Società con debiti, come può essere chiusa?

Molto spesso un imprenditore o un gruppo di imprenditori decide di aprire una società con l’obiettivo di fare buoni affari. Ma altrettanto spesso, purtroppo, le cose poi nel tempo non vanno propri per il verso giusto. Ed allora si decide di chiudere la società seguendo l’iter di legge che, tra l’altro, prevede la cancellazione dal registro delle imprese. Ma se la società ha dei debiti, questi che fine fanno se l’attività viene chiusa? Ed in che modo si può chiudere una società che ha ancora dei debiti da onorare senza infrangere la legge?

Società chiusa, chi risponde dei debiti ancora da onorare?

Al riguardo c’è da dire, in linea di massima, che una società si può chiudere anche se questa ha dei debiti. E questo perché, sebbene la società che è stata chiusa non esista più, i soci in automatico diventano in genere responsabili di tutti i debiti che ancora l’impresa non ha pagato.

E questo vale, tra l’altro, pure per i crediti che la società non ha ancora riscosso o che, per qualsiasi ragione, non è riuscita ancora a riscuotere. Ma detto questo, in che modo i soci di un’impresa che è stata chiusa rispondono dei debiti ancora da onorare? In questo caso tutto dipende dal tipo di impresa, ovverosia se trattasi di una società di capitali oppure di una società di persone.

Nel dettaglio, se l’impresa è una Srl, una Spa oppure una Sapa, ovverosia una società di capitali, allora i soci risponderanno solo del capitale sociale versato ed il loro patrimonio personale non sarà aggredibile. Mentre lo stesso non vale per le società di persone, ovverosia per le società semplici, per le Snc e per le Sas. In questo caso, infatti, chiudere la società con debiti porterà i soci ad essere responsabili dell’indebitamento e sono chiamati a risponderne con il proprio patrimonio personale.

Come chiudere una società con debiti senza infrangere la legge

Detto questo, e come sopra accennato, una società con debiti per essere chiusa deve seguire sempre l’iter di legge. Per esempio, una società di capitali che non ha abbastanza liquidità per soddisfare tutti i creditori nella maggioranza dei casi ha come unica strada percorribile quella dell’accesso all’istituto giuridico del fallimento.

In altre parole, una società con debiti può essere sempre chiusa, ma mai con l’intenzione di cercare di sfuggire ai creditori anche attraverso eventuali artifici contabili. Altrimenti si può incappare nel reato bancarotta fraudolenta che rientra nel codice penale e che prevede, di conseguenza e tra l’altro, anni di carcere in ragione della gravità degli atti che sono stati commessi.

Come liquidare una società con debiti fino a arrivare alla cessazione

In alternativa al fallimento, inoltre, un altro tipo di operazione, che porta poi alla chiusura di una società con debiti, è la liquidazione. La società, nello specifico, può essere messa in liquidazione quando da un lato ha dei debiti, ma dall’altro ha crediti ed un patrimonio tale che, se convertito in liquidità, potrà andare a coprire l’indebitamento. In questo modo, vendendo tutti i beni, riscuotendo di tutti i crediti e pagando tutti i debiti, la società in liquidazione potrà poi avviare le operazioni di cessazione con la conseguente conclusione di tutte le attività aziendali.

Partita Iva: quando è inattiva e chiusura automatica dell’Agenzia delle Entrate

Può capitare che una partita Iva, aperta per avviare un’attività d’impresa o un lavoro autonomo, non sia stata chiusa a seguito della mancata movimentazione per diverso tempo. Una situazione di questo tipo rientra come “partita Iva inattiva” e si verifica, frequentemente, quando l’attività subisce un calo drastico che porta il titolare al mancato utilizzo della sua posizione.

Chiusura partita Iva con modello AA9/12 entro 30 giorni

Di regola, il titolare di una partita Iva non più attiva dovrebbe procedere alla chiusura, presentando all’Agenzia delle Entrate il modello AA9/12 entro trenta giorni dalla data di cessazione dell’attività. Tuttavia, è frequente anche il caso di apertura di partita Iva per un’attività sporadica o secondaria, come nel caso di un consulente che svolga attività esterne all’impresa per la quale lavora. Attività di questo tipo richiedono di avere una partita Iva.

Partita Iva: in quali casi l’Agenzia delle Entrate procede alla chiusura d’ufficio

Pur essendo difficile individuare la data a partire dalla quale l’attività può considerarsi cessata e quindi di decorrenza dei 30 giorni, l’Agenzia delle Entrate è intervenuta per porre un limite alle partite Iva inattive con il provvedimento del 3 dicembre 2019. Innanzitutto definendo come partita Iva inattiva la posizione che, sulla base degli elementi e dei dati in possesso dell’Agenzia, risulti non aver esercitato, nelle 3 annualità precedenti, attività di impresa oppure attività professionali o artistiche. In tal caso, l’Agenzia delle Entrate procede d’ufficio alla chiusura della partita Iva dandone comunicazione al titolare tramite lettera raccomandata con avviso di ricevimento (A/R).

Partita Iva inattiva se per 3 anni non viene presentata dichiarazione Iva o dei redditi

Più nel dettaglio, sono definiti nel provvedimento dell’Agenzia delle Entrate i criteri e le modalità di chiusura delle partite Iva. Le posizioni individuate per la chiusura perché nelle tre annualità precedenti non hanno esercitato attività di impresa, professionale o artistiche rientrano nella casistica, verificatasi nel periodo indicato, di non aver presentato la dichiarazione Iva, se dovuta, o la dichiarazione dei redditi da lavoro autonomo o di impresa. La chiusura avviene in modalità centralizzata e, per i soggetti diversi dalle persone fisiche – qualora all’Anagrafe tributaria non risultino evidenze che facciano emergere l’operatività del soggetto titolare di partita Iva – si procedere all’estinzione contestuale anche del codice fiscale.

Ricorso titolare partita Iva contro chiusura partita Iva d’ufficio

Tuttavia, nel caso in cui il titolare ritenga che la procedura d’ufficio di chiusura della partita Iva non sia corretta, può presentare le proprie ragioni rivolgendosi a un qualsiasi ufficio dell’Agenzia delle Entrate e fornendo prova della propria qualificazione di soggetto passivo ai fini Iva. Più dettagliatamente, il termine per far valere elementi non considerati o erratamente valutati dall’Agenzia delle Entrate nella chiusura della partita Iva possono essere fatti presenti entro 60 giorni dalla ricezione della comunicazione di chiusura. Allo stesso modo, il soggetto diverso da persona fisica che contesti la chiusura anche del codice fiscale, può rivolgersi agli uffici dell’Agenzia delle Entrate per richiederne la riattivazione presentando motivazione.

Decisione Agenzia delle Entrate su ricorso del titolare partita Iva

I soggetti che presentino ricorso motivato per la chiusura della partita Iva sono soggetti alla decisione dell’Agenzia delle Entrate la quale, dopo verifica della documentazione e delle argomentazioni prodotte dal titolare, può decidere di archiviare la comunicazione di chiusura lasciando il soggetto in stato di attività. Al contrario, l’Agenzia può decidere di rigettare l’istanza motivandone la decisione.

Calano le imprese a Torino e provincia

Anche al nord le imprese sono in crisi tanto da essere costrette a chiudere.
Un esempio è la città di Torino, dove attualmente sono più numerose di quelle che aprono.

Questo trend negativo è iniziato nel 2012 e, alla fine dell’anno scorso, ha fatto registrare un -0,11%, contro il +0,21% rilevato a livello nazionale.
Ma se le cessazioni registrate nel 2013 (15.868) sono sostanzialmente in linea con quelle dell’anno precedente (con un leggero miglioramento), sono le nuove iscrizioni che si riducono e scendono a 15.616.

Così ha commentato Alessandro Barberis, presidente della Camera di Commercio di Torino: “Pare quasi che di fronte alla crisi ci sia meno voglia di fare impresa“.

Per ovviare a questo problema, l’ente camerale ha deciso di sostenere gli aspiranti imprenditori con una serie di servizi gratuiti.
Intesa Sanpaolo, inoltre, ha deciso di sospendere il pagamento della quota capitale dei mutui per un anno, per dare l’opportunità di destinare risorse anche alle nuove attività.

Nonostante ciò, però, gli aspiranti imprenditori sono sempre più rari, e nei giovani ancora di più, tanto da essere calati del 10%.
Il 60% dei nuovi imprenditori sono lavoratori rimasti senza impiego, che hanno come maggiore motivazione un’alternativa alla mancanza di lavoro.

Ma la situazione non è uguale per tutti i settori, e infatti il turismo ha registrato un incremento delle imprese dello 0,7%, anche se gli alberghi hanno subito un calo, compensato da un aumento di rifugi e villaggi turistici.
Mentre il crollo delle imprese di catering viene compensato dalla crescita dei ristoranti e delle attività di ristorazione mobile e di take away.

Per quanto riguarda il commercio, le aziende all’ingrosso sono calate del 2,6%, quelle del commercio ambulante del 2,4% e quelle al dettaglio dell’1,8%.
Al contrario, sono aumentati i negozi di frutta e verdura, come anche le rivendite di pane e di bevande.

Anno positivo anche per chi opera nel settore della telefonia e dei servizi in internet, e anche per i negozi che commerciano in articoli di seconda mano.

Male sono andate le imprese industriali, -2,5%, e delle costruzioni, -2,4%, con un aumento, invece, delle attività legate ai servizi destinati alle imprese, come le attività immobiliari, i servizi di noleggio, le agenzie di viaggio, i servizi di pulizia, le copisterie, le imprese di volantinaggio e affissione, i call center.
In calo le attività professionali, scientifiche e tecniche, i servizi di trasporto e magazzinaggio. Anche in questo caso sembra prevalere l’attenzione per attività meno costose.

Nel settore della sanità, istruzione e dei servizi pubblici e personali si registra un incremento delle imprese che si occupano di corsi di formazione, di recupero e abilitazione.
Crescono i servizi di assistenza sanitaria e le strutture di assistenza sociale per le categorie deboli.
Male le vendite di auto e di moto, a conferma della crisi nera del comparto, mentre aumenta il lavoro per i riparatori di biciclette.

Vera MORETTI

Sempre meno credito alle famiglie, sale rischio usura al Sud

Dei 5 miliardi di euro in meno che in questo ultimo anno sono stati concessi alle famiglie italiane, quasi 3 (pari al 59% del totale) sono stati tagliati alle famiglie del Sud Italia. Per contro, come ovvio che sia, si consolida il rischio usura proprio in queste realtà del profondo meridione. Dall’analisi dell’indice del rischio usura realizzato dalla Cgia, emerge che nel 2012 la Campania, la Basilicata, il Molise, la Calabria, la Puglia e la Sicilia sono le Regioni dove questo drammatico fenomeno socio-economico ha raggiunto livelli molto preoccupanti. Del resto è normalmente nei periodi più acuti delle crisi economiche che si tende a chiedere aiuto ai vari strozzini.

Dal 2009 sottolinea da Federconsumatori, le consistenze debitorie delle famiglie hanno iniziato a ridursi. Le famiglie hanno cominciato a diminuire fortemente gli acquisti anche rateali fino a tornare a livelli antecedenti il 2008.

Nuove attività in calo nel primo trimestre 2013

Sembra che non ci sia fine al peggio: nei primi tre mesi del 2013 il saldo tra aperture e chiusure di imprese è negativo per ben 31mila unità, con un calo dello 0,51%, e 10mila di queste appartenevano al settore del commercio.
A rivelare questi dati è un’indagine di Unioncamere, che conferma un ulteriore peggioramento rispetto al primo trimestre del 2009, a causa di una diminuzione massiccia di nuove iscrizioni, che sono state 118.618, contro le 120.278 dello stesso periodo del 2012.
Le cessazioni, a contrario, sono aumentate, arrivando a 149.696 contro le 146.368 dell‘anno scorso.

A dimostrare le maggiori difficoltà sono gli artigiani, poiché le 21.185 imprese artigiane che tra gennaio e marzo sono mancate all’appello rappresentano oltre due terzi (il 67,6%) del saldo negativo complessivo del trimestre.
Il peggioramento, rispetto al 2012, quando il bilancio del comparto, con 15mila imprese in meno, aveva eguagliato il 2009, è del 40%.
In termini percentuali, la riduzione della base imprenditoriale artigiana è stata pari all’1,47% con una forte accelerazione rispetto al negativo risultato del 2012 (-1,04%).

Analizzando la situazione del territorio nazionale, la situazione più critica si trova a Nord-Est, con un calo dello 0,7%, pari a 8.350 imprese in meno.
Tra gli artigiani, le perdite più consistenti riguardano le regioni del Centro (-1,62% il tasso di crescita negativo, corrispondente a 4.689 imprese in meno nel trimestre).
Tra i settori (escludendo l’agricoltura), in termini relativi spiccano i bilanci negativi delle costruzioni (-1,4% corrispondente a 12.507 imprese in meno, quasi tutte artigiane), delle attività manifatturiere (-0,88% pari a 5.342 imprese in meno) e del commercio (-0,59% che in valore assoluto corrisponde ad un saldo di -9.151 unità).

Vera MORETTI

La burocrazia non aiuta le pmi

Era andata peggio solo nel 2009: l’anno che si è appena concluso ha segnato la chiusura di 365.000 imprese, in prevalenza piccole e piccolissime imprese.

Ciò è emerso dalla Relazione che il Garante delle Micro PMI ha inviato al Presidente del Consiglio dei Ministri e che vede, come unica buona notizia, la stipulazione di 523 contratti di rete che coinvolgono 2.800 aziende, con molte Pmi che si affacciano per la prima volta nei mercati internazionali e che utilizzano il commercio elettronico.

L’aspetto più critico rimane quello dei tempi di attuazione delle misure che spesso, per diventare operative richiedono l’emanazione di regolamenti che allungano oltre misura i tempi. Esempio concreto è la vicenda dei pagamenti dei debiti della PA.

Ciò che maggiormente fa male alle imprese è la mancanza di semplificazioni dal punto di vista burocratico. A questo proposito, la Relazione sottolinea la necessità di agevolazioni fiscali a sostegno delle micro imprese, in particolare relative alle reti d’impresa per gli investimenti e l’innovazione.

Ma non solo: occorre anche ridurre il costo dell’energia per i consorzi di piccole imprese e l’ampliamento della compensazione tra crediti e debiti verso l’erario.
Inoltre, le imprese, per crescere, hanno bisogno di investire: per questo viene richiesto uno strumento agevolato per l’acquisto o il leasing di macchine utensili e di produzione.

Ma soprattutto la Relazione richiama l’esigenza di una diversa politica europea, come sostiene il Garante: “Con una domanda debole pure le misure introdotte per fronteggiare le emergenze, abbattere le barriere, creare ambienti più favorevoli, valorizzare le capacità delle imprese, difficilmente producono effetti significativi (anche al netto dei tanti ritardi applicativi). Se non si riattiva al più presto il volano della domanda interna, il depauperamento imprenditoriale rischia di divenire difficilmente recuperabile poiché, da solo, l’export – peraltro messo a rischio da un euro forte – non può trascinare tutta la nostra economia. Se l’Unione Europea tarderà a intraprendere politiche forti di crescita, sarà arduo venire fuori rapidamente dalla recessione”.

Vera MORETTI

Imprese a terra? C’è chi ancora vuole investire

 

 

Saldo in attivo per le imprese italiane, da Nord a Sud dello stivale: le aziende che aprono i battenti superano ancora nel numero quelle che cessano l’attività. La conferma viene dal saldo del bimestre luglio-agosto: saldo positivo e pari a +9.668 unità, con un tasso di crescita dello 0,16%.

E la crisi? Se da un lato, secondo quanto emerge da una rilevazione di Unioncamere sui dati del Registro delle imprese delle Camere di Commercio, le iscrizioni sono state lievemente più numerose dello scorso anno (quasi 51mila a fronte di poco meno di 50mila di luglio-agosto 2011), dall’altro però hanno superato quota 41mila le cessazioni registrate nel bimestre estivo 2012, il dato peggiore dal 2009.

Bilancio positivo, ma l’ombra inquietante della crisi continua a oscurare le aziende italiane.

La crisi sta progressivamente erodendo la capacità di resistenza di tantissime nostre imprese – ha sottolineato Ferruccio Dardanello, presidente di Unioncamere, – anche se non spegne la voglia d’impresa di tanti italiani. L’elevato numero di cessazioni e il rallentamento della dinamica espansiva registrato nelle regioni settentrionali nel periodo estivo, suona come un campanello d’allarme delle condizioni difficili in cui sta vivendo il Paese e dello stato d’animo di incertezza dei nostri imprenditori”.

Ma qual è la mappa da Nord a Sud delle imprese che decidono di aprire?

Strano a dirsi, ma il rallentamento della crescita delle imprese ha colpito  le aree produttive maggiormente sviluppate: dal Centro-Nord, che presenta tassi di crescita più contenuti rispetto all’anno scorso, al Nord-Est la crisi sembra “raffreddare” l’anima imprenditoriale dei suoi abitanti. Anche se, va sottolineato, cresce l’indicatore della nati-mortalità di solo lo 0,07%, in contrazione dallo 0,18%  del 2011. Analoga sorte interessa Nord-Ovest e Centro, il cui tasso di crescita nel bimestre è pari allo 0,11%, in riduzione rispetto al +0,17% e +0,25% del 2011.

Segna un punto positivo invece il Mezzogiorno, dove l’indicatore della crescita (+0,28%) è in aumento rispetto a quanto registrato nel bimestre estivo 2011. A Napoli si contano addirittura quasi 2mila imprese in più rispetto a giugno 2011, mentre Palermo, Aosta e Salerno spiccano al vertice della classifica per tasso di crescita.  Maglia nera invece a Vicenza, con -86 imprese nel 2012, mentre in 16 province del Nord le cessazioni hanno superato le iscrizioni, generando così un saldo negativo.

Alla crisi le nuove imprese rispondono optando per una forma giuridica più strutturata: +0,42% l’incremento delle società di capitali, +0,52% le altre forme giuridiche, mentre modesti sono i tassi di incremento delle Ditte individuali (+0,09%) e delle società di persone (0,05%).

Dal punto di vista dei settori più svantaggiati, l’Agricoltura è in assoluto il settore che perde il maggior numero di imprese nel periodo (-416 imprese), mentre meno consistente è la riduzione che interessa il settore manifatturiero (-275 imprese). Saldo positivo ma in deciso rallentamento rispetto a luglio-agosto 2011 quello delle Costruzioni, settore che nel bimestre estivo 2012 aumenta di sole 83 unità, mentre frena la dinamica espansiva di tutti i settori dei servizi, in particolare delle Attività professionali, scientifiche e tecniche (736 le imprese nell’estate 2012 a fronte delle oltre 1000 registrate lo scorso anno). Fa eccezione la Sanità e assistenza sociale, in cui il saldo di 201 unità corrisponde a un tasso di crescita dello 0,59%, in aumento rispetto allo 0,41% del bimestre luglio-agosto 2011.

Alessia CASIRAGHI

Le imprese italiane resistono e crescono

Sono stati resi noti da Unioncamere i dati riguardanti apertura e chiusura di imprese nel terzo trimestre 2011.

La ricerca, che si basa sui dati del Registro delle Imprese delle Camere di Commercio, parla di un saldo attivo pari a 19.833 unità che, alla fine di settembre, contava 6.134.117 imprese, cifra che riporta ai valori record del 2007.

Nel dettaglio, il trimestre estivo ha registrato 77.443 nuove iscrizioni, il 9,1% in meno di quelle del corrispondente periodo del 2010 (quando furono 85.220). A fronte di questo rallentamento, tra luglio e settembre le cessazioni sono invece aumentate, tanto da raggiungere un valore di 57.610 unità, il 3,6% in più del corrispondente trimestre dello scorso anno (55.593).
Questi valori, dunque, rispecchiano il panorama economico italiano e porta, come saldo trimestrale, il numero di 19.833 imprese, positivo ma inferiore di un terzo (-33,1%) rispetto al corrispondente saldo rilevato nel 2010.

Lo scarto tra aperture e chiusure si sta perciò restringendo e questo risultato non deve essere preso sottogamba, come ha ribadito anche Ferruccio Dardanello, presidente di Unioncamere, il quale ha anche riconosciuto come, a “tirare la carretta” sia soprattutto l’export e ciò dovrebbe far riflettere circa la necessità, prioritaria, di “rimettere a punto il sistema della promozione, valorizzando le competenze che ci sono già, come la rete della Camere di commercio italiane all’estero“.
Per quanto riguarda, invece, il mercato interno, Dardanello sostiene l’importanza di “restituire capacità di spesa alle famiglie e spingere sulle liberalizzazioni, aprendo i mercati alle forze più innovative, alle donne e ai giovani, il patrimonio più prezioso che abbiamo per costruire il nostro futuro“. Ma anche le piccole imprese artigiane devono poter contare su “continuità al processo di semplificazione delle attività d’impresa e non far mancare il credito necessario”.

Facendo un quadro generale, si può dire che nel terzo trimestre 2011 il sistema delle imprese si conferma in leggera espansione, pur con un ritmo di crescita ridotto rispetto alle rilevazioni precedenti (+0,32% contro lo 0,49% del corrispondente trimestre del 2010) e ciò trova conferma confrontando i primi tre trimestri, che presentano una situazione analoga. Ciò che appare evidente è il rallentamento della vitalità del sistema rispetto al 2010 poiché tra gennaio e settembre di quest’anno i registri camerali hanno rilevato 309.323 iscrizioni (nel 2010 erano state 315.620) a fronte di 260.169 cessazioni (254.953 l’anno precedente), per un saldo complessivo di 49.154 imprese in più (contro 60.667). Analizzando la situazione in percentuale, il saldo dei primi nove mesi di quest’anno è ridotto del 19% rispetto a quello del 2010, frutto del calo 2% delle iscrizioni e dell’aumento di uguale entità delle cessazioni.

In termini assoluti, il risultato dell’ultimo trimestre riporta il livello dello stock al dato di settembre del 2007, a testimoniare la sostanziale tenuta del sistema delle imprese in risposta alle perduranti tensioni.

Il primo fattore di stabilità della base imprenditoriale è da ricercare nella crescita delle imprese costituite in forma di società di capitale che determinano il 22,5% dello stock complessivo di tutte le imprese registrate. Negli ultimi tre mesi il loro saldo è stato pari a 9.478 unità (il 47,8% di tutta la crescita del trimestre), ma se si estende l’analisi ai primi nove mesi dell’anno, il loro contributo appare ancora più evidente: tra gennaio e settembre le società di capitale in più sono state infatti 34.738, pari al 70,7% di tutto il saldo dei nove mesi.

Il secondo elemento di tenuta risiede nel contributo, sempre elevato, che le ditte individuali assicurano al flusso delle nuove iscrizioni. Un fenomeno che dipende sempre più dall’apporto delle imprese aperte da cittadini immigrati: nell’ultimo trimestre il loro contributo al saldo del periodo è stato di 5.108 imprese, pari al 26% dell’incremento totale e al 71% di quello delle sole ditte individuali.
Se si considerano i primi nove mesi dell’anno, questi stessi valori passano al 30% (il peso sul saldo complessivo) e addirittura a oltre il doppio di tutto l’aumento delle imprese individuali (14.775 su 6.567): come dire che, senza le imprese di immigrati, nei primi nove mesi del 2011 questo aggregato sarebbe diminuito di oltre 8mila unità.

Per quanto riguarda i vari settori, nel trimestre tutte le tipologie di attività evidenziano saldi positivi, con il Commercio (+5.425 imprese), le Attività dei servizi di alloggio e ristorazione (+4.299) e le Costruzioni (+3.345) in testa.
Nell’arco più ampio dei nove mesi, tuttavia, in aggiunta all’agricoltura il bilancio anagrafico evidenzia una riduzione della base imprenditoriale anche per le Attività manifatturiere (-1.712 imprese).

Per quanto riguarda il territorio, molto bene è andato il Centro Italia (+0,4%) trainato dal buon risultato del Lazio, la regione dove la crescita relativa è stata più elevata (+0,5%).
In termini assoluti, il maggiore contributo al saldo è venuto dal Mezzogiorno, dove sono state rilevate 6.074 imprese in più (lo 0,3%) rispetto alla fine di giugno. Tra le regioni, dopo il Lazio, in termini relativi hanno fatto bene Campania e Trentino Alto-Adige (entrambe a +0,46%), Liguria e Calabria (+0,39%). In termini assoluti, il miglior risultato spetta invece alla Lombardia (3.276 le imprese in più nel trimestre), seguita dal Lazio (+3.012) Campania (+2.521) e Toscana (+1.549).

Parzialmente diverso è il quadro nell’arco dei primi nove mesi dell’anno. Se il Centro si conferma sempre molto dinamico, (+1,1%), il saldo più consistente in termini assoluti lo fa registrare la circoscrizione del Nord-Ovest, con 14.570 imprese in più.
Nella classifica delle regioni in termini assoluti, la Toscana (+4.647 imprese) sopravanza la Campania (+4.444) al terzo posto dopo Lombardia e Lazio, rispettivamente a +11.067 e +8.691.

Vera Moretti