Contributo di solidarietà sulle pensioni d’oro: addio dal 2022

Il contributo di solidarietà sulle pensioni d’oro è stato introdotto per la prima volta in Italia con la legge di bilancio 2019 come misura provvisoria in scadenza al 31 dicembre 2021. Sono in molti però a temere una proroga, vediamo quali sono i potenziali rischi.

Cos’è il contributo di solidarietà sulle pensioni d’oro

Si è detto che il contributo di solidarietà è stato previsto dalla legge di bilancio 2019 (articolo 1 comma 261) sulle pensioni di ammontare superiore a 100.000 euro. Come stabilito dalla norma, la misura risulta proporzionata all’assegno e di conseguenza più è elevato l’importo e maggiore è il contributo di solidarietà trattenuto. La norma prevedeva l’applicazione della decurtazione dal 1° gennaio 2019 fino al 31 dicembre 2023. La Corte Costituzionale, chiamata a pronunciarsi, è intervenuta sottolineando che la durata quinquennale di tale misura era sproporzionata e di conseguenza ha stabilito la cessazione della stessa il 31 dicembre 2021. Appare quindi evidente che dal 1° gennaio 2022, per effetto della decisione della Corte Costituzionale non sarà applicato il contributo di solidarietà e per effetto di ciò i pensionati vedranno crescere il loro assegno.

A quanto ammonterà l’aumento?

Naturalmente l’aumento sarà corrispondente alla decurtazione applicata e quindi:

  • 15% per le pensioni da 100.000 euro a 130.000 euro;
  • 25% sulle pensioni da 130.001 a 200.000 euro;
  • 30% per coloro che hanno una pensione 200.001 a 350.000 euro;
  • 35% per pensioni da 350.001 a 500.000 euro;
  • 40% per le pensioni da 500.001 euro.

A tali aumenti dovrebbe aggiungersi anche l’effetto della rivalutazione delle pensioni 2022.

Il Presidente del Consiglio Mario Draghi propone il contribuito di solidarietà per contrastare il caro bollette

Non vi sono però ulteriori certezze, infatti il premier Draghi ha proposto un nuovo contributo sulle pensioni di valore superiore a 75.000 euro al fine di agevolare misure volte a contenere i rincari del settore energetico. La norma ha ottenuto l’appoggio di PD, M5S e LEU, mentre  Fratelli d’Italia, Italia Viva e Lega hanno fatto opposizione. La proposta non ha avuto il via libera dal Consiglio dei Ministri.

Sarebbe d’altronde abbastanza strano approvare una norma che amplia addirittura la platea di coloro che dovrebbero partecipare al contributo di solidarietà, infatti la proposta bocciata prevedeva un abbassamento della soglia da 100.000 euro a 75.000 euro. Dal punto di vista della legittimità non dovrebbero esservi problemi perché non si tratterebbe di un’estensione del contributo “bocciato” dalla Corte, ma di un nuovo contributo. L’ipotesi allo studio dovrebbe prevedere il congelamento del taglio dell’IRPEF per i pensionati che percepiscono più di 75.000 euro e dovrebbe generare un importo di 248 milioni di euro. Sicuramente tale contributo avrebbe comunque destato molti malumori perché ci sarebbe una fascia di cittadini di fatto non ammessa a godere del taglio delle imposte.

Rivalutazione pensioni 2022: novità per tutti dalla Corte Costituzionale

Buone notizie per i pensionati italiani: dal 1° gennaio 2022 sono previsti aumenti delle pensioni. In realtà si tratta di un semplice adeguamento che però quest’anno sarà più sostanzioso, vediamo le prospettive per la rivalutazione pensioni 2022.

Rivalutazione pensioni 2022

Le pensioni devono essere adeguate al costo della vita e di conseguenza con l’aumento dell’inflazione devono aumentare anche gli importi delle pensioni. Per il 2021 l’inflazione si è attestata intorno all’1,7%, mentre per il 2022 si prevede un’ulteriore inflazione dell’1,3%. Si ritiene che l’aumento delle pensioni si attesterà nel 2022 all’1,5%. Questo vuol dire che l’adeguamento per il 2022 sarà abbastanza percepito dagli italiani, infatti negli anni passati con inflazione vicina allo 0% gli adeguamenti sono risultati davvero irrisori e nel 2021 con inflazione negativa nel 2020, non c’è stato adeguamento.

Ci sono delle variabili però da considerare, infatti in passato più volte le pensioni “alte” hanno subito dei blocchi delle rivalutazioni. Il primo nel 2001 con il meccanismo della perequazione che rivalutava al 100% le pensioni fino a 3 volte il minimo INPS, il 90% per le pensioni da 3 a 5 volte superiori il minimo INPS e il 75% per le pensioni fino a 5 volte superiori, nessuna rivalutazionne per le altre. Poi c’è stata la legge Fornero e il governo Monti che hanno rivalutato solo le pensioni fino a 3 volte superiori rispetto al minimo INPS. Furono rivalutate le pensioni fino a 1405 euro.

Bonus Poletti

Su questa disciplina vanno però ad impattare le pronunce della Corte Costituzionale, questa ha statuito che se anche vi sono dei deficit economici, cioè le casse dell’INPS sono in ristrettezza, la rivalutazione delle pensioni deve comunque esservi, misure differenti possono essere adottate solo per periodi ristretti e non come regime ordinario. Ad esempio già con la sentenza 70 del 2015 boccia i criteri di rivalutazione applicati del 2012-2013, in questo caso si fece fronte alla bocciatura con il Bonus Poletti che reintegrava i pensionati che non avevano avuto la rivalutazione applicando degli scaglioni del meccanismo di perequazione. La rivalutazione del Bonus Poletti (Governo Renzi) prevedeva un reintegro applicato al 40% per le pensioni da 3 a 4 volte superiori al minimo INPS, 20% da 4 a 5 volte, 10% per le pensioni da 5 a 6 volte superiori al minimo e infine nessuna valutazione per le altre.

Questo dovrebbe implicare che, visto il lungo lasso di tempo in cui le pensioni hanno subito la decurtazione della rivalutazione, ora non dovrebbe essere applicato il blocco delle rivalutazioni per evitare incostituzionalità.

Corte Costituzionale: il blocco della rivalutazione delle pensioni è una misura eccezionale

Le pronunce della Corte Costituzionale sono diverse, qui citiamo una molto importante, cioè la 234 del novembre 2020, in questa la Corte Costituzionale ribadisce che è legittimo un provvedimento con cui sia raffreddata la rivalutazione delle pensioni più elevate o sia imposto un contributo di solidarietà a chi percepisce pensioni medio-alte, ma dette misure devono avere una durata massima di 3 anni. In effetti il contributo di solidarietà del Governo Monti aveva tali caratteristiche.

Di fatto il blocco delle rivalutazioni è stato reiterato nel tempo, in particolare con la legge di bilancio per il 2019 (legge 145 del 2018). Tale legge stabilisce che per il triennio 2019-2021 siano oggetto di rivalutazione al 100% solo le pensioni fino a 3 volte il minimo, per il 2021 (anno in cui la rivalutazione non ha avuto luogo in quanto l’inflazione era negativa) la pensione minima è fissata in 515,58 euro, mentre per le pensioni superiori la rivalutazione è decrescente, cioè più è alto l’importo e minore è la percentuale di rivalutazione. Ad esempio per le pensioni:

  • fino a 4 volte superiori al minimo, la rivalutazione è del 97%;
  • per quelle fino a 5 volte superiori al 77%;
  • per le pensioni nello scaglione da 5 a 6 volte superiore al minimo, la rivalutazione è al 52%;
  • la rivalutazione è al 47% dagli importi tra il 6  e 8 volte superiore al minimo;
  • 45%  per lo scaglione fino a 9 volte superiore;
  • 40% tutte le altre.

Corte Costituzionale fissa i paletti per il raffreddamento della rivalutazione

La Corte Costituzionale nella sentenza citata stabilisce che raffreddare il sistema di rivalutazione delle pensioni possa essere considerato legittimo, a patto che siano rispettati dei paletti, cioè che la misura sia volta a perseguire obiettivi interni al sistema previdenziale, quindi i risparmi devono essere in favore dello stesso ente previdenziale che deve però avere delle motivazioni obiettive per esercitare tale blocco delle rivalutazioni, inoltre vi deve essere un orizzonte temporale predefinito (triennale).

Ora, tornando alla questione che qui ci occupa, si è visto che la legge di bilancio per il 2019 ha previsto scaglioni che dovrebbero cessare il 31 dicembre 2021, si deve capire cosa deciderà il Governo per il 2022; il blocco potrebbe essere reiterato, ma ciò farebbe proporre molti ricorsi per incostituzionalità visto che la sentenza della Corte Costituzionale pone dei limiti e sembra difficile giustificare, oggi con debito pubblico alto, ma un Paese in forte crescita e un’inflazione piuttosto alta, un nuovo blocco andrebbe a danneggiare notevolmente molti pensionati.

Quale sarà l’impatto della rivalutazione pensione 2022?

Se la rivalutazione pensioni 2022 sarà all’1,5%, come atteso, su una pensione di 1.000 euro, vi sarà un aumento di 15 euro, naturalmente, deve essere verificato l’importo della tassazione. In genere chi ha una pensione di 1.000 euro si trova nel primo scaglione con aliquota IRPEF al 23% a ciò devono essere aggiunte addizionali regionali e comunali che possono avere aliquote diverse. Tendenzialmente l’aumento netto su una pensione di 1.000 euro potrebbe essere intorno a 11-12 euro mensili. Deve essere considerato che tenendo a mente gli aumenti di luce e gas che a loro volta stanno impattando sulle materie prime ad oggi trasportate su strada, questo aumento è pressoché annientato.

Prescrizione bollo auto: quando si può non pagarlo più?

Il bollo è una delle tasse meno amate dai cittadini e, a volte per dimenticanza, altre per mancanza di liquidità oppure per il desiderio di evadere questo balzello,  capita che il contribuente non paghi il bollo auto. In questi casi è possibile avvalersi della prescrizione del bollo auto, ma quando matura?

La prescrizione del bollo auto

La prescrizione del bollo auto si verifica dopo 3 anni da quello successivo rispetto alla scadenza. Per avere però la prescrizione devono verificarsi anche altre condizioni e in particolare vi deve essere un’inerzia dell’ente che deve riscuotere, si tratta della Regione oppure dall’Agenzia delle Entrate che si occupa della riscossione in Friuli Venezia Giulia e Sardegna.

La normativa da applicare è l’art. 5 del D.l. 953/82, modificato dall’art. 3 del D.l. 2/86 convertito nella legge 60/86: “l’azione dell’Amministrazione finanziaria per il recupero delle tasse dovute dal 1° gennaio 1983 per effetto dell’iscrizione di veicoli o autoscafi nei pubblici registri e delle relative penalità si prescrive con il decorso del terzo anno successivo a quello in cui doveva essere effettuato il pagamento”.

Le Regioni non possono derogare ai termini di prescrizione del bollo auto

Va precisato che la Corte Costituzionale in un’importante pronuncia, la sentenza 311 del 2003, stabilisce che in realtà il bollo auto è un tributo attribuito alla Regione, ma non istituito dalle regioni e di fatto è un tributo statale e di conseguenza le Regioni non possono stabilire proroghe o condoni. Discende da questo postulato che l’applicazione del termine di prescrizione non può essere oggetto di deroga da parte delle Regioni ed è unico in tutto il territorio nazionale.

La sentenza è il frutto dell’impugnazione da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri  di una normativa della Regione Campania che istituiva un termine di prescrizione più lungo per il bollo auto, motivando tale scelta con la difficoltà di riscuotere in un così breve lasso di tempo anche a causa della modifica dei sistemi ACI. La Corte Costituzionale ha ravvisato nella norma  anche una discriminazione dei cittadini campani rispetto alla totalità dei contribuenti. Questo implica che se una Regione, oltre il termine di prescrizione, in forza di una legge regionale,  dovesse chiedere ai contribuenti il pagamento del bollo auto prescritto, l’atto deve essere impugnato.

 Cosa interrompe il termine di prescrizione?

Il termine di prescrizione inizia a decorrere dall’anno successivo rispetto alla scadenza, quindi se il bollo scade il 31 ottobre 2020, il termine di prescrizione inizia a decorrere dal 1° gennaio 2021 e termina il 31 dicembre del terzo anno successivo (31 dicembre 2023). Ciò implica che dal 1° gennaio del 2024 l’amministrazione non potrà richiedere il pagamento del bollo auto scaduto.  Nel frattempo però l’ente che riscuote la tassa potrebbe accorgersi del mancato pagamento e in questo caso invia un avviso bonario in cui si invita il contribuente a effettuare il pagamento. Tale notifica va ad interrompere il termine di prescrizione che  inizia a decorrere nuovamente il giorno successivo rispetto a quello in cui il contribuente ha ricevuto l’avviso.  A questo punto il contribuente può pagare, contestare il mancato pagamento,  ad esempio presentando la ricevuta del pagamento effettuato,  o continuare ad omettere il pagamento.

L’iscrizione a ruolo delle somme

Se trascorrono 3 ulteriori anni senza nessuna notifica c’è la prescrizione, ma in caso contrario e quindi se vi è il secondo passo solitamente fatto dall’amministrazione, cioè  l’iscrizione a ruolo delle somme e la notifica della cartella esattoriale in cui il contribuente viene invitato a sanare la posizione entro 60 giorni, questo atto va di nuovo a interrompere i termini di prescrizione, che ricominciano poi a decorrere nuovamente. Si deve ricordare che dopo la notifica della cartella esattoriale, il contribuente può proporre opposizione, ma in assenza di ricorso o di pagamento entro i termini stabiliti, l’amministrazione procede ad inviare il preavviso di fermo e dopo 30 giorni il fermo amministrativo sarà attivo, quindi l’auto non potrà circolare. Il ricorso avverso la cartella esattoriale interrompe i termini di prescrizione che ricominciano a decorrere quando il giudizio sarà concluso e il provvedimento divenuto definitivo.

Quando si verifica la prescrizione del bollo auto?

In linea di massima la prescrizione può verificarsi anche dopo molti anni rispetto alla scadenza iniziale. Per ridurre il carico pendente delle riscossioni, il decreto fiscale 2019 ha previsto la cancellazione delle imposte scadute e non riscosse e tra queste il bollo auto scaduto tra il 2000 e il 2010, ciò fino all’importo massimo di 1000 euro che deve però comprendere anche interessi e sanzioni e quindi non il bollo “puro”. La cancellazione di tali importi avviene in modo automatico. Inizialmente su tale norma c’è stata molta confusione infatti molte Regioni hanno ritenuto che in realtà il decreto fiscale 2019 non si riferisse anche al bollo auto, a chiarire i dubbi è intervenuto il Ministero con una sua nota che ha appunto previsto che nel decreto strappa-cartelle rientrava anche il bollo auto.

 Cosa fare se c’è la notifica di una cartella esattoriale per bollo auto scaduto e prescritto?

La prima cosa da fare è valutare bene se i termini sono realmente prescritti oppure se è stato notificato un atto di accertamento. Se si è sicuri della prescrizione si può procedere con un’istanza di sospensione legale della riscossione; l’ente deve rispondere a tale istanza entro 220 giorni, se non lo fa il debito si intende prescritto.

In alternativa o contemporaneamente  si può proporre ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale, in questo caso inizia una vera procedura giudiziaria volta ad accertare se effettivamente la prescrizione è maturata.

Il ricorso deve essere presentato entro 60 giorni dalla notifica dell’atto; la richiesta di sospensione legale della riscossione non interrompe i termini per la proposta del ricorso alla commissione tributaria.

La Corte Costituzionale “accende” la sigaretta elettronica

La supertassa sulla sigaretta elettronica introdotta dal dl 76 del giugno 2013 è incostituzionale. Lo ha stabilito una sentenza della Consulta in materia. Una sentenza che, per le casse dello Stato, significa un mancato introito di 117 milioni circa.

Il testo del dl che introduceva questa tassa sulla sigaretta elettronica recitava che “i prodotti contenenti nicotina o altre sostanze idonei a sostituire il consumo dei tabacchi lavorati nonché i dispostivi meccanici ed elettronici, comprese le parti di ricambio che ne consentono il consumo, sono assoggettati a imposta di consumo nella misura pari al 58,5% del prezzo di vendita al pubblico”.

Secondo la Corte Costituzionale, però, nell’estensione del dl non è stato considerato il fatto che il liquido per la sigaretta elettronica senza nicotina non può essere considerato un sostituto del tabacco, dal momento che si tratta semplicemente di vapore acqueo aromatizzato. A differenza della tassa sulle normali sigarette, giustificate, scrive la Consulta, dal “disfavore nei confronti di un bene riconosciuto come gravemente nocivo per la salute”, questa nocività non si riscontra “in relazione al commercio di prodotti contenenti altre sostanze diverse dalla nicotina”, come la sigaretta elettronica.

Detto questo, la Corte Costituzionale ci va giù pesante nei confronti della motivazioni che avrebbero indotto l’introduzione di questa tassa sulla sigaretta elettronica, tassa che “trova primaria giustificazione – scrive la Suprema Corte – nell’esigenza fiscale di recupero di un’entrata erariale, l’accisa sui tabacchi, con particolare riguardo alle sigarette, la quale ha subito una rilevante erosione per effetto dell’affermazione sul mercato delle sigarette elettroniche”.

Insomma, pur di racimolare quattrini, anche la tassa sulla sigaretta elettronica è buona. Ma stavolta la Consulta ci ha messo un freno.

Blocco rivalutazione pensioni? Costa 16 miliardi

Continuano a imperversare le stime sulle cifre che lo stato dovrebbe pagare a causa della sentenza della Consulta che ha considerato incostituzionale il mancato adeguamento Istat delle pensioni disposto dal governo Monti con il “Salva Italia”, che ha colpito 5 milioni di pensionati.

Secondo la Cgia l’importo per “risarcire” queste pensioni sarebbe di 16,6 miliardi, calcolati al netto dell’Irpef. Una stima arrivata a pochi giorni dal quella elaborata dalla Fondazione Studi dei consulenti del lavoro, che si fermava molto al di sotto di questa cifra, a 6 miliardi.

Sempre secondo l’analisi elaborata dalla Cgia, il blocco avvenuto nel 2012-2013 ha interessato i pensionati che percepiscono un assegno mensile netto superiore a 1088 euro, mentre da altre stime si parlava di pensioni con importi intorno ai 1400-1500 euro mensili.

Sia come sia, la stima della Cgia è piuttosto scioccante ed è il risultato di un’elaborazione fatta in base ai dati sulle pensioni riferiti al 2012. Inoltre, nonostante il pronunciamento della Consulta riguardasse la norma che non riconosceva la rivalutazione per gli anni 2012-2013 degli assegni di importo superiore di tre volte il trattamento minimo, la Cgia ha esteso il calcolo degli effetti sul 2014-2015, dal momento che l’attualizzazione relativa a questo biennio è stata effettuata su un importo mensile minore, derivato della normativa dichiarata incostituzionale.

Il segretario della Cgia, Giuseppe Bortolussi, commenta così il calcolo e le sue conseguenze sul governo e sulle pensioni: “Pare di che il governo non darà luogo ad alcuna manovra correttiva per recuperare le risorse da restituire ai pensionati. Se questa posizione dovesse essere confermata, come si farà fronte a questa situazione visto che solo per sterilizzare le clausole di salvaguardia previste per l’anno prossimo il Governo dovrà tagliare la spesa pubblica di almeno 16 miliardi di euro?”.

I Consulenti del Lavoro sulla rivalutazione delle pensioni

Dopo che la Consulta ha giudicato incostituzionale il blocco della perequazione delle pensioni relativo agli anni 2012-2013, introdotto dall’articolo 24 comma 25 del dl 201/2011, nel governo e al ministero dell’Economia sono andati nel panico per il rischio di dover rivalutare e rimborsare tutte le pensioni erroneamente bloccate.

Sono volate cifre su quanto dovrà essere l’importo per coprire questi rimborsi e se ne sono sentite di tutti i colori. I Consulenti del Lavoro hanno provato a dare una loro lettura a questo pasticcio delle pensioni e hanno elaborato una stima, illustrata in una circolare della loro Fondazione Studi. Ebbene, secondo i Consulenti sarà di circa 6 miliardi l’impatto sulle finanze pubbliche della rivalutazione non riconosciuta, fino a maggio 2015, al netto degli effetti fiscali, alle pensioni superiori a 1.443 euro.

Scrivono i Consulenti del Lavoro nella loro circolare. “Ovviamente ai 6 miliardi così ottenuti (cui comunque andrebbero aggiunte le dovute rivalutazioni monetarie) occorre sommare l’effetto finanziario del ricalcolo della pensione vita natural durante. Infatti, in riferimento agli anni 2012-2013, i trattamenti pensionistici dovranno essere rivalutati sulla base della normativa previgente all’articolo 24 comma 25 del dl 201/2011 contenuta nell’articolo 69 della legge 388 del 2000“.

Secondo i Consulenti, il primo effetto dell’abrogazione della norma è “il diritto dei titolari dei trattamenti pensionistici di esigere il credito spettante per l’appunto dalla rivalutazione non riconosciuta e il diritto a ricevere vita natural durante il ricalcolo della pensione attualmente in pagamento, per la cui misura non si è tenuto conto della rivalutazione non attribuita e invece spettante così come definito dalla recente sentenza della Corte Costituzionale n. 70/2015“.

Infatti, poiché “sulla base dell’articolo 24 comma 25 del dl 201/2011 – scrivono i Consulenti nella Circolare – i trattamenti pensionistici superiori a 1.443 euro nella loro totalità non sono stati rivalutati, a legislazione vigente da una parte dovrà essere recuperata la rivalutazione spettante per gli anni 2012-2013-2014-2015 (infatti gli anni 2014 e 2015 sono stati rivalutati sulla base di un importo inferiore in quanto precedentemente non rivalutato) e dall’altra parte dovrà essere messo in pagamento vita natural durante un trattamento pensionistico di importo superiore a quello attualmente erogato“.

Che fare, quindi, con queste pensioni? Secondo la Fondazione Studi è da escludere “un decreto legge che disponga i criteri ed eventuali limitazioni in ordine alla restituzione delle somme maturate dai pensionati interessati, ipotizzando l’individuazione di un diverso criterio di perequazione rispetto a quanto stabilito dall’articolo 69 della legge 388/2000“, dal momento che “non appare che un possibile decreto legge approvato oggi possa incidere retroattivamente su un diritto già entrato nel patrimonio dei pensionati interessati“.

Infatti, con la sua sentenza, la Consultafa rivivere la citata disposizione del 2000 e dunque i soggetti interessati hanno già maturato il diritto a veder applicato tale criterio di rivalutazione“, stabilito appunto da quella legge sulle pensioni, prima che fosse approvata nel 2011 quella poi giudicata incostituzionale.

Avvocati-mediatori: ecco le nuove regole

In attesa che la Corte Costituzionale si pronunci sull’eccezione di incostituzionalità delle norme sulla mediazione e che il legislatore apporti le necessarie modifiche all’istituto, più volte richieste dal Consiglio nazionale forense, il Cnf ha diramato ieri due circolari agli Ordini forensi per dare indicazioni utili a “governare” l’istituto anche nei suoi aspetti deontologici e nelle sue ricadute disciplinari, nell’ottica di maggiori garanzie per i cittadini utenti.

Ciò dovrebbe aiutare a risolvere il problema del conflitto di interesse qualora l’avvocato si trovasse a svolgere entrambe le attività di mediatore e difensore.

La prima circolare (n. C-24-2011) dà conto della integrazione del codice deontologico forense, decisa già il 15 luglio scorsa e sottoposta al parere degli stessi Ordini forensi, con l’introduzione di un nuovo articolo (il 55 bis) dedicato alla mediazione.

I nuovi canoni introducono innanzitutto un dovere di “adeguata competenza” per l’avvocato che decida di assumere la funzione di mediatore; previsione questa, spiega la relazione di accompagnamento, che valorizza i requisiti di professionalità dell’avvocato-mediatore che non possono non esprimersi non solo nella capacità di dominare e padroneggiare le essenziali ed imprescindibili tecniche di mediazione, ma anche nella capacità di evitare che i cittadini incorrano in irreversibili pregiudizi derivanti dalla scarsa conoscenza o valutazione degli elementi loro offerti per chiudere o no l’accordo di mediazione.

I nuovi canoni, ancora, stabiliscono una incompatibilità ad assumere la funzione di mediatore nel caso in cui l’avvocato, un suo socio o associato, abbia avuto negli ultimi due anni o abbia in corso rapporti professionali con una delle parti. Stessa incompatibilità, ma ad assumere la difesa, copra i due anni successivi alla mediazione.

Sempre con l’obiettivo di evitare possibili conflitti di interessE, il codice deontologico forense fa divieto all’avvocato di ospitare la sede di un organismo di conciliazione e viceversa: “La contiguità, spaziale e logistica, tra studio e sede dell’organismo costituisce fattore in grado di profilare una ipotetica commistione di interessi, di per sé sufficiente a far dubitare dell’imparzialità dell’avvocato-mediatore”, si legge sempre nella relazione.

Altre modifiche riguardano l’articolo 16 sul dovere di evitare incompatibilità e l’articolo 54 sui rapporti con arbitri, conciliatori, mediatore consulenti tecnici, che dovranno essere improntati a correttezza e lealtà. Regolamenti di procedura.

Con la circolare C-26-2011, il Cnf richiama l’attenzione sul testo del decreto ministeriale del 6 luglio n.145, che ha innovato le norme regolamentari precedenti prevedendo l’introduzione per il mediatore del tirocinio assistito; nuovi e più stringenti criteri di designazione dei mediatori rispettosi della “specifica competenza professionale”; lo svolgimento necessario del primo incontro di mediazione nel caso di mediazione obbligatoria; nuovi criteri di determinazione delle indennità.

Tutte novità, rileva il Cnf, che impongono un aggiornamento dei regolamenti di procedura degli organismi di conciliazione istituiti dai Consigli dell’Ordine, regolamenti approvato sulla falsariga di quello tipo predisposto dal Cnf.

Da qui una serie di indicazione operative per modificare, in caso di discrasia con le nuove norme, i singoli regolamenti.

d.S.

Oua si prepara a due giorni di astensione, il 29 e 30 maggio

L’Organismo Unitario dell’Avvocatura ha accolto con soddisfazione la decisione, da parte della Corte Costituzionale, di anticipare al 2 luglio l’udienza che era in precedenza stata fissata per l’8 ottobre relativa alla geografia giudiziaria del Friuli Venezia Giulia.

La decisione è stata motivata dall’entrata a regime del provvedimento a partire da settembre, considerata da più parti “una irrazionale e incostituzionale chiusura di circa 1000 uffici, sedi distaccate e tribunali“.

Nicola Marino, presidente Oua, considera l’anticipo della data “una buona notizia per la giustizia italiana. È bene che la Consulta esamini rapidamente questo provvedimento dai chiari profili di illegittimità. Non ha senso continuare, invece, ad accelerare questo processo di smantellamento del sistema con gravi danni per i cittadini. Al futuro Governo e al nuovo Parlamento chiediamo di intervenire con urgenza per evitare di distruggere la giustizia di prossimità e di mortificare interi territori del nostro Paese, sia dal punto di vista dei diritti sia sotto quello della competitività economica per le imprese“.

L’Oua ha anche fissato per il 29 e 30 maggio due giornate di astensione dal lavoro e una grande manifestazione a Roma il 30 maggio insieme al Coordinamento dei Fori Minori, gli Ordini e le Associazioni forensi, i sindacati dei lavoratori e dirigenti dei tribunali, i sindaci e i cittadini interessati dal provvedimento.

Vera MORETTI

INT vuole il ripristino della mediazione obbligatoria

Sono passati solo cinque mesi dal 6 dicembre, quando la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittima nel nostro Paese l’obbligatorietà della mediazione civile e commerciale per eccesso di delega del Governo, ed ora i dieci Saggi nominati da Giorgio Napolitano hanno voluto rilanciare la necessità di forme obbligatorie di mediazione.

Il Comitato scientifico per la mediazione civile e commerciale di INT, nelle persone di Edoardo G.Boccalini, coordinatore nazionale, e Piero Iafrate, responsabile scientifico, chiedono, a questo proposito, che la maggiore urgenza riguarda i tempi e i costi della Giustizia, da accorciare e ridurre.

Nella relazione Finale del Gruppo di Lavoro sulle riforme istituzionali si legge, nella sezione dedicata alla giustizia civile: “trovare soluzioni extragiudiziali delle controversie, forme obbligatorie di mediazione per alleggerire la giustizia”.
Viene affrontata la questione di poter instaurare sistemi alternativi di risoluzione delle controversie, specialmente quando sono di minore entità, con la speranza che la mediazione torni a svolgere il ruolo per la quale è nata, ed avere un ruolo preponderante nel decongestionamento della Giustizia nel nostro Paese.

Vera MORETTI

Il CNF scrive al Ministero della Giustizia

Il CNF, con una lettera indirizzata al ministro guardasigilli, ha voluto avanzare la sua richiesta affinché Esecutivo e nuovo Parlamento dispongano la “necessaria e congrua proroga” del termine di entrata in vigore della revisione della geografia giudiziaria, prevista per il 13 settembre 2013.
A partire da quella data, infatti, cesserà l’attività di 31 tribunali e 220 sezioni distaccate.

Questioni di opportunità, dunque, suggerirebbero di attendere gli esiti dei giudizi costituzionali per evitare possibili, se non addirittura probabili, impasse istituzionali; e, nel frattempo, di promuovere un progetto di revisione della geografia giudiziaria che garantisca il pieno esercizio della funzione giurisdizionale.
Questo perché l’8 ottobre 2013, quindi solo dopo venti giorni l’entrata in vigore della soppressione delle sedi giudiziarie, sarà discussa davanti alla Consulta la questione di legittimità del decreto legislativo 155/2012, sollevato dal Tribunale di Pinerolo. Si tratta, peraltro, della prima di una nutrita serie di questioni pendenti presso la Consulta.

I giudici del lavoro stanno affrontando numerosi ricorsi da parte di dipendenti amministrativi contro le procedura di interpello.
I trasferimenti di giudici togati vengono già da ora organizzati quanto si cono molte questioni pendenti che invece andrebbero prima affrontate e risolte.
Il CNF, dunque, ritiene che: “in questo modo, da un lato l’accesso alla giurisdizione viene compromesso ben prima delle soppressioni e, dall’altro, si calpesta il diritto dei cittadini di quelle circoscrizioni ai servizi loro dovuti”.

Vera MORETTI