Bonus 200 euro, chi lo prenderà e quando

Chi prenderà il bonus 200 euro e quando? L’erogazione dell’indennità prevista dal decreto legge “Aiuti” del governo, avverrà per tutte le categorie lavorative e per i pensionati. Tutti dovranno avere un reddito lordo annuo non eccedente il 35 mila euro. Inclusi nella misura anche colf e badanti e, in generale, i lavoratori domestici. Il bonus 200 euro sarà pagato anche a chi prende il reddito di cittadinanza e quanti hanno ricevuto nel corso dello scorso anno un’indennità per il Covid. A disciplinare la misura di aiuto contro il rincaro dei prezzi è il decreto legge numero 50 del 2022, in vigore da mercoledì 18 maggio. L’indennità verrà pagata anche ai commercianti, artigiani, liberi professionisti e partite Iva: ma i lavoratori autonomi dovranno attendere un altro decreto da emanarsi entro 30 giorni che disciplini le modalità di pagamento e quanto spetti di indennità.

Bonus 200 euro ai pensionati, come verrà pagato?

I pensionati con redditi personali del 2021 non eccedenti i 35 mila euro lordi all’anno prenderanno il bonus 200 euro con decorrenza entro il 30 giugno 2022. Sarà l’Inps a effettuare il pagamento nella mensilità di luglio 2022. I pensionati, dunque, non dovranno presentare alcuna domanda. Per il calcolo del reddito non si tiene conto della casa di abitazione, del trattamento di fine rapporto (Tfr) e delle competenze arretrate a tassazione separata. Anche i percettori del trattamento sociale o di invalidità civile percepiranno l’indennità. Sono incluse anche le prestazioni di accompagnamento alla pensione, come ad esempio, l’Ape sociale o i lavoratori usciti da lavoro con i contratti di espansione.

Indennità Inps 200 euro ai lavoratori dipendenti: cosa bisogna fare?

I lavoratori alle dipendenze riceveranno il bonus 200 euro nel cedolino della busta paga di luglio. L’indennità, prevista dagli articoli 31-33 del decreto legge numero 50 del 2022, è esentasse. Come tutte le altre categorie, i lavoratori dipendenti percepiranno l’indennità una sola volta. Il pagamento del bonus non prevede alcuna domanda. Tuttavia, il lavoratore dipendente non deve essere percettore di alcuna pensione, anche di invalidità civile, e nemmeno del reddito di cittadinanza. I datori di lavoro potranno recuperare l’indennità anticipata in compensazione sui contributi UniEmens.

Lavoratori dipendenti che percepiranno il bonus 200 euro: come verificare se si rientra?

I lavoratori dipendenti possono verificare se il bonus 200 euro spetti mediante il diritto allo sconto contributivo. Si tratta della misura introdotto per il 2022 che consente di beneficiare di uno sconto di contributi pari allo 0,8%. Ricevono lo sconto i lavoratori con reddito mensile lordo non eccedente i 2.692 euro. Dunque, basta che i dipendenti abbiano beneficiato dello sconto contributivo in almeno un mese tra gennaio e aprile per percepire il bonus 200 euro.

Prendono il bonus 200 euro i lavoratori autonomi occasionali?

Il bonus 200 euro verrà pagato anche ai lavoratori autonomi occasionali senza partita Iva. Ovvero ai titolari dei contratti previsti dall’articolo 2222 del Codice civile. Si tratta dei contratti con ritenuta d’acconto. L’indennità spetterà se è stato corrisposto almeno un contributo mensile durante l’anno 2021. Per questi contratti, tuttavia, è necessario il versamento dei contributi alla Gestione separata dell’Inps (che deve risultare aperta al 18 maggio 2022) che avviene se il totale dei compensi annui supera la cifra di 5 mila euro. Ne consegue che i lavoratori autonomi occasionali prenderanno il bonus 200 euro solo se, per uno o più contratti del 2021, hanno percepito almeno 6.330 euro. Questo importo è il minimo per l’accredito di un mese di contributi. Infine, per questi lavoratori serve presentare la domanda all’Inps per ottenere l’una tantum.

Bonus 200 euro, verrà pagato agli incaricati delle vendite a domicilio e lavoratori dello spettacolo?

Il bonus 200 euro verrà pagato anche agli incaricati delle vendite a domicilio. La condizione per ottenere l’indennità è che nel 2021 siano stati percepiti compensi superiori ai 5 mila euro. Tra le altre condizioni, serve la partita Iva e l’iscrizione alla Gestione separata dell’Inps. Occorre presentare domanda all’Inps. I lavoratori dello spettacolo con redditi 2021 entro i 35 mila euro percepiranno il bonus purché per il 2021 abbiano almeno 50 contributi giornalieri. A questi lavoratori il bonus viene pagato dall’Inps previa domanda.

Lavoratori stagionali, a termine, intermittenti e disoccupati agricoli: prenderanno il bonus 200 euro?

I lavoratori stagionali, a termine e intermittenti prenderanno il bonus 200 euro purché nel 2021 il reddito non sia stato eccedente i 35 mila euro. Anche per questi lavoratori sono necessarie 50 contributi giornalieri. L’Inps eroga il bonus previa domanda. Non serve la domanda all’Inps, invece, per i disoccupati agricoli. Sarà l’Inps stessa a erogare l’indennità purché sia stata percepita la disoccupazione nel 2021.

Lavoratori con contratto di collaborazione coordinata e continuativa (co.co.co.): prenderanno il bonus 200 euro?

I lavoratori con contratto di collaborazione coordinata e continuativa (co.co.co.) prenderanno il bonus 200 euro a determinate condizioni. Infatti, il contratto deve essere in essere alla data del 18 maggio 2022. Il lavoratore deve essere iscritto alla Gestione separata dell’Inps. Inoltre, i lavoratori di questa categoria non devono essere percettori di pensione. E nemmeno essere iscritti ad altre gestioni previdenziali. Anche per questi lavoratori vale il limite di reddito di 35 mila euro. È l’Inps a erogare il bonus previa domanda.

Colf, badanti e disoccupati: prenderanno l’indennità di 200 euro?

Colf, badanti e lavoratori domestici prenderanno il bonus purché abbiano in essere un rapporto di lavoro alla data del 18 maggio 2022. Serve presentare la domanda all’Inps. I disoccupati, ex lavoratori alle dipendenze o parasubordinati, percepiranno il bonus 200 euro purché ricevano una mensilità di disoccupazione Naspi o Dis coll a giugno 2022. È l’Inps a pagare senza bisogno di presentare la domanda.

Partite Iva, professionisti, collaboratori e agenti, senza Green pass si rischia di perdere i contratti

Nessuna certezza per le partite Iva, i collaboratori, gli agenti e i liberi professionisti di mantenere i contratti e le commesse in assenza di Green pass. In mancanza del documento verde, infatti, sono possibili la risoluzione per inadempimento oppure il recesso per impossibilità sopravvenuta. Gli autonomi, in quanto a regole sulla sicurezza e sull’obbligo di esibire il Green pass sui luoghi di lavoro non potranno esimersi al pari dei lavoratori dipendenti a partire dal 15 ottobre 2021. E la disciplina potrebbe avere un impatto negativo sui loro affari.

Partite Iva con Green pass quando vanno a svolgere una prestazione lavorativa

Non si sottraggono, pertanto, le partite Iva e i liberi professionisti alla regola generale enunciata dal decreto legge 127 del 2021. “Chiunque svolge un’attività lavorativa nel settore privato è obbligato, ai fini dell’accesso ai luoghi in cui la predetta attività è svolta, di possedere e di esibire, su richiesta, la certificazione verde Covid-19”. In quanto intenti a svolgere una prestazione lavorativa a qualsiasi titolo, anche gli autonomi sono assoggettati alla stessa regola dei lavoratori dipendenti privati e pubblici.

Green pass, anche gli autonomi devono esibirlo se vanno a lavorare all’interno di un’azienda

Non può essere altresì motivo di sottrazione all’obbligo di esibire il Green pass nei luoghi di lavoro per gli autonomi il fatto che i controlli siano fatti, come specifica il decreto 127, a cura del “datore di lavoro”, dando quindi un’impronta più propriamente di tipo “subordinato” al rapporto di lavoro. Un commercialista che per redigere il bilancio di un’azienda deve recarsi nella sede del cliente più volte (ma anche se dovesse andarci una sola volta), si vedrebbe richiedere l’esibizione del Green pass all’entrata al pari di un dipendente dell’azienda stessa.

Sanzioni per gli autonomi senza Green pass

Il controllo all’interno dell’azienda, peraltro, potrebbe essere svolto non solo dal personale preposto dal datore di lavoro, ma anche da un pubblico ufficiale. La mancanza del Green pass per il lavoratore autonomo o per la partita Iva comporterebbe la previsione della sanzione, come avverrebbe anche per i dipendenti. L’importo della sanzione varia da 600 a 1500 euro. Fatte le premesse di obbligo di esibire il documento verde, è in ogni modo fare le opportune differenze tra i lavoratori autonomi.

Partite Iva e co.co.co. perdono i compensi della prestazione senza Green pass

I lavoratori autonomi che svolgono la propria attività con il contratto di collaborazione coordinata e continuativa (co.co.co.) o con partita Iva si trovano in una situazione molto simile a quella dei dipendenti aziendali nel momento in cui devono svolgere la propria prestazione all’interno dell’azienda. Pertanto, il controllo all’ingresso dell’addetto si estende, secondo quanto recita il decreto 127, “anche sulla base dei contratti esterni”. In mancanza di Green pass anche le partite Iva e i co.co.co. non potrebbe accedere all’interno. Il risultato è che il committente non è tenuto alla sua prestazione. Di conseguenza, dunque, può esimersi dal pagare il compenso legato alla prestazione.

Recesso per impossibilità sopravvenuta senza Green pass

Rispetto ai lavoratori dipendenti che senza Green pass non possono essere licenziati, ma risultano assenti ingiustificati e pertanto senza stipendio fino al momento in cui si mettano in regola, l’autonomo potrebbe vedersi risolvere il contratto per inadempimento. Il che significa che il contratto che lo lega all’azienda cliente o committente subirebbe il recesso per impossibilità sopravvenuta della prestazione nel momento in cui questa situazione si dovesse protrarre per diverso tempo.

Agenti, senza Green pass si possono perdere contratti

Una situazione simile potrebbe riscontrarsi per gli agenti. La conclusione dei contratti, e dunque andare presso la sede, l’ufficio o lo stabilimento dei clienti, in assenza di Green pass si potrebbe tradurre in una perdita di ordini. Ovviamente la perdita potrebbe ridursi nel caso in cui l’agente si mettesse in regola con il documento verde. Oppure riuscisse a operare senza la visita dei clienti. Tuttavia, a lungo andare, l’agente potrebbe trovarsi in situazioni di inadempimento o di impossibilità di rendere la prestazione.

Liberi professionisti, il concetto ampio del luogo di lavoro

Al libero professionista che si reca presso la sede di un’azienda cliente incombe l’obbligo di Green pass da mostrare all’ingresso. Ma cosa avviene, invece, all’interno del proprio studio professionale? In queste situazioni, il decreto 127 del 2021 traccia un concetto di luogo di lavoro molto ampio. All’interno di aziende, esercizi commerciali, laboratori artigiani, a prescindere dal numero di lavoratori, il Green pass è obbligatorio.

Libero professionista: dentro il suo studio deve avere il Green pass?

È importante rilevare che anche all’interno del proprio studio professionale o del negozio, anche lavorando da solo, il libero professionista o il negoziante devono essere in possesso di regolare Green pass. La ragione della norma risiede nella necessità di tutelare clienti e collaboratori che entrino nello studio o nel negozio. Rimarrebbe escluso da questo ambito solo il libero professionista che svolge la prestazione lavorativa dalla propria abitazione. Anche in questo caso, però, è necessario che l’attività non comporti la visita di collaboratori o di clienti.

Grenn pass, deve averlo il professionista che va a svolgere l’attività in una casa privata?

Infine, il lavoratore autonomo che si dirige in un’abitazione privata altrui per svolgere la sua prestazione potrebbe vedersi inibito l’accesso senza Green pass. In questo caso il controllore sarebbe il proprietario di casa che ha la facoltà di farsi mostrare il documento verde, ma non l’obbligo. In tutti questi casi, dunque, il lavoratore autonomo rischia di perdere contratti e prestazioni lavorative per l’assenza di Green pass. Sempre che non si veda richiedere il risarcimento qualora dalla sua condotta ne derivi un danno al committente.

Assunzione collaboratore: obblighi del datore di lavoro e tutele per il lavoratore

Tra il lavoro autonomo e il lavoro subordinato si colloca il contratto di collaborazione che si concretizza quando un’impresa chiede a un lavoratore di prestare la sua opera senza vincolo di subordinazione, ma funzionale all’organizzazione aziendale.

Il lavoro parasubordinato

L’assunzione di un collaboratore rientra nel contratto di lavoro parasubordinato che presenta, sotto certi aspetti le caratteristiche di un’attività lavorativa autonoma, sotto altri le peculiarità di un rapporto di lavoro dipendente.

Nella parasubordinazione, rientra il contratto di collaborazione coordinata e continuativa (co.co.co.). Si tratta sostanzialmente di un’attività lavorativa autonoma, ma con la presenza di caratteristiche simili a quella subordinata.

La collaborazione deve essere continuativa e prevede un’azione di coordinamento da parte del datore di lavoro pattuita insieme al collaboratore, sulla prestazione di lavoro offerta da quest’ultimo che, tuttavia, mantiene la sua natura personale. Entrando nel dettaglio, vediamo quali sono i requisiti.

Collaborazione coordinata continuativa: i requisiti

Il contratto di co.co.co prevede la presenza dei seguenti requisiti:

  • l’autonomia: il collaboratore non è soggetto a un orario di lavoro, per cui stabilisce in modo autonomo i tempi e le modalità di esecuzione della prestazione lavorativa. Al contempo, non impiega i propri mezzi organizzati e laddove serva, utilizza quelli del committente;
  • il potere di coordinamento che esercita il committente è correlato alle esigenze dell’organizzazione aziendale. Tuttavia, esso non deve essere tale da compromettere la libertà d’azione operativa del collaboratore riguardante l’esecuzione della prestazione, quindi, rientrando negli accordi presi dalle due parti;
  • la natura personale della prestazione;
  • la continuità che non deve essere solo relativa alla reiterazione degli adempimenti, che potrebbe anche mancare a causa delle caratteristiche specifiche del lavoro, quanto nella permanenza nel tempo del vincolo che lega le parti contraenti. In assenza di questo requisito, del correlato potere di coordinamento e del vincolo funzionale, si configura la prestazione occasionale che, invece, fa parte del lavoro autonomo svolto con sporadicità;
  • la mancata attrazione dell’attività di lavoro nell’oggetto dell’eventuale professione esercitata dal contribuente;
  • la retribuzione deve essere corrisposta periodicamente e prestabilita;

Il regime fiscale e giuridico

Il reddito conseguito dal collaboratore all’interno di un contratto di co.co.co. è da annoverare tra quelli derivanti da lavoro dipendente. Tuttavia, il regime giuridico applicato resta quello del lavoro autonomo, per cui non è prevista la garanzia al lavoratore del diritto alla pensione, nel caso di mancato versamento dei contributi dovuti.

Le tasse vanno calcolate sulla base della dichiarazione dei redditi e consistono nell’Irpef mensile e addizionali Irpef regionale e comunale, oltre ai contributi previdenziali INPS e assicurativi INAIL che, come vedremo sono inseriti nella busta paga.

I lavoratori co.co.co. non devono aprire partita IVA, beneficiano del bonus Irpef e possono fruire delle detrazioni spettanti ai dipendenti.

Assunzione collaboratore: contribuzione e obblighi del datore di lavoro

Nel contratto di collaborazione coordinata e continuativa il contributo previdenziale deve essere versato nella misura di due terzi dal committente, il restante terzo dal collaboratore. Tuttavia, l’obbligo di versamento è di competenza del datore di lavoro anche per la quota spettante il lavoratore, che viene pertanto trattenuta in busta paga.

Per la determinazione dell’aliquota da applicare, il committente deve acquisire dal lavoratore l’apposita dichiarazione sulla sua situazione contributiva. Il versamento va effettuato tramite il modello F24 con termine di scadenza fissato per il giorno 16 del mese successivo a quello di pagamento del compenso.

Il datore di lavoro è tenuto a trasmettere ogni mese per via telematica, direttamente o tramite gli intermediari previsti dalla legge, tutti i dati necessari all’aggiornamento delle posizioni contributive dei lavoratori.

L’invio va effettuato entro l’ultimo giorno del mese successivo a quello di erogazione delle retribuzioni, a prescindere dal periodo di lavoro a cui sono riferiti. L’invio richiede la preventiva certificazione del file da parte dell’apposito software di controllo Inps.

Se le parti ritengono opportuno tutelarsi in caso di contenzioso sulla classificazione del rapporto di lavoro instaurato, possono richiedere la certificazione del contratto di collaborazione presso gli organi certificatori.

Le tutele per il collaboratore

Il contratto di co.co.co è stato introdotto inizialmente come attività lavorativa autonoma, ma successivamente sono arrivate anche alcune tutele per il collaboratore, tipiche del lavoro dipendente.

Il collaboratore è obbligato ad iscriversi alla Gestione Separata INPS che gli permette di beneficiare del congedo obbligatorio di maternità, quindi, le lavoratrici possono fruire della relativa indennità. Il collaboratore fruisce anche di eventuali assegni familiari, dell’indennità giornaliera di malattia a carico dell’Inps; dell’indennità di disoccupazione Dis-Coll. Non è prevista la maturazione di permessi e di ferie.

Non è previsto alcun preavviso per il recesso né da parte del datore di lavoro né da parte del lavoratore, tuttavia, solitamente si procede a introdurlo in accordo tra le due parti.

Il contratto Co.Co.Co. è lavoro autonomo? Caratteristiche

I contratti Co.Co.Co,  hanno sempre destato interesse di aziende e lavoratori, ciò che molti si chiedono è: il Co.Co.Co. è lavoro autonomo o subordinato? In realtà nessuna delle due risposte è esaustiva: si tratta di un lavoro parasubordinato.

Co.Co.Co. è lavoro autonomo? Ecco i requisiti

La prima cosa da sottolineare è che non basta definire un rapporto di lavoro come Co.Co.Co. perché il legislatore ha stabilito delle caratteristiche necessarie affinché si possa parlare di collaborazione coordinata e continuativa. In caso contrario il contratto diventa automaticamente di lavoro subordinato.

Autonomia: è il primo elemento imprescindibile: il lavoratore non deve avere vincoli di orario, decide autonomamente quando lavorare. L’unico limite alla sua autonomia è il coordinamento che spetta al committente, tale potere di coordinamento però non deve  ledere l’autonomia operativa del lavoratore. Ad esempio, si può dire al lavoratore di consegnare il lavoro entro il giorno X, ma sarà il lavoratore a decidere in quali orari lavorare e come organizzare le sessioni di lavoro. Su questo punto il Jobs Act è molto preciso, infatti stabilisce che nel caso in cui nel contratto siano indicati degli orari di lavoro, ad esempio dover essere collegati alla piattaforma aziendale dalle ore 10:00 alle ore 14:00, il contratto viene automaticamente inquadrato come di lavoro subordinato e quindi si applicano tutte le norme previste per questo. La stessa disciplina si applica anche nel caso in cui sia indicato un luogo di lavoro. Di conseguenza se al lavoratore si chiede di presentarsi nella sede aziendale per alcune ore della giornata, o in alcuni giorni della settimana, il lavoro viene considerato di tipo subordinato. In tal caso il datore di lavoro è tenuto a riconoscere, ferie, permessi, diritti sindacali, paga calcolata attraverso l’applicazione del CCNL previsto per la categoria, pagamento di contributi previdenziali e assistenziali.

Tipologie di prestazioni e retribuzione

La prestazione del rapporto Co.Co.Co. è di tipo personale, quindi non può delegarsi ad altro soggetto. Tra gli elementi che assurgono molta importanza c’è la continuità del vincolo, che si esplica nella permanenza del vincolo tra le parti. In caso contrario si verifica un’altra tipologia contrattuale, cioè la prestazione occasionale. La retribuzione deve invece essere corrisposta in forma periodica e prestabilita.

Quelle elencate sono le caratteristiche attuali del rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, infatti in passato vi erano ulteriori limiti che con il tempo sono caduti. In primo luogo, fino al 31 dicembre del 2000 la normativa prevedeva che tale tipo di contratto potesse avere ad oggetto solo prestazioni di tipo artistico/intellettuale, mentre dal 1° gennaio 2001 il limite  non si applica e questo rapporto di lavoro può essere stipulato anche per mansioni di tipo manuale e operativo.

Perché c’è difficoltà ad inquadrare il lavoro Co.Co.Co come lavoro autonomo?

La disamina fin qui fatta sembra voler tutelare l’autonomia del lavoratore che può svolgere le mansioni senza andare nella sede operativa del committente (non si può parlare di datore di lavoro), ci sono però degli aspetti che lo stesso legislatore stabilisce debbano essere trattati come se fossero dei lavoratori dipendenti. In primo luogo dal 1° gennaio 2001 i redditi da lavoro Co.Co.Co sono assimilati a quelli di lavoro subordinato e quindi per l’imposizione fiscale si applicano le stesse detrazioni e deduzioni che spettano ai lavoratori inquadrati come dipendenti. Fino al 31 dicembre 2000 venivano invece considerati redditi da lavoro autonomo.

Un discorso a parte deve essere fatto per le prestazioni contributive, infatti  nel lavoro dipendente queste sono a carico del datore di lavoro, mentre nelle prestazioni di lavoro autonomo sono a carico del lavoratore che deve iscriversi a una cassa previdenziale, ad esempio quella delle professioni legali, oppure alla Gestione Separata INPS nel caso in cui non abbia una cassa. Per le Co.Co.Co nessuno dei due principi è del tutto valido, infatti i contributi previdenziali sono per 2/3 a carico del committente e per 1/3 a carico del lavoratore. La seconda quota però deve essere trattenuta dal committente dai compensi e da questi versata, di conseguenza tutti i versamenti previdenziali devono essere eseguiti dal datore di lavoro.

Norme processuali

Il contratto Co.Co.Co non può essere inquadrato con certezza tra il lavoro autonomo perché, come visto, le norma che lo disciplinano sono miste. A complicare il difficile inquadramento vi sono anche le norme processuali, infatti anche per quanto riguarda le questioni processuali, si applicano le norme inerenti il contratto di lavoro subordinato.

Riconoscimento Dis-Coll

Ai Collaboratori Coordinati e Continuativi, Co.Co. Co, la legge riconosce anche il diritto a percepire la Dis.Coll cioè l’indennità di disoccupazione, questa è corrisposta a coloro che hanno perso il lavoro non per loro decisione. Per richiederla occorre essere iscritti al Gestione Separata INPS, risultare disoccupati e devono esservi tre mesi di contribuzione versati  nell’anno civile antecedente rispetto a quello in cui si è perso il lavoro. Ad esempio, se il Co.Co. Co perde il lavoro il 20 marzo 2021, per avere il riconoscimento della Dis-Coll deve aver versato tre mesi di contributi nel 2020.  L’indennità mensile massima è di 1328,76 euro e si può percepire per un periodo massimo di 6 mesi. L’importo è calcolato in base al reddito e ai mesi di contribuzione maturati.

Consulenti del lavoro e co.co.co

I consulenti del lavoro intervengono con una circolare ad hoc sulla nuova regolamentazione relativa alle collaborazioni coordinate e continuative, entrata in vigore dall’1 gennaio 2016, ricordando che sono sempre stipulabili i contratti di lavoro parasubordinato, ovvero di lavoro autonomo, purché abbiano continuità con la prestazione lavorativa e resa mediante un coordinamento col committente.

La nuova disciplina – precisano i consulenti del lavoro nella circolare – supera il contratto di lavoro a progetto e il lavoro occasionale nonché le presunzioni operanti in relazione alle altre prestazioni rese in regime di lavoro autonomo. In particolare, la legge ha introdotto una doppio binario in relazione alle collaborazioni già in atto alla data di entrata in vigore del decreto (25 giugno 2015) e stipulate dal 25 giugno 2015“.

Il legislatore, al fine di consentire alle parti di prevenire i rischi derivanti da un non corretto inquadramento contrattuale della tipologia di lavoro che si intende avviare, ha previsto la possibilità per le stesse di richiedere la certificazione dell’assenza dei requisiti anche di etero organizzazione“, proseguono i consulenti del lavoro.

La prerogativa – scrivono ancora i consulentiriguarda tutte le commissioni di certificazione istituite ai sensi della citata disposizione e, tra esse, quelle costituite presso i Consigli provinciali degli Ordini dei consulenti del lavoro, capillarmente presenti sul territorio, alle quali le parti potranno quindi rivolgersi. Si tratta di una funzione nuova per le suddette commissioni che si aggiunge a quelle già esistenti. Le parti potranno chiedere anche la certificazione dell’intero contratto ai fini di valutare non solo l’assenza dei requisiti previsti dalla legge, ma anche la conformità della tipologia contrattuale prescelta con l’effettiva modalità di svolgimento del lavoro“.

E’ previsto – prosegue la circolareche il lavoratore possa farsi assistere da un rappresentante dell’associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato o da un avvocato o da un consulente del lavoro“.

Infine, concludono i consulenti del lavoro: “Non è escluso che anche il committente possa validamente farsi assistere da un appartenente alle medesime categorie legittimate ad affiancare il lavoratore. Il dettato normativo ribadisce quindi il ruolo di terzietà del consulente del lavoro il quale può assistere, nel procedimento, sia il committente che il collaboratore. La certificazione potrà riguardare sia i rapporti da instaurare che quelli già instaurati“.

Si apre la caccia alle false partite Iva

Da una parte il popolo delle partite Iva e le associazioni professionali stanno tartassando il governo perché metta mano al pasticcio fatto nei loro confronti con la recente legge di stabilità. Dall’altra, il governo prova a cominciare a mettere qualche pezza cercando di intervenire nei confronti delle cosiddette false partite Iva, nascoste sotto rapporti di lavoro subordinato e comunque interessate alla battaglia che si sta combattendo intorno al mondo dei professionisti.

Del resto, non poteva passare inosservato ai volponi di governo, Inps e Agenzia delle Entrate il numero esagerato di aperture di nuove partite Iva registrato a novembre 2014, quando le nuove aliquote previdenziali e i limiti di reddito previsti per il regime dei minimi stavano convincendo vere e false partite Iva a mettersi al riparo.

Gli ispettori dei suddetti enti hanno quindi cominciato a verificare i casi di presunzione automatica della subordinazione, ossia quelli in cui le false partite Iva sono in realtà lavoratori assunti. Si calcola infatti che su 5,5 milioni di partite Iva attive, circa 3 milioni siano riconducibili a lavoratori autonomi senza dipendenti. Di questi circa 800mila hanno un unico cliente e il 35-40% di loro (meno di 400mila) è costituito da false partite Iva. 

E se queste false partite Iva vengono accertate, gli ispettori prendono in considerazione tre indicatori per capire se far scattare o meno la presunzione di un rapporto di lavoro subordinato; se due su tre di questi indicatori sono presenti contemporaneamente, ecco che questa presunzione scatta e gli ispettori potranno decidere la trasformazione del rapporto in contratto in collaborazione coordinata e continuativa o contratto a tempo indeterminato.

I tre indicatori sono:
– postazione di lavoro fissa per la partita Iva nella sede del committente;
– durata della collaborazione della partita Iva non superiore agli 8 mesi annui per due anni consecutivi;
– soglia dell’80% dei corrispettivi annui dovuti alla collaborazione nell’arco di due anni consecutivi.

Se tre indizi fanno una prova, in questo caso due indicatori fanno le false partite Iva. Tutto molto bello, ma alle partite Iva vere, quando saranno date delle risposte convincenti per fermare il massacro in atto?

Cgil: in 6 anni persi 340mila posti di lavoro

In occasione della Conferenza d’indirizzo della Consulta del lavoro professionale Cgil “Diritti e rappresentanza nel lavoro professionale”, la Cgil stessa ha lanciato un allarme: dal 2007 al primo semestre 2013 sono scomparsi 340mila contratti di collaborazione, tra co.co.co e a progetto, e tutti nell’ambito del lavoro professionale.

Questa cifra deriva dalla somma tra i 208mila posti da collaborazione persi nel quinquennio fino al 2011 e i 132 mila rapporti di contratto a progetto persi tra l’ultimo trimestre 2012 e il primo semestre 2013 dopo la riforma Fornero.

Contrariamente a quanto si auspicava con la riforma del lavoro, questi posti non sono stati trasformati con contratti più duraturi e solidi ma si solo semplicemente volatilizzati o, se possibile, sono diventati ancor meno sicuri.
Tante sono state, infatti, le aperture di partite Iva individuali, come anche le collaborazioni occasionali con ritenuta d’acconto e cessione dei diritti d’autore.

Ma il sospetto, che in molti casi rappresenta una vera e propria certezza, è che una quota consistente dei posti scomparsi sia da ricercare nel lavoro nero.

Il sindacato, a questo proposito, afferma che “l’aggravante di questa enorme perdita di lavoro è che essa ha riguardato lavoratori spesso laureati e più giovani della media dei lavoratori italiani, senza che ci fosse nessun ammortizzatore sociale durante tutta la crisi. Ciò stride fortemente se paragonato ai giusti ed enormi sforzi fatti per sostenere il reddito di tutte le altre componenti del lavoro durante gli anni della crisi“.

Vera MORETTI

Co.co.pro? No, grazie

di Vera MORETTI

Alla faccia di chi vuol farci credere che tra lavoratore dipendente e lavoratore precario la differenza è poca. Non si tratta solo di sicurezza e certezza nel futuro, ma anche di retribuzione.
A questo proposito, il gap tra precario e dipendente è di 5.000 euro e sale a 6.800 se si tratta di una donna. Come se ci fosse bisogno di altri motivi per diffidare dei contratti co.co.pro.

Se, poi, si ha meno di 24 anni, la penalizzazione è quasi raddoppiata, dal momento che il divario raggiunge 8.221 euro, ovvero la differenza tra gli 11.400 euro medi annui di un dipendente e i 3.179 euro di un co.co.pro. e un collaboratore coordinato e continuativo.

Questi dati sono stati resi noti da Isfol, la cui direttrice generale, Aviana Bulgarelli ha commentato così: “Una situazione che per le lavoratrici diventa paradossale. Le donne hanno in genere tassi di istruzione più elevati degli uomini. E invece sul fronte salariale continuano a subire una forte disparità di genere. Sia se inquadrate come co.co.pro. che come lavoratrici dipendenti“.

I collaboratori a progetto sono un esercito di 676mila, ai quali si aggiungono i 50mila collaboratori coordinati e continuativi che ci sono nella Pubblica amministrazione e tutti sono accomunati da un reddito medio annuo di 9.885 euro contro i 16.290 euro di busta paga media l’anno degli oltre 17 milioni di occupati dipendenti.
Per quanto riguarda i lavoratori parasubordinati, in Italia sono 1 milione e 442mila unità. Tra loro, il 46,9% sono co.co.pro. Mentre il 35,1% dei collaboratori a progetto ha un’età inferiore ai 30 anni e il 28,7% tra i 30 e 39 anni.
L’84,2% dei co.co.pro. è caratterizzato poi da un regime contributivo esclusivo, ovvero non svolge un’altra occupazione: si tratta di 569mila lavoratori il cui reddito medio scende a 8.500 euro l’anno. Per ricevere uno stipendio pari a quello di un dipendente, un co.co.pro. e un co.co.co. deve superare i 60 anni e arrivare a fine carriera, quanto il reddito annuale medio ammonta a 19.797 euro contro i 19.462 euro per un dipendente.

Una recente indagine di Isfol-Plus, poi, informa che, per quanto riguarda i lavoratori parasubordinati, il 70% dei collaboratori deve garantire la presenza presso la sede di lavoro, il 67% ha concordato un orario giornaliero con il datore e il 71% utilizza, nello svolgimento della prestazione, mezzi e strumenti del datore di lavoro.

Chi decide il tipo di contratto? Di certo non i diretti interessati ma, guarda caso, i datori di lavoro stessi. Per questo, è richiesto a gran voce l’intervento di Elsa Fornero, ministro del Lavoro e del Welfare, che dovrebbe, secondo Fulvio Fammoni, segretario confederale della Cgil, “equiparare i contributi, garantendo contestualmente le stesse tutele e dando certezza di un salario corrispondente al lavoro che si svolge“.

Una soluzione alternativa, per Guglielmo Loy, segretario confederale della Uil, potrebbe essere quella di utilizzare queste forme contrattuali per “assumere lavoratori per qualifiche medio-alte“.

Co.co.co e progetti extra Ue esclusi dagli ingressi stagionali

Il Dpcm 1° aprile 2010 ha fissato i termini dei flussi di ingresso per lavoro stagionale per il 2010, autorizzando 80mila lavoratori extracomunitari per lavoro subordinato stagionale e 4mila permessi per motivo di lavoro autonomo.

Il ministero dell’Interno, con nota protocollo n. 8809/2010, ha precisato che i lavoratori coordinati e continuativi e quelli a progetto sono esclusi dai flussi d’ingresso per il 2010. I titolari di contratti di collaborazione non possono ottenere il rilascio del visto d’ingresso per lavoro autonomo.

I nuovi visti sono riservati soltanto a: imprenditori che svolgono attività di interesse per l’economia italiana; liberi professionisti; soci e amministratori di società non cooperative; artisti di chiara fama internazionale e di alta qualificazione professionale, ingaggiati da enti pubblici e privati; artigiani provenienti da Paesi extra Ue che contribuiscono finanziariamente agli investimenti effettuati dai propri cittadini sul territorio nazionale.

Pertanto, è escluso il rilascio del visto per lavoro autonomo ai titolari di contratti di collaborazione (co.co.co. e co.co. pro.).

Inoltre, il rilascio del visto d’ingresso a favore di soci e amministratori di società o di titolari di contratto per prestazioni di lavoro autonomo può avvenire solo se la società di destinazione del lavoratore in Italia risulta attiva in Italia da almeno 3 anni. L’attestazione relativa all’astratta individuazione delle risorse necessarie all’attività da intraprendere, rilasciata dalla Camera di commercio, non può risultare inferiore a 4.962,36 euro.