L’esenzione Imu per gli enti non commerciali

Il pagamento dell’Imu relativamente ad enti non commerciali era stato discusso varie volte, ma sempre lasciando qualche dubbio circa i margini di applicazione.

Se, stando alle pronunce della Corte di Cassazione e della Corte Costituzionale, l’esenzione per gli enti non commerciali si applica a condizione che l’immobile sia posseduto e utilizzato per attività meritevoli direttamente dallo stesso ente non commerciale, il Mef ha stravolto questo orientamento concludendo che l’esenzione Imu si applica nel caso di immobili concessi in comodato a titolo gratuito ad altri enti dello stesso tipo.

Secondo il Mef, infatti, l’elemento decisivo per l’applicazione o meno dell’Imu è la presenza di un reddito determinato dall’immobile, che nel caso del comodato a titolo gratuito non sussiste.
Ciò che conta, per il Ministero, è la gratuità della concessione, e quindi la non formazione di reddito in capo all’ente.

Questo è un caso, inoltre, che non ha nulla a che vedere neppure con gli immobili dati in locazione: se, infatti, quest’ultima prevede la determinazione di un reddito ed esclude l’applicabilità dell’esenzione, nel caso del comodato gratuito non si genera alcun reddito in capo all’ente, e pertanto l’esenzione si applica.

Ovviamente l’ente utilizzatore non deve pagare l’Imu perché non è soggetto passivo, ma deve fornire all’ente non commerciale che gli ha concesso l’immobile, tutti gli elementi necessari per consentirgli l’esatto adempimento degli obblighi tributari sia di carattere formale che sostanziale.

L’esenzione rappresenta il giusto riconoscimento del valore sociale apportato dagli enti no profit attivi in settori particolarmente delicati della vita dei cittadini.
È proprio il carattere non lucrativo l’elemento che giustifica l’esenzione, e che tra l’altro, esprimendosi in termini di umanizzazione, costituisce un ritorno nelle tasche dei cittadini.

E’ pertanto la natura del contratto di comodato e la sua non onerosità a consentire al ministero di giustificare l’esenzione Imu. Restano ovviamente soggetti a tassazione gli immobili locati in quanto l’affitto rappresenta un reddito e una fonte di ricchezza che è oggettivamente incompatibile con gli obiettivi che le norme sull’esenzione dall’Imu tutelano.

Vera MORETTI

Incontro tra CNF e Corte Costituzionale

Il presidente del Consiglio Nazionale Forense, Guido Alpa, ha incontrato il presidente della Corte Costituzionale, Franco Gallo, per un colloquio sull’azione comune in difesa del corretto andamento dei processi nei gradi superiori, l’apporto dell’Avvocatura nell’abbattimento dei tempi nei giudizi di legittimità costituzionale, e la necessità di una collaborazione sempre più assidua con la Corte per sollecitare il futuro Governo ad introdurre riforme organiche sulla Giustizia.

Alpa ha così commentato l’incontro: “E’ stato un incontro di piena condivisione sui temi più urgenti che affliggono il sistema giustizia in Italia” ha commentato al termine dell’incontro il presidente Alpa “ che confermano l’impegno, la disponibilità comune e il dialogo reciproco per una giustizia più efficiente nell’interesse esclusivo dei cittadini”.

Vera MORETTI

Anche la Corte Costituzionale contro la mediazione obbligatoria

Il Consiglio Nazionale Forense si è sempre dichiarato contrario alla mediazione obbligatoria e ora anche una sentenza della Corte Costituzionale ha dato ragione a questa tesi: tale sentenza, infatti, ha confermato la illegittimità costituzionale del decreto delegato 28/2012 nella parte in cui ha reso la mediazione obbligatoria in un ampio ventaglio di materie.

La Consulta ha chiarito che l’Unione europea non ha imposto tale scelta, anzi: la legislazione comunitaria è “neutra” e non impone alcuna soluzione.
La Corte ha tenuto conto sia della direttiva 2008/52, che delle Risoluzioni del Parlamento Ue che della giurisprudenza della Corte di Giustizia della Comunità europea.

Inoltre, questa decisione non è ascrivibile alla discrezionalità che entro certi limiti spetta al legislatore delegato. Il carattere obbligatorio, date la sue conseguenze, avrebbe dovuto trovare ancoraggio necessario nella legge delega, che sul punto invece è stata silente.

L’Avvocatura, comunque, si è dimostrata favorevole a soluzioni alternative delle controversie che possano facilitare l’accesso alla giustizia dei cittadini e non lo rendano ancora più difficile e oneroso.

Vera MORETTI

Quer pasticciaccio brutto de la mediazione

di Davide PASSONI

Avevamo introdotto il tema della settimana di Infoiva – quello sulla bocciatura per eccesso di delega da parte della Consulta dell’obbligatorietà della mediazione – parlando di pasticcio all’italiana. Siamo arrivati in fondo alla settimana, dopo aver ascoltato svariati protagonisti della vicenda, e la nostra opinione non è sostanzialmente cambiata: è un pasticcio all’italiana.

Passando attraverso Anpar, Cnf, Oua, Int e Amci, abbiamo capito che tutte le dietrologie su possibili regie occulte, lobby, manovre per segare un istituto visto come possibile concorrente all’esercizio dell’avvocatura sono delle sòle. Nessuno, almeno a parole, sminuisce il ruolo della mediazione e, in generale, dei cosiddetti strumenti di Adr (Alternative Dispute Resolution); tutti, pur con sfumature diverse, concordano sul fatto che gli avvocati non sono nemici ma sodali della mediazione; ognuno punta il dito sulla superficialità con la quale è stata confezionata la legge delega che ha introdotto l’obbligatorietà della mediazione.

E allora? Allora – pur ricordando che finora ci si basa su un comunicato della Corte Costituzionale e che ancora non è noto il dispositivo della sentenza – viene da credere che la frittata sia solo e unicamente opera del precedente governo. Una frittata fatta con quali uova? Fretta? Superficialità – “Persino uno studente di giurisprudenza al primo o al secondo anno“, dicono dal Cnf, avrebbe visto il problema dell’eccesso di delega -? Insipienza? Fate voi. Resta il fatto che, ancora una volta, a causa di chi ci governa e del suo atavico vizio di rimangiarsi propositi e promesse, tanti professionisti vedono ora con estrema incertezza il loro futuro professionale e uno strumento per gestire in maniera più snella lo scandaloso arretrato civile italiano si vede tarpate le ali. Merci.

Leggi l’intervista a Giovanni Pecoraro, presidente dell’Associazione Nazionale per l’Arbitrato & la Conciliazione

Leggi l’intervista a Maurizio De Tilla, presidente dell’Organismo Unitario dell’Avvocatura

Leggi l’intervista ad Andrea Mascherin, consigliere segretario del Cnf

Leggi l’intervista a Edoardo Boccalini, coordinatore nazionale del comitato scientifico per la mediazione civile e commerciale dell’Int

Leggi l’intervista a Damiano Marinelli, presidente dell’Associazione Mediatori e Conciliatori Italiani

“Dai governi poca attenzione verso la Costituzione”

di Davide PASSONI

Continua il viaggio di Infoiva per conoscere i diversi punti di vista sulla sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato illegittima la normativa sull’obbligatorietà del ricorso alla media-conciliazione nelle controversie tra privati. Dopo la voce dell’Anpar e  del suo segretario, Giovanni Pecoraro, e dopo aver ascoltato il presidente dell’Organismo Unitario dell’Avvocatura, Maurizio De Tilla, oggi spazio al Consiglio Nazionale Forense con Andrea Mascherin, consigliere segretario del Cnf e avvocato in Udine.

Come valuta il Cnf il pronunciamento della Consulta che ha dichiarato illegittima la normativa sull’obbligatorietà del ricorso alla media-conciliazione nelle controversie tra privati?
La Consulta si è pronunciata per eccesso di delega semplicemente perché la legge delega non prevedeva la possibilità di istituire l’obbligatorietà della mediazione. Una pronuncia in tal senso era assolutamente inevitabile. Da subito il Cnf e l’avvocatura tutta segnalarono all’allora ministro della Giustizia Alfano e al ministero il problema dell’eccesso di delega, una segnalazione che arrivò anche dalle commissioni giustizia di Camera e Senato. Persino uno studente di giurisprudenza al primo o al secondo anno l’avrebbe notato. Invece fu sottovalutata, forse per una errata valutazione dei principi che ispirano la Costituzione della Repubblica Italiana. Nell’occasione ci si è discostati dalla volontà della Costituzione che vuole leggi delega che diano poteri ben precisi al Governo.

Una svista marchiana, quindi… Perché?
Penso si tratti di un problema culturale. Purtroppo gli ultimi governi, di qualsiasi colore, compreso quello tecnico attuale, sempre più trascurano i principi della Costituzione in nome dei dettami delle banche centrali e dei principi dell’economia. Anche nel caso della mediazione è accaduto, poiché si è pensato che potesse essere uno strumento per ridurre gli arretrati civili, in ossequio a direttive europee che andavano in tal senso: peccato che, però, non sia stata seguita una corretta procedura costituzionale.

Ci sono altri casi in cui si rischiano pronunciamenti analoghi?
La stessa cosa accade ora con i provvedimenti governativi in materia di geografia giudiziaria e liberalizzazione delle professioni: con fretta e superficialità si agisce sacrificando la Costituzione in nome di dettami economici e inevitabilmente si arriverà a vizi costituzionali simili. Anzi, le dico già che nei casi appena citati è presente l’eccesso di delega.

Torno a chiedere: perché?
Si fa ricorso troppo spesso ai decreti legge, non più a leggi complesse elaborate dal Parlamento, e in questi decreti si trattano temi delicatissimi come l’accesso alla giustizia o riforma delle professioni.

Soluzioni?
Serve recuperare una cultura parlamentare e della separazione dei poteri: chi deve legiferare è il Parlamento, la magistratura deve fare la magistratura. Se guardo alle leggi degli ultimi anni, devo tornare molto indietro nel tempo per trovare una legge complessa e strutturata elaborata dal Parlamento. Per esempio, quella della riforma della professione di avvocato, attualmente in discussione, è una legge di 65 articoli fatta solo dal Parlamento, ma è una specie di mosca bianca.

Come sono gli umori della vostra “base” relativamente a questa vicenda?
L’avvocatura non è contraria alla mediazione in sé. C’è un detto tra gli avvocati virtuosi: la miglior causa che ho fatto è quella che non ho mai fatto. Ossia, sono riuscito a conciliare la vertenza prima di andare in giudizio. Questo tentativo gli avvocati virtuosi lo hanno sempre fatto: mediazione, conciliazione, transazione fanno parte del dna dell’avvocato e sono valori condivisi dall’avvocatura. Detto questo, così come era stata costruita la mediazione aveva dei punti deboli tra cui proprio l’obbligatorietà.

Perché?
Perché non prevede la tutela dei diritti in gioco ma l’incontro degli interessi. Il mediatore non è un giurista, è più una persona che mette d’accordo le parti ma senza necessariamente conoscere il diritto e non può quindi offrire una tutela dei diritti degli interessati. Non a caso, il 95% delle persone che va in mediazione ci va con un avvocato, anche se la mediazione non ne contempla l’assistenza obbligatoria.

Scarsa fiducia nei confronti dei mediatori?
Le faccio un esempio. Se una vittima di incidente stradale avrebbe diritto per i danni subiti, poniamo, a 50mila euro di risarcimento ma in fase di mediazione transa per 1000, i suoi diritti sono calpestati, ma tecnicamente si tratta di una mediazione riuscita. Ecco, un avvocato sarebbe in grado di dire a quella persona che i 1000 euro che per lui sono un grande risultato, in realtà non ne tutelano i diritti. Ecco, quando la mediazione viene scelta dalle parti, deve essere loro chiaro che non tutela i diritti.

Secondo i fautori della mediazione, questa sarebbe uno strumento per snellire la gestione delle centinaia di migliaia di cause pendenti: ora che potrebbe scomparire, quali altre vie suggerisce il Cnf per favorire questo snellimento?
Per esempio delle camere arbitrali istituite presso gli ordini forensi. Si tratta di una proposta che il Cnf sta portando avanti, per garantire tecnicità, tempi più brevi e rispetto e tutela dei diritti. Misure alternative al processo sono condivise non solo dal Cnf ma dall’avvocatura in genere, purché il cittadino sia sempre nelle condizioni di avere il diritto costituzionale di accedere alla giustizia. Vede, la mediazione costa molto, non è gratuita; nel diritto del lavoro c’era la conciliazione obbligatoria e gratuita, ma è stata eliminata. Perché costava troppo e non aveva quella funzione deflattiva del numero di cause e di rispetto dei diritti che avrebbe dovuto avere.

Da più parti si tende a indicare la magistratura come una sorta di “ispiratrice occulta” del pronunciamento della Corte Costituzionale. Che cosa risponde?
Posso dire con certezza che la Consulta si è sempre dimostrata autonoma e indipendente, senza considerare i desiderata di avvocature o governi pro tempore.

Media conciliazione, il parere dell’OUA

 

Si dicono soddisfatti per il successo ottenuto con la dichiarata incostituzionalità, da parte della Corte Costituzionale, della normativa sull’obbligatorietà del ricorso alla media-conciliazione. Sono gli avvocati dell’OUA, Organismo Unitario dell’Avvocatura, che per primi hanno votato contro il provvedimento contenuto nel Decreto di Stabilità.

Infoiva ha intervistato il suo Presidente, l’avvocato Maurizio de Tilla, per far luce sui limiti e le idiosincrasie interne di un provvedimento che ha lasciato moltissime perplessità tra professionisti e addetti ai lavori, anche se, come sottolinea de Tilla, “è necessario più che mai implementare forme stragiudiziali di risoluzione delle controversie”.

Avv. de Tilla, lei come valuta il pronunciamento della Consulta che ha dichiarato illegittima la normativa sull’obbligatorietà del ricorso alla media-conciliazione nelle controversie tra privati?
Siamo stati noi a fare ricorso al Tar, il Tar è ricorso alla Corte Costituzionale, la quale ha dichiarato incostituzionale l’obbligatorietà del ricorso alla media-conciliazione, e quindi per noi si tratta di un successo e una vittoria nei confronti di un provvedimento che non aveva avuto successo. A mio avviso non è questa la strada per procedere nell’implementazione della conciliazione, non bisogna perseguire la strada dell’obbligatorietà, ma va percorsa al contrario la strada della formazione, anche a livello universitario, di inserimento all’interno della formazione dei giovani di una cultura conciliativa.

Ma cos’era sbagliato nel procedimento della media-conciliazione?
Era sbagliato per i costi eccessivi, era sbagliato per la dipendenza di alcune camere di conciliazione, e ancora perché non si è dato il tempo di attrezzare e formare dei mediatori competenti e capaci. E ancora era sbagliato perché erano state inserite materie che difficilmente era possibile portare in Camera di conciliazione, come la successione, la divisione, la responsabilità medica, diffamazione, si tratta di materie fortemente contenziose che richiedono un’altissima professionalità da parte del mediatore; e infine va sottolineato che in Italia ci sono 40 mila mediatori, 1000 camere di conciliazione e gente improvvisata che dopo un corso di poche ore si dichiara competente in una materia dove ci vogliono 10 o 15 anni di approfondimento e studio. L’impostazione era completamente sbagliata e coercitiva, e non solo: la media conciliazione rischia di incidere negativamente sulla successiva causa.

Ma è vero che gli avvocati ci guadagnano da questo stop?
Gli avvocati non ci guadagnano e non ci perdono, perché gli avvocati nella media conciliazione hanno assistito gratuitamente i cittadini quelle poche volte che i cittadini sono andati in media conciliazione. L’avvocato guadagna se si decide un processo immediato e se accredita la sua posizione, ma se il processo dura 10 anni, l’avvocato non ci guadagna. Il processo dev’essere celere, il Giudice deve cercare di conciliare le parti per arrivare al più presto ad una soluzione: ma la procedura della media-conciliazione così fatta e così impostata a nostro avviso si è rivelata solamente una speculazione da parte di coloro che hanno pensato di intraprendere una professione alternativa.

A tal proposito, la media-conciliazione ha dato vita a nuove figure professionali, i mediatori, che ora, pur avendo investito tempo e denaro in questa direzione, si trovano senza lavoro. Quale sarà il loro destino?
Il mediatore è un professionista di alta caratura professionale, è un professionista che deve avere una forte esperienza e conoscenza della materia che andrà a trattare. Non è un lavoro precario, un lavoro che si improvvisa, e quindi tutti coloro che hanno pensato di trovare un lavoro attraverso questa forma, portando i cittadini davanti alle Camere di Conciliazione hanno sbagliato, sono stati mal consigliati, hanno sbagliato a spendere migliaia di euro investendo in corsi di formazione. E’ un po’ come se uno dicesse: anziché la laurea in Giurisprudenza di 5 anni, mi faccio 3 mesi di corso di formazione online. Il mediatore deve possedere un bagaglio precedente culturale e formativo di grande specializzazione: solo allora si potranno costituire delle vere Camere di Conciliazione.

Secondo i fautori della media conciliazione, questa sarebbe uno strumento per snellire la gestione delle centinaia di migliaia di cause pendenti: ora che potrebbe scomparire, quali altre vie suggerirebbe per favorire questo snellimento?
Di vie di soluzione ne abbiamo tante: una di queste potrebbe essere prevedere una conciliazione partecipata dagli avvocati, che possono autenticare il verbale. O ancora un’altra soluzione potrebbe essere quella di implementare la conciliazione telematica per quante riguarda le controversie di valore più esiguo, un procedimento più agevole per i cittadini e il cui costo è molto ridotto se non pari a zero. E poi fare i processi, spendere qualcosa per la Giustizia e soprattutto limitare il contenzioso : noi abbiamo messo a disposizione una task force 10 mila avvocati che potrebbero portare a compimento più di 2 milioni di processi arretrati. Ma la strada è ancora lunga.

 

Alessia CASIRAGHI

Stop alla mediazione, parola all’Anpar

di Davide PASSONI

La Corte Costituzionale ha dichiarato illegittima la normativa sull’obbligatorietà del ricorso alla media-conciliazione nelle controversie tra privati prima di andare in giudizio e subito tra i mediatori è scoppiata la rivolta. Oggi magistrati, imprenditori, avvocati, commercialisti, sindaci, notai, Associazioni di volontariato sono in presidio davanti a Montecitorio per chiedere di “salvare la mediazione”. Noi sull’argomento abbiamo sentito il dott. Giovanni Pecoraro, presidente di Anpar, l’Associazione Nazionale per l’Arbitrato & la Conciliazione. 

Come valuta Anpar il pronunciamento della Consulta che ha dichiarato illegittima la normativa sull’obbligatorietà del ricorso alla media-conciliazione nelle controversie tra privati?
Non è possibile dare una valutazione su uno scarno comunicato stampa da parte della Consulta. È  necessario leggere le motivazioni “sull’eccesso” di delega rilevato. Per quanto mi riguarda il legislatore delegato non ha ecceduto dai limiti della delega. Non ha fatto altro che dare ad essa “coerente attuazione” attenendosi non solo alla delega ricevuta ma anche alle Direttive dell’Unione in materia di mediazione. Non sempre risulta  agevole dividere il profilo del mancato rispetto dei principi e criteri direttivi fissati dal Parlamento da quello della violazione di altri principi costituzionali o di norme internazionali o comunitarie. Secondo me il D. Lsg 28/2010 salvo qualche “limatura” rispetta la quasi totalità della delega ricevuta. È con il decreto di attuazione n. 180/2010 che il legislatore delegato, secondo me “ha ecceduto” nella delega ricevuta. Infatti, con l’entrata in vigore del citato decreto si è assistito a un proliferare di organismi di formazione e mediazione, che grazie al silenzio assenso di trenta giorni si sono visti riconoscere il diritto a formare mediatori, ai quali è stata data poi, nella maggior parte dei casi, la possibilità, per le materie di cui all’art. 5 comma 1, di redigere una “proposta” anche in mancanza di adesione della controparte. Ecco perché è necessario leggere le motivazioni della Consulta. Ricordo che la Corte Costituzionale è stata anche chiamata a determinarsi su quelle “garanzie di serietà ed efficienza” degli organismi di mediazione e di formazione previste dall’art 16 del D.M. 180/2010.

Che voci vi arrivano dai vostri associati?
La maggior parte dei circa tremila mediatori da noi formati sia in materia di mediazione che di altri sistemi di A.D.R. (Alternative Dispute Resolution), a parte la condivisione di quanto detto al punto precedente e della dissociazione da ogni forma di protesta di piazza, sta raccogliendo le firme di cittadini per la presentazione di una petizione agli organi competenti e all’U.E per far capire che NON ESISTE in Italia una previsione di mediazione obbligatoria “onerosa”. Chi afferma questo dice il falso per ingannare il cittadino. Al limite esistono organismi societari di mediazione che non applicano bene la normativa. Ma questa è altra cosa.

Pensa anche lei, come qualcuno sostiene, che si tratti di una decisione “pilotata”?
Ma quale decisione pilotata! Ci sono ancora ”allocchi” che credono a queste cose. La Corte Costituzionale è una istituzione seria. C’era da preoccuparsi se fosse stata dichiarata la illegittimità costituzionale del decreto legislativo 28/2010 per violazione della legge delega. Noi che siamo un’associazione senza scopo di lucro e unica che ha la possibilità di sottoporre alla Commissione Europea delle proposte di piattaforme comuni alle sole “Autorità competenti”, ai sensi dell’art. 15, 1 co., Dir. 2005/36/CE e del D. Lsg 6 novembre 2007 n. 206 ci determineremo unitamente al ministro di Giustizia solo dopo aver letto le motivazione della Consulta e se ne ricorrono i presupposti provvederemo nei modi e termini.

In questo modo, migliaia di imprenditori rischiano di non avere più un’attività nella quale hanno investito tempo, soldi, risorse. Ce n’era bisogno in un momento già difficile per l’economia?
È improprio parlare di imprenditori. L’organismo di mediazione è l’ente pubblico o privato presso il quale può svolgersi il procedimento di mediazione “gestendolo” nelle materie di cui all’articolo 2 del D. Lsg 28/2010. Caso mai sono i giovani neolaureati mediatori a dolersi di questa “sospensione”, che sortisce effetti solo dopo la data di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della sentenza della Corte Costituzionale. Fino a quella data “l’obbligatorietà” resta. Tutto il resto sono chiacchiere e responsabilità che fanno capo ad altri. “Momento difficile per l’economia?” Certo l’arretramento irresponsabile della mediazione, anche se momentaneo, comporta inevitabilmente un aumento del carico giudiziale e dunque una mancata deflazione degli stessi e di conseguenza il pagamento di sanzioni richiesto dall’U.E. Chi pagherà tutto questo? I cittadini!

Domanda secca: e adesso?
Per quanto ci riguarda per noi nulla è cambiato, nessun dramma, nessuna riduzione di posti di lavoro, solo un po’ di rammarico per i 130 mediatori (per la maggior parte donne) impegnati a settembre (dato statistico) che vedranno forse ridotte le proprie entrate, ma non più di tanto, secondo le previsioni. È dal 1995 che divulghiamo fra i cittadini la bontà dei sistemi extragiudiziali. Molti erano già mediatori ed arbitri prima ancora dell’entrata in vigore del D. lsg 28/2010. Adesso? Chi ha lavorato bene non ha nulla da temere. Il problema deve porselo chi pensava di arricchirsi alle spalle dei mediatori.

Mediazione obbligatoria, un pasticcio all’italiana

di Davide PASSONI

Alla fine di ottobre è scoppiata figuratamente una bomba nel mondo dei mediatori civili. Il 24 del mese scorso, la Corte Costituzionale con una sentenza ha dichiarato illegittima la normativa sull’obbligatorietà del ricorso alla media-conciliazione nelle controversie tra privati prima di andare in giudizio. Una bocciatura che, secondo la Consulta, era un atto dovuto, dal momento che la norma è stata viziata da un “eccesso di delega legislativa“. In pratica, il Decreto legislativo 28/2010 (o, secondo alcuni, il decreto di attuazione n. 180/2010) con il quale il precedente Guardasigilli Angelino Alfano aveva istituito questa obbligatorietà eccedeva nella delega ricevuta. In sostanza, la mediazione civile rimane, decade il suo obbligo.

Al di là dei tecnicismi, la sentenza ha fatto saltare sulla sedia le decine di migliaia di persone che, all’entrata in vigore del decreto, avevano visto questa strada come una nuova opportunità professionale o imprenditoriale e ora rischiano di aver buttato al vento un posto di lavoro, mesi investiti nella formazione e migliaia di euro investite nella creazione di società specializzate nella mediazione. Una cosa è contare su un business certo, data l’obbligatorietà della mediazione, una cosa è sperare che qualcuno si rivolga a te per i tuoi servizi, dato che volendo ne potrebbe fare a meno.

E pensare che anche l’attuale ministro della Giustizia Paola Severino portava questa norma come esempio di misura efficace per sfoltire le cause civili. Salvo poi, al pronunciamento della Consulta, commentare: “Gli istituti funzionano nel tempo con la pratica, e questo stava iniziando a funzionare. Rimane comunque la mediazione facoltativa, vuol dire che lavoreremo sugli incentivi“.

Naturalmente felici di questo esito gli avvocati, i quali, per usare le parole del Consiglio Nazionale Forense, ritengono che questo istituto renda “oltremodo difficoltoso l’accesso alla giustizia da parte dei cittadini; ma era una previsione anomala con riguardo alla natura propria di un istituto che risulta tanto più efficace quanto basato sulla reale volontà delle parti“. Un po’ meno gli imprenditori, per i quali i tempi lunghi della giustizia civile italiana significano principalmente perdita di denaro. Tant’è vero che, in barba alle polemiche e ai cavilli, a pochi giorni dal pronunciamento della Corte, Unioncamere, Infocamere e Rete Imprese Italia hanno firmato un accordo per promuovere la mediazione civile anche online tra le Pmi. Giorgio Guerrini, presidente di Rete Imprese Italia: “La diffusione della cultura del cosiddetto ‘diritto mite’, ovvero della propensione a rivolgersi a strumenti alternativi di giustizia, permette di superare uno dei tanti problemi delle imprese italiane, i ritardi della giustizia civile, che costano agli imprenditori oltre 2 miliardi di euro l’anno“. Soldi, mica chiacchiere e tecnicismi.

In qualunque modo la vediate voi, noi pensiamo che si tratti di un altro pasticcio all’italiana. Un altro degli esempi nei quali una parte dello Stato – in questo caso il precedente governo -, in malafede (e allora sarebbe stato da criminali), o per superficialità (e allora sarebbe stato da cacciarli tutti prima) ha raccontato balle a chi ha messo nelle sue mani il proprio destino personale e professionale credendo a una norma, salvo poi vedersi rimangiata la parola da un’altra parte dello Stato stesso. Non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra. Noi invece sappiamo ciò che fa chi si trova senza prospettiva professionale certa, dopo averne avuta una: rischia di fallire.

No del Cnf all’obbligo di mediazione

La Corte Costituzionale ha dichiarato la illegittimità costituzionale, per eccesso di delega legislativa, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n.28 nella parte in cui ha previsto il carattere obbligatorio della mediazione.
Il Consiglio nazionale forense ha, a questo proposito, espresso la sua soddisfazione in merito, poiché era partito proprio da Cnf un ricorso depositato alla Corte.

Il motivo principale è da ricercarsi nel fatto che la previsione del passaggio obbligatorio dalla mediazione come condizione, per di più onerosa, per adire il giudice non solo rendeva oltremodo difficoltoso l’accesso alla giustizia da parte dei cittadini, ma era una previsione anomala con riguardo alla natura propria di un istituto che risulta tanto più efficace quanto basato sulla reale volontà delle parti.

Per il Cnf è basilare che le soluzioni giuridiche rispettino sempre i diritti dei cittadini e i principi dell’ordinamento.

Vera MORETTI

Avvocati: no alle multe, si ai ricorsi

La notizia arriva da Roma: l’avvocato Fabrizio Bruni, presidente dell’Associazione degli Avvocati Romani, si è rifiutato di pagare il cosiddetto “contributo unificato“, dopo aver presentato un ricorso nei confronti di una multa a lui notificata, per un’infrazione del Codice della strada.
Il “contributo unificato” consiste in una tassa di 38 euro che il ricorrente deve versare all’amministrazione per l’avvio della pratica di ricorso, il cui scopo è scoraggiare i frequenti ricorsi contro le sanzioni amministrative, istituito dall’art. 212 della Finanziaria 2010.

Il motivo addotto dall’avvocato? Contestare gli errori della pubblica amministrazione è un diritto del cittadino contribuente e non deve certo essere scoraggiato, quanto piuttosto tutelato. “Ho scelto di non versare il contributo unificato – ha dichiarato il presidente dell’Associazione degli Avvocati Romani – per poter sollevare innanzi alla Commissione Tributaria la questione di costituzionalità della norma che ha introdotto il tributo anche per la cause di opposizione a sanzioni amministrative, necessità fatta rilevare da due ordinanze della Corte Costituzionale (numeri 143 e 195 del 2011) che avevano dichiarato l’inammissibilità delle questioni di costituzionalità sollevate dai Giudici di Pace, in particolare per carenza di interesse in caso di avvenuto pagamento del contributo. Ciò vale anche per i ricorsi contro le multe per infrazioni al codice della strada”.

A sostenerlo un gruppo di avvocati dell’ Ordine di Roma che sono intervenuti per fare in modo che questo principio venga rispettato. “E’ necessario che gli avvocati mostrino ai cittadini che si battono per loro contro leggi ingiuste e vessatorie, rischiando propri denari e provvedimenti sanzionatori” ha ribadito l’avvocato Bruni.

A confermare la sua posizione anche l’avvocato Mauro Vaglio, consigliere più votato dell’Ordine degli Avvocati di Roma: “Anche se il Consiglio dell’Ordine non può esprimersi come istituzione su una questione all’esame dei Giudici, – ha precisato Vaglio – come rappresentante degli Avvocati ho a cuore i diritti costituzionali dei cittadini.” L’iniziativa dell’avvocato Bruni mira a ripristinare, a suo dire, “il diritto di chi viene ingiustamente colpito da una sanzione amministrativa di modico valore”.

Alessia Casiraghi