerciali, alla Pubblica Amministrazione e alle imprese.

Ma, poiché non è ancora detta l’ultima parola, Bortolussi ritiene vitale trovare un modo per mantenere invariata l’Iva, e ripropone quanto già detto nei giorni scorsi: “Se la Pubblica amministrazione erogasse immediatamente altri 7 miliardi di euro potremmo incassare un ulteriore miliardo di euro di Iva entro la fine di quest’anno che ci garantirebbe la copertura economica per finanziare il mancato aumento dell’imposta. L’ulteriore sblocco dei pagamenti darebbe un po’ di ossigeno a molte aziende ancora in difficoltà e non comporterebbe nessun problema ai nostri conti pubblici, visto che inciderebbe solo sul debito pubblico e non sul deficit“.

Vera MORETTI

Spesa pubblica e tasse locali? Impazzite

È un pozzo senza fondo la spesa pubblica italiana. Non passa settimana che qualche studio o ricerca non ci metta sotto al naso qualcuna delle follie. Questa volta ci ha pensato l’Ufficio studi della Cgia, segnalando che dal 1997 ad oggi la spesa pubblica, al netto degli interessi sul debito, è aumentata del 68,7%. In termini assoluti è cresciuta di quasi 296 miliardi: alla fine di quest’anno le uscite, sempre al netto degli interessi, ammonteranno a 726,6 miliardi di euro.

Il rovescio della medaglia è dato dalle entrate fiscali, che sono cresciute del 52,7%. A fronte di una variazione pari a +240,8 miliardi, il gettito complessivo previsto entro il 2013 ammonterà a 698,26 miliardi di euro. Ricordiamo che le entrate fiscali comprendono solo le tasse, le imposte, i tributi e i contributi pagati dagli italiani.

Le entrate tributarie, ossia solo imposte, tasse e tributi che costituiscono il 70% circa delle entrate fiscali totali, sono date dalla somma del gettito in capo alle Amministrazioni centrali e da quelle incassate dalle Amministrazioni locali. Nel periodo considerato l’incremento è stato del 58,8%. Ma se si analizza il trend delle tasse locali ci accorgiamo che sono praticamente “esplose”: +204,3% (pari, in termini assoluti, a +74,4 miliardi di euro), con un gettito che nel 2013 sfiorerà i 111 miliardi. Quelle centrali, invece, sono cresciute “solo” del 38,8% (pari a + 102,6 miliardi in valore assoluto), anche se nel 2013 le entrate di competenza dello Stato ammonteranno a ben 367 miliardi di euro. Tutti gli importi sopra citati, sottolinea la Cgia, sono a prezzi correnti, ossia includono anche l’inflazione).

La spesa pubblica, al netto degli interessi, ha dunque “viaggiato” ad una velocità superiore a quella registrata dalle entrate fiscali, anche se a livello locale la tassazione ha subito una vera e propria impennata. Ciò ha contribuito ad aumentare il carico fiscale generale, portandolo a toccare un livello mai raggiunto in passato; inoltre, alla luce di una spesa pubblica complessiva che in questi anni è sempre stata superiore al totale delle entrate finali, la dimensione del debito pubblico italiano è continuata a crescere in maniera allarmante.

Secondo il segretario della Cgia, Giuseppe Bortolussi, “l’aumento delle tasse locali è il risultato del forte decentramento fiscale iniziato negli Anni ’90. L’introduzione dell’imposta sugli immobili, dell’Irap, delle addizionali comunali e regionali Irpef hanno fatto impennare il gettito della tassazione locale che è servito a coprire le nuove funzioni e le nuove competenze che sono state trasferite alle Autonomie locali. Non dobbiamo dimenticare che, negli ultimi 20 anni, le Regioni ed i Comuni sono diventati responsabili della gestione di settori importanti come la sanità, i servizi sociali e il trasporto pubblico locale senza aver ricevuto un corrispondente aumento dei trasferimenti. Anzi. La situazione dei nostri conti pubblici ha costretto lo Stato centrale a ridurli progressivamente, creando non pochi problemi di bilancio a molte amministrazioni locali che si sono difese facendo leva sulle nuove imposte locali introdotte dal legislatore”.

Tredicesime a rischio per le pmi

A causa della pressione fiscale alle stelle e delle scadenze fiscali, che a fine anno sono sempre tante, le pmi rischiano di non avere soldi per pagare le tredicesime.

L’allarme è stato lanciato da Giuseppe Bortulussi, segretario della CGIA, alla luce delle elevate segnalazioni pervenutegli dai piccoli imprenditori, in preoccupante affanno a causa della mancanza di liquidità.

Non siamo in possesso di alcuna statistica in grado di dimensionare l’entità del fenomeno, tuttavia le segnalazioni giunte in queste ultime settimane presso i nostri uffici sono state numerosissime. Da sempre il mese di dicembre presenta un numero di scadenze fiscali e contributive molto onerose. Detto ciò, è probabile, vista la scarsa liquidità a disposizione, che molti piccoli imprenditori decideranno di onorare gli impegni con il fisco e di posticipare il pagamento della tredicesima, mettendo in difficoltà, loro malgrado, le famiglie dei propri dipendenti”.

Del resto, c’era da aspettarselo: dall’inizio di quest’anno la contrazione dei prestiti bancari erogati alle imprese è stata di 26,7 miliardi di euro (pari al -2,7%), mentre le sofferenze in capo al sistema imprenditoriale sono aumentate di 8,7 miliardi di euro (pari al +10,9%).
Un altro dato, quello che riguarda la produzione industriale, scesa del 6,5% dall’inizio dell’anno e gli ordinativi diminuiti del 10.4%, rende ancora meglio il quadro della situazione.

I più fortunati sono riusciti ad avere un piccolo prestito bancario grazie al fatto che hanno il negozio o il capannone di proprietà. Diversamente, chi non è in grado di offrire nessuna garanzia non ha alcuna chance di ottenere un finanziamento e l’unica strada percorribile è quella di dilazionare le uscite”.

Vera MORETTI

Il governo amico delle imprese? Ma va’ là!

E per fortuna che questo avrebbe dovuto essere il governo che avrebbe favorito la ripresa… Chiedetelo alla Cgia di Mestre e vedete che cosa vi risponderanno.

Vi risponderanno con uno studio, che hanno effettuato mettendo a confronto gli effetti economici che aggraveranno il carico fiscale e contributivo delle imprese con quelle, invece, che ne alleggeriranno il peso: risultato, il saldo, nel triennio 2012-2014, sarà positivo. Il che significa che le imprese italiane si troveranno a pagare quasi 5,5 miliardi di euro in più. Un risultato che si ottiene sottraendo dai 19 miliardi di tasse e contributi introdotti dal Governo Monti, i circa 13,6 miliardi di euro di alleggerimento fiscale che l’Esecutivo praticherà nel triennio considerato.

Analizzando dapprima gli aumenti di imposta, la Cgia ha sottolineato come il 2012 è l’anno dell’IMU: rispetto all’ICI, il prelievo medio per i negozi e i laboratori risulta mediamente raddoppiato, mentre per i capannoni (categoria catastale D1) si registrano incrementi di imposta che superano il 60%. Oltre all’IMU, nel 2012 sono aumentate dell’1,3% anche le aliquote contributive INPS a carico degli artigiani e dei commercianti.

Nel 2013, poi, entrambi i prelievi subiranno ulteriori aumenti. Rispetto all’ICI, con l’IMU il prelievo sui capannoni aumenterà di circa l’80% a causa dell’aumento del coefficiente per la determinazione della base imponibile, che passa da 60 a 65. Le aliquote previdenziali, invece, subiranno un ulteriore aumento dello 0,45% sino a portare nel giro di qualche anno l’aliquota di questi lavoratori autonomi al 24%.

Sempre nel 2013 le imprese faranno i conti con la riduzione della deducibilità dei costi per le auto aziendali che il fisco non riconoscerà più nella misura del 40%, ma del 27,5%. Una misura che interessa circa 7 milioni di automezzi.

Infine, per quanto riguarda la tassa sui rifiuti, che si chiamerà TARES, bisognerà versare al Comune una maggiorazione pari a 0,3 euro al mq che i Sindaci potranno aumentare sino a 0,4 euro. Gli imprenditori dovranno quindi pagare questa maggiorazione anche sulla superficie degli immobili destinati all’attività commerciale/produttiva. Secondo la Cgia, che queste misure varranno circa 5 miliardi di euro nel 2012, che diventeranno quasi 6,7 nel 2013 per salire a 7,3 nel 2014. Pertanto, nel triennio 2012-2014 le maggiori tasse e contributi a carico delle imprese saranno pari a poco più di 19 miliardi di euro.

Le più penalizzate dal pacchetto di misure introdotte dal governo Monti – sostiene il segretario della Cgia Giuseppe Bortolussisaranno le micro imprese: in particolar modo quelle senza dipendenti che non potranno avvalersi degli sgravi Irap previsti per i dipendenti e dell’ACE (Aiuto alla Crescita Economica), visto che per le aziende in contabilità semplificata non potranno applicare quest’ultima misura. Se si considera che il 75% degli imprenditori individuali lavora da solo, si può affermare che gli artigiani e i commercianti che non hanno dipendenti subiranno dei forti aumenti di tassazione non ammortizzati dagli sgravi previsti dal Salva-Italia“.

La Cgia ha poi analizzato misure a vantaggio delle imprese. Sempre nel triennio preso in esame, sono stati introdotti dei provvedimenti a favore delle imprese: l’ACE (Aiuto alla Crescita Economica); la deducibilità dell’IRAP (relativa al costo del lavoro) dalla base imponibile IRPEF e IRES; l’aumento delle deduzioni forfettarie (dalla base imponibile) IRAP se tra il personale dipendente vi sono donne o giovani di età inferiore a 35 anni.

Un pacchetto di misure che vale poco più di 2,5 miliardi nel 2012, 5 miliardi nel 2013 e quasi 6 miliardi nel 2014. Nel triennio 2012-2014, l’alleggerimento fiscale sull’intero mondo imprenditoriale sarà pari a quasi 13,6 miliardi di euro.

Il saldo tra aggravi e sgravi penalizzerà il mondo imprenditoriale per oltre 2,4 miliardi nel 2012, 1,6 miliardi nel 2013 e quasi 1,4 miliardi nel 2014. Nel triennio, quindi, il peso fiscale sulle imprese crescerà di quasi 5,5 miliardi di euro.

Conclude Bortolussi:Pur riconoscendo che questo Governo ha dimostrato in più di una occasione di avere una certa sensibilità nei confronti delle piccole imprese – grazie all’approvazione del decreto per il pagamento dell’Iva per cassa, i 6,7 miliardi messi a disposizione alla Pubblica amministrazione per pagare i fornitori o la riduzione del versamento dell’acconto Irpef relativo al 2011 – la situazione generale è tale che difficilmente le imprese, soprattutto quelle di piccola dimensione, potranno superare questo triennio con un carico fiscale aggiuntivo di questa portata. Non possiamo sperare di rilanciare l’occupazione e in generale l’economia se penalizziamo soprattutto le piccole imprese che costituiscono il tessuto connettivo della nostra economia“.

Veneto: approvato il fondo di solidarietà suicidi

“Sul modello approvato oggi dalla Regione Veneto, si istituisca anche a livello nazionale un fondo di solidarietà gestito dalle Prefetture in collaborazione con i Consorzi Fidi”. E’ questa la proposta avanzata dal segretario della CGIA di Mestre, Giuseppe Bortolussi, al premier Monti, dopo che qualche settimana fa aveva rivolto lo stesso invito alla Regione Veneto. A seguito di questa proposta, proprio oggi, la Giunta Regionale veneta ha approvato un fondo con a disposizione 6 milioni di euro. Obbiettivo ? Tentare di bloccare l’emorragia di suicidi che ha colpito decine e decine di imprenditori. “In linea generale – commenta il segretario della CGIA di Mestre, Giuseppe Bortolussi – quegli imprenditori che in un primo momento si vedono rifiutare un prestito dalle banche per mancanza di solvibilità o per non essere in grado di offrire nessuna garanzia reale per la quasi totalità del prestito richiesto, potranno, almeno nel Veneto, ricorrere a questo fondo per ottenere le coperture necessarie per assicurarsi il prestito richiesto, evitando situazioni di disperazione che in alcuni casi possono portare al suicidio. Ringrazio sentitamente l’Assessora Isi Coppola e il Presidente Zaia per la celerità con la quale hanno approvato questa misura.

Adesso, però, bisogna intervenire anche a livello nazionale: per questo chiediamo anche al Premier Monti di fare altrettanto”. Dalla CGIA fanno notare che molti dei piccoli imprenditori che nei mesi scorsi hanno compiuto questo gesto estremo, si erano visti negare dalle banche prestiti per importi di poche migliaia di euro. “Questa misura, gestita dal Ministero dell’Interno sul modello del fondo anti-usura – prosegue Bortolussi – non comporterebbe un gran dispendio di risorse pubbliche. Penso che a livello nazionale un centinaio di milioni di euro potrebbe essere più che sufficiente per dare una seria risposta a chi oggi ha bisogno di un po’ di ossigeno per mantenere in piedi la propria attività”. Il pericolo che la situazione precipiti non è da escludere. “Con l’avvicinarsi delle scadenze fiscali che quest’anno saranno particolarmente pesanti – conclude Bortolussi – è probabile che nei prossimi mesi molti piccoli imprenditori si troveranno ancor più a corto di liquidità. Per questo è importante che il Governo prenda coscienza che, di fronte ad una situazione emergenziale, si prendano misure emergenziali”.

Lo comunica la Cgia di Mestre in una nota.

Fonte: agenparl.it

Burocrazia: ma quanto mi costi?


Piccole e medie imprese costrette a fare i conti con una burocrazia sempre più cara e severa. Secondo le stime della Cgia di Mestre il peso degli obblighi contributivi in materia di lavoro, ambiente, privacy, sicurezza sul lavoro e prevenzione incendi peserebbe sulle azienda per una cifra che raggiunge quota 23 miliardi di euro l’anno. Il settore che incide maggiormente sui bilanci delle pmi resta comunque quello del lavoro e della previdenza sociale.

Qualche dato? Fra tenuta dei libri paga, comunicazioni legate alle assunzioni o alle cessazioni di lavoro, denunce mensili dei dati retributivi e contributivi, retribuzioni e autoliquidazioni le piccole e medie imprese italiane si vedono sfilare dalle tasche 9,9 miliardi di euro l’anno.

“Se con un colpo di bacchetta magica fossimo in grado di ridurne il costo della metà – ha sottolineato il segretario della Cgia di Mestre, Giuseppe Bortolussi – libereremo 11,5 miliardi di euro all’anno che potrebbero dar luogo, almeno teoricamente, a 300.000 nuovi posti di lavoro”. Il macigno della burocrazia costringe le imprese a diffidare dalle nuove assunzioni, paralizzando e ostacolando la crescita del nostro sistema economico.

A gravare sul bilancio delle pmi per un valore di 3,4 miliardi di euro l’anno, sono inoltre le spese inerenti alla salvaguardia dell’ambiente: autorizzazioni per lo scarico delle acque reflue, impatto acustico, la tenuta dei registri dei rifiuti e le autorizzazioni per le emissioni in atmosfera sono voci con cui bisogna confrontarsi a fine anno.

Il conto della burocrazia si fa sempre più salato se si guarda alle altre voci in bilancio:

2,8 miliardi di euro per gli adempimenti amministrativi (dichiarazioni dei sostituti di imposta, comunicazioni periodiche ed annuali Iva)
2,2 miliardi di euro per la privacy
1,5 miliardi di euro per la sicurezza sul lavoro 1,4 miliardi di euro per la prevenzione incendi
1,2 miliardi di euro per gli appalti
600 mila euro per la tutela del paesaggio e dei beni culturali

Appello a Monti: accelerare i pagamenti per le Pmi

Piccole e medie imprese italiane sempre più strette dalla morsa dei ritardi nei pagamenti e dal rischio del fallimento. Unazienda su 10 in Italia, secondo quanto rivelato dal l‘Osservatorio sulla rischiosità commerciale di Cribis D&B, è a rischio declassamento per l’insostenibilità degli oneri nei confronti dei propri fornitori.

La Cgia di Mestre chiede un intervento immediato ed efficace da parte del presidente del Consiglio Mario Monti, affinchè intervenga in prima persona per accelerare l’iter della Direttiva emanata dalla Comunità Europea contro i ritardi nei pagamenti. Le piccole e medie imprese, denuncia Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia di Mestre, “a seguito della diminuzione del credito erogato dalle banche, non sono ormai più’ in grado di fronteggiare la crisi”.

E sono i dati a confermare l’ipotesi peggiore. Tra la stretta creditizia (-1,24% di prestiti erogati nel 2011 dalle banche), l’aumento dei ritardi nei pagamenti (+ 38 giorni negli ultimi 3 anni) e l’incremento dei fallimenti (+ 60,5% negli ultimi 4 anni), le piccole e medie imprese in Italia sono condannate.

“I ritardi nei pagamenti tra la Pubblica amministrazione italiana e le imprese private – continua Bortolussi – sono aumentati in questi ultimi 3 anni di 38 giorni. Secondo una recente elaborazione della Cgia, attualmente la Pa paga i suoi fornitori con un ritardo medio di 90 giorni. Se teniamo conto che le aziende italiane avanzano quasi 70 miliardi di euro dallo Stato italiano e il nostro Paese e’ maglia nera in Europa per i tempi medi di pagamento”.

Ritardi nei pagamenti che sono molto spesso l’anticamera del fallimento dell’azienda. Dal 2007 ad oggi i fallimenti sono aumentati i del 60,5%, toccando nel 2011 quota 11.615. Un’azienda su tre denuncia di aver portato i libri in tribunale a causa dei forti ritardi nei pagamenti subiti.

E il sistema creditizio e bancario? Come sostiene la piccola e media imprenditoria in Italia?

A causa dell’ aumento dell’inflazione del 3%, le imprese artigiane hanno registrato una contrazione dei prestiti pari a -1,24% e per le quasi società non finanziarie, le piccole società come le snc o le sas, l’aumento e’ stato solo dello 0,31%.

E’ andata meglio all’impresa pubblica, ch ha visto erogati crediti con +26,11%. Per le altre imprese private gli impieghi sono invece aumentati del +5,08%.

Il peso della burocrazia schiaccia le pmi

di Vera MORETTI

La burocrazia pesa, non solo per l’iter da percorrere per rispettarla, ma anche se si pensa al tempo, e al denaro, che spesso si perdono tra una procedura e l’altra.
In termini di denaro, poi, se, per le grandi imprese, si tratta, tutto sommato, di spese gestibili e non così onerose, considerando l’ampio giro d’affari, per le Pmi la musica è ben diversa.

E’ stato stimato, infatti, che le spese burocratiche per le piccole e medie imprese sono di 23,1 miliardi di euro all’anno. Ciò significa che ogni azienda italiana con meno di 250 dipendenti sborsa, in burocrazia, 5.269 euro. E scusate se è poco.

Alla luce di questi dati, calcolati dal Cgia di Mestre, Giuseppe Bortolussi, segretario Cgia, ha dichiarato: “L’inefficienza della Pubblica amministrazione, l’applicazione spesso cervellotica di leggi, circolari e regolamenti vari si abbatte in maniera piu’ decisa sulle piccole e micro imprese che su quelle medie o grandi. Quest’ultime sono chiaramente più strutturate organizzativamente e possono, quindi, affrontare con minori difficoltà e con costi più contenuti, gli adempimenti richiesti dalla legislazione italiana. Per questo la misura che il Governo ha approvato va nella direzione giusta, anche se deve tenere conto delle specificità dimensionali delle imprese italiane. Purtroppo, nonostante gli sforzi compiuti in questi ultimi 15 anni, il carico sulle piccolissime aziende rimane ancora eccessivo“.

Ad incidere maggiormente sulle spese è il settore del lavoro e della previdenza, ovvero libri paga, comunicazioni legate alle assunzioni o alle cessazioni di lavoro, denunce mensili dei dati retributivi e contributivi. Inoltre, ricordiamo che l’ammontare delle retribuzioni e delle autoliquidazioni costano 9,9 miliardi l’anno, mediamente 2.270 euro per azienda.

L’ambiente ha un forte impatto sui bilanci delle pmi, con un peso di 3,4 miliardi di euro l’anno, mediamente 778 euro ad impresa. Si tratta di autorizzazioni per lo scarico delle acque reflue, documentazione per l’impatto acustico, tenuta dei registri dei rifiuti ed autorizzazioni per le emissioni in atmosfera.

Anche gli adempimenti in materia fiscale hanno un costo che, per dichiarazioni dei sostituti di imposta, comunicazioni periodiche ed annuali Iva, oltre ad altre varie ed eventuali, raggiunge complessivamente 2,8 mld di euro, circa 629 euro per ogni pmi.

Gli altri settori che incidono sui costi amministrativi delle pmi sono la privacy (2,2 mld), la sicurezza sul lavoro (1,5 mld), la prevenzione incendi (1,4 mld), gli appalti (1,2 mld) e la tutela del paesaggio e dei beni culturali (0,6 miliardi).