Gli italiani tornano ad essere disponibili all’acquisto, soprattutto per il cibo

Gli italiani sono usciti un po’ malconci dalla crisi economica, e forse in alcuni casi ancora non hanno visto la luce in fondo al tunnel, perciò, la prudenza ancora prevale quando si devono fare acquisti.
Forse, però, un’inversione di tendenza si sta verificando, in particolare nel settore alimentare, dove, invece, la disponibilità agli acquisti sembra aver ripreso vita.

Ricordiamo che, negli anni della crisi più nera, anche la spesa alimentare era stata particolarmente colpita, ma ora ha ripreso a crescere, per un totale del 14,3% in più sul totale dei consumi delle famiglie, quota decisamente superiore rispetto alla media dei principali Paesi europei, attestatisi all’11,4%.

Tutto ciò è stato testimoniato da una ricerca del Censis presentata a Milano da Massimiliano Valerii, direttore generale dell’Istituto e intitolata “Il futuro dell’alimentazione: tra stili di vita contemporanei e nuovi modelli di fruizione”.
Il cibo torna ad essere il principale interesse degli italiani, per ben il 91%, e, quando si tratta di fare una scelta, non si pensa in primo luogo al prezzo, come accade nel resto del mondo, ma a fattori qualitativi come trasparenza delle informazioni (94,4%), funzionalità (88,4%), salute (84,6%), eticità (83,5%).
A questi si aggiunge l’italianità, valore per il quale è disposto a pagare qualcosa in più (85,5%), in linea con un fenomeno globale di domanda di italian food che dal 2010 al 2015 è cresciuto nel mondo del 36,5%.

Si tratta, comunque, di fattori molto soggettivi, perciò, quando gli italiani decidono cosa portare sulle loro tavole, le soluzioni sono davvero molteplici: cibo pronto e semipronto (utilizzato da oltre 31 milioni di italiani), cibi salutisti (26 milioni), take-away acquistato on line (19,4 milioni), alimenti e bibite nei distributori automatici (25,3 milioni).
Ma, qualunque sia la scelta, gli italiani si informano prima in rete (57%, percentuale che sale al 74,2% nel caso dei mllennial, anche se, al momento dell’acquisto, sono ancora pochi coloro che lo fanno online. Per il cibo, si preferisce “toccare con mano”.

Un fattore dal quale non si può prescindere è la marca: il 67,3% è disposto a pagare di più per i prodotti della marca di fiducia.

Così ha commentato questi risultati Massimiliano Valerii: “E’ interessante notare come, più si ampliano offerta e canali, e più la marca assuma un ruolo di guida e di garanzia: gli italiani, compresi i millennial, sono disposti a pagare di più per il prodotto di marca, soprattutto quando comprano alimenti salutistici (71,1%), cibi pronti o semipronti (69,6%), prodotti nei distributori automatici (71,3%). E anche quando ordinano cibo cucinato a domicilio, dove quindi la ‘marca’ è il ristorante o la piattaforma di acquisto”.

Vera MORETTI

Altro che ripresa: in Italia, consumi al palo

Saremo anche sotto Natale, sarà che c’è chi dice che il peggio della crisi è passato, ma a giudicare dai consumi degli italiani, il quadro che emerge è un altro.

L’Indicatore dei Consumi Confcommercio relativamente al mese di settembre 2016 è infatti fermo rispetto allo stesso mese del 2015. Calma piatta per i consumi nel nostro Paese.

Rispetto al mese di agosto è persino in calo dello 0,1%. Un andamento che, secondo l’Ufficio studi Confcommercio, “riflette il progressivo deterioramento nel clima di fiducia consolidando un atteggiamento molto prudente nei confronti del consumo”.

Su base mensile, gli aumenti contenuti ci sono solo per gli alimentari, le bevande e i tabacchi (+0,3%), in recupero rispetto al calo di agosto, la spesa per gli alberghi, i pasti e le consumazioni fuori casa (+0,1%) e per i beni e i servizi per la cura della persona (+0,1%).

In calo la spesa per i beni e servizi per la mobilità (-1%), dopo il significativo rialzo di agosto guidato dalla vendita di auto e moto. In lieve flessione la spesa per i beni e servizi per la casa (-0,3%), la spesa per i beni e i servizi ricreativi (-0,2%) e per l’abbigliamento e le calzature (-0,1%).

Su base annua, invece, i consumi segnalano l’aumento della spesa per beni e servizi per la mobilità, + 2,9%, mentre il rialzo è molto contenuto per i beni e i servizi per la cura della persona (+0,7%) e la spesa per gli alberghi, i pasti e le consumazioni fuori casa (+0,6%). La spesa si è ridotta in maniera notevole, rispetto a settembre 2015, per i beni e i servizi ricreativi (-2,3%) su cui pesa il confronto con l’Expo, e per i beni e i servizi per la casa (-1,1%) che già negli ultimi due mesi avevano evidenziato un calo.

Spese della casa sempre più pesanti

Da un’analisi condotta da Confcommercio sui consumi degli italiani negli ultimi vent’anni, è emerso che, in Italia, il 42% delle spese che pesano sulle famiglie riguardano la casa e tutto ciò che la riguarda, a cominciare da bollette e utenze, fino alle tanto criticate tasse sugli immobili.

L’aumento è sostanziale, se si considera che nel 1995 si trattava di una spesa pro capite di 1.900 euro, aumentata fino a 4.012 euro del 2015. Tradotto in percentuale, si parla di un aumento del 110%.

Considerando, inoltre, la crisi, che è da otto anni che incide sulla quotidianità degli italiani, la situazione non è proprio ottimale, con una pressione fiscale in continuo aumento e i redditi familiari ahimè sempre più bassi.

A questo proposito, lo studio conferma un calo del reddito del 10,6% negli anni della crisi, quindi 2007-20014, e di un -14,1% per il reddito pro capite.
Tra le conseguenze più evidenti, un taglio netto sulle altre spese, alimentazione in testa, settore che infatti ha registrato una flessione del 3%.

I responsabili di questa crescita esponenziale dei consumi legati all’abitazione sono essenzialmente due: lo smaltimento dei rifiuti e l’acqua, aumentati entrambi almeno del 130%.

Vera MORETTI

I consumi in netta discesa

Che cosa è successo in questi anni nel settore dei consumi?
Secondo il bollettino economico di Palazzo Kock, arriva la conferma che i consumi sono scesi del 5% dalla metà del 2011. Mentre nel quarto trimestre del 2012 i consumi privati sono scesi sino allo 0,7% rispetto al periodo precedente.
Una flessione che risulta in netto calo per il settore degli acquisti di beni durevoli e semidurevoli, mentre la spesa per servizi è tornata a salire di poco.

Secondo il bollettino economico di Bankitalia, la contrazione dei consumi si fa sentire e tutto dipende dal mercato del lavoro e dall’incremento della pressione tributaria.
Pensate che alla fine dell’anno il saggio di risparmio si è attestato all’8,3%. In un contesto di questo genere è normale che la fiducia delle famiglie rimanga fragile: infatti, a marzo, i giudizi relativi alla propria situazione attuale e quelli sull’economica italiana sono rimasti negativi.

Infine sul fronte consumi è proseguita la tendenza al ribasso del volume delle vendite al dettaglio e delle immatricolazioni di auto.

Perché crollano i consumi?


In questi ultimi anni i cittadini hanno assistito al continuo aumento della pressione fiscale con l’introduzione di nuove tasse e la mancanza di erogazione di crediti. Questo problema sta portando l’aumento della disoccupazione.
Che siamo in tempo di crisi è chiaro ma continuare a subire in maniera passiva non aiuta la ripresa. Di questo parere è il Presidente di Federazione Moda Italia, Renato Borghi,che ha commentato lo scenario attuale e negativo presentato da parte degli analisti.
Il primo problema da risolvere è la pressione fiscale, che non smette di aumentare ed ha raggiunto il 44% nel 2012. Al secondo posto il problema della disoccupazione che è esplosa, coinvolgendo nel 2012 3 milioni di persone in Italia.
A tutto questo bisogna aggiungere la mancata erogazione di credito da parte degli istituti bancari che uccide le famiglie e le imprese. Per non parlare dell’aumento dell’Iva a luglio e della prossima operatività della tares.
Una situazione critica che non fa altro che aumentare la negatività e il clima di fiducia in constante calo. Secondo Borghi, va ridisegnata la politica economica italiana e il tempo è ormai agli sgoccioli.

Sangalli: “Con l’aumento dell’Iva, 38 miliardi di consumi in meno entro il 2014”

Il presidente di Confcommercio Carlo Sangalli ha lanciato un pesante avvertimento durante l’ultimo convegno ‘Liberare l’economia: meno tasse più crescita’. “Gli aumenti dell’Iva rischiano, tra il 2011 e il 2014 di tradursi in minori consumi reali per circa 38 miliardi di euro“. “Secondo le stime del nostro centro studi – ha continuato Sangalli – il Pil procapite torna ai livelli del 1999 e i consumi procapite tornano ai livelli del 1998: un balzo indietro di quasi 15 anni”.

Il presidente ha sottolineato che “l’impatto delle manovre correttive degli andamenti di finanza pubblica pesa come un macigno tanto sulla congiuntura quanto sulle prospettive a medio termine”. Sangalli ha spiegato che il divario tra il nostro paese e la Germania sta nella “debolezza della nostra domanda interna, che, fra investimenti e consumi, costituisce l’80% del prodotto”.

Crisi e famiglie, le strategie per resistere

Più vulnerabili e meno ricche. Le famiglie italiane si ritrovano ogni giorno a fare i conti con la crisi. Meno uscite – al cinema, al ristorante, nei locali – meno shopping e mete meno invidiabili per trascorrere le proprie vacanze. La conferma arriva anche dall’ultimo rapporto Istat 2012, diffuso in questi giorni, che registra come il potere d’acquisto delle famiglie italiane sia passato dai 130,2 miliardi del 2007, l’ultimo anno precrisi, ai 93,4 miliardi nel 2012.

Ma questa riduzione come ha inciso sulle abitudini quotidiane dei cittadini? Dove si cerca di risparmiare maggiormente? Infoiva ha scelto di chiedere ai diretti interessati, per capire come la crisi abbia influenzato stili di vita e tempo libero degli italiani. Che non si concedono più lussi, nemmeno quello ci credere che le riforme dell’attuale Governo possano davvero aiutarli a crescere. Ecco il video: vi riconoscete in queste storie?

Alessia CASIRAGHI

Crisi, quando il commercio ci dà un taglio

Vendite al dettaglio in calo ma tanta voglia di fare per i commercianti milanesi. Anche da soli.

Senza consumi non c’è crescita. Ma qual è la temperatura che si registra in questo momento nel mondo del commercio al dettaglio, a Milano? Se l’ultima indagine Istat ha reso noto un calo dello 0,2% per quanto riguarda le vendite del marzo scorso, che fa registrare però un aumento del’ 1,7% rispetto allo stesso periodo del 2011, i commercianti sembrano non essere proprio d’accordo.

Dati troppo ottimistici destinati a scontrarsi con i numeri reali degli scontrini battuti in cassa? ‘Le vendite sono in calo, in media del 30%’ sembra essere il refrain che corre sulle bocche dei commercianti milanesi, da nord a sud della città. In giro per quartieri della ‘capitale della moda’ li abbiamo intervistati, per raccogliere critiche e impressioni. Ma soprattutto abbiamo chiesto loro cosa le istituzioni – governo, banche, Camera di Commercio e Comune – hanno fatto per loro. O forse potrebbero fare.

E alla fine il ritornello, sembra sempre più suonare così ‘Sapessi com’è strano, comprare oggi a Milano…’. Guardate il video e giudicate voi.

Alessia CASIRAGHI

Crisi: colpiti anche i ristoratori. Ecco le testimonianze

Clientela in calo in media del 30%, contro una media nazionale che si attesta al -40%, prezzi immutati dal 2011 e consumi in caduta. Pare che anche la Madonnina si sia messa a digiuno. Almeno stando alle interviste video che abbiamo raccolto in giro per Milano dove i ristoranti soffrono la crisi: prenotazioni in calo, clientela che opta per menù sempre più ‘light’, soprattutto per il portafogli, e incassi che scendono vertiginosamente rispetto allo scorso anno. Ma che cosa ne pensano i ristoratori? Abbiamo attraversato la città, dai Navigli a Brera, per chiederlo direttamente a loro.

Il risultato? La cena fuori è ormai un lusso per la maggior parte dei milanesi, soprattutto quando ci si avvicina alla fine del mese. Anche nella scelta del menù, i clienti optano sempre meno per carne e pesce e rinunciano spesso al vino. Le conseguenze sul settore gastronomico e della ristorazione sono inevitabili: personale in calo di almeno 2 unità,  incassi abbattuti in media del 30% e una torta da spartire sempre più piccola. Con qualche eccezione, dovuta soprattutto alla posizione favorevole e al passaggio di turisti. Ma qual è la ricetta da proporre al Governo per superare la crisi? Ce lo dicono i ristoratori in queste interviste.

 

 

Alessia CASIRAGHI

Fismo-Confesercenti: crisi per il 71% dei negozi

Il settore dell’abbigliamento continua a vivere in uno stato di crisi dopo il 2011, annus horribilis per 3 esercenti su 4. I saldi di gennaio non sono riusciti a migliorare la situazione che resta critica per il 66% dei negozi delle grandi città ed il 71% su scala nazionale. E le previsioni per il 2012 non sono rosee: solo il 3% ipotizza un miglioramento. Le imprese rivedono le strategie e mettono in campo tutti i sistemi per contrastare la riduzione del potere d’acquisto delle famiglie ed il conseguente calo dei consumi. Ma continuano a non farcela.

Così bocciano le liberalizzazioni ed al presidente del Consiglio Monti chiedono meno fisco, minor costo del lavoro, sostegno alle famiglie e credito più agevole. Sono questi, in estrema sintesi, i contenuti dell’indagine condotta dalla Fismo-Confesercenti tra le imprese della moda che saranno presentati dal presidente dell’organizzazione Roberto Manzoni, nel corso di una conferenza stampa alle ore 11.00 presso la Sala delle Colonne della sede nazionale di Confesercenti a Roma, in Via Nazionale 60.

Fonte: confesercenti.it