Bonus 200 euro, chi lo prenderà e quando

Chi prenderà il bonus 200 euro e quando? L’erogazione dell’indennità prevista dal decreto legge “Aiuti” del governo, avverrà per tutte le categorie lavorative e per i pensionati. Tutti dovranno avere un reddito lordo annuo non eccedente il 35 mila euro. Inclusi nella misura anche colf e badanti e, in generale, i lavoratori domestici. Il bonus 200 euro sarà pagato anche a chi prende il reddito di cittadinanza e quanti hanno ricevuto nel corso dello scorso anno un’indennità per il Covid. A disciplinare la misura di aiuto contro il rincaro dei prezzi è il decreto legge numero 50 del 2022, in vigore da mercoledì 18 maggio. L’indennità verrà pagata anche ai commercianti, artigiani, liberi professionisti e partite Iva: ma i lavoratori autonomi dovranno attendere un altro decreto da emanarsi entro 30 giorni che disciplini le modalità di pagamento e quanto spetti di indennità.

Bonus 200 euro ai pensionati, come verrà pagato?

I pensionati con redditi personali del 2021 non eccedenti i 35 mila euro lordi all’anno prenderanno il bonus 200 euro con decorrenza entro il 30 giugno 2022. Sarà l’Inps a effettuare il pagamento nella mensilità di luglio 2022. I pensionati, dunque, non dovranno presentare alcuna domanda. Per il calcolo del reddito non si tiene conto della casa di abitazione, del trattamento di fine rapporto (Tfr) e delle competenze arretrate a tassazione separata. Anche i percettori del trattamento sociale o di invalidità civile percepiranno l’indennità. Sono incluse anche le prestazioni di accompagnamento alla pensione, come ad esempio, l’Ape sociale o i lavoratori usciti da lavoro con i contratti di espansione.

Indennità Inps 200 euro ai lavoratori dipendenti: cosa bisogna fare?

I lavoratori alle dipendenze riceveranno il bonus 200 euro nel cedolino della busta paga di luglio. L’indennità, prevista dagli articoli 31-33 del decreto legge numero 50 del 2022, è esentasse. Come tutte le altre categorie, i lavoratori dipendenti percepiranno l’indennità una sola volta. Il pagamento del bonus non prevede alcuna domanda. Tuttavia, il lavoratore dipendente non deve essere percettore di alcuna pensione, anche di invalidità civile, e nemmeno del reddito di cittadinanza. I datori di lavoro potranno recuperare l’indennità anticipata in compensazione sui contributi UniEmens.

Lavoratori dipendenti che percepiranno il bonus 200 euro: come verificare se si rientra?

I lavoratori dipendenti possono verificare se il bonus 200 euro spetti mediante il diritto allo sconto contributivo. Si tratta della misura introdotto per il 2022 che consente di beneficiare di uno sconto di contributi pari allo 0,8%. Ricevono lo sconto i lavoratori con reddito mensile lordo non eccedente i 2.692 euro. Dunque, basta che i dipendenti abbiano beneficiato dello sconto contributivo in almeno un mese tra gennaio e aprile per percepire il bonus 200 euro.

Prendono il bonus 200 euro i lavoratori autonomi occasionali?

Il bonus 200 euro verrà pagato anche ai lavoratori autonomi occasionali senza partita Iva. Ovvero ai titolari dei contratti previsti dall’articolo 2222 del Codice civile. Si tratta dei contratti con ritenuta d’acconto. L’indennità spetterà se è stato corrisposto almeno un contributo mensile durante l’anno 2021. Per questi contratti, tuttavia, è necessario il versamento dei contributi alla Gestione separata dell’Inps (che deve risultare aperta al 18 maggio 2022) che avviene se il totale dei compensi annui supera la cifra di 5 mila euro. Ne consegue che i lavoratori autonomi occasionali prenderanno il bonus 200 euro solo se, per uno o più contratti del 2021, hanno percepito almeno 6.330 euro. Questo importo è il minimo per l’accredito di un mese di contributi. Infine, per questi lavoratori serve presentare la domanda all’Inps per ottenere l’una tantum.

Bonus 200 euro, verrà pagato agli incaricati delle vendite a domicilio e lavoratori dello spettacolo?

Il bonus 200 euro verrà pagato anche agli incaricati delle vendite a domicilio. La condizione per ottenere l’indennità è che nel 2021 siano stati percepiti compensi superiori ai 5 mila euro. Tra le altre condizioni, serve la partita Iva e l’iscrizione alla Gestione separata dell’Inps. Occorre presentare domanda all’Inps. I lavoratori dello spettacolo con redditi 2021 entro i 35 mila euro percepiranno il bonus purché per il 2021 abbiano almeno 50 contributi giornalieri. A questi lavoratori il bonus viene pagato dall’Inps previa domanda.

Lavoratori stagionali, a termine, intermittenti e disoccupati agricoli: prenderanno il bonus 200 euro?

I lavoratori stagionali, a termine e intermittenti prenderanno il bonus 200 euro purché nel 2021 il reddito non sia stato eccedente i 35 mila euro. Anche per questi lavoratori sono necessarie 50 contributi giornalieri. L’Inps eroga il bonus previa domanda. Non serve la domanda all’Inps, invece, per i disoccupati agricoli. Sarà l’Inps stessa a erogare l’indennità purché sia stata percepita la disoccupazione nel 2021.

Lavoratori con contratto di collaborazione coordinata e continuativa (co.co.co.): prenderanno il bonus 200 euro?

I lavoratori con contratto di collaborazione coordinata e continuativa (co.co.co.) prenderanno il bonus 200 euro a determinate condizioni. Infatti, il contratto deve essere in essere alla data del 18 maggio 2022. Il lavoratore deve essere iscritto alla Gestione separata dell’Inps. Inoltre, i lavoratori di questa categoria non devono essere percettori di pensione. E nemmeno essere iscritti ad altre gestioni previdenziali. Anche per questi lavoratori vale il limite di reddito di 35 mila euro. È l’Inps a erogare il bonus previa domanda.

Colf, badanti e disoccupati: prenderanno l’indennità di 200 euro?

Colf, badanti e lavoratori domestici prenderanno il bonus purché abbiano in essere un rapporto di lavoro alla data del 18 maggio 2022. Serve presentare la domanda all’Inps. I disoccupati, ex lavoratori alle dipendenze o parasubordinati, percepiranno il bonus 200 euro purché ricevano una mensilità di disoccupazione Naspi o Dis coll a giugno 2022. È l’Inps a pagare senza bisogno di presentare la domanda.

Modello 730 precompilato da oggi, invio veloce per i rimborsi di luglio: tutte le novità 2022

A partire da oggi, 23 maggio, è on line nell’area personale del portale dell’Agenzia delle entrate il modello 730 precompilato per la dichiarazione dei redditi del 2022. L’Agenzia delle entrate, infatti, metterà a disposizione dei contribuenti oltre 30 milioni di modelli precompilati. Le modifiche si potranno fare entro il 31 maggio prossimo, data a partire dalla quale si potrà anche inviare il modello. I Centri di assistenza fiscale (Caf) hanno già predisposto oltre un terzo dei modelli, ma chi sceglie di inviare il documento personalmente dovrà fare in fretta per non vedersi slittare il rimborso di luglio.

Dichiarazione dei redditi 2022, conguaglio o rimborso già da luglio per i dipendenti, pensionati da agosto

Sarà pubblicato da oggi dunque il modello 730 precompilato, in ritardo rispetto alla scadenza temporale fissata entro il 30 aprile. Proprio per questo, i contribuenti dovranno fare in fretta per ottenere i rimborsi in caso di saldo a credito della dichiarazione dei redditi 2022. La scadenza ultima per l’invio del modello 730 precompilato è fissata al 30 settembre 2022. Ma presentarlo in anticipo consente di ottenere il conguaglio in caso di saldo positivo della dichiarazione dei redditi. I lavoratori alle dipendenze potranno anticipare, in questo modo, il conguaglio a luglio; per i pensionati, l’eventuale credito arriverà con il cedolino di agosto o di settembre.

Entro quando bisogna inviare il modello 730 precompilato per avere il conguaglio a luglio?

Dunque, i contribuenti che hanno un saldo positivo nella dichiarazione dei redditi 2022 possono ottenere il rimborso dell’imposta versata. Ma dovranno accettare, eventualmente modificare e inviare il modello 730 precompilato indicativamente prima della fine di giugno. In tal modo, riceveranno il conguaglio nel cedolino di luglio. Più tempo a disposizione avranno, invece, i contribuenti il cui saldo sia negativo. Ma più in ritardo si inoltra il 730 precompilato e meno mesi saranno a disposizione per rateizzare l’eventuale trattenuta.

Modello 730 precompilato: chi lo riceverà?

I contribuenti che riceveranno il modello 730 precompilato per dichiarare i redditi saranno:

  • i lavoratori alle dipendenze e assimilati come i contribuenti che lavorano con contratto a progetto;
  • chi ha redditi di terreni, fabbricati e da capitale;
  • i lavoro autonomi senza partita Iva, come i prestatori di lavoro occasionale;
  • i contribuenti con redditi diversi, maturati per esempio da terreni e fabbricati situati all’estero;
  • alcune tipologie di tassazione separata, come i contribuenti che hanno redditi da eredità.

Come si presenta la dichiarazione dei redditi 730 precompilata?

Il modello 730 precompilato dell’area personale del sito dell’Agenzia delle entrate è accessibile mediante credenziali:

  • Spid;
  • Carta di identità elettronica (Cie);
  • la Carta nazionale dei servizi (Cns).

Si può delegare un Centro di assistenza fiscale o in commercialista. Accedendo all’area personale del portale dell’Agenzia delle entrate, il contribuente può:

  • visualizzare i dati del modello 730 precompilato;
  • correggere e integrare le informazioni;
  • lasciare inalterate le informazioni (il che permette di escludere i controlli del Fisco);
  • infine inviare il modello precompilato all’Agenzia delle entrate.

Modello 730 precompilato dal 23 maggio 2022, quali sono le novità?

Sono varie del modello 730 precompilato per l’anno 2022. Innanzitutto, in tema di bonus 100 euro, vi è la riduzione del prelievo fiscale sui contribuenti che lavorano alle dipendenze. Per l’anno di imposta 2021, il totale del trattamento integrativo del bonus 100 euro è pari a 1.200 euro. È stato aumentata a 550 euro la spesa massima detraibile per le spese veterinarie. Confermato, invece, il 19% di detrazione per le spese sostenute per iscrivere i figli ai conservatori, alle scuole di musica e agli Afam. La detrazione massima è di 1.000 euro per ciascun figlio iscritto purché il reddito complessivo non ecceda i 36 mila euro.

Quali altre detrazioni spettano nella dichiarazione dei redditi 2022?

Tra le altre detrazioni fiscali, è stato aumentato a 609,50 euro il beneficio per gli appartenenti al comparto della sicurezza. Nella dichiarazione dei redditi 2022 si può indicare il credito di imposta maturato per la misura della prima casa agevolata per gli under 36. È necessario l’Isee entro i 40 mila euro e aver acquistato una prima casa soggetta a tassazione Iva.

Superbonus 110% nella dichiarazione dei redditi 2022: quale detrazione?

Per la dichiarazione dei redditi 2022 sono previste anche le detrazioni spettanti per gli interventi rientranti nel superbonus 110% dell’anno di imposta 2021. In particolare per:

  • l’eliminazione delle barriere architettoniche;
  • interventi di sisma bonus ed eco-bonus con detrazioni maggiorate, a determinate condizioni, al 110%;
  • gli interventi di installazione della colonnina di ricarica purché i lavori siano iniziati nel 2021;
  • il bonus per sostituire il gruppo elettrogeno, con detrazione fiscale del 50%;
  • il credito di imposta per i depuratori dell’acqua e la riduzione del consumo dei contenitori di plastica;
  • la detrazione spettante per il bonus mobile che, per il 2021 è pari al 50% per un limite di spesa di 16 mila euro.

Pensione, vincolo di assenza rapporto di lavoro: si può essere riassunti dallo stesso datore?

Per andare in pensione l’unico vincolo per i lavoratori alle dipendenze è quello di non avere in essere un rapporto di lavoro subordinato. Il vincolo vige nel momento in cui si fa domanda di pensionamento. Successivamente si può riprendere a lavorare. Ma si può essere assunti nuovamente dallo stesso datore di lavoro, ovvero ci si può ritrovare nella stessa situazione lavorativa nella quale il dipendente si trovava prima di andare in pensione?

Pensioni, oltre ai requisiti contributivi e di età, anche il vincolo di assenza rapporto di lavoro

È, pertanto, importante distinguere i casi di ripresa dell’attività lavorativa dopo la pensione. Per la maturazione del pensionamento, infatti, oltre ai requisiti di età e di contribuzione, le norme stabiliscono la condizione che il richiedente la pensione abbia cessato il rapporto di lavoro alle dipendenze. Lo stesso vincolo non sussiste per i lavoratori autonomi, i liberi professionisti, i parasubordinati o gli imprenditori. Infatti, chi non è alle dipendenze può accedere alla pensione senza procedere con l’interruzione dell’attività lavorativa.

Chi prende la pensione può riprendere a lavorare?

Può riprendere a lavorare anche chi prende la pensione. Esiste, dunque, la possibilità di cumulo tra redditi da pensione e quelli da lavoro. La regola è fissata dal decreto legge numero 112 del 2008 che ha abolito la non cumulabilità tra le due fonti di reddito. Pertanto, il vincolo dell’assenza di attività lavorative per accedere alla pensione vige nel momento in cui si accede alla pensione stessa. Successivamente, il neopensionato può riprendere a lavorare.

Il pensionato può riprendere a lavorare presso lo stesso datore di lavoro?

Diverso è il caso in cui il pensionato si faccia assumere nuovamente dallo stesso datore di lavoro presso il quale era dipendente prima di andare in pensione. Sull’opportunità di farsi riassumere dallo stesso datore di lavoro è intervenuta anche la sentenza della Corte di Cassazione, la numero 14417 del 2019. Per la Giurisprudenza la cessazione del rapporto di lavoro deve essere effettiva. La situazione nella quale il neopensionato venga assunto nuovamente presso lo stesso datore di lavoro farebbe cadere, infatti, la certezza di un’effettiva interruzione del rapporto di lavoro.

Pensionato riassunto dallo stesso datore di lavoro: quando si configura la simulazione?

La situazione nella quale il contribuente che ha interrotto il rapporto di lavoro e sia andato in pensione e venga poi assunto nuovamente dallo stesso datore di lavoro farebbe presumere la possibilità di simulazione dell’interruzione del rapporto di lavoro. Soprattutto se le condizioni di lavoro e la mansione risultassero essere le stesse esercitate prima dell’interruzione per la pensione.

Cosa fare per essere riassunti dallo stesso datore di lavoro di prima della pensione?

È altrettanto presumibile che il lavoratore che sia andato in pensione, per riprendere a lavorare presso lo stesso datore di lavoro, debba far trascorrere un ragionevole lasso di tempo per non incorrere nella simulazione dell’interruzione del rapporto di lavoro. Diversamente, l’assunzione presso lo stesso datore di lavoro potrebbe avvenire con un effettivo e nuovo rapporto di lavoro, diverso da quello precedente la pensione. In ogni caso, anche nel caso di un nuovo e diverso rapporto di lavoro, è consigliabile far passare un lasso di tempo ragionevole prima di iniziare la nuova attività lavorativa.

Cosa avviene con l’interruzione del lavoro per la pensione?

Affinché non si verifichi la simulazione del rapporto di lavoro, il lavoratore deve aver percepito tutte le spettanze della fine del precedente rapporto. Dunque, deve essere stato versato al dipendente il Trattamento di fine rapporto (Tfr) e il saldo delle ferie maturate e non utilizzate. Nel momento in cui si instauri un nuovo rapporto di lavoro, i redditi della nuova attività sono cumulabili con quelli della pensione. Entrambi i redditi andranno a sommarsi e a costituire il reddito complessivo del contribuente, fiscalmente soggetto alle imposte.

Quando la pensione non è cumulabile con i redditi da lavoro?

Per i lavoratori del sistema contributivo, ovvero che abbiano iniziato a lavorare dopo il 31 dicembre 1995, il decreto legge numero 112 del 2008 pone altre condizioni per l’incumulabilità dei redditi da lavoro e da pensione. In particolare, i “contributivi puri” per il cumulo dei redditi devono avere almeno l’età di 65 anni (uomini) o di 60 anni (donne) oltre a 40 anni di contributi versati. Il requisito viene mitigato a 61 anni di età in presenza di almeno 35 anni di versamenti.

Casi di incumulabilità parziale e totale di redditi da lavoro e da pensione

È da ritenersi totalmente incumulabile il reddito da lavoro con le pensioni ottenute mediante lo strumento dell’opzione donna. La ragione risiede nel fatto che i requisiti richiesti alle lavoratrici sono inferiori rispetto ai limiti di cumulo dettati dal decreto 112 del 2008. Caso parziale di incumulabilità è quello di chi va in pensione con quota 100. In questa situazione, non è consentito svolgere, da pensionato, un lavoro alle dipendenze o autonomo. La cumulabilità è consentita solo per un lavoro autonomo meramente occasionale per un reddito limite di 5 mila euro lordi all’anno.

Cosa succede se cumulo il reddito da lavoro con la pensione da quota 100?

Il lavoratore andato in pensione con quota 100 che violi il divieto di cumulo dei redditi da pensione e da lavoro, si vedrà sospendere dall’Inps l’assegno erogato come pensione. Lo stesso Istituto previdenziale provvederà a recuperare il trattamento erogato nell’anno in cui si sia verificata la violazione dell’incumulabilità dei redditi. Il divieto di cumulo per un lavoratore andato in pensione con quota 100 cessa alla maturazione dei requisiti per la pensione di vecchiaia.

Pensione anticipata con quota 41, quanto dura l’incumulabilità tra pensione e lavoro?

Un limite di incumulabilità parziale simile a quello di quota 100 ma meno netto è quello dei lavoratori andati in pensione con la quota 41 dei precoci. In questo caso, il divieto di cumulo vige dal momento della maturazione dei 41 anni di contributi e quindi di uscita dal lavoro, al momento (prospettico) in cui il lavoratore avrebbe maturato i contributi necessari per la pensione anticipata. Nel dettaglio, il pensionato da quota 41 dovrà attendere un anno e 10 mesi (maturazione dei 42 anni e 10 mesi per la pensione anticipata), mentre la lavoratrice 10 mesi (maturazione pensione anticipata a 41 anni e 10 mesi).

Green pass, tutto quello che c’è da sapere su come comportarsi dal 15 ottobre

Dal presentare il Green pass all’entrata in azienda a chi deve fare i controlli, dalla possibilità che il datore di lavoro chieda in anticipo se si ha il documento verde alle sanzioni previste e a chi le paga, dal blocco della retribuzione alla possibilità di chiedere le ferie, ecco tutto quel che c’è da sapere su come comportarsi dal 15 ottobre 2021.

Green pass, chi fa i controlli all’entrata del lavoro?

A fare le verifiche all’entrata a lavoro può essere direttamente il datore di lavoro. Si pensi, ad esempio, alle aziende e alle realtà più piccole. Diversamente il datore di lavoro indica addetti che dovranno controllare appositamente i Green pass all’entrata. Se il datore di lavoro svolge attività lavorativa all’interno dell’azienda si ritiene che egli stesso venga controllato. Non è escluso che l’azienda possa servirsi per il controllo del documento verde anche di vigilantes. E dunque di personale esterno.

Anche ai fornitori e ai liberi professionisti viene chiesto il Green pass?

Chiunque entri in realtà aziendali per svolgere un’attività lavorativa è sottoposto al controllo del Green pass. Pertanto, anche i fornitori o i liberi professionisti che si rechino in azienda dovranno esibire il documento verde. L’obbligo vige anche per chi entri a titolo di formazione o di volontariato. All’entrata può essere richiesto anche un documento di identità: la finalità è quella di accertare che chi esibisce il Green pass sia effettivamente la persona in regola con la vaccinazione o con il tampone.

Chi fa la sanzione in caso di comportamento irregolare sul Green pass?

La violazione dell’obbligo di Green pass deve essere segnalata dal datore di lavoro, anche sulla base dei controlli dei verificatori dell’azienda, ai prefetti. Per il lavoratore senza Green pass la sanzione va da 600 a 1500 euro. Ma è prevista anche la violazione del datore di lavoro nel caso in cui non abbia effettuato i dovuti controlli. Ad esempio, in caso di ispezione in azienda, se dovessero essere trovati a lavorare dipendenti senza Green pass (sanzione da 600 a 1500 euro), il datore di lavoro verrebbe sanzionato da 400 a 1000 euro.

Chi fa i controlli ai datori di lavoro?

La sanzione per il datore raddoppia in caso di recidiva. Inoltre, è ancora in discussione se la sanzione possa essere comminata per ciascun giorno di violazione. L’azienda può subire i controlli dall’Asl e dall’Ispettorato al lavoro. Inoltre, possono procedere con i controlli le forze di polizia, la polizia municipale e, in caso di necessità, anche le forze armate.

Chi sono i verificatori del Green pass in azienda?

Prima del 15 ottobre prossimo le aziende dovranno procedere con la scelta dei responsabili a verificare i Green pass. L’incarico deve avvenire mediante la delega scritta a cura del datore di lavoro e devono essere fornite anche le linee guida per svolgere al meglio il compito assegnato. Negli studi associati (di liberi professionisti) il responsabile è il legale rappresentante. Diversamente, il compito può essere assegnato anche a un addetto al controllo. In caso di irregolarità e di sanzioni comminate allo studio, è il legale rappresentante o chi sia stato investito del controllo a individuare il responsabile della violazione.

Green pass, l’azienda può chiedere al dipendente se ne è (sarà) munito in via preventiva?

Nel decreto “Capienze” degli ultimi giorni è stato indicato che, per ragioni organizzative, i datori di lavoro possano chiedere in via preventiva se i dipendenti sono muniti di Green pass (o, soprattutto, se lo saranno dal 15 ottobre). Ma rimane ovviamente assodato che il controllo del certificato verde debba avvenire solo a partire dal 15 ottobre prossimo e fino al 31 dicembre 2021.

Cosa avviene se il lavoratore non ha il Green pass?

I dipendenti senza Green pass sono considerati assenti ingiustificati. Ciò comporta la loro assenza dal lavoro e la sospensione della retribuzione, compresa anche la maturazione del Trattamento di fine rapporto. L’assenza ingiustificata comporta, altresì, la mancata copertura dei contributi ai fini pensionistici, l’esclusione dei giorni per le detrazioni fiscali, del trattamento integrativo, della spettanza dei permessi della legge 104 del 1992 e, in proporzione all’assenza, dell’assegno del nucleo familiare. La perdita di retribuzione avviene per tutte le giornate nelle quali il dipendente è sprovvisto di Green pass.

Senza Green pass, il datore di lavoro può mettere il dipendente in ferie?

Il lavoratore senza Green pass deve essere posto nella situazione di risultare come assente ingiustificato. Pertanto, il datore di lavoro non può mettere in ferie il dipendente senza il certificato. L’assenza ingiustificata rappresenta, pertanto, una diretta e automatica conseguenza della mancata esibizione del Green pass.

Controlli ai lavoratori in somministrazione e appalto

Si presume, inoltre, che la disciplina applicata ai lavoratori dipendenti dell’azienda venga applicata anche ai lavoratori in somministrazione. I controlli, in attesa di ulteriori chiarimenti, devono essere effettuati dall’azienda utilizzatrice. Lo stesso principio è valido nel caso in cui l’azienda edile ha anche dipendenti di un’altra impresa, nel caso di appalti. I controlli dell’impresa, dunque, si estendono anche ai dipendenti di altre imprese e, in generale, anche ai lavoratori autonomi che entrino nell’ambiente di lavoro per svolgere una prestazione lavorativa.

I clienti dei professionisti devono avere il Green pass?

Ancora in alto mare la risoluzione della questione se i clienti di uno studio professionale debbano esibire il Green pass per entrare. Ad oggi, infatti, il decreto di riferimento (il 127 del 2021) parla di controlli solo a carico dei lavoratori. Si attendono quindi novità sul punto che potrebbero arrivare in sede di conversione del decreto stesso.

Colf, badanti e babysitter, devono avere il Green pass?

Anche colf, badanti e babysitter devono avere il certificato verde. E deve essere la famiglia, in questo caso nelle vesti di datore di lavoro, a controllare la regolarità del Green pass. Per la famiglia, infatti, in caso di controlli e di mancava verifica del certificato verde del lavoratore domestico spetta la sanzione da 400 a 1000 euro. Per il lavoratore domestico la sanzione va da 600 a 1500 euro.

Il datore di lavoro può controllare il pc ai dipendenti?

1Oggi andremo ad addentrarci in quella che potrebbe rivelarsi una annosa questione. Entreremo nel mondo del lavoro, ma anche nel mondo della privacy del lavoratore, dando risposta ad una domanda da non sottovalutare: il datore di lavoro può controllare il pc ai dipendenti?

PC del dipendente, può essere controllato?

In un mondo praticamente dominato da social e siti più disparati, il dipendente non sempre usa il proprio PC esclusivamente per le funzioni lavorative. Va da se, che durante le ore di lavoro, o particolarmente nel tempo di pausa in ufficio, il dipendente possa usare il proprio computer da postazione anche per fare altro.

Ma, quale è il rischio che il proprio datore di lavoro possa controllare o intromettersi sui movimenti dal pc del proprio dipendente?

La risposta a questo quesito può essere presto data. Il datore di lavoro è sostanzialmente libero di porre blocchi al browser per impedire la navigazione del dipendente su specifici siti (si pensi ai social network). Oltre a ciò, il datore può controllare il traffico del dipendente, analizzando la cronologia, i cookies e tutte le attività da questi svolte con il computer aziendale.

Privacy: rischia qualcosa il datore di lavoro?

Si potrebbe pensare che tuttavia, il controllo di cronologia e navigazione del proprio dipendente, possa lederne la privacy.

Ma, quanto può effettivamente essere così e quanto, invece questo tipo di controllo rientra nel pieno diritto del datore di lavoro, che certifica la navigazione di un suo dipendente su un suo computer, messo a disposizione dall’azienda?

A questa annosa questione, ha però espresso contraddizione il garante della privacy. Il Garante ha infatti reso noto che “non è possibile monitorare la navigazione internet dei lavoratori in modo indiscriminato. Indipendentemente da specifici accordi sindacali, le eventuali attività di controllo devono comunque essere sempre svolte nel rispetto dello Statuto dei lavoratori e della normativa sulla privacy”.

Una questione piuttosto singolare, dunque, ma che chi tutela le parti aziendali riassume in una linea difensiva e appropriata.

I controlli sul computer del dipendente rientrano in un certo senso sempre tra i cosiddetti “controlli difensivi” che l’azienda può predisporre non per verificare come il dipendente lavora, ma se sta lavorando o se, lavorando, sta danneggiando l’azienda;

Basterebbe pensare al lavoratore che crea un falso profilo Facebook per ledere l’immagine aziendale; oppure il controllo riguardante gli spostamenti del lavoratore, a seguito di ripetute segnalazioni ricevute da clienti che lamentano di non vedere l’agente che dovrebbe recarsi da loro settimanalmente, da diverso tempo.

Insomma, monitorare l’attività del dipendente sul proprio PC può essere a tutti gli effetti un elemento di diritto e tutela del datore di lavoro.

Va, comunque sottolineato che non sono ammessi controlli dei pc aziendali che siano eccessivamente invasivi della sfera privata del dipendente, a meno che non si debba tutelare l’azienda da furti, concorrenza sleale o altre possibili attività illecite.

Può il datore di lavoro leggere le mail dei dipendenti?

Questa seconda questione è invece di stampo molto diversa. Ovviamente, il rischio è che il dipendente lasci aperta la propria casella di posta o il proprio sistema di messaggistica (come messenger di Facebook) sul proprio browser. In quel caso si entra nella lesione della privacy, ma anche nell’incuria del dipendente.

Ad ogni modo, l’accesso del datore alle mail dei dipendenti è legittimo “solo a condizione che questi ultimi siano stati preventivamente informati dell’esistenza di un controllo sulla corrispondenza aziendale, delle modalità e motivazioni di tale controllo”. Dopodiche è fatto riferimento alla giurisprudenza penale.

Solitamente, è comunque previsto l’uso di una casella di posta aziendale, magari personalizzata dal dipendente, ma comunque usata per fini lavorativi e non per scopi privati.

Dunque, questo è quanto vi fosse di più utile e necessario da sapere in merito ai rischi e doveri legati alla possibilità di essere controllati sul proprio pc aziendale, dal proprio datore di lavoro.

Controllo dipendenti con le telecamere: quando è possibile?

Oggi andremo a scandagliare una questione piuttosto delicata nel mondo del lavoro. Una possibile violazione della privacy che si muove sul filo sottile della tutela aziendale. Quindi, scopriremo quando e se è possibile che il datore di lavoro effettui un controllo sui dipendenti con le telecamere.

E’ possibile controllare i dipendenti con le telecamere?

Una domanda sempre più lecita nel mondo del lavoro, legata alla tutela del luogo stesso, ma anche alla privacy del lavoratore. Dunque, la domanda nucleica della questione trova presto risposta.

Da una sentenza della Cassazione, si apprende che il datore di lavoro può istallare le telecamere, anche occulte, per sorvegliare i propri dipendenti solo nel caso in cui vi sia fondato sospetto di illecito, ossia che un lavoratore possa commettere azioni fraudolente a danno del datore di lavoro.

Va aggiunto che secondo lo statuto dei lavoratori si può usufruire di videosorveglianza sul luogo di lavoro, solo per esigenze organizzative e produttive, sicurezza sul lavoro e tutela del patrimonio aziendale.

Ulteriori cose da sapere sui controlli con telecamere

Poco sopra, nel paragrafo precedente, si è detto dunque che l’installazione della videosorveglianza sul posto di lavoro è ammessa solo se impiegata per:

  • esigenze organizzative e produttive:  ad esempio se si pensa alla necessità di riprendere un macchinario per verificare che questo funzioni correttamente e finisca un ciclo di produzione per iniziarne un altro; oppure a una telecamera posta sull’uscio del negozio per vedere se entrano clienti e riceverli;
  • tutela della sicurezza del lavoro: come può essere una telecamera in un ufficio postale o in una banca per dissuadere i ladri dalla tentazione di fare una rapina;
  • tutela del patrimonio aziendale: basti pensare ad una telecamera posta nei vari reparti del supermercato per evitare che qualche cliente, oppure qualche dipendente stesso, prelevi della merce senza pagarla.

Per far si che queste misure accadano, però occorre una preventiva informazione ai lavoratori con un cartello che sia ben esposto sui luoghi di lavoro. Infatti, va sottolineato che anche se autorizzata dai sindacati, è illegittima la videosorveglianza installata all’insaputa dei dipendenti.

Il non rispetto dei punti sopra indicati va a comportare, in prima battuta, una responsabilità penale del datore di lavoro con sanzioni che sono molto salate.

Quando le telecamere violano la privacy del dipendente?

Dunque, quando è possibile ritenere che la videosorveglianza sui dipendenti possa violare la privacy del lavoratore? Questo è quanto sinteticamente esplichiamo in questo paragrafo.

Qualora non vi siano le condizioni e gli accordi preventivi con i sindacati per effettuare un controllo di videosorveglianza, il datore di lavoro andrebbe incontro ad una violazione e quindi un reato. Va ulteriormente aggiunto che la violazione può verificarsi anche nei seguenti casi:

  • le telecamere sul lavoro sono solo installate ma non ancora funzionanti;
  • è stato dato preavviso ai lavoratori ma non è stato ancora acquisito il consenso dei sindacati;
  • il controllo è discontinuo perché esercitato in locali dove i lavoratori possono trovarsi solo saltuariamente.

La violazione della privacy e quindi un papabile reato si va a configurare anche nel caso di telecamere finte montate a scopo esclusivamente dissuasivo.

Dunque, alla fine della fiera, si può ben dire che questo è quanto vi fosse di più utile e necessario da sapere in merito alla questione annosa della privacy e del controllo sul luogo di lavoro, a discapito di datori di lavoro e dipendenti.

Il datore di lavoro può controllare il computer del dipendente?

Il datore di lavoro può controllare il computer dei dipendenti? A fare chiarezza e a rispondere al quesito ha risposto la sentenza della Cassazione (la numero 25732 del 22 settembre 2021) che ha decretato il freno dei controlli “a tappeto” da parte dell’impresa ai dipendenti. Tuttavia, la stessa sentenza stabilisce la possibilità di controllo su un singolo lavoratore nel caso in cui emergesse il fondato sospetto sulla commissione di un illecito.

Quando è ammesso il controllo del pc di un dipendente e in che modo

Pertanto il controllo è ammesso entro determinati limiti. Innanzitutto, per il sospetto di un illecito il datore di lavoro può controllare il pc di un dipendente anche in assenza delle condizioni poste dall’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori. Ma devono sussistere anche altre due condizioni. La prima consiste nell’equilibrio tra le esigenze di protezione dei beni dell’impresa e la tutela della dignità personale. La seconda impone che il datore svolga il controllo solo sui dati acquisiti dopo che sia insorto il sospetto di illecito.

Il caso della dipendente che visitando siti privati ha causato l’introduzione di un virus informatico

Le regole, in particolare, trovano applicazione nel controllo a distanza dei lavoratori. Ma deve sussistere il sospetto della commissione di un illecito da parte del lavoratore. La Cassazione, nell’esprimere la propria sentenza, era stata chiamata a esprimersi in merito a una controversia di una Fondazione. Il ricorrente aveva licenziato una dipendente per il danno subito alla rete informatica a causa di un virus. Nel dettaglio, dopo controlli fatti sul pc della dipendente, la Fondazione aveva accertato che il virus era stato innescato nella rete dell’azienda proprio mediante un file che era stato scaricato da portali on line aperti per ragioni non lavorative. Il file era stato trovato nella cartella di “download”.

Dipendente licenziata per aver consultato siti web per finalità private sul posto di lavoro

L’azienda aveva licenziato la dipendente sia per la consultazione di portali web per finalità private, sia per aver causato un danno al patrimonio dell’impresa con il suo comportamento. La lavoratrice, invece, aveva impugnato il licenziamento ed era ricorsa al Garante par la privacy per ottenere un provvedimento che intimasse al datore di lavoro l’interruzione di ogni ulteriore trattamento dei dati personali.

Controlli individuali in azienda e a difesa del patrimonio dell’impresa

Il giudizio, dopo varie vicende giudiziarie, è spettato alla Corte di Cassazione che ha emesso la sentenza rispettando anche le novità apportate all’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori dal Jobs Act nel 2015. La Cassazione ha chiarito che è necessario distinguere tra i controlli difensivi svolti per difendere il patrimonio dell’impresa e che riguardano tutti i dipendenti, dai controlli fatti verso un singolo dipendente. I primi rientrano nella disciplina dell’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori e pertanto devono attenersi alle procedure previste dalla normativa a pena di illegittimità dei controlli stessi.

Controlli su un singolo lavoratore da parte del datore: quando sono possibili?

Nei controlli individuali deve esserci il fondato sospetto che il dipendente stia commettendo un illecito.  Il caso in questione non rientra nell’articolo 4, ma riguarda la responsabilità della lavoratrice. La situazione di fatto nasce dalla necessità del datore di lavoro di sanzionare l’illecito avendo il sospetto della commissione dello stesso. Ciò significa che il datore di lavoro, avendo dei sospetti di un fatto illecito, potrebbe fare controlli a distanza. E che tali controlli potrebbero essere eseguiti anche medianti strumenti tecnologici andando al di là, quindi, delle rigide procedure elencate dallo Statuto dei lavoratori.

I limiti dei controlli dei datori di lavoro

Nella sentenza la Cassazione ha posto, in ogni modo, dei limiti nell’azione di controllo dei datori di lavoro. Il primo consiste nel fatto che gli stessi controlli possono essere svolti solo ex post. Ovvero solo dopo che sia nato il sospetto della commissione di un illecito di uno o più lavoratori. Inoltre, i controlli possono riguardare solo il reperimento di informazioni successive alla nascita del sospetto, e non la totalità dei dati e delle informazioni riguardanti anche i momenti precedenti al sospetto dell’illecito. Al contrario, un datore di lavoro senza limitazioni finirebbe per estendere i controlli a dismisura rispetto alla commissione del singolo illecito.

Incentivi delle imprese ai dipendenti: i regali aziendali

Un’impresa, nel mostrare gratitudine verso i dipendenti, spesso opta per il regalo aziendale. Si tratta, nello specifico, dei cosiddetti corporate gift che, pur tuttavia, spesso finiscono nel dimenticatoio. Magari chiusi in un cassetto appena dopo che i dipendenti li hanno ricevuti.

Ecco allora qualche consiglio utile su come scegliere al meglio i regali aziendali. Per esempio, i corporate gift devono essere tutti uguali oppure devono essere sempre diversi tra di loro? E come l’azienda può ‘vendere’ al meglio i propri doni?

Incentivi delle imprese ai dipendenti: come scegliere al meglio i regali aziendali

La prima cosa da decidere sui corporate gift, come sopra accennato, è quella di scegliere tra i regali aziendali tutti uguali, oppure diversi tra di loro. Al riguardo non c’è uno schema o una scelta che sia a priori migliore dell’altra. Pur tuttavia, se si scelgono i regali tutti diversi per i dipendenti, allora è bene che, approssimativamente, questi abbiano tra di loro lo stesso valore.

In più, la scelta di corporate gift diversi tra di loro può offrire un potenziale vantaggio non indifferente. In quanto, volendo, i dipendenti tra di loro possono scambiarsi i doni entrando così in possesso di quelli più graditi. Ed in questo modo, come sopra detto, non si rischierà che poi i regali finiscano ignorati e dimenticati dentro un cassetto.

Quali sono i corporate gift giusti da regalare ai lavoratori?

Dopo aver scelto tra corporate gift tutti uguali e regali aziendali diversi tra loro, l’impresa nello scegliere i doni giusti dovrebbe sempre puntare a regalare qualcosa di utile. O qualcosa che, comunque, possa risolvere un qualche problema o soddisfare una qualche esigenza. Così come i regali aziendali devono essere tali che il dipendente avrà sempre il piacere nel mostrarli agli altri. Mostrando così di essere orgogliosi di lavorare per l’azienda.

L’azienda, per fare in modo che il costo sostenuto per i corporate gift porti all’obiettivo prefissato, ovverosia a quello di intercettare il gradimento dei lavoratori, deve inoltre saper ‘vendere’ i regali nel modo giusto come sopra accennato. In particolare, ed in linea generale, il regalo aziendale, anche se è di poco valore, deve essere sempre unico.

Per esempio con pacchetti e messaggi personalizzati per ogni dipendente. Il regalo, inoltre, deve essere fatto ai lavoratori spiegando il perché è stato selezionato. Così come i corporate gift sono sempre più graditi quando sono inaspettati. Perché, per esempio, il regalo aziendale nel periodo natalizio non è di certo sgradito, ma in ogni caso è fin troppo scontato.

Dove e come acquistare i regali aziendali per i propri dipendenti

Per acquistare i regali aziendali per i propri dipendenti le imprese possono rivolgersi sul web ad e-commerce che sono specializzati proprio nel settore dei gadget. Potendo personalizzare i corporate gift con il proprio logo ed anche in maniera alquanto creativa ed originale. Per esempio, si possono scegliere le magliette, le borracce, le penne USB, le tazze, i portachiavi, shopper ed altri doni utili. Dagli ombrelli alle pochette, e fino ad arrivare alle mascherine ed agli spazzolini da denti.

Come si fa a sapere quanti dipendenti ha una ditta?

Le imprese, non solo in Italia, operano e possono operare nei settori economici più svariati. Così come le imprese si distinguono spesso dalle altre in base al numero di addetti. Basti pensare, per esempio, alle cosiddette multinazionali che hanno migliaia e spesso centinaia di migliaia di dipendenti sparsi per il mondo. Ed in generale l’impresa può essere micro, piccola, media oppure grande. Ma detto questo, e volendo sapere di preciso quanti sono gli addetti, come si fa a sapere quanti dipendenti ha una ditta?

Ecco come si fa a sapere quanti dipendenti ha una ditta

Nel dettaglio, per tutte le ditte che in Italia sono iscritte nel Registro delle Imprese, è facile risalire al numero dei dipendenti grazie alla visura camerale. Nella visura, in particolare, è riportato il numero degli addetti non solo fornito come dato complessivo, ma anche come somma dei dipendenti tra quelli che operano nel quartier generale dell’impresa, e quelli che, eventualmente, lavorano invece nelle unità locali. Inoltre, nella visura camerale c’è indicata pure la suddivisione del numero di addetti tra i lavoratori dipendenti, i lavoratori indipendenti, ovverosia i lavoratori senza vincoli formali di subordinazione, ed i collaboratori.

Inoltre, escludendo i lavoratori indipendenti e gli addetti agricoli, e comunque solo per le imprese con almeno 6 addetti dipendenti, nella visura camerale, oltre al numero degli addetti complessivo ed eventualmente suddiviso tra il quartier generale e le unità locali, come sopra accennato, ci sono pure dei dati percentuali.

E precisamente quelli relativi al tipo di contratto, all’orario di lavoro ed alla qualifica. Nello specifico, per tipologia di contratto nella visura camerale viene riportata tra l’altro, per l’impresa in questione, la percentuale di lavoratori che è a tempo indeterminato, la percentuale di addetti che è a tempo determinato e la percentuale dei lavoratori stagionali.

Mentre per l’orario di lavoro nella visura camerale sono riportati i dati relativi agli addetti a tempo pieno ed a quelli che, invece, lavorano a tempo parziale. La suddivisione per qualifica è invece riportata in percentuale tra il numero di impiegati, il numero di operai, il numero di apprendisti e, tra le altre qualifiche, il numero dei quadri ed il numero dei dirigenti.

Come vengono pubblicati i dati sul numero dei dipendenti di una ditta

I dati sul numero dei dipendenti si una ditta sono pubblicati e sono aggiornati sulla visura camerale con una cadenza che è trimestrale. Il che significa che, su una visura camerale che è stata richiesta e rilasciata a giugno i dati riportati per i dipendenti di una ditta saranno quelli aggiornati alla fine del precedente mese di marzo.

Inoltre, il dato sul numero dei propri dipendenti, da parte di un’impresa, può essere come non può essere dichiarato alla Camera di Commercio in quanto non c’è alcun obbligo in tal senso. Con la conseguenza che, nella visura camerale, il dato sul numero dei dipendenti di una ditta può davvero essere quello fornito dall’impresa, oppure si tratterà di un valore che, a livello statistico, è stato fornito dall’Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale (INPS).

Marzo 2012: Contratti collettivi e retribuzioni

Alla fine di marzo 2012 i contratti collettivi nazionali di lavoro in vigore per la parte economica corrispondono al 67,4% degli occupati dipendenti e al 61,8% del monte retributivo osservato. Nel mese di marzo l’indice delle retribuzioni contrattuali orarie registra una variazione nulla rispetto al mese precedente e un incremento dell’1,2% rispetto a marzo 2011. Nel primo trimestre del 2012 la retribuzione è cresciuta dell’1,3% rispetto al corrispondente periodo del 2011. Con riferimento ai principali macrosettori, a marzo le retribuzioni orarie contrattuali registrano un incremento tendenziale dell’1,7% per i dipendenti del settore privato e una variazione nulla per quelli della pubblica amministrazione. I settori che a marzo presentano gli incrementi tendenziali maggiori sono: tessili, abbigliamento e lavorazione pelli (2,9%), chimiche, comparto di gomma, plastica e lavorazioni minerali non metalliferi e quello delle telecomunicazioni (2,7% per tutti i comparti). Si registrano, invece, variazioni nulle nell’agricoltura, nel credito e assicurazione e in tutti i comparti appartenenti alla pubblica amministrazione. A marzo, per l’insieme dei contratti monitorati dall’indagine, non è stato ratificato definitivamente alcun accordo. Alla fine di marzo la quota dei dipendenti in attesa di rinnovo è del 32,6% nel totale dell’economia e del 12,3% nel settore privato. L’attesa del rinnovo per i lavoratori con il contratto scaduto è, in media, di 27,0 mesi tanto nel totale che nell’insieme dei settori privati.

Applicazioni contrattuali del mese in corso
L’indice orario delle retribuzioni contrattuali a marzo è rimasto invariato rispetto al mese precedente, nonostante l’applicazione di due clausole contrattuali.

Andamento settoriale 
Nel mese di marzo, a fronte di un aumento tendenziale medio dell’1,2%, i settori che presentano gli incrementi tendenziali maggiori sono: tessili, abbigliamento e lavorazioni pelli (2,9%), chimiche, comparto di gomma, plastica e lavorazioni minerali non metalliferi, settore delle telecomunicazioni (per tutti e tre i comparti incrementi del 2,7%), energia e petroli, estrazione minerali (entrambi aumenti del 2,6%). Si registrano, invece, variazioni nulle per l’agricoltura, il credito e assicurazione e per tutti i comparti della pubblica amministrazione.

Copertura contrattuale 
Nel mese di marzo non si sono osservate né scadenze, né rinnovi contrattuali. Alla fine di marzo risultano in vigore 42 accordi, che regolano il trattamento economico di 8,8 milioni di dipendenti; ad essi corrisponde il 61,8% del monte retributivo complessivo. Nel settore privato l’incidenza è pari all’84,3%, con quote differenziate per attività economica: la copertura è del 93,5% per il settore agricolo, del 98,4% per l’industria e del 69,3% per i servizi privati. In totale, i contratti in attesa di rinnovo sono 36 – di cui 16 appartenenti alla pubblica amministrazione – relativi a circa 4,3 milioni di dipendenti (circa tre milioni nel pubblico impiego). A partire da gennaio 2010 tutti i contratti della pubblica amministrazione sono scaduti e rimarranno tali in ottemperanza alle disposizioni della legge 122/2010 all’art. 9 comma 7 che stabilisce il blocco delle procedure contrattuali e negoziali relative al triennio 2010-2012. L’indice delle retribuzioni contrattuali per l’intera economia, proiettato per tutto l’anno sulla base delle disposizioni definite dai contratti in vigore alla fine di marzo, registrerebbe nel 2012 un incremento dell’1,4%. Proiezione dell’indice Con riferimento al semestre aprile 2012-settembre 2012, in assenza di rinnovi, il tasso di crescita dell’indice generale sarebbe pari all’1,4%, con valori lievemente inferiori nei mesi di giugno (1,3%) e settembre (1,2%) Nell’interpretare questi risultati si deve tenere conto dell’incidenza dei contratti scaduti o in scadenza.

Tensione contrattuale
Per l’insieme dell’economia, nel mese di marzo la quota di dipendenti in attesa di rinnovo è pari al 32,6%, invariata rispetto al mese precedente e in diminuzione rispetto a un anno prima (37,8%). In media, i mesi di attesa per i lavoratori con il contratto scaduto a marzo 2012 sono 27, in deciso aumento rispetto a marzo 2011 (15,2). L’attesa media calcolata sul totale dei dipendenti è di 8,8 mesi, anch’essa in crescita rispetto a un anno prima (5,7). Con riferimento al solo settore privato la quota dei dipendenti in attesa di rinnovo è pari al 12,3%, i mesi di attesa per i dipendenti con il contratto scaduto sono 27, mentre l’attesa media è di 3,3 mesi considerando l’insieme dei dipendenti del settore. L’andamento di tali indicatori, che consentono di monitorare la tensione contrattuale per l’intera economia, è presentato nelle successive figure, che riportano la quota di dipendenti con contratto scaduto e la durata (in mesi) della vacanza contrattuale, sia per coloro che attendono il rinnovo (indicatore specifico), sia per l’insieme dei dipendenti appartenenti al settore di attività economica di riferimento (indicatore generico).
Lo rende noto l’Istat.

Fonte: agenparl.it