Quali sono per le imprese i vantaggi del cloud computing

Per le imprese l’accesso in sicurezza ai dati è fondamentale sia per l’attuazione dei processi, sia per la gestione di informazioni sensibili. L’eventuale perdita di questi dati, o la sottrazione, può spesso mettere a rischio la stessa continuità aziendale.

Ma al giorno d’oggi questi dati, attraverso un’architettura distribuita, possono essere conservati e protetti grazie al cloud computing. In particolare, con il cloud computing i servizi sono erogati attraverso la rete Internet e non sono più legati ad un particolare dispositivo.

In altre parole con il cloud computing, accedendo tramite credenziali, i dati e le informazioni sono sempre accessibili indipendentemente dal luogo e dal dispositivo utilizzato. Vediamo allora, nel dettaglio, quali sono per le imprese tutti i vantaggi offerti dal cloud computing.

Quali tipi di cloud computing: dal modello privato a quello pubblico, passando per l’ibrido

Rispetto alle architetture centralizzate, il salvataggio e la gestione dei dati in cloud garantisce sicurezza e la minimizzazione del rischio di perdita delle informazioni. Con il cloud computing che può essere privato. Ovverosia realizzato con una infrastruttura interna all’azienda.

Ma nella maggioranza dei casi la gestione dei dati in cloud è pubblica ovverosia fornita attraverso servizi di terzi. Così come ci sono pure i modelli cloud ibridi, ovverosia realizzati attraverso un’architettura interna all’azienda, ma con alcuni servizi forniti e integrati di terze parti.

I vantaggi del cloud computing, dalla scalabilità alla riduzione dei costi

Oltre alla sicurezza nella gestione e nella conservazione dei dati, il cloud computing tra i potenziali vantaggi garantisce scalabilità e riduzione dei costi. In quanto il costo per il cloud computing pubblico, ovverosia interamente fornito da terze parti, è meno caro rispetto al cloud computing da realizzare e da gestire attraverso un’architettura interna.

Basti pensare, per esempio, al costo del lavoro per assumere dei programmatori e dei sistemisti che si devono occupare del monitoraggio costante, praticamente 24 ore su 24, di un’architettura di cloud computing interna. In più, il cloud computing pubblico, nel ridurre i costi al minimo, in genere prevede pure delle tariffe pay per use. Ovverosia il costo è a consumo.

Il cloud computing interamente fornito da terze parti accreditate, quindi, garantisce il contenimento dei costi e la virtualizzazione grazie alla condivisione delle risorse. Così come l’accesso ai dati è indipendente non solo dal dispositivo con cui ci si connette, ma anche dal sistema operativo utilizzato.

Cloud computing sempre più diffuso tra micro e piccole imprese

Durante la Convention Servizi di Confartigianato, denominata BIT – Generation – sulla strada del digitale, tenutasi lo scorso 4 maggio, si è parlato delle tendenze offerte dal mercato in particolare dedicate alle micro e piccole imprese, con una attenzione specifica a domanda ed offerta di servizi determinata dalle tecnologie digitali.

Per le pmi, e per le micro imprese, l’esigenza di poter usufruire di servizi digitali competitivi, ma a basso costo, è molto sentita e, a questo proposito, il cloud computing rappresenta la soluzione perfetta, dando la possibilità di ampliare i servizi disponibili per l’impresa grazie ad un incremento della potenza di calcolo e la capacità di memorizzazione.

Il cloud computing è utilizzato in Italia da oltre un quinto delle imprese, pari al 21,5%, superiore alla media Ue del 20,9% e secondo solo dopo il Regno Unito che raggiunge il 34,7%. Gli altri maggiori Paesi dell’Unione europea sono dietro di noi: Spagna con il 18.3%, Francia con il 17,1% e Germania con il 16,3%.

Per quanto riguarda i servizi a pagamento di cloud computing, il più utilizzato è quello di posta elettronica (18,2% delle imprese), seguono l’archiviazione di file (8,7%), l’hosting di database dell’impresa (8,4%), il software per ufficio (7,6%), il software customer relationship management (CMR) (4,2%), il software di finanza e contabilità (4,1%) e la potenza di calcolo per eseguire software di impresa (2,1%).

A livello territoriale, la sua diffusione è maggiore al Nord-Est (23,9% delle imprese) e meno nel Mezzogiorno (17,7%). Più di una impresa su quattro sfrutta questi servizi in Basilicata (29,3%) e Provincia Autonoma di Bolzano (25,6%); seguono Lombardia (24,4%), Lazio (24,3%) e Emilia-Romagna (24,1%).

Per quanto riguarda, invece, i settori d’impresa, oltre la metà delle imprese di Informatica ed altri servizi d’informazione (52,8% delle imprese) utilizza questa tipologia di servizi, che risulta ampiamente diffusa anche presso Agenzie di viaggio e tour operator (47,4%), Telecomunicazioni (47,3%), Produzione audio e video (43,3%) ed Attività editoriali (42,4%). Nelle imprese dell’ICT l’uso del cloud computing (48,3% delle imprese) è oltre due volte superiore alla media.

Vera MORETTI

Studi professionali 2.0

Il processo irreversibile di conversione al digitale e alle nuove tecnologie non deve interessare solo le piccole e medie imprese, ma anche gli studi professionali. Una tendenza che, per fortuna, non sembra così remota in Italia, come dimostra una ricerca realizzata dall’Osservatorio Professionisti e Innovazione Digitale della School of Management del Politecnico di Milano nata da due anni di osservazioni su studi di commercialisti, consulenti del lavoro, avvocati e studi multidisciplinari.

Dalla ricerca emerge che gli studi professionali hanno investito molto in Ict negli ultimi 3 anni, tanto che nel 2015 la loro spesa per investimenti in Information and Communication Technology è stata superiore a 1 miliardo e 100mila euro, che suddivisa fra i vari studi professionali che hanno partecipato alla survey fa circa 9mila euro a studio.

Inoltre, dalle propensioni di investimento degli studi professionali che hanno aderito alla survey – principalmente studi di micro e piccole dimensioni, con portafoglio clienti inferiore alle 50 unità e fatturato entro i 100mila euro/anno – è emerso che nei prossimi due anni è attesa una spesa di circa 1,2 miliardi di euro all’anno+8%. Ma, nel dettaglio, in che tecnologie investono gli studi professionali?

Secondo lo studio, si tratta soprattutto di tecnologie abilitanti l’esercizio professionale, mentre cresce la propensione agli investimenti in software per la gestione elettronica dei documenti (39%) e la conservazione digitale a degli stessi (39%), per siti per la condivisione di attività e documenti con i clienti (34%) e siti internet degli studi professionali (33%).

Dall’indagine del Politecnico emerge anche un altro dato interessante: l’adozione di nuove ed evolute tecnologie si riflette positivamente sul fatturato e sulla redditività degli studi professionali che le adottano, tanto che crescono del doppio rispetto agli altri i professionisti che usano strumenti tecnologici più evoluti.

Si tratta principalmente di strumenti per l’archiviazione digitale, la dematerializzazione documentale, la firma grafometrica dei clienti degli studi professionali (il 74% dei  145 studi che hanno avviato o concluso progetti di miglioramento digital based analizzati nella survey), siti per la condivisione di documenti e attività con i clienti (72%), app e strumenti per  pianificazione finanziaria, scadenze dei pagamenti, formazione a distanza ecc. (55%).

Non indifferente, infine, la diffusione dell’uso del cloud computing per la posta elettronica o per la Pec degli studi professionali.

LinkedIn: il lavoro si trova… nella nuvola

Abbiamo visto ieri come, in questo scorcio di 2016, il re dei social network professionali, LinkedIn, abbia subito un sorpasso inatteso da parte di Twitter proprio in quello che dovrebbe essere uno dei suoi punti di forza, ovvero la capacità di far incontrare domande e offerte di lavoro qualificate.

Il social network dell’uccellino azzurro risulta infatti quello più utilizzato al mondo per trovare lavoro, ancora più di LinkedIn. Ciò non significa, però, che quest’ultimo abbia abdicato alla propria mission, anzi… Come ogni anno, anche per il 2016 LinkedIn ha pubblicato un’interessante classifica sulle 25 competenze più richieste da chi offre lavoro.

Per quest’anno, la competenza regina che le direzioni del personale richiedono nei candidati da assumere è la conoscenza precisa del fenomeno del cloud computing. Una skill che è risultata in cima alla lista in quasi la metà dei Paesi (6 su 14) all’interno dei quali LinkedIn ha svolto la propria indagine.

Completano il podio, dietro al cloud computing, il data mining e il marketing management. Si tratta di tre competenze altamente sbilanciate sulla parte di ingegneria informatica e, comunque, necessarie per professioni legate al web. Professioni che si trovano abbondantemente anche tra le posizioni che vanno dalla 4 alla 25 della classifica di LinkedIn.

Si va, infatti, dalle competenze di Java a quelle di ambito SEO, dallo sviluppo di siti internet alla creazione di software, dalla sicurezza di rete, all’architettura web. Quella del cloud computing comunque la vera sorpresa di questo 2016 se, come fanno notare proprio da LinkedIn, nel 2015 era una competenza che nemmeno figurava in classifica.

E per sgombrare il dubbio sulla scientificità di queste rilevazioni è bene ricordare che, per elaborare questa classifica, i tecnici di LinkedIn hanno sviluppato un algoritmo per analizzare le attività di assunzione e reclutamento avvenute tramite il social network nel 2015.

Una classifica che mette in luce come le conoscenze informatiche avanzate siano sempre più fondamentali per garantire un accesso al mercato del lavoro, principalmente, sottolinea LinkedIn, in mercati come quello americano o indiano che hanno fame di queste competenze. Non è un caso, infatti, che agli ultimi posti della classifica vi siano competenze legate al diritto societario e all’economica. Segno dei tempi che cambiano…

Il cloud nelle Pmi. Eppur si muove…

di Davide PASSONI

A un anno dal nostro incontro con Aruba a Smau 2012, siamo tornati a fare quattro chiacchiere con Stefano Sordi, direttore marketing del gruppo ICT italiano, per fare il punto sullo stato dell’arte nel rapporto tra cloud e Pmi.

È cambiata in questo anno la strategia di Aruba sul cloud?
La strategia non è cambiata, si è evoluta in continuità con quanto fatto un anno fa. Abbiamo ottenuto risultati positivi, per cui vale la pena proseguire sul sentiero tracciato; ossia continuare a sviluppare il prodotto, allargare il network del data center e spiegare agli utilizzatori della tecnologia cloud quali sono i suoi reali benefici.

In che modo?
Diffondendo il know how. Avevamo cominciato andando in tv a dire che il cloud è conveniente, flessibile, potente, mentre ora siamo saliti a un livello di dettaglio superiore spiegandone i benefici.

La cultura del cloud si sta sviluppando in Italia?
Siamo ancora in un mercato in via di sviluppo, che però cresce molto, bene e con trend di vario tipo ma tutti molto veloci. Crescono acquisizioni, utenti, quantità di traffico e, soprattutto, perimetro degli utenti interessati.

Parliamo di Pmi?
Se un anno fa dicevamo che le Pmi arrancavano nel mondo del cloud mentre la grande impresa era avanti, in questo anno sono successe due cose: primo, il numero di Pmi che si sono avvicinate al cloud è aumentato in modo sostanziale; secondo, la tipologia di imprese che si rivolgono a noi si è allargata. Non ci sono solo operatori Ict, che hanno un core business informatico, ma aziende con altri core business, con al loro interno un dipartimento IT che inizia a usare il cloud.

Che cosa significa questo?
Significa che il cloud non è solo per addetti ai lavori ma sta diventando una tecnologia fruibile per gli altri settori merceologici. Significa che abbiamo fatto una buona comunicazione e che abbiamo un prodotto di facile utilizzo.

Stefano Sordi, direttore marketing di Aruba

Si sceglie cloud anche per spendere meno, in un periodo di crisi?
In un momento particolare come questo, il cloud non permette di spendere meno ma di spendere meglio, pagando solo l’effettivo uso del servizio. Se una Pmi oggi compra un server dedicato perché ha un obiettivo di utilizzo e questo viene poi disatteso, l’impresa si trova ad aver pagato tutti i costi avendo in casa una macchina che pian piano diventerà sempre più vecchia e dovrà essere aggiornata. Comprare il cloud risponde sempre alla stessa esigenza, ma aiuta anche sull’aspetto economico.

Dove vuole arrivare Aruba?
Abbiamo ambizioni grandi, siamo leader di settore nell’hosting, nel mondo dei domini e in quello della Pec serviamo oltre il 50% del mercato. Sono risultati importanti, che fanno di Aruba una società molto ambiziosa. Sul cloud abbiamo investito tantissimo in innovazione e tecnologia e continuiamo a farlo senza retropensieri perché crediamo fortemente in questo prodotto, così come non crediamo che soppianterà i servizi tradizionali come le architetture fisiche o l’hosting, ma completerà il mondo dell’IT.

Estero?
Sì, tanto che lavoriamo molto sulla Francia da ormai un anno circa.

Siete una bella realtà italiana che funziona. Quindi è possibile fare impresa in Italia?
Io direi di sì. Ci sono difficoltà che ben conosciamo, ma nell’ambito dell’ICT e delle nuove tecnologie c’è molto spazio per innovare e svilupparsi. Alla fin fine, i nostri prodotti e servizi sono il volano della crescita per le Pmi italiane, lo spazio ideale su cui costruire un modello di business, un’idea, un prodotto che fanno sì che, come Aruba, crediamo molto in questa tecnologia.

Siglata partnership tra UniCredit e IBM

UniCredit, tramite la sua società interna che eroga servizi, ovvero UniCredit Business Integrated Solution, ha firmato una partnership di almeno dieci anni con IBM.
Si tratta di un patto strategico che vedrà le due aziende impegnate a livello continentale, per proporre in tutta Europa soluzioni basate sul cloud computing.

La banca italiana punta a rivoluzionare il proprio approccio ai servizi grazie a un cambio radicale della propria infrastruttura IT, e ha scelto IBM come partner per questa impresa.

I dipendenti delle due aziende opereranno su alcuni dei principali mercati in cui è presente l’istituto, ovvero Italia, Germania, Austria, Slovacchia e Repubblica Ceca, per costruire una nuova infrastruttura tecnologica di cui usufruirà in primo luogo UniCredit, ma che potrà essere utilizzata come modello e fornita come servizio anche ad altre aziende.

In questa collaborazione, UniCredit fornirà il know-how relativo alle esigenze del mercato bancario mentre IBM inietterà le proprie tecnologie e competenze nell’elaborazione di soluzioni ad hoc, per implementare rapidamente servizi moderni da immettere nel circuito e rispondere prontamente alle mutevoli esigenze del mercato.

Non sono stati diffusi comunicati riguardo l’ammontare di questa operazione, anche se IBM ha fatto sapere che si è trattato di “alcuni miliardi di dollari”, e che dovrebbe comprendere tutto l’hardware e i servizi che verranno ceduti a UniCredit nel prossimo futuro, e che potrebbero essere venduti ad altri clienti distribuiti in tutte le geografie dove IBM è attiva.

Vera MORETTI

Imprese, professionisti e i nuovi temi dell’hi-tech

di Davide PASSONI 

Le nuove tecnologie impongono alle imprese e ai professionisti problematiche e necessità anch’esse nuove. Alcune di queste riguardano la proprietà intellettuale, altre il contenimento dei costi. Ecco il parere di due esperti del settore.

Avv. Hèléne Regnault de la Mothe, Avvocato iscritto allíAlbo nazionale dei Consulenti in Proprietà industriale

Quali rischi per il proprio marchio nellíera del web 2.0? Come tutelarlo da copie e contraffazioni?
La straordinaria capacità del marchio di attrarre clientela genera frequenti usurpazioni da parte di concorrenti che si manifestano principalmente nell’uso di nomi a dominio foneticamente simili, quando non differenti per la sola estensione. Accade inoltre che il proprio marchio venga indebitamente utilizzato dal competitor quale parola chiave (meta-tag) per avvantaggiarsi e falsare i risultati proposti dai motori di ricerca. Entrambi i casi costituiscono atti di contraffazione e concorrenza sleale, in quanto idonei a sviare la clientela o a creare un indebito agganciamento. La normativa italiana concede al titolare del marchio gli strumenti, anche sanzionatori, per vietare ai terzi l’adozione di tali comportamenti illeciti. Per utilizzare con successo tali rimedi è però determinante scegliere un marchio forte e, soprattutto, preoccuparsi per tempo della sua corretta registrazione nei territori in cui si opera. In tal modo, si tutelano gli investimenti e i propri diritti di esclusiva.

 

Stefano Cecconi, Amministratore Delegato di Aruba S.p.a

Quali i vantaggi del cloud computing per una piccola impresa?
Nell’attuale fase di cost containment, il cloud rappresenta per le piccole imprese uno strumento strategico per ridurre i costi di gestione dei servizi IT permettendo di ottimizzare il ciclo di vita di un prodotto o di un progetto. Caratterizzato dalla totale scalabilità e personalizzazione delle risorse, il cloud consente all’utente di aumentare o diminuire in tempo reale e in autonomia le dimensioni dei server in modalità Pay per Use: in questo modo le imprese non devono più affrontare i costi di startup tipici delle soluzioni hardware “tradizionali” per avviare un nuovo business e possono scegliere il servizio secondo le proprie necessità, modificandone i parametri in base alle proprie risorse e in funzione dei picchi di attività. Sfruttare soluzioni cloud consente dunque di operare con la flessibilità volta a garantire la competitività e la crescita del business, in quanto il cliente sposta sul provider sia i rischi che la complessità legati alla gestione di un’infrastruttura informatica. Tutto ciò permette di liberare risorse impiegate nella gestione dei servizi IT per destinarle all’ottimizzazione delle attività strategiche per il business aziendale.

Quali sfide per le imprese e i professionisti nel mondo dell’hi-tech

di Davide PASSONI

Altro breve giro di tavolo sulle sfide che le nuove tecnologie impongono alle imprese e ai professionisti. 

Marco Fabio Parisi, Responsabile dei Progetto di Sviluppo It per le Pmi di Telecom Italia

La PEC non è solo un obbligo di legge ma un efficace strumento di lavoro. Quali i suoi vantaggi?
Per una piccola impresa o un professionista, calcolare i benefici che derivano dall’utilizzo della PEC è molto semplice. Basta contare quante raccomandate A/R è stato necessario inviare in un anno, moltiplicare per le ore necessarie a preparare la documentazione, stamparla, firmarla, inviarla dall’ufficio postale, archiviare il tutto e aggiungere i costi di spedizione. È evidente però, che tra i vantaggi non si possono ancora considerare quelli relativi alla “firma” e all’”archiviazione”. La PEC da sola non è in grado di garantire tutto questo. Mancano infatti la Firma Digitale e l’Archiviazione Sostitutiva, due ingredienti fondamentali secondo Telecom Italia per completare e ottenere la semplificazione dei processi amministrativi dell’impresa. Le soluzioni informatiche esistono, così come la tecnologia che rende tutto “a norma di legge” sicuro e garantito. Noi riteniamo che sia necessaria una norma attuativa semplice, per cui tutta la documentazione d’impresa possa essere prodotta, scambiata, firmata e archiviata in modo digitale e soprattutto che un documento digitale abbia valore legale a sostituzione di quello cartaceo. Solo così il beneficio per l’impresa sarà totale e sostanziale.

Fabiano Lazzarini, General Manager IAB Italia

Quali sono gli strumenti di advertising più efficaci per promuovere online la propria piccola impresa?
Oggi è essenziale presidiare internet. Gli strumenti disponibili per la promozione della propria realtà imprenditoriale in Rete sono molteplici e alcuni di essi possono essere utilizzati con estrema semplicità anche da utenti non esperti. Molto dipende dall’obiettivo della singola azienda, ma alcuni step possono essere considerati generalmente validi. Il primo passo per una piccola impresa è sicuramente quello di creare un buon sito web, professionale e ben strutturato in modo da essere immediatamente intellegibile dal proprio target. Il secondo passo è quello di rendersi facilmente rintracciabili in rete, indicizzando il proprio portale attraverso la scelta di parole chiave adeguate, che consentano di essere ai primi posti nei risultati sui motori di ricerca, laddove un potenziale cliente faccia una query online, alla ricerca di un prodotto o servizio che rientra nella propria offerta. A quel punto bisogna decidere, sulla base dei propri obiettivi di business e del budget che si intende investire, se e come implementare un piano di comunicazione online, ad esempio attraverso una pianificazione di advertising, ad esempio con dei banner, oppure con campagne di email o search marketing, o ancora una strategia di integrazione con i social network.

Insieme per il territorio anche in Emilia Romagna

E’ stato presentato, all’interno dello SMAU di Bologna svoltosi il 4 e 5 giugno scorsi, il progetto Insieme per il territorio, arrivato anche in Emilia Romagna e lanciato da Microsoft Italia, Seat PG Italia e Banca Popolare di Vicenza.

Si tratta di un’iniziativa itinerante che ha come obiettivo quello di aiutare le realtà territoriali a riprendersi in un periodo particolarmente critico.
Al fine di attuare ciò, vengono proposti percorsi formativi, ma anche progetti innovativi dedicati ai giovani imprenditori e professionisti locali, con ficus su cloud computing e web marketing.

Questa importante iniziativa è stata presentata nel corso della tavola rotonda “Insieme per il territorio – Il valore dell’innovazione come elemento di sviluppo e crescita per le PMI”, seguita da un workshop formativo dal titolo “I benefici di un’offerta integrata – Soluzioni tecnologiche avanzate, nuovi servizi di comunicazione digitale e strumenti di credito su misura per le PMI”.

Già operante in alcune zone del Nord, Centro e Sud Italia, il progetto vuole offrire una piattaforma integrata di servizi e percorsi formativi che si basano su accesso alla tecnologia, skill qualificate, competenze relative alla comunicazione con i clienti nell’epoca del web e dei social.

Vieri Chiti, direttore della divisione office di Microsoft Italia, ha così commentato l’iniziativa: “Siamo convinti che promuovere l’innovazione tecnologica, possa contribuire alla competitività del territorio dell’Emilia Romagna, una regione virtuosa che da sempre dimostra grande dinamismo e che sta reagendo con coraggio nonostante le difficoltà dell’ultimo anno”.

Vera MORETTI

Pmi italiane poco attente alla “nuvola”

di Davide PASSONI

Con la crisi che stiamo attraversando, le piccole imprese sono sempre più attente ai costi, specialmente per quello che riguarda la loro struttura IT. Una soluzione che unisce flessibilità, scalabilità e costi di gestione contenuti è il cloud computing, purtroppo, però, ancora poco conosciuto in Italia tra le Pmi. Al recente Smau ne abbiamo parlato Stefano Sordi, direttore marketing di Aruba, uno dei maggiori player italiani nel campo del cloud.

Il cloud computing e le Pmi: un matrimonio che “s’ha da fare”…
Aruba sta concentrando tutti i propri sforzi nel supportare la crescita di uno dei prodotti in cui crede di più, appunto il cloud computing. Attualmente questo prodotto viene fruito dagli utenti tramite cloud.it e riteniamo che sia particolarmente vantaggioso e adatto a realtà di piccole dimensioni o che stanno per iniziare la loro avventura d’impresa.

Perché?
Perché il cloud computing è flessibile e scalabile e, se ben realizzato, è per le Pmi e le start up la porta di accesso a una serie di servizi che fino a poco tempo fa erano appannaggio esclusivo di grandi imprese o della Pubblica Amministrazione; realtà che hanno budget e competenze enormi, che consentono loro di creare soluzioni e architetture praticamente infinite per supportare il business.

Il contrario di una piccola impresa…
Il cloud computing dà la possibilità di pagare solo ciò che si usa per il tempo in cui lo si usa e permette alle piccole imprese di implementare soluzioni e di non pagarle fino a quando non vengono utilizzate. Tutta la complessità che sta dietro alla implementazione di un’architettura tecnologica IT “classica” col cloud è superata, perché l’apparato è gestito interamente da chi eroga il servizio; l’impresa, con pochi soldi – nell’ordine di un migliaio di euro – può creare una infrastruttura IT piccola, flessibile, lasciando la gestione della sua complessità al gestore e concentrandosi solo sul proprio business.

E se il business cala?
Se dovessero cambiare gli scenari di mercato e l’impresa fosse costretta a ridurre gli investimenti, col cloud computing lo potrebbe fare facilmente; in un periodo di contrazione dell’economia, un’impresa che volesse fare dei downgrade alla propria infrastruttura IT classica sarebbe in forte difficoltà, col cloud computing si limiterà a ridurre il carico di utilizzo fino al livello necessario, persino, se serve, lasciando la struttura quiescente fino a che non la vorrà riattivare. Penso sia importante far capire all’impresa che il cloud può consentire al business di crescere anche rapidamente e in maniera esponenziale.

C’è in Italia una cultura del cloud?
In termini di impresa, quelle grandi sono più pronte e hanno già iniziato a investire in queste risorse perché le infrastrutture che possiedono, in generale, sono piuttosto rigide per seguire le trasformazioni dei mercati come sono fatti oggi. Hanno capito che serve maggiore flessibilità e buona parte di loro ha implementato soluzioni cloud.

Le Pmi? Faticano?
Le Pmi sono rimaste un poco indietro, come è lecito aspettarsi. Siamo intorno a un 20% che utilizza soluzioni cloud. Tuttavia, nonostante il ritardo, noi di Aruba stiamo registrando da giugno un incremento di utilizzo del cloud da parte delle Pmi, non solo in termini di attivazioni nette ma anche e soprattutto da parte di  piccole imprese che cominciano a usarlo costantemente dopo aver “rodato” l’infrastruttura per qualche settimana o mese. Questo ci risulta perché il numero medio delle macchine virtuali attivate in questi mesi è cresciuto da 1 a oltre 2: vuol dire che le imprese cominciano a creare piccole infrastrutture aziendali.

Chi dovrebbe diffondere la cultura del cloud in Italia? Chi se ne occupa, i ministeri… chi?
Un insieme di queste figure: operatori, servizi pubblici, imprese che siano più portate a osare nell’ambito tecnologico. Credo comunque che l’onere maggiore sia in capo agli operatori, non tanto in termini di comunicazione ma di crescita e sviluppo dell’offerta

Ossia?
Se un operatore, oggi, si limita a produrre servizi, applicazioni e pensa di avere fatto tutto il necessario per diffondere la cultura del cloud, ha fatto un buco nell’acqua perché ha fornito solo una piattaforma invece che costruire una “città”. Un operatore di primo livello deve spiegare come si utilizza la tecnologia, lavorare come opinion leader e inventare soluzioni con i propri partner per arrivare a fornire non solo spazio disco ma servizi a 360 gradi.

L’Ict italiano frena ma, tutto sommato, meno di altri settori dell’economia. Per chi lavora nella new economy, quanto conta, in termini di investimenti e di prospettive, stare in un settore che pare anticiclico?
Come Aruba stiamo dando una risposta pragmatica alla situazione di mercato: c’è contrazione e noi investiamo, non tanto perché vediamo un’opportunità fine a se stessa, ma perché pensiamo che in un momento di crisi le aziende sentano di più l’esigenza di usare tecnologie che consentano loro di “scalare” verso il basso, nell’attesa della ripresa. Un’esigenza soddisfatta dal cloud.

Anche questo è diffondere cultura d’impresa…
Noi ora investiamo per dimostrare che è adesso il momento di scegliere, di sviluppare. Tutte le grandi aziende viaggiano col freno a mano tirato, aspettando di capire come andrà domani; noi non siamo miopi e, visto che la nostra azienda è solida, pensiamo sia strategicamente sbagliato non investire ora, perché investendo ci garantiamo un vantaggio competitivo alla ripartenza dell’economia. Investendo, oltretutto, in una tecnologia che è vista come la soluzione a tanti problemi che la crisi porta con sé.