Sistema Swift: cos’è, perché è importante e cosa comporta il blocco?

Negli ultimi giorni sentiamo spesso parlare di sistema Swift in relazione alle sanzioni comminate alla Russia in seguito all’invasione dell’Ucraina, ma cos’è esattamente il sistema Swift e perché è così importante?

Cos’è il codice SWIF e perché è importante?

Il codice Swift è una realtà quotidiana che riguarda ognuno di noi, ma fino a pochi giorni fa nessuno lo sapeva, oppure conosceva la sua esistenza senza però capirne utilità e funzionalità. Il termine Swift è acronimo di Society for Worldwide Interbank Financial Telecommunication, si tratta di una società cooperativa nata nel 1973 e che è sottoposta al controllo della BCE, Federal Reserve e la Banca Centrale Belga e altri istituti centrali dislocati in varie parti del mondo.

L’obiettivo è consentire transazioni rapidissime a livello globale e questo perché la cooperativa è impegnata nel rendere tutte le transazioni sicure e rapide attraverso controlli telematici. Il fatto che sia sottoposta a controllo di banche centrali praticamente di tutto il mondo e che sia utilizzato da 10 mila aziende e istituti finanziari per le transazioni, rende il sistema SWIFT un nodo centrale nell’economia mondiale. Ordini, acquisti, pagamenti di soggetti privati o di aziende, e quindi anche con alti volumi, passano attraverso questo sistema.

Dove trovo il codice Swift della mia banca e quando devo usarlo?

Ad ogni banca che usa il sistema Swift viene assegnato un codice da 8 o 11 caratteri denominato appunto codice SWIFT, si tratta di un codice univoco che identifica la singola banca.

  • I primi 4 caratteri rappresentano il codice bancario;
  • i successivi 2 caratteri il Paese, ad esempio per l’italia IT;
  • seguono 2 lettere o due numeri che individuano la località;
  • gli ultimi 3 caratteri sono opzionali e individuano la filiale di riferimento, in alternativa a questi sono indicate XXX ed indicano uffici centrali della banca.

All’interno di un bonifico il codice Swift viene indicato solo per i pagamenti internazionali, si tratta di una sorta di IBAN che però opera a livello sovranazionale. Proprio il fatto che l’indicazione esplicita sia richiesta solo per queste tipologie di pagamento, fa in modo che generalmente le banche segnalino al cliente tra le coordinate bancarie solo il codice IBAN, mentre non segnalano il codice Swift, che potrà comunque essere richiesto alla propria filiale nel caso in cui dovesse essere necessario utilizzarlo.

Il blocco dello Swift delle banche russe sta creando problemi alla popolazione che quotidianamente effettua pagamenti, ma l’obiettivo non è questo, o almeno non è questo il principale. Tra i cambiamenti immediati c’è stata l’impossibilità di accedere ai pagamenti attraverso i sistemi Visa e Mastercard, quindi con i pagamenti digitali bloccati si ritorna all’uso prevalente del contante.

Perché il blocco del sistema Swift si utilizza come “arma di guerra”?

Tra le transazioni che passano attraverso il sistema Swift ci sono quelle per l’acquisto di gas dalla Russia da parte dell’Europa, ma non solo, anche da parte di tutti gli altri Paesi che sfruttano le risorse energetiche di questo Paese. Affari di diversa natura intercorrono invece con gli Stati Uniti. Ne consegue che escludere la Russia dai sistemi di pagamento vuol dire tagliare di netto la fornitura economica che alimenta le casse della Russia e consente di avere armi che saranno poi utilizzate contro l’Ucraina.

Non si tratta di una decisione senza conseguenze perché questo taglio, da un lato rischia di mettere in ginocchio la Russia, ma dall’altro mette in difficoltà i Paesi che non hanno autonomia energetica, tra cui l’Italia che sicuramente per un breve periodo può garantirsi una certa autosufficienza, ma nel tempo potrebbe avere notevoli difficoltà. L’Italia dipende dal gas russo per circa il 46% del fabbisogno. Dai dati resi noti dal Ministero della Transizione Ecologica emerge che nel 2020, l’Italia ha importato quasi 66,4 miliardi di metri cubi di gas naturale, di cui il 43,3% (pari a circa 28,6 miliardi di metri cubi) dalla Russia.

Al fine però di evitare il blocco del gas proveniente dalla Siberia, la Commissione UE al tavolo Coreper che riunisce gli ambasciatori dei 27 Paesi Membri dell’Unione Europea ha proposto di escludere dal blocco dei codici Swift quello di Gazprombank cioè la banca attraverso la quale l’ENI effettua le transazioni per l’approvvigionamento del gas.

Escludere la Russia del sistema Swift non vuol dire bloccare ogni flusso di denaro, ma semplicemente costringe il colosso ad adottare circuiti lenti per le sue transazioni.

I precedenti

Deve essere ricordato che non è l’unica volta in cui si è proceduto a questa tipologia di sanzione, infatti già nel 2012 si era provveduto all’esclusione dal sistema Swift dell’Iran. L’obiettivo in quel caso era fermare il programma nucleare. Da quella decisione derivò un notevole calo di PIL dovuto proprio a questa sanzione.

Rispetto al 2012 però qualcosa è cambiato, infatti, la Cina non si è schierata, ma da sempre esprime posizioni vicine alla Russia. Entrambe queste potenze avevano provato in passato a creare un sistema analogo, tentativo poi fallito a causa delle scarse adesioni, ma ora la Cina lavora in modo assiduo alla creazione di piattaforme digitali (yuan) e crypto asset che potrebbero essere rese disponibili alla Russia, superando così anche questo ostacolo. Rispetto al blocco all’Iran c’è anche un’altra differenza e cioè il livello di operazioni internazionali eseguite che per la Russia è molto più elevato e proprio a causa di questo fattore, oltre che al bisogno di gas, si è pensato non a un blocco totale, ma parziale con salvaguardia di alcuni istituti finanziari.

Agroalimentare italiano sempre più forte in Cina

L’export agroalimentare italiano verso la Cina sta registrando dati sempre più positivi, che hanno portato, a fine 2017, ad un aumento del 18%, superando i 460 milioni di euro a valore.
Ciò, confermato anche da Coldiretti, è stato possibile anche perché l’Italia, nell’anno appena trascorso, è stata visitata da 1,4 milioni di cinesi, approdati nel Belpaese perché considerato più sicuro rispetto ad altre mete turistiche europee, e che, una volta arrivati qui, hanno potuto conoscere la nostra indiscussa e inestimabile ricchezza agroalimentare che vanta ben 292 prodotti Dop e Igp, 523 vini Docg, Doc e Igt e 5.047 specialità alimentari tradizionali.

Spesso, infatti, accade che i turisti rimangano rapiti dal food Made in Italy e, una volta tornati a casa, siano presi dalla voglia di riassaggiare gli stessi sapori, portando così ad un incremento delle richieste e di conseguenza dell’export.

I prodotti più amati rimangono quelli della nostra tradizione, a partire dal vino che, con 120 milioni di euro registra un balzo del 21% nel Paese asiatico, l’olio d’oliva con oltre 40 milioni di euro segna una crescita del 41%, i formaggi aumentano del 34% e la pasta sale del 20%, arrivando a 23 milioni di euro.
Questi dati hanno contribuiti ad un ribilanciamento, dopo che nel 2017 alla crescita dell’export era seguito anche un calo del 10% delle importazioni italiane dalla Cina.

Si tratta di dati molto importanti, determinati anche da alcune cruciali decisioni prese dal governo cinese, che ha rimosso il bando sulla carne bovina tricolore e ha dimezzato i dazi all’importazione su alcuni prodotti cardine della gastronomia Made in Italy  come Parmigiano Reggiano, Grana Padano e altri formaggi stagionati oltre che per Gorgonzola (da 15/12% a 8%), formaggio grattugiato e fuso e acquaviti di vino (da 10 al 5%), vermouth (da 65 a 14%), pasta e salsicce/salami (da 15 a 8%).
Ad ottobre, inoltre, la Cina aveva anche deciso di rimuovere il blocco alle importazioni di Gorgonzola, Taleggio e altri formaggi erborinati, a crosta fiorita o muffettati deciso a fine agosto scorso per un improvviso irrigidimento nell’applicazione delle norme sull’import dall’Unione Europea.
A maggio inoltre è stato anche deciso di aprire il mercato a limoni, arance e mandarini di origine italiana.

Vera MORETTI

Successo in Cina per la moda Made in Italy

Non solo le grandi griffe, ma anche la tradizione artigiana della moda Made in Italy sta conquistando il mercato cinese. Da sempre attirata da tutto ciò che è tipicamente italiano, la Cina però sta cominciando ad affinare i suoi gusti e a far emergere le sue preferenze, senza più accontentarsi delle proposte delle grandi marche nella loro totalità.

Per fare emergere ancora di più la tradizione sartoriale e l’alta qualità dell’artigianato italiano, Confartigianato ha promosso e messo in atto un progetto molto ambizioso, che ha riscosso un sorprendente successo, direttamente in Cina, dove dal 13 al 15 ottobre si è svolta la Fashion Week di Shanghai, un appuntamento ormai irrinunciabile per il Paese del Sol Levante e per l’Asia più in generale.

In questi tre giorni, 56 medie e piccole imprese di moda contemporanea rigorosamente al 100% Made in Italy hanno avuto la possibilità di farsi conoscere e presentare le loro collezioni nell’ambito di Style Routes to Shanghai, una piattaforma realizzata da Confartigianato in collaborazione con il Salone della moda White e il sostegno di Ice Agenzia.

Giuseppe Mazzarella, delegato all’Internazionalizzazione di Confartigianato, ha potuto essere presente ed affiancare gli imprenditori presenti, potendo così fare un bilancio di questa importante iniziativa: “La manifestazione ha visto più di 2000 visitatori realmente interessati. Le nostre imprese sono state visitate da numerosi buyers e molte aziende hanno ricevuto ordinativi e stabilito contatti. Stiamo lavorando sui settori della moda, del complemento d’arredo e dei mobili, del food, della meccanica. Siamo impegnati nelle fiere, negli incoming, negli outgoing. Abbiamo fatto fiere sul complemento d’arredo a Miami negli Usa e a Dubai negli Emirati Arabi, a Parigi abbiamo partecipato a ‘Maison et Objet’. Ora stiamo lavorando per portare le nostre imprese a Londra, Parigi, in Cina, Giappone, su tutti i mercati che consideriamo appetibili per la tipologia e la dimensione d’impresa che presentiamo al mondo. Ma siamo anche impegnati sui servizi da offrire alle imprese, in particolare sulla formazione in materia di branding, per aiutare gli imprenditori a valorizzare la storia della sua impresa”.

Vera MORETTI

Cinesi sempre più protagonisti del mercato del lusso

Lo studio condotto da Bain&Company per MEI.com “Cina e consumatori cinesi nel mercato globale del lusso” ha fatto emergere quando la Cina sia sempre più decisa a dire la sua per quanto riguarda il mercato del lusso, il cui valore globale vale 249 miliardi di euro e di cui il Paese del Sol Levante rappresenta il 7%, anche se i cinesi rappresentano il 30% del totale.

Non stupiscono, dunque, le parole di Mattia Mor, Executive Director Europe di MEI.com, flash sales store online del lusso e della moda in Cina e parte del Gruppo Alibaba, il quale vede il mercato cinese sempre più capace di influenzare la crescita del prossimo decennio, grazie alla globalizzazione che sta permettendo al Made in Italy di farsi conoscere dovunque, anche nelle zone del mondo in cui fino a pochi anni fa era quasi sconosciuto.

Per quanto riguarda il consumatore cinese, dopo un primo tempo in cui era davvero onnivoro, poiché attratto da tutto ciò che rappresentava una novità, senza dimostrare dunque una preferenza spiccata, ora sta vivendo un periodo di maturazione. Ciò lo porta a fare acquisiti e scelte più consapevoli e meno guidati dall’entusiasmo, osservando maggiormente il prodotto e meno il logo, che prima era la principale attrattiva.

Il futuro del consumatore cinese, a questo punto, è spinto dall’acquisto di beni di lusso con elementi di design o di prodotti che derivano da marchi di lusso emergenti. E gli outlet cominciano a farsi strada, poiché il rapporto qualità-prezzo ha un suo valore.

Questa repentina maturazione degli acquirenti cinesi è dovuta a più fattori:

  • Sovra-esposizione al lusso: La maggior parte dei marchi di lusso ha investito pesantemente nel mercato cinese negli ultimi 10-15 anni, aprendo ampie reti di negozi. Se prima erano una novità, ora sono una norma e, come tale, l’effetto sorpresa è svanito.
  • Digitalizzazione: La Cina è diventata il più avanzato mercato dell’e-commerce al mondo, soprattutto da cellulare. Per ora i beni di lusso sono interessati marginalmente da questo fenomeno, ma si prevede che anche per questo segmento acquistare online possa diventare il canale prescelto dalla maggior parte dei consumatori.
  • Passaggio al “lusso esperienziale”: Dall’acquisto di beni di lusso, i cinesi stanno passando alle esperienze di lusso, a cominciare dai viaggi, ma anche considerando le auto, o le opere d’arte.

Nonostante il recente rallentamento della crescita economica cinese, si prevede una crescita dei consumi, in linea con quella della popolazione (+ 32 milioni di persone entro il 2030) con un PIL globale in aumento. Il mercato cinese del futuro rifletterà i principali cambiamenti in atto a livello sociodemografico:

  • Nuovi consumatori Millennials: I consumatori cinesi del lusso sono già più giovani dei loro corrispondenti europei e americani, con una media di soli 33 anni, e nei prossimi 3-5 anni il mercato sarà dominato da consumatori ancora più giovani.
  • Classe media urbana in ascesa: La classe media è prevista crescere in Cina ad un ritmo 5 volte superiore rispetto al totale della popolazione; questo causerà ad un aumento di consumatori di beni di lusso con redditi inferiori e localizzati nelle città di medie dimensioni, più propensi all’acquisto di prodotti con un buon rapporto qualità-prezzo.
  • Donne in ascesa: Le donne, che ad ora contano per i 3/5 del mercato del lusso in Cina, stanno acquisendo ruoli sempre più importanti e prestigiosi anche nel mondo del lavoro cinese, e continueranno a giocare un ruolo sempre più importante nel mercato cinese di beni di lusso, influenzando di conseguenza le performance delle varie categorie prodotto.
  • Crescita dell’individualismo: Gli acquisti diventeranno sempre più personali e privati, focalizzati sull’esperienza e il lifestyle, con un interesse crescente per investimenti nel real estate.

Vera MORETTI

Ai cinesi piace sempre di più il vino italiano

La Cina è sempre più appassionata di vino, specialmente se proveniente dall’Europa, con una predilezione netta nei confronti dell’Italia.
Ciò è evidente dal proliferare delle enoteche, appartenenti alle società che operano nel settore, presenti in quasi tutte le province cinesi, e con preferenze molto diverse a seconda della territorialità, segnale che i consumatori del Sol Levante stanno sviluppando gusti e predilezioni spiccati.

Ad oggi la Cina è produttrice di 15 mio/ettolitri di vini, mentre lo scorso anno 2016 ha importato 638 mio/litri per un controvalore di 2,7 mld/euro.
Entro il 2020 si prevede che queste cifre raddoppino, e l’Italia non deve assolutamente farsi trovare impreparata e, anzi, essere pronta a cogliere la grande opportunità che le si sta presentando.

Per ora, infatti, il Belpaese è il sesto esportatore, con 125 mio/euro e per crescere ulteriormente e diventare una minaccia per chi ora si trova al vertice, deve tenere conto della fascia di clienti di età compresa tra 18 e 54 anni, che presenta sfaccettature molto diverse tra loro, a cominciare dall’età ma tenendo in considerazione anche le zone di residenza. E’ ovvio che chi vive in una zona urbana avrà tendenze diverse rispetto a chi vive in paesi rurali.

In generale, comunque, si può dire che i vini preferiti attualmente sono quelli di grande profumo e di grandi sapori, soprattutto rossi ma anche dolci e fragranti, probabilmente più capaci di adattarsi ad una cucina, quella cinese, ricca di spezie e contrasti di sapore.
Per ora i vini bianchi arrancano, poiché ancora è difficile concepire una bevanda che non sia a temperatura ambiente, anche se con le cucine delle aree marittime la tendenza potrebbe presto cambiare.

Vera MORETTI

In Cina, summit sui prodotti agroalimentari del Made in Italy

Cibo e vino Made in Italy spopolano all’estero, e in questo periodo soprattutto in Cina, dove in questi giorni, dall’11 al 20 luglio, è in corso un roadshow delle eccellenze italiane tra Beijng, Changsha e Shanghai.

Questo importante evento è organizzato da The I Factor, promosso da Itchefs-GVCI, Stelle d’Italia e ICWF, in collaborazione con l’Agenzia per la Cina, di Unichef consulting e con il patrocinio dell’Ambasciata italiana, al quale prendono parte sia alcune grandi aziende top del settore sia alcuni dei migliori chef stellati.
Ecco i nomi: Heinz Beck (tre stelle Michelin), Tano Simonato (Tano passami l’olio, Milano), Raffaele Ros (San Martino Scorze’, Venezia), Luciano Zazzeri (La Pineta, Marina di Bibbona Livorno), Paolo Gramaglia (President, Pompei Napoli) Luigi Taglienti (Lume, Milano), Terry Giacomello (Inkiostro, Parma) Enrico Gerli (I Castagni, Vigevano Pavia), tutti con una stella Michelin.

Massimiliano Esposito, presidente della Federazione italiana cuochi in Cina, ha dichiarato: “In Cina amano la nostra cucina, i veri sapori italiani, la nostra millenaria cultura e questo è un volano incomparabile per tutta la nostra economia d’eccellenza”.
In questo senso, il summit è senza dubbio un’opportunità da non perdere per le imprese dell’agroalimentare e dei servizi per la ristorazione Made in Italy, se interessati a promuovere i loro prodotti e la loro immagine in Cina.

Continua Esposito: “Tra le novità segnaliamo la creazione di un’App del broadcast Tmall, la piattaforma di scambio commerciale tra produttori e consumatori, del gruppo Alibaba fondato da Jack Ma. Attualmente è attiva per consumatori della Repubblica Popolare Cinese, Taiwan, Hong Kong e Macao, con accesso a produttori internazionali. Ovvero anche ai grandi prodotti italiani di qualità, dalla mozzarella di bufala alle erbe profumate. C’è stato poi un accordo bilaterale tra Italia e Cina: lo Stato cinese ha creato nella sua polizia un reparto speciale che controlla se nei supermercati si vendono i veri prodotti italiani”.

Accordo bilaterale è stato firmato anche a seguito della polemica dei pomodori cinesi venduti in Italia come fossero provenienti dal nostro Sud: sembra che in Cina sia stata fatta una campagna contro i pesticidi dannosi e che il gusto dei cinesi si stia raffinando, e ciò potrebbe significare una cosa importante: la pretesa di prodotti di qualità e un interesse sempre più scarso nei confronti di quelli contraffatti.

Vera MORETTI

In Cina sta per arrivare l’Italian Golden Town

La città cinese di Zibo, nella provincia dello Shandong, ospiterà, da settembre, l’Italian Golden Town, un complesso commerciale che sarà costituito da uffici, hotel e una parte residenziale che avrà come leitmotiv la varietà e lo stile tipici dell’architettura italiana.

Il progetto preliminare è stato proposto da studio Fima, scelto in una selezione da parte del Shandong Gold Group, proprietà del complesso e tra le principali società cinesi nell’industria mineraria.
Lo studio di architettura che si è aggiudicato il progetto, proveniente da Osimo, in provincia di Ancona, si è ispirato allo Yaun Bao, equivalente del lingotto d’oro, in passato utilizzato in Cina come valuta ed ora simbolo di prosperità.
L’edificio principale, il Golden Center, avrà dunque questa forma, così familiare e amata dai cinesi, e sarà un centro commerciale da 35mila metri quadrati che ospiterà laboratori orafi e negozi dedicati esclusivamente all’oro e ai gioielli, con spazi per lo spettacolo, ristoranti e locali.

Il progetto però avrà anche un tema più vicino alle origini di chi lo progetta, poiché si ispirerà alla città italiana e ai suoi tratti distintivi, che riescono a mixare varietà e bellezza. Per questo motivo, all’interno dell’Italian Golden Town verranno ricostruiti i caratteri tipologici e morfologici peculiari dell’architettura del Belpaese, dal borgo toscano e marchigiano alla calle in stile veneziano, con elementi tipici del paesaggio urbano tra cui torri medievali, campanili e una chiesa.

Maurizio Andreoli, principal partner di Fima, ha dichiarato in proposito: “La Cina guarda all’architettura italiana con grande ammirazione: per questo è importante riuscire a integrare la loro cultura con il nostro modo di vedere e vivere l’architettura. Il borgo italiano è difficile da ricreare se non con un’attenta analisi dello spazio e delle proporzioni delle nostre città, che sono dei capolavori non sempre valorizzati. Abbiamo ripreso le proporzioni, i decori, l’estrema varietà di stili e li abbiamo riproposti: questa soluzione è stata vincente. Il Made in Italy ha una forza trainante all’estero: la capacità di un progettista italiano di essere competitivo in questi Paesi può essere da stimolo anche per altre aziende attive in settori diversi, dal mobile alle finiture interne, dalla moda all’artigianato: per questo è fondamentale agire in sinergia”.

In tutto, l’Italian Golden Town coprirà un’area di circa 18 ettari, con una superficie costruita pari a 235.000 metri quadrati; comprenderà una città italiana dello shopping, un hotel a cinque stelle da duecento camere, un centro-parco giochi per bambini, uno shopping mall per l’oro e i gioielli, due torri per uffici e due torri residenziali.
Gli edifici principali e più imponenti saranno realizzati secondo criteri di alta efficienza energetica: pannelli fotovoltaici integrati nella copertura delle torri, recupero dell’acqua piovana, coperture verdi sono solo alcuni degli accorgimenti green utilizzati nel progetto.

Vera MORETTI

Pmi: l’internazionalizzazione verso la Cina

Per le piccole e medie imprese l’internazionalizzazione rappresenta un punto cruciale da non sottovalutare e, considerando le sue enormi potenzialità, la Cina è ad oggi il mercato più interessante e favorevole, considerando la considerazione di cui gode il Made in Italy, in particolare il settore del lusso.

I dati lo confermano: la Cina ha contribuito, nel 2016, a far aumentare dell’1% il mercato del lusso globale e le stime per l’anno in corso sono più che positive, poiché secondo la Fondazione Altagamma il mercato del lusso continuerà a crescere nei prossimi anni a un tasso medio annuo del 2-3%, portando i clienti cinesi a rappresentare, entro il 2020, circa il 34% dei consumi totali del settore luxury.

Ciò che cambia, però, sono le modalità di acquisto: se prima i cinesi preferivano comprare sul posto, e dunque si trattava per la maggior parte di acquisti di viaggio, ora non è più così, anche a causa delle recenti riforme politiche ed economiche del Governo Cinese che hanno introdotto nuove politiche tariffarie per i viaggiatori, importatori e venditori on-line stranieri, e anche l’allineamento dei prezzi dei prodotti di lusso a quelli europei e il moltiplicarsi dei negozi duty-free.

Ciò significa che i cinesi si spostano a seconda di dove trovano l’affare più conveniente, anche se, quando si tratta di social media, le loro abitudini sono molto diverse dalle nostre. Non sono, infatti, Facebook e Instagram i più utilizzati, ma Wechat (62%) e Youku (48%) che contano 786,9 milioni di utenti attivi in Cina, pari ad oltre il 56% della popolazione cinese, di cui il 25% accede da mobile.

Si tratta di aspetti da tenere presenti, se si vuole farsi conoscere ed apprezzare nel Paese del Sol Levante, così come lo sono, ad esempio, il posizionamento sui motori di ricerca, ma anche le caratteristiche della lingua, che si presenta vasta e variegata, composta da centinaia di varianti linguistiche distinte.

Inoltre, occorre, conoscere la normativa vigente. A questo proposito, ai siti web commerciali viene richiesta la licenza ICP (Internet Content Provider) e per tutti i siti web in Cina è obbligatoria la licenza Bei’an. Il Ministero della Pubblica Sicurezza gestisce inoltre un sofisticato sistema di controllo dei contenuti sul web, il Great Firewall che impedisce automaticamente l’accesso ad oltre 18.000 siti, in base a 60 norme sulla fruizione delle informazioni in rete.

Vera MORETTI

Export Made in Italy in forte ripresa

Buone, anzi, buonissime notizie per il Made in Italy arrivano dall’export, che finalmente si presenta in congiunzione positiva con dati che fanno ben sperare anche per il prossimo futuro.

Si tratta di un recupero che coinvolge tutte le aree, a cominciare dai Paesi più abituali, come Stati Uniti e Cina, ma anche Francia, Spagna e Germania, quest’ultima in pole position tra i dati positivi registrati, perché la ripresa riguarda anche i paesi extra Ue e, in generale, l’Europa intera.

L’impennata è iniziata a novembre 2016, con uno scatto del 5,7% su base annua, che ha dunque evidenziato il miglior dato dallo scorso agosto.
Si tratta di un progresso importante, visibile anche nel dato mensile destagionalizzato (+2,2%), che è riuscito a migliorare il bilancio del 2016, fino a quel momento non particolarmente brillante, se consideriamo che nei primi 11 mesi la crescita è pari allo 0,7%, che raddoppia all’1,5% escludendo dal calcolo l’energia.

Ma quali sono i settori che hanno saputo trainare il Made in Italy verso questo risultato positivo?I dati resi noti dall’Istat dicono che in vetta ci sono i mezzi di trasporto, poi gli autoveicoli, rispettivamente a 18,4 e 13,7%, seguiti da sostanze e prodotti chimici (13,4), farmaceutica (12%) e abbigliamento (9,6%).

Vera MORETTI

Vino italiano in Cina, la sfida dell’online

È dei giorni scorsi la notizia dell’accordo tra il governo italiano e il colosso cinese dell’e-commerce Alibaba per tutelare l’origine dei prodotti made in Italy presenti sulla piattaforma commerciale, tra i quali grande importanza ricopre il vino.

Il mercato cinese, infatti, è ancora poco penetrato dal vino made in Italy rispetto al vino francese e proprio dal digitale passa una parte importante della prossima sfida del vino italiano in Cina.

Lo sa bene Veronafiere, organizzatrice di Vinitaly, che nei giorni scorsi ha partecipato a Shanghai all’evento E-commerce: the new gateway for italian wine in China, organizzato da Ice, Italian Trade Agency con l’Ambasciata d’Italia nella Repubblica Popolare Cinese, il ministero dello Sviluppo economico e il ministero delle Politiche agricole.

Un evento che ha avuto come obiettivo quello di sostenere le aziende italiane del vino già presenti su Alibaba e per avviare ulteriori campagne di sensibilizzazione destinate ai consumatori cinesi.

Con 688 milioni di naviganti in rete, di cui in gran parte nativi digitali, e 659 milioni di utenti social – ha affermato Giovanni Mantovani, direttore generale di Veronafiere -, il web è sempre più uno strumento fondamentale per colmare il gap che ci separa dagli altri Paesi competitor, Francia in primis. E Vinitaly, da 50 anni promotore dell’internazionalizzazione del sistema vino con azioni mirate di marketing mix, intende accettare questa sfida accanto e al servizio delle aziende vitivinicole made in Italy”.

Oltre alla Vinitaly international Academy, che in Cina ha già formato dieci ambasciatori del vino italiano – ha proseguito Mantovani -, Vinitaly è disponibile a realizzare, in partnership con i principali attori del settore vinicolo, la multipiattaforma Italian Wine Channel, per ampliare la commercializzazione online attraverso i canali più innovativi e diffondere una più puntuale conoscenza delle peculiarità dei vini e dei vitigni italiani”.

Sul fronte del mercato, in attesa di perfezionare il proprio vitigno, fa grandi passi la domanda mondiale di vino in Cina, oggi quarto principale buyer al mondo e secondo tra i Paesi extra-Ue, dietro solo agli Usa.

Nei primi 4 mesi del 2016 la domanda di vino in Cina ha segnato una crescita impressionante, +41,7%, quasi 10 volte più degli Usa (+4,5%). La Germania (-6,2%) è a un passo e tutto fa prevedere che a fine di quest’anno lo storico buyer europeo sarà superato e lasciato sul posto dalla Cina.

L’Italia è partita tardi rispetto alla Francia, il Paese top exporter mondiale con il 43% di quote di mercato, e oggi sta pagando anche gli accordi di sistema tra Canberra e Pechino che hanno favorito l’exploit nel 2015 (+111%) del vino proveniente dall’Australia, secondo Paese fornitore, davanti a Cile, Spagna e Italia, ancora ferma a poco più del 5% del mercato.

La situazione sembra cambiare: nei primi mesi di quest’anno l’Italia tiene il passo degli altri competitor con performance che sfiorano una crescita del 30%, più di tutti gli altri in termini percentuali.