Contratti a termine, arrivano alcune importanti novità

.Contratti a termine arrivati alcuni chiarimenti direttamente dal Ministero del Lavoro in merito alle causali. Quali sono tutte le novità che riguardano questi contratti?

Contratti a termine, cosa sono?

Il contratto a tempo determinato è un contratto di lavoro subordinato nel quale è prevista una durata predeterminata, mediante l’apposizione di un termine. È disciplinato dal Decreto Legislativo 15 giugno 2015, n. 81 (articoli 19-29). Secondo tale decreto al contratto di lavoro subordinato può essere apposto un termine di durata che non superi i trentasei mesi e prevede delle causali specifiche. Infatti il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha pubblicato la circolare n.9/2023 sulle novità introdotte dal Decreto Lavoro sui contratti a termine.

Secondo la nuova circolare si chiarisce che limite massimo di durata dei rapporti di lavoro a tempo determinato che possono intercorrere tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore, che resta fissato in ventiquattro mesi, fatte salve le diverse previsioni dei contratti collettivi. Il contratto collettivo nazionale di lavoro è, nel diritto del lavoro italiano, un tipo di contratto di lavoro stipulato a livello nazionale tra le organizzazioni rappresentanti dei lavoratori dipendenti e quelli dei datori di lavoro.

Contratti a termine, quali sono altre novità?

La circolare specifica anche che entro il 30 aprile 2024, sarà possibile l’utilizzo di causali firmate tra il lavoratore ed il datore in assenza di previsioni contrattuali. Si ribadisce così che anche tale termini si intende con riferimento alla stipula del contratto e non dalla sua durata. Inoltre il Ministero ha poi chiarito che il comma 1-ter dell’art. 24 introduce un azzeramento delle causali per i contratti stipulati prima del 5 maggio 2023. Consentendo, entro i limiti di durata complessiva di 24 mesi, l’utilizzo di 12 mesi di contratto privo di causale con rinnovi o proroghe collocate dopo il 5 maggio del 2023.

Lavoratori svantaggiati, alcune precisazioni

Si esclude espressamente l’applicabilità di limiti quantitativi per la somministrazione a tempo indeterminato di alcune categorie di lavoratori. Questi ultimi sono individuati, tra cui i soggetti disoccupati che fruiscono da almeno sei mesi di trattamenti di disoccupazione non agricola o di ammortizzatori sociali, i lavoratori svantaggiati o molto svantaggiati. Si tratta di coloro che:

a) siano privi di un impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi;

b) abbiano un’età compresa tra i 15 e i 24 anni;

c) non possiedano un diploma di scuola media superiore o professionale (livello ISCED 3). Oppure abbiano completato la formazione a tempo pieno da non più di due anni e non abbiano ancora ottenuto il primo impiego regolarmente retribuito;

d) abbiano superato i 50 anni di età;

e) siano adulti che vivono soli con una o più persone a carico;

f) siano occupati in professioni o settori caratterizzati da un tasso di disparità uomo-donna che supera almeno del 25% la disparità media uomo-donna in tutti i settori economici se il lavoratore interessato appartiene al genere sottorappresentato;

g) appartengano a una minoranza etnica di uno Stato membro dell’Unione Europea. E abbiano la necessità di migliorare la propria formazione linguistica e professionale o la propria esperienza lavorativa per aumentare le prospettive di accesso ad un’occupazione stabile.

Infine rientrano, nella categoria di lavoratori molto svantaggiati i soggetti che sono privi da almeno ventiquattro mesi di un impiego regolarmente retribuito e quelli che, privi da almeno dodici mesi di un impiego regolarmente retribuito.


	

Contratti a termine, si va verso la cancellazione delle causali

Contratti a termine saranno oggetto del nuovo decreto lavoro? Ecco il punto della situazione in questo momento e l’impegno del Governo.

Contratti a termine, c’è bisogno di una riforma

Il Governo sta avviando una serie di misure volte a sostegno dell’occupazione in Italia. Un paese che non produce, è un paese che non cresce e questo è il pericolo che si vuole scongiurare. Occorre dare spinta anche alle imprese, soprattutto alla ricerca ed assunzione di personale. Si punta verso un nuovo Decreto Lavoro che possa contenere delle misure mirate in tal senso. Una speranza che potrebbe non tardare ad essere soddisfatta, anzi proprio a fine mese.

Per i contratti a termine, o detti anche a tempo determinato, sembra che ci si stia muovendo verso la definizione di nuove regole. Una breve precisazione, secondo il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il contratto a tempo determinato è un contratto di lavoro subordinato nel quale è prevista una durata predeterminata, mediante l’apposizione di un termine. E’ disciplinato dal Decreto Legislativo 15 giugno 2015, n.81.

Contratti a termine, le possibili novità

I contratti a termine potrebbe subire qualche variazione per permettere alle imprese di poter assumere lavoratori con contratti di questo tipo. I contratti potranno avere anche una durata di due anni. Il punto centrale è il superamento dei vincoli ai contratti che potranno essere stipulati dall’azienda fino a 24 mesi, senza causale.

La causale del contratto a termine non è altro che la motivazione per la quale viene concluso un contratto a tempo determinato. In pratica, serve a spiegare perché il datore di lavoro assume il lavoratore “a scadenza” anziché a tempo indeterminato.  Inoltre si potrebbe anche estendere il periodo di contratto per altri 12 mesi, dopo il periodo biennale precedente. Sempre però in base agli accordi che saranno inseriti nei contratti collettivi nazionali, territoriali e aziendali.

Infine tra i temi sempre riguardanti il lavoro, sembra essere previsto anche un ammorbidimento dei vincoli informativi con tutti i doveri e i diritti dei lavoratori. Nel contratto devono essere chiare le “regole del lavoro” compreso i congedi retribuiti, la durata delle ferie, la programmazione dell’orario di lavoro, la retribuzione e le modalità di pagamento.

Previste assunzioni anche nella pubblica amministrazione

Sarà un anno fitto di assunzioni anche per la Pubblica amministrazione. Nella manovra di bilancio sono previsti dei fondi per l’assunzione dei personale in diversi enti facenti parte dell’amministrazione pubblica. Si parla di circa 10.400 nuovi posti di lavoro. Tra gli enti principalmente coinvolti ci sono l’Agenzia delle entrate, la giustizia e affari esteri.

Infine si ricorda che con la manovra ritornano anche i voucher per i lavori occasionali, fino a 8 mila euro, soprattutto per i settori legati all’agricoltura e discoteche. Non si esclude la possibilità di estenzione anche ad altri settori economici.

Assunzione a tempo determinato e indeterminato, le differenze

In Italia esistono due tipologie di rapporti di lavoro: autonomo e subordinato. Quest’ultimo è caratterizzato dal vincolo di subordinazione a cui è sottoposto il lavoratore nei confronti del datore di lavoro. Motivo per cui, il neoassunto è tenuto a seguire le direttive e le disposizioni tecnico-organizzative che il suo datore di lavoro ritiene più adeguate per la produttività dell’azienda.

Nel lavoro subordinato il dipendente è obbligato a collaborare con l’impresa attraverso una prestazione lavorativa di natura manuale o intellettuale. D’altro canto, il datore di lavoro si obbliga a corrispondergli una retribuzione e a garantirgli la copertura assicurativa e previdenziale.

Le due forme principali di lavoro subordinato sono a tempo determinato e indeterminato, di cui andiamo a parlarvi, qui di seguito, ponendo l’accento sulle differenze.

Assunzione a tempo determinato e indeterminato, le differenze

La principale differenza tra il contratto a tempo determinato e quello a tempo indeterminato risiede nella durata del rapporto di lavoro. Nel primo caso, al momento dell’assunzione viene indicata una data di inizio ma non quella conclusiva. Nel secondo caso, viene specificata la durata, quindi, anche la data di conclusione della collaborazione.

La decisione per cui un datore di lavoro sceglie di assumere un dipendente a tempo determinato piuttosto che a tempo indeterminato risiede in diversi motivi. L’assunzione a termine avviene spesso per soddisfare il bisogno di avere più lavoratori in un momento di produzione maggiore o per colmare assenze prolungate e impreviste di altri dipendenti. Ma anche per una questione di flessibilità, soprattutto in periodi di crisi economica, nonostante un costo maggiore.

L’altra differenza molto importante riguarda il neoassunto. Nel caso di contratto a tempo indeterminato, le tutele sono decisamente maggiori. Ottenere un mutuo o un prestito con un lavoro stabile è molto più facile. Il licenziamento da parte del datore di lavoro può avvenire solo per giusta causa o giustificato motivo, oggettivo o soggettivo. Le dimissioni del dipendente possono essere presentate solo dietro preavviso nei tempi previsti dalla legge.

Nel caso di contratto a tempo determinato, la risoluzione del rapporto di lavoro avviene automaticamente alla data di scadenza prefissata. Se il lavoratore vuole dimettersi può farlo solo per giusta causa, ovvero per avvenuto grave inadempimento da parte del datore di lavoro che non consente al dipendente di proseguire il lavoro, nemmeno temporaneamente. Diversamente, il lavoratore rischia di essere chiamato a risarcire il danno procurato all’azienda con la sua uscita volontaria dal lavoro.

Assunzione a tempo determinato

Il contratto di lavoro a tempo indeterminato è ovviamente privo di scadenza. Può essere part time o full time, dove per tempo pieno s’intendono solitamente 40 ore settimanali, salvo diverse indicazioni previste dal CCNL. Una prestazione lavorativa che va oltre l’orario di lavoro normale è definito straordinario e non può superare le 250 ore annuali. E ammesso solo se c’è stato accordo tra le parti, salvo la presenza di una specifica disciplina collettiva.

Assunzione a tempo determinato

Il datore di lavoro può assumere un lavoratore con un contratto a tempo determinato (part time o full time) per la durata massima di 24 mesi. Nel caso di riassunzione o di durata superiore a 12 mesi deve inserire una causale che deve rientrare nell’ipotesi delle seguenti esigenze: temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività dell’azienda; di sostituzione di altri lavoratori; connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell’attività ordinaria. Senza causale, il primo rapporto di lavoro non può essere stipulato per più di 12 mesi.

Il contratto a termine si trasforma a tempo indeterminato se le proroghe sono superiore a quattro e comunque si sfora il limite massimo di tre anni. Il contratto a tempo determinato può essere riproposto ad uno stesso lavoratore decorso un periodo di tempo di almeno 10 o 20 giorni, a seconda che il contratto precedente avesse durata inferiore o superiore a 6 mesi.
L’intervallo non è applicabile alle attività stagionali e alle ulteriori ipotesi eventualmente individuate dai contratti collettivi anche aziendali.

Il datore di lavoro può ricorrere a un numero totale di contratti a tempo determinato (salvo diversa previsione dei contratti collettivi) non superiore al 20% del numero dei dipendenti assunti a tempo indeterminato in forza nell’azienda al 1° gennaio. Per i datori di lavoro che occupino fino a cinque dipendenti, è comunque sempre possibile un’assunzione a termine.

Il lavoratore in attività per più di 6 mesi presso la stessa azienda acquista un diritto di precedenza (solo se indicato per iscritto al datore di lavoro entro sei mesi dalla data di cessazione del rapporto stesso) nelle assunzioni a tempo indeterminato effettuate nei 12 mesi successivi alla cessazione del rapporto e riferite a mansioni equivalenti. Tale diritto si estingue entro un anno dall’avvenuta cessazione del rapporto di lavoro.

Il datore di lavoro deve informare per iscritto il lavoratore di tale diritto al momento dell’assunzione a termine, riportando l’informativa relativa al diritto di precedenza nel contratto di assunzione.

Il contratto a tempo determinato non può essere utilizzato per sostituire lavoratori in sciopero; presso unità produttive che sono ricorse a licenziamenti collettivi di lavoratori con le stesse mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro a termine, nei sei mesi precedenti (salvo conclusione del contratto avvenuta per provvedere alla sostituzione di lavoratori assenti o per l’assunzione di lavoratori iscritti nelle liste di mobilità o abbia una durata iniziale fino a tre mesi; presso unità produttive nelle quali sono operanti una sospensione del lavoro o una riduzione dell’orario in regime di Cig, che interessano lavoratori adibiti alle mansioni cui si riferisce il contratto a tempo determinato; da parte di aziende che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi.

La violazione dei suddetti divieti comporta la trasformazione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato.

Per approfondire l’argomento:

Jobs Act e piano Renzi, il punto di vista dell’INT

Il Jobs Act del presidente del Consiglio Renzi divide. Ci mancherebbe altro, siamo in Italia… E quando mai un provvedimento governativo ha unito qualcuno? Ma divide anche i lavoratori. Perché se i diretti beneficiari delle misure di Renzi saranno i lavoratori dipendenti, che tra un paio di mesi dovrebbero vedere gli effetti delle misure del governo in busta paga, come spesso accade il popolo degli autonomi e dei professionisti resta alla finestra.

Sono oltre 5 milioni e mezzo, come rileva l’Istat relativamente all’ultimo trimestre del 2013. Aggiungiamo circa 6 milioni di partite Iva che comprendono anche le imprese. E abbiamo le dimensioni del fenomeno.

Tra i professionisti c’è chi accoglie positivamente le indicazioni del Presidente del Consiglio in attesa di vederne la concretizzazione. È il caso dell’Istituto Nazionale Tributaristi (INT) il cui presidente, Riccardo Alemanno, ha dichiarato:“Certo ognuno avrebbe voluto di più per la propria categoria o per le proprie necessità, in un momento di crisi tutti vivono momenti difficili, qualcuno però sta affrontando anche difficoltà maggiori e credo che i soggetti individuati dal Presidente Renzi, come destinatari del maggior beneficio annunciato nei giorni scorsi ovvero i lavoratori dipendenti, siano proprio coloro che più di altri risentono della crisi economica. Bisogna uscire dalla logica della difesa del  proprio orticello, cosa che ha prodotto sempre negatività per la collettività, soprattutto il mondo professionale dovrebbe comprendere tale necessità anteponendo linteresse generale al proprio, ricordando che solo se lintera collettività potrà avere maggiori risorse da immettere sul  mercato con implementazione dei consumi, solo così anche le varie categorie produttive, professionisti compresi potranno uscire dall attuale situazione di  stagnazione economico-finanziaria”. “Purtroppo – prosegue Alemannoproprio in questi giorni giungono segnali che vanno in tuttaltra direzione, aumentare ad esempio i compensi dei servizi professionali resi reintroducendo tariffe minime credo che in questo  momento sia, pur se legittimato dalla norma, qualcosa di incomprensibile e che avrà un effetto positivo per pochi e negativo per la collettività. Da parte nostra, lo abbiamo già comunicato al Presidente Renzi, siamo  pronti a fare la nostra parte, senza chiedere riconoscimenti, senza mettere sul piatto contropartite, ma solo ed esclusivamente nell’interesse generale del Paese. Sicuramente proseguiremo la nostra battaglia sulla semplificazione e sulla riforma fiscale, continueremo a criticare ciò che merita di essere criticato perché non va nel verso dellequità e della giustizia sociale,  ma questa è una battaglia di tutti e per tutti  e non di parte”.

Il Jobs Act per punti

Il presidente del Consiglio Matteo Renzi ama molto i social network e adora esprimersi con termini e locuzioni inglesi. Una di quelle che più è risuonata prima e dopo la sua entrata a Palazzo Chigi è Jobs Act, ovvero un piano lavoro che prevede, tra l’altro un contratto unico, un assegno universale per chi perde il lavoro con l’obbligo di seguire un corso di formazione professionale e di non rifiutare nuove proposte di lavoro, tutele crescenti, rappresentanza sindacale nei cda. Ecco un decalogo per meglio conoscere il Jobs Act

Apprendistato
Sarà semplificato e avrà meno vincoli. Cade l’obbligo di confermare i precedenti apprendisti prima di assumerne di nuovi.

Retribuzione
La retribuzione dell’apprendista, relativamente alle ore di formazione, ammonterà al 35% della retribuzione del livello contrattuale di inquadramento finale.

Contratti a termine
Viene innalzata da 12 a 36 mesi la durata del primo rapporto di lavoro a tempo determinato e non viene richiesto il requisito della causalità (il motivo dell’assunzione); fissato al 20% il limite massimo per l’utilizzo.

Proroghe più semplici
Sarà possibile prorogare i contratti a termine più volte.

Cassa integrazione
Vengono mantenute la cig ordinaria e straordinaria, con l’introduzione del cosiddetto “meccanismo premiante”: si abbassa il contributo di tutti ma si usa maggiormente la cassa.

Tutele crescenti
Punto tutto da chiarire. Secondo il testo, è possibile l’introduzione “eventualmente in via sperimentale, di ulteriori tipologie contrattuali espressamente volte a favorire l’inserimento nel mondo del lavoro, con tutele crescenti”.

Garanzia universale
Il sussidio è inserito nel ddl delega, per la cui applicazione ci vorranno almeno sei mesi. Questo sussidio ssorbirà Aspi e mini Aspi e sarà “graduato in ragione del tempo in cui la persona ha lavorato”.

Garanzia giovani
Partirà dalll’1 maggio e riguarderà almeno 900mila persone, con risorse per 1,5 miliardi.

Meno forme contrattuali
Riordino e snellimento delle attuali 40 forme contrattuali.

Smaterializzazione del Durc
Un intervento su cui Renzi punta molto: nel 2013 i Durc presentati sono stati circa 5 milioni.

Norme per i contratti di lavoro con partita Iva

Il Ministero del Lavoro ha voluto chiarire, con una circolare, alcuni aspetti della Riforma del Lavoro riguardanti i contratti di assunzione e le categorie di professionisti esclusi dalla norma.

Esistono, infatti, alcune condizioni che determinano l’obbligo di trasformazione del contratto della partita IVA in collaborazione a progetto o in lavoro a tempo indeterminato, ribadendo l’inversione dell’onere della prova.

La prestazione lavorativa resa da un titolare di partita IVA è da considerarsi un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa qualora ricorrano due delle seguenti circostanze:

  • durata superiore a otto mesi nell’arco dell’anno solare: si tratta di 241 giorni lavorati, anche se non continuativi;
  • corrispettivo superiore all’80% di quanto complessivamente percepito dal collaboratore nell’anno solare: la disposizione serve a individuare e scoraggiare situazioni di mono-committenza;
  • postazione fissa di lavoro presso una sede del committente: la circolare precisa che sono comprese anche quelle ad uso non esclusivo.

Non scatta la trasformazione del contratto nei casi prestazione lavorativa:

  • connotata da competenze teoriche di grado elevato acquisite attraverso significativi percorsi formativi, ovvero da capacità tecnico-pratiche acquisite attraverso rilevanti esperienze maturate nell’esercizio concreto di attività: il “grado elevato” delle competenze e le rilevanti esperienze possono essere comprovate da titoli di studio, qualifiche o diplomi da apprendistato, qualifiche o specializzazioni attribuite da un datore di lavoro per almeno dieci anni;
  • svolta da soggetto titolare di un reddito annuo da lavoro autonomo non inferiore a 1,25 volte un minimale annuo che per il 2012 è pari a 14mila 930 euro.

Non si parla di subordinazione nemmeno nel caso di prestazioni lavorative svolte nell’esercizio di professioni regolamentate da un ordine, collegio, albo.

Coloro che sono in possesso di partita Iva, ma non dei requisiti richiesti, devono considerare la propria posizione come contratto a progetto, ma in questo caso occorre sempre basarsi sulla Riforma del Lavoro e le nuove norme che regolano i contratti di questo tipo.
Questo significa che se la “falsa” Partita IVA non rispetta nemmeno i requisiti del contratto a progetto, il contratto di lavoro diventa automaticamente a tempo indeterminato.

Ciò che è davvero cambiato è l’inversione dell’onere della prova, perché non è più il lavoratore a dover dimostrare che in realtà il rapporto di lavoro maschera un tempo indeterminato a un’altra forma contrattuale, ma è l’azienda che deve eventualmente dimostrare il contrario.

Vera MORETTI

Per il rinnovo dei contratti a termine serve un accordo tra le parti

La Riforma del Lavoro emanata da Elsa Fornero rischia di mettere a repentaglio 400mila posti di lavoro.

Questo è il numero dei contratti a termine in scadenza entro l’anno e che, invece di essere rinnovati, possono diventare cessazioni del rapporto, nel caso in cui la regola degli intervalli obbligatori fra contratti a termine venga applicata.
Ricordiamo che la Riforma Fornero prevede un lasso di tempo anche di 90 giorni tra un contratto e l’altro, e dunque ora c’è molta confusione al riguardo.

L’allungamento della pausa obbligatoria fra contratti a termine è stata introdotta dalla Riforma del Lavoro – comma 9, lettera g, dell’articolo 1: 90 giorni di pausa fra contratti a termine (dai precedenti 20 giorni), 60 giorni (da 10) in caso di contratti fino a sei mesi.

Intervalli ridotti (30 e 20 giorni) sono ammessi per contratti legati a: avvio di una nuova attività, lancio di prodotti e servizi innovativi, implementazione di un rilevante cambiamento tecnologico, fase supplementare di un significativo progetto di ricerca e sviluppo, rinnovo o proroga di una commessa consistente.
Inoltre, i termini ridotti a 30 o 20 giorni trovano applicazione anche “in ogni altro caso previsto dai contratti collettivi stipulati ad ogni livello dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale“, per citare la circolare ministeriale appena emanata.

Il ministero è quindi tenuto ad intervenire qualora non ci siano accordi collettivi, per precisare i diversi casi di esigenze organizzative che possono comportare la riduzione della pause.
Gli accordi collettivi possono anche prevedere di accorciare le pause, sempre a 30 o 20 giorni, senza che ci siano particolari esigenze organizzative, ma se questo non succederà non ci sarà alcun intervento specifico del ministero.

La circolare parla di contratti collettivi di qualsiasi livello, perciò questo non rende necessario attendere i rinnovi nazionali, ma sono sufficienti eventuali accordi territoriali o addirittura aziendali.
Sembra inoltre che, non essendoci scontri o incomprensioni con i sindacati, quello della riduzione delle pause fra contratti può essere una questione di facile soluzione, anche se servono accordi specifici tra le parti sociali.

Vera MORETTI

La Riforma della Fornero? Non ce la siamo bevuta: la parola al Consulente

 

La Riforma del Lavoro è stata varata la scorsa settimana e subito ha riscosso un mare di dissensi, per non dire perplessità, da parte di imprenditori, professionisti, inoccupati e di chi, in prima battuta, risentirà delle modifiche a contratti di lavoroordini professionali e sovvenzioni che (non) arriveranno per implementare le risorse interne delle imprese.

Da subito, i dirigenti in capo all’Associazione dei Consulenti del Lavoro ha parlato di una NON riforma che non risolverà affatto il problema della disoccupazione giovanile.

Infoiva ha chiesto il parere del dott. Rosario De Luca, Presidente della Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro

Perché siete così convinti che la riforma del lavoro non farà ripartire le assunzioni? Che cosa avreste proposto e che cosa manca?
In nostro grande timore che la riforma del lavoro, così come pensata ed approvata, non porterà nuova occupazione. Il rischio, invece, è che si verifichino perdite di occupazione e contenzioso a causa dell’aumento del costo del lavoro (contratto a termine e aspi), dell’eccessiva burocratizzazione (intermittente, part-time, convalida dimissioni), dei nuovi vincoli (apprendistato), delle nuove presunzioni (partite iva e associati in partecipazione), delle abrogazioni (contratto d’inserimento) e delle restrizioni (voucher).
L’irrigidimento complessivo nella gestione del rapporto di lavoro con la presunzione di subordinazione, unito all’introduzione della comunicazione obbligatoria della presenza per i lavoratori intermittenti con la previsione di una sanzione sproporzionata; le nuove procedure in materia di dimissioni e gli interventi in materia di flessibilità non faranno certamente bene ad un mercato del lavoro che ha bisogno di fluidità e non di freni e vincoli come quelli che le nuove norme stanno introducendo.

Ci sono dei lavori o delle soluzioni su cui puntare oggi giorno, occasioni o campi dalle maggiori possibilità occupazionali?
Anche se siamo in presenza di un mercato del lavoro in crisi, con una disoccupazione degli under 24 che supera il 30%, esistono profili di difficile reperibilità per le aziende. Ad esempio tecnici informatici o personale sanitario, dove assistiamo al reperimento delle risorse in paesi esteri. Ma anche lavori manuali come cuochi o conduttori di macchine da lavoro. Una buona formazione tecnica oggi mette al sicuro un lavoratore e non ha niente da invidiare a percorsi più incerti e dispendiosi.

Tanti, per ovviare alla mancanza di occupazione, stanno puntando sull’apertura della partita IVA a rischio super tassazione: secondo lei, tanti singoli fanno un mercato del lavoro o dovrebbe pensarci lo Stato?
Il mondo del lavoro ha tante sfaccettature. Ma dobbiamo superare lo storico luogo comune che lavoro significa solo lavoro dipendente. Bisogna anche saper rischiare nel fare impresa o intraprendere un lavoro autonomo. Lo Stato deve evitare di disegnare un sistema giuridico che penalizzi il lavoro autonomo in favore di quello dipendente. Non bisogna dimenticare mai che dal lavoro dipendente non nasce lavoro dipendente. L’occupazione la crea il lavoro autonomo; per questo auspichiamo che i Governi rendano attuali i tanti principi enunciati per favorire l’imprenditoria giovanile. Le professioni regolamentate sono di sicuro uno sbocco importante per le nuove generazioni; le iscrizioni agli albi professionali hanno avuto un incremento importante negli ultimi 10 anni e, da una recente ricerca, l’età media dei professionisti è di 45 anni.

Che cosa è stato fatto per i piani di mobilità sociale e come si equilibrano piani di mobilità con l’effettiva ondata di licenziamenti cui stiamo assistendo, non ultimo il discorso sulla spending review del Premier Monti?
Non c’è alcuna mobilità sociale senza ricambio generazionale. Purtroppo il Paese sta affrontando una crisi profonda sia dal punto di vista economico che dal punto di vista occupazionale. Ma ora siamo in attesa delle misure per lo sviluppo. Credo che per poter rilanciare un Paese non c’è bisogno solo di politiche di contenimento delle spese ma anche di riforme strutturali del sistema produttivo. Per quanto riguarda le misure per lo spending review presentate dal Professor Monti, ciò che grava molto non è il numero dei dipendenti della Pubblica Amministrazione, visto che non sono così poi tanto maggiori (in proporzione) rispetto agli altri paesi, bensì i relativi stipendi, soprattutto di alcuni alti funzionari. La spesa media per il personale e per i servizi del funzionamento dell’attività amministrativa italiana, nel quinquennio 2005/2009, è stata pari a 248 miliardi, ovvero il 16,4 % del Pil.

Secondo lei, le imprese saranno agevolate nell’assunzione di nuove risorse sfruttando il contratto di apprendistato o è solo un bel nome per aggirare l’ostacolo?
La riforma dell’apprendistato, cioè ridisegnare i percorsi di apprendistato, credo sia importante e imprescindibile in un momento in cui i nostri giovani, ce lo dicono tutte le statistiche, hanno difficoltà a inserirsi nel mondo del lavoro.
Siamo a percentuali preoccupanti dei tassi di disoccupazione giovanile ma va posto l’accento su un aspetto altrettanto preoccupante: il fatto che sta aumentando il numero dei giovani che non cerca lavoro, che è scoraggiato e quindi esce da quelli che sono i circuiti in cui invece potrebbe trovare un’occupazione.
L’apprendistato è l’unico contratto a finalità formativa, ma ha anche la funzione importante di accompagnare i giovani e farli transitare dal mondo dell’istruzione al mondo del lavoro.
Il problema resta a livello operativo considerato che la gestione da parte delle Regioni spesso è contraddistinta da procedure molto burocratizzate ed una legislazione non chiara e , a colte, contraddittoria. Situazioni che penalizzano l’espansione dell’apprendistato.

Qual è il vostro punto di vista sulla Riforma degli ordini professionali e lo stato dei liberi professionisti? Si preannuncia meno burocrazia ma i soggetti, come la categoria dei giornalisti pubblicisti, si è sentita defraudata dei suoi diritti?
Di riforma delle professioni si parla ormai da decenni. Il comparto professionale continua, però, a dimostrarsi tra i più dinamici garantendo al Paese il 15% del PIL. Gli Ordini professionali non si sono mai dichiarati contrari all’ammodernamento delle regole, anche per adeguare le leggi ordinamentali al nuovo contesto europeo. Ma quello che abbiamo sempre chiesto è quello di avere un dialogo continuo con le Istituzioni per arrivare ad una riforma condivisa e strutturale. Purtroppo, non si vuole avere la consapevolezza che il sistema ordinistico italiano è una risorsa del Paese e che negli altri stati europei esistono gli ordini caratterizzati esattamente come in Italia. A volte in questa materia si parla più per frasi fatte che per effettiva conoscenza del settore.

Ma secondo voi, questa riforma, si farà per davvero?
Gli Ordini professionali hanno già fatto la loro parte e sono sempre disponibili al confronto.

 

Paola PERFETTI

I punti critici della riforma del lavoro

di Vera MORETTI

Sarà una settimana intensa per il Governo, ma soprattutto delicata, poiché a tenere banco sarà la tanto criticata riforma del lavoro.

A questo proposito, i Consulenti del Lavoro hanno formulato le proposte di modifica ritenute necessarie per rendere quanto più efficace e produttivo il disegno di legge che mira a modificare sostanzialmente le regole poste a base del mondo del lavoro.

Marina Calderone, presidente del Consiglio Nazionale, durante un’audizione alla Commissione del Lavoro di qualche giorno fa, ha elencato gli elementi critici di tale riforma, che perciò dovrebbero essere cambiati.

Inutile dire che l’argomento delle partite Iva è quello più spinoso e per questo la richiesta è che vengano scoperti gli illeciti, ma senza penalizzare gli altri, che rappresentano la maggioranza.
Insomma, via alle partite Iva false, ma solo se sono veramente tali.
A fare la differenza sono anche le categorie di lavoratori, poiché esistono alcuni settori per i quali lavorare con partita Iva è usuale e necessario, e anche l’obbligo di passare a contratto a tempo determinato dopo sei mesi sarebbe tutt’altro che vantaggioso.

Anche la penalizzazione dei contratti a termine potrebbe portare ad un aumento considerevole dei disoccupati. La penalizzazione per chi utilizza questi contratti è talmente forte che farebbe desistere la maggioranza degli imprenditori, con una conseguenza catastrofica in termini di occupazione.
Non è detto, infatti, che i contratti a termine sarebbero destinati a diventare tutti contratti a tempo indeterminato. Occorre, dunque, maggiore flessibilità e meno rigidità. Insomma, fare di tutta l’erba un fascio non porterebbe a nulla di buono.

Per quanto riguarda il lavoro a chiamata, la proposta al Senato è considerata incoerente per due motivazioni: perché contraddice la centralità delle comunicazioni che riguardano il rapporto di lavoro e perché introduce una misura sanzionatoria del tutto sproporzionata per l’omessa comunicazione.
A questo proposito, vengono richiesti interventi di modifica che mirino ad ampliare la platea dei soggetti del lavoro a chiamata, nonché a semplificare le procedure di notifica della chiamata, con eliminazione degli adempimenti inutili.

Risulta inoltre discutibile la scelta di escludere dalle prestazioni di lavoro accessorio gli imprenditori commerciali e i professionisti. L’inclusione di queste categorie tra i soggetti autorizzati darebbe invece un grande impulso al lavoro accessorio con conseguente spinta occupazionale.

Criticate, infine, le modifiche riguardanti l’apprendistato e l’assunzione di apprendisti nelle aziende: le nuove disposizioni introdurrebbero un ingiustificato limite di accesso al contratto di apprendistato che si pone in contraddizione con la finalità della riforma che lo individua come il principale contratto di ingresso nel modo del lavoro.
Il limite numerico ancora più rigido, infatti, penalizzerebbe ulteriormente l’ingresso nel mondo del lavoro da parte dei giovani.

Presentata la riforma del lavoro

di Vera MORETTI

E’ stata presentata ieri dal Governo la riforma sul lavoro, tanto discussa e tanto attesa dagli italiani.

Tra le tante proposte, spicca la stretta sulla flessibilità in entrata, mentre quella in uscita è stata definita “buona” dal ministro Elsa Fornero. Alle parti sociali è stata presentata nella sua quasi interezza, con la possibilità di aggiustamenti fino a giovedì, anche se, ormai, il solo interlocutore per l’attuazione della riforma è il Parlamento, segno che i giochi sono ormai quasi chiusi.

Vediamo nel dettaglio i punti oggetto di riforma:

  • Il contratto a tempo indeterminato dovrà essere predominante e rafforzato dall’apprendistato per garantire l’ingresso nel mondo del lavoro.
  • Di conseguenza, saranno fortemente penalizzati i contratti a termine, con l’eccezione di quelli stagionali o sostitutivi, poiché chi li proporrà avrà un contributo aggiuntivo dell’1,4% da versare per il finanziamento del nuovo sussidio di disoccupazione (oltre all’1,3% attuale). Per i contratti a termine non saranno possibili proroghe oltre i 36 mesi.
  • Non sarà possibile l’associazione in partecipazione se non si è familiari, per limitare il fenomeno del lavoro sostanzialmente subordinato mascherato da lavoro autonomo.
  • Gli stage gratuiti non saranno più ammessi, perciò chi, dopo laurea o master, approderà in un’azienda, se lo farà attraverso uno stage, dovrà essere retribuito.

 

  • Introduzione della norma contro le dimissioni in bianco, strumento spesso usato in passato a discapito delle lavoratrici.
  • Il sussidio di disoccupazione andrà subito a regime, mentre la mobilità, che oggi vale per i licenziamenti collettivi e può durare fino a 48 mesi per gli over 50 del Sud, sarà eliminata definitivamente solo nel 2017. Per il nuovo sistema sono previste risorse aggiuntive per 1,7-1,8 miliardi.
  • L’ASPI, ovvero l’assicurazione sociale per l’impiego, sarà universale e sostituirà l’attuale indennità di disoccupazione. Durera’ 12 mesi (18 per gli over 55) e dovrebbe valere il 75% della retribuzione lorda fino a 1.150 euro, e il 25% per la quota superiore a questa cifra, con un tetto di 1.119 euro lordi per il sussidio, per ridursi dopo i primi sei mesi. Sarà quindi più alta dell’indennità attuale che al suo massimo raggiunge il 60% della retribuzione lorda (e dura 8 mesi, 12 per gli over 50).
  • La cassa integrazione si mantiene per la cassa ordinaria e la straordinaria con i contributi attuali, ma viene esclusa la causale di chiusura dell’attività, che rimane valida se è previsto il rientro in azienda.
  • Il fondo di solidarietà per lavoratori anziani sarà pagato dalle aziende e dovrebbe fornire un sussidio ai lavoratori anziani che dovessero perdere il lavoro a pochi anni dalla pensione. Si tratta di una soluzione richiesta dai sindacati per sostituire la mobilità, che sarà eliminata.
  • Per quanto riguarda l’articolo 18, il Governo ha annunciato la diversificazione delle tutele sui licenziamenti con il reintegro nel posto di lavoro nel caso di licenziamenti discriminatori e il solo indennizzo (fino a 27 mensilità di retribuzione) nei licenziamenti per motivi economici (giustificato motivo oggettivo) considerati dal giudice illegittimi. Per quanto riguarda, invece, i licenziamenti disciplinari che saranno considerati ingiusti dal giudice, prevederanno la possibilità di scegliere, da parte del magistrato, tra il reintegro e l’indennizzo economico con il pagamento al lavoratore ingiustamente licenziato tra le 15 e le 27 mensilità.