E-commerce e mobile commerce in Italia e in Europa

All’ e-commerce e alle potenzialità che esso racchiude in sé per lo sviluppo del business nazionale e internazionale delle piccole e medie imprese italiane, Infoiva ha dedicato un focus pochissime settimane fa. Evidentemente ci avevamo visto lungo, perché i numeri che sono usciti dal recentissimo Netcomm eCommerce Forum testimoniano il trend positivo del commercio elettronico in Italia.

Secondo i dati presentati durante il forum, la crescita a due cifre dell’ e-commerce italiano è costante e continua dal 2010 a oggi. Solo lo scorso anno, l’ e-commerce tricolore è cresciuto del 16% e per quest’anno è previsto un ulteriore incremento del 15% che porterà il mercato dell’ e-commerce italiano oltre i 15 miliardi di euro.

Ma non è solo una questione di e-commerce “puro”. Quello che è il vero fenomeno da tenere sotto controllo è il cosiddetto “mobile commerce”, ossia l’acquisto in mobilità attraverso tablet e smartphone: gli acquisti con quest’ultimo device, nello specifico, sono aumentati del 78% nel 2014 e in questi primi mesi del 2015 la loro crescita è del 68% anno su anno. Se proseguisse questo trend, il valore dell’ e-commerce in mobilità alla fine del 2015 sarà triplicato rispetto al 2013: da 610 milioni a 1,8 miliardi.

Se si amplia l’orizzonte dello sguardo e si passa all’analisi delle stime di sviluppo dell’ e-commerce mondiale, la Ecommerce Foundation parla di un controvalore delle vendite di beni e servizi a fine 2015 pari a 2.100 miliardi di dollari su scala mondiale, dai 1.840 del 2014. Un incremento che può sembrare contenuto, ma che porterebbe l’ e-commerce a totalizzare il 5% sul totale complessivo delle vendite retail mondiali. Un’enormità.

Del resto, secondo la Ecommerce Foundation, il 75% degli utenti che accede al web lo fa utilizzando dispositivi mobili. In Europa, le previsioni per il parlano di un fatturato di 470 miliardi di euro in acquisti via e-commerce di beni e servizi, con il gap tra i primi (54%) e i secondi (46%) che si va via via assottigliando.

Sempre restando nel Vecchio Continente, sono oltre 230 milioni le persone che acquistano regolarmente tramite e-commerce e che, con le loro transazioni, fanno in modo che l’indotto creato dal commercio elettronico dia lavoro a circa 2,5 milioni di persone.

Resta comunque da segnalare come, in Europa, le cifre dell’Italia siano ancora lontanissime da quelle che l’ e-commerce genera in Paesi nostri omologhi. Da un lato è scoraggiante, dall’altro stimola a spingere ancora di più sull’acceleratore per sviluppare il più possibile una miniera di potenzialità inespresse. Basti pensare che, nel 2014, il Regno Unito (122 miliardi di euro), la Germania (70) e la Francia (56,8) hanno totalizzato da sole il 60% delle vendite attraverso e-commerce.

E-commerce, le 15 regole d’oro per le aziende

Nei giorni scorsi abbiamo visto come l’ e-commerce in Italia sia in crescita, lenta ma progressiva. Una crescita che, al di là delle ricerche sulla tipologia di utente, sulla tipologia di merce acquista e su dettagli di colore e costume, non può non essere agganciata dalle piccole e medie imprese.

L’ e-commerce, insieme alla propensione all’export, è una delle chiavi che possono aiutare le aziende italiane a superare le secche della domanda interna stagnante e a far ripartire, o migliorare, il proprio business. Ma si fa presto a dire e-commerce

Allestire una vetrina virtuale dei propri prodotti, agganciarvi una piattaforma di pagamento, contare su una logistica performante e sinergica al processo di acquisto sono tutti passaggi che non possono essere improvvisati, pena la creazione di un e-commerce inefficace e una conseguente perdita di tempo e di denaro.

Al di là dei dettagli tecnologici, di web design e di usabilità del proprio sito di e-commerce, è utile ricordare quello che serve per realizzare un sito efficace e che possa garantire di essere ben visibile in rete ai potenziali clienti di ogni impresa. Per questo, affidiamoci ai consigli di John Siebert, uno dei guru americani del web marketing che qualcosa ha da insegnare.

  • Conoscere approfonditamente il target di riferimento dell’azienda, il suo comportamento d’acquisto, le sue aspettative nei confronti dell’azienda e dei suoi prodotti.
  • Utilizzare immagini ad alta risoluzione dei prodotti, in modo che possano essere visualizzati da più angolazioni, come se riproducessero una reale esperienza di acquisto.
  • Oltre alle immagini, utilizzare anche i video per offrire al potenziale acquirente una visione a tutto tondo del prodotto che vorrebbe acquistare.
  • Così come le immagini devono essere ad alta risoluzione, anche le spiegazioni dei prodotti e le didascalie devono essere dettagliate, esaustive e in grado di coinvolgere il potenziale acquirente.
  • La navigazione deve essere chiara, lineare, intuitiva e riprodurre un’esperienza di acquisto da punto vendita, come se l’acquirente si muovesse tra degli scaffali e non in un e-commerce.
  • Favorire la cosiddetta “call to action”: il cliente deve essere accompagnato fino all’acquisto finale senza che abbandoni prima, utilizzando tutti gli strumenti più coinvolgenti per accattivarselo.
  • Al contrario, evitare “call to action” verso altri siti, a maggior ragione quando il cliente sta concludendo il proprio acquisto: quando sta per pagare, deve pensare solo al pagamento.
  • Perché non abbandoni prima dell’acquisto, cercare il più possibile di offrire al cliente la spedizione gratuita, quando il prezzo del prodotto lo permette.
  • Allo stesso modo, il carrello dell’ e-commerce deve essere visibile al potenziale cliente in ogni momento della navigazione. L’esperienza di navigazione raccomanda di posizionare l’icona del carrello nell’angolo alto a destra della pagina.
  • Anche la barra di ricerca deve essere sempre visibile durante la navigazione: migliora la usability del sito e soddisfa il cliente.
  • Creare una vetrina sul sito di e-commerce nella quale posizionare i prodotti che potrebbero interessare di più ai potenziali clienti, esattamente come accade nella vetrina di un negozio reale.
  • Evidenziare promozioni e sconti già dalla home page. Accrescono la fidelizzazione e aumentano il tasso di conversione.
  • Spesso il cliente che si avvicina per la prima volta all’ e-commerce è diffidente; più informazioni di contatto fornite (e-mail, telefono, Skype…), più il cliente avrà fiducia in voi.
  • Garantire differenti modalità di pagamento per clienti con un differente grado di maturità nell’approccio a internet: spesso molti sono diffidenti nell’ e-commerce perché non trovano sicuro inserire i dati della propria carta di credito.
  • La semplicità prima di tutto. Il sito di e-commerce deve parlare e spiegarsi da solo e l’utente deve capire subito, durante la navigazione, in che punto si trova e che cosa sta per fare.

E-commerce, agli italiani piace mobile

Lo shopping online è un’esperienza d’acquisto che ha innumerevoli aspetti positivi. Uno di questi è il fatto che l’ e-commerce può essere praticato in mobilità e ovunque ci si trovi. È questa la sua forza principale, che fa sì che il 79% degli italiani (a fronte di un 75% di europei) si dica soddisfatto della propria esperienza d’acquisto online, almeno stando ai risultati dello studio Ups Pulse of the Online Shopper.

Noi italiani, per quanto possa sembrare strano, siamo più avanti in fatto di e-commerce anche su un altro fronte: quello degli acquisti in mobilità. Secondo lo studio Ups, infatti, gli acquirenti dell’online scelgono soluzioni multicanale, con la maggioranza di europei e asiatici (il 79%) che utilizzano il canale mobile. In Italia, però, il 58% di chi fa e-commerce acquista tramite smartphone e il 75% tramite tablet. La media europea è, rispettivamente, del 50 e del 60%.

Ma chi è l’italiano medio dell’ e-commerce? Secondo Ups, ha 40 anni, un lavoro a tempo indeterminato e una retribuzione che oscilla tra i 15mila e 30mila euro all’anno, vive in città (58%) e ha un nucleo familiare composto da 3-4 persone (61%).

Per lui, come per gli altri soggetti analizzati nello studio, rimangono ancora alcune zone grigie per quanto riguarda l’ e-commerce che spaventano parte dei potenziali acquirenti, che vorrebbero un controllo maggiore sulle procedure di spedizione e di consegna. La flessibilità nelle consegne e quella nei resi, infatti, sono nell’analisi Ups le aree con il livello di soddisfazione più basso nel mondo, a differenza, per esempio, della disponibilità di siti internet nella lingua locale o preferita (73%) e le possibilità di pagamento e consegna internazionali (63%), che in Europa hanno riscosso il maggior livello di soddisfazione con il 73 e il 63% del totale.

Ci sono poi i discorsi resi e spese di spedizione. Secondo lo studio Ups, una politica di resi semplice e chiara induce i consumatori europei a esprimere commenti positivi sul retailer e a tornare da lui ad acquistare. Non a caso, il 50% degli acquirenti online in Italia sostiene che la facilità dei resi e dei cambi va migliorata, il 73% legge la politica dei resi prima di acquistare online, il 66% sarebbe disposto a fare più acquisti da rivenditori con una politica dei resi semplice.

Per quanto riguarda le spese di spedizione, sono queste il maggior motivo di abbandono del carrello in prossimità dell’acquisto da parte degli italiani, che avviene nell’88% dei casi. I costi di spedizione, infatti, nel 54% dei casi fanno aumentare la spesa più del previsto e, purtroppo, quasi mai sono indicati prima dei passaggi finali. Ragion per cui, la maggior parte degli italiani che ricorre all’ e-commerce (70%) considera fondamentale la consegna gratuita.

Tornando in Italia, l’ e-commerce tricolore ha un’altra caratteristica che lo distingue da quello del resto del mondo: il rapporto con i social media. Se, infatti, meno della metà degli europei mette “Mi piace” sulla pagina Facebook del brand presso cui fa shopping, lo fa invece il 70% degli italiani. Un dato che li avvicina all’81% totalizzato dai consumatori asiatici.

E-commerce del vino, un’occasione mancata

Come abbiamo scritto ieri, l’ e-commerce è una straordinaria opportunità da non perdere per tutte quelle piccole e medie imprese italiane che vogliono restare sul mercato, aumentare i fatturati e proporsi a una clientela potenzialmente globale. Peccato, però, che ci troviamo prigionieri di paradossi anche nei campi dove le nostre Pmi potrebbero fare la differenza.

Prendiamo il campo del vino, per esempio, dove la ricerca del sito di e-commerce Tannico.it “La rivoluzione dei canali online nel mercato del vino” ha messo in luce una stranezza tutta italiana. Secondo quanto emerge dallo studio, infatti, pur essendo il nostro Paese il secondo produttore mondiale di vino, è l’ultimo nella vendita online tra i grandi produttori mondiali, con una percentuale ridicola: 0,2%.

E dire che le cifre della produzione e del mercato sono di tutto rispetto: 4,4 milioni di ettolitri annui prodotti, per un business da 14,6 miliardi di euro. Eppure, per quanto l’ e-commerce di vino in Italia faccia registrare crescite del 30% annuo, lo 0,2% di cui sopra ci pone ben lontani dalla media mondiale dell’1,8% e taglia fuori le nostre Pmi da mercati in espansione come, per esempio, quello cinese.

Proprio la Cina, secondo Tannico.it, è il Paese con la penetrazione del canale online più alta (27%), perché il consumatore cinese considera l’ e-commerce il mezzo più efficace e rapido per accedere al mercato del vino che, nel Paese asiatico, è pressoché privo di canali di vendita diretta.

Proprio quelli che, invece, abbondano in Italia e che fanno sì che i consumatori nostrani si indirizzino sempre e comunque sul punto vendita fisico. Secondo Tannico.it, infatti, in Italia nella grande distribuzione si concentra l’86,3% delle vendite, mentre il rimanente 13,7% se lo dividono la vendita diretta e l’ e-commerce.

Da un lato, quindi, vi è uno scarso utilizzo dell’acquisto online da parte del consumatore, dall’altro una scarsa propensione da parte di imprese vinicole e cantine nell’utilizzare l’ e-commerce per vendere i propri prodotti. Chi lo fa, utilizzando marketplace propri o affidandosi a siti come Tannico.it, può quindi vendere tanto in Italia quanto all’estero.

E se all’estero ancora l’esposizione del nostro e-commerce deve ingranare, dalle dinamiche di acquisto in Italia analizzate dal sito emergono dati interessanti. Intanto, la Valle D’Aosta è la regione con lo scontrino medio più alto (141,02 euro), seguita da Sardegna (104,08 euro) e Umbria (103,79 euro). Non stupisce che in fondo alla classifica, con una spesa media intorno ai 100 euro, ci siano regioni molto “vinicole”: Triveneto, Emilia-Romagna e Piemonte.

Altro dato interessante è la vivace mobilità extra regionale dei vini, ossia si tendono ad acquistare online vini di altre regioni e non autoctoni. Ecco così che il Gewurztraminer va forte in Calabria, Campania e Sicilia e il Lambrusco in Calabria, Puglia e Valle D’Aosta. Significativo, in questo senso, il commento di Marco Magnocavallo, fondatore di Tannico.it: “L’ e-commerce del vino si mostra un’efficace strumento per ‘esportare’ il vino non solo all’estero, ma anche in aree del Belpaese diverse da quelle di origine. I produttori di vino che si aprono al canale e-commerce possono così accedere a un mercato più ampio, non legato al territorio di produzione e basato esclusivamente sulla domanda dei clienti”.

E-commerce avanti piano

Piano piano, il luogo comune che vuole l’italiano poco propenso all’ e-commerce per ragioni più culturali che di capacità si sta affievolendo. Lo testimonia un’indagine del Censis, secondo la quale sono 15 milioni gli italiani che acquistano regolarmente online (erano 9 nel 2011), il 43,5% degli utenti italiani della rete.

Secondo il Censis, il fatturato dell’ e-commerce in Italia ha cominciato a crescere in maniera sensibile e interessante, specialmente per le Pmi che vogliono utilizzarlo come canale di vendita: dagli 11,27 miliardi del 2013 ai 13,3 del 2014 (+20%). Se si pensa poi che quando sono iniziate le rilevazioni, nel 2006, il fatturato era di 4,1 miliardi, si capisce meglio la dimensione della crescita.

Sono cifre che, in confronto a quelle di altri Paesi europei o dei big extraeuropei sono noccioline, ma in termini assoluti sono incoraggianti per una realtà come quella italiana. Specialmente se si considera la percentuale di scettici cronici nei confronti dell’ e-commerce, che in Italia resiste solidamente al 24,4%.

Come scritto all’inizio, si tratta sostanzialmente di riserve di natura più che altro culturale. Le persone che ripongono scarsa fiducia nell’ e-commerce lo fanno soprattutto perché temono truffe di qualunque natura. Che ci sono, è inutile negarlo. Stando alle denunce che ogni giorno riceve l’Antitrust, le principali lamentele riguardano la mancata consegna del prodotto o il mancato rimborso del prezzo pagato al momento dell’ordine online a fronte della mancata consegna di quanto acquistato; il mancato riconoscimento del diritto di recesso o della garanzia; l’impossibilità di mettersi in contatto con il venditore.

Il 28,7% degli italiani che hanno a che fare con l’ e-commerce teme che dietro allo scontrino virtuale si celino truffe, anche legate al sistema dei pagamenti, mentre il 23,2%, lamenta la freddezza dell’esperienza di acquisto online, priva del contatto umano. Non mancano quanti esprimono dubbi legati al buono stato del prodotto: il 21,8% di chi compra online teme infatti che la consegna avvenga in ritardo o con prodotti difettosi o sbagliati.

Insomma, se per l’utente finale l’esperienza dell’ e-commerce oscilla tra l’esaltazione e la paura, per le Pmi è uno strumento dal quale diventerà sempre più difficile prescindere, pena l’essere tagliati fuori dal mercato globale con ingenti ricadute sui fatturati.

Un accordo per il made in Italy in Cina

Che il made in Italy in Cina si venda da solo è una leggenda cui è pericoloso credere. Pericoloso perché le eccellenze italiane hanno comunque bisogno del supporto giusto per sfondare su un mercato chiave che va però educato al bello e al gusto.

Nella direzione di questo supporto alla vendita del made in Italy in Cina va l’iniziativa E-Marco Polo, lanciata da Intesa Sanpaolo, UniCredit e, soprattutto, da Alibaba Group, colosso cinese del web, attraverso la sua piattaforma di e-commerce Tmall Global.

Con E-Marco Polo i nostri prodotti si avvalgono di un supporto di prim’ordine per industrializzare il processo di ingresso delle eccellenze del made in Italy in Cina, presentate attraverso la piattaforma di Alibaba, player di riferimento per i marchi stranieri in Cina. In questo modo, tali brand potranno farsi conoscere da milioni di consumatori cinesi anche se non fisicamente presenti nei confini del Paese.

E-Marco Polo è il naturale proseguimento del Memorandum of Understanding firmato a giugno 2014 tra il governo Italiano e il gruppo Alibaba. Intesa Sanpaolo e UniCredit realizzeranno su Tmall Global una vetrina per accedere a una selezione di brand italiani acquistabili online, in modo da promuovere e spingere il made in Italy in Cina attraverso le piccole e medie imprese dell’eccellenza del nostro Paese.

eBay dà una mano all’ enogastronomia italiana

Finalmente un po’ di sensibilità nei confronti dell’ enogastronomia italiana da parte dei big del commercio elettronico. eBay ha infatti annunciato che, a partire dal 2 aprile prossimo, azzererà le commissioni sul valore finale pagate dal venditore professionale sul prezzo del prodotto venduto online attraverso la piattaforma di e-commerce del proprio sito italiano.

Del resto, per eBay il food in generale e l’ enogastronomia italiana in particolare sono due galline dalle uova d’oro. Nel 2014, le categorie food del sito italiano hanno fatto registrare una crescita del 17%, con un valore medio d’acquisto di 31 euro. E le previsioni di eBay per il 2015 sono di un ulteriore incremento.

Una crescita in valore che, specialmente per l’ enogastronomia italiana, ha dei grandissimi margini di miglioramento se, come ha rivelato un’indagine dell’osservatorio del Politecnico di Milano, nel 2014 il comparto del food ha cubato solo l’1% del totale del commercio elettronico in Italia, contro, per esempio, il 13% del Regno Unito.
Una mossa, quella di eBay, che è una grossa mano per l’ enogastronomia italiana, anche in vista di Expo2015 e del focus che l’esposizione universale ha sul cibo. Ricordiamo che, attualmente, i venditori professionali che su eBay operano nelle categorie food pagano una commissione dell’8,7% sul prezzo del prodotto venduto. Questa commissione si azzererà tra meno di un mese.

Un’agevolazione all’ enogastronomia italiana che arriva anche dall’azzeramento delle tariffe d’inserzione per i venditori professionali.

Come ha sottolineato Claudio Raimondi, Country manager di eBay in Italia, durante una tavola rotonda organizzata da eBay con il ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, Aicig (Associazione Italiana Consorzi Indicazioni Geografiche), “l’enogastronomia italiana gioca un ruolo strategico nell’economia così come nel markeplace eBay. Questa iniziativa è parte di una più ampia strategia finalizzata a supportare le aziende italiane, in particolare le PMI, fornendo loro una piattaforma di business unica, capace di sostenere i loro affari e le loro strategie d’internazionalizzazione a costi contenuti, in modo sicuro, completo e affidabile“.

Regali di Natale online, occhio alle truffe

Anche per questo Natale, come di consuetudine durante le Feste, gli acquisti aumentano notevolmente, sia online sia nei negozi tradizionali. E, soprattutto per chi acquista regali di Natale online, la frode è dietro l’angolo se non si sta attenti. Sfortunatamente, infatti, lo shopping online non finisce sempre bene per i clienti.

Da una recente indagine condotta da Kaspersky Lab – la più grande azienda privata del mondo che produce e commercializza soluzioni di sicurezza per gli endpoint – e B2B International è emerso che quasi la metà degli intervistati che hanno perso del denaro durante una transazione online fraudolenta non lo ha più recuperato o ne ha recuperato solo una parte. Per questa ragione Kaspersky Lab ci tiene a ricordare, a tutti gli utenti che si sono rivolti alla rete per i loro acquisti natalizi, la necessità di proteggere le proprie transazioni digitali, specialmente in un periodo in cui i furbi approfittano di chi acquista regali di Natale online.

Sebbene molte istituzioni finanziarie dichiarino la propria disponibilità a rimborsare il denaro perso a causa del cybercrimine, solo il 56% degli intervistati da Kaspersky Lab ha riferito di aver recuperato tutto il denaro perduto. Il 16% delle vittime ha ricevuto solo un rimborso parziale e il 28% non ha ottenuto alcunché. In alcuni Paesi, come la Russia, il 58% degli intervistati ha dichiarato di non aver mai potuto sperare nella possibilità di ricevere un rimborso e solo il 13% ha ricevuto una parte del denaro rubato.

La situazione, secondo Kaspersky Lab, è esacerbata dal fatto che non tutti gli utenti sono completamente consapevoli del pericolo delle frodi informatiche, nemmeno quando devono acquistare regali di Natale online: il 16% degli intervistati crede che il crimine online che coinvolge il furto di denaro non sia così comune e il 22% crede che non sarà mai preso di mira dei cyberattacchi. Tuttavia, le statistiche mostrano che circa il 43% degli utenti è stato vittima di qualche minaccia finanziaria online almeno una volta nell’ultimo anno.

Come ricorda Morten Lehn, Managing Director di Kaspersky Lab Italia, “le frodi online possono costare somme considerevoli di denaro: secondo la nostra indagine la somma media che i criminali informatici sono riusciti a rubare è stata di 180 euro ma nel 18% dei casi ha superato addirittura gli 800 euro”.

A Natale boom online per il made in Italy

Il made in Italy dovrebbe essere una priorità da valorizzare in ogni momento dell’anno, ma è innegabile che a Natale trova uno dei suoi momenti di massimo splendore. Anche online. Lo conferma il sito di e-commerce eBay.it, secondo i cui dati interni i venditori italiani esporteranno più di 450mila oggetti durante la stagione natalizia: un dato in crescita rispetto ai 372mila del 2013.

Secondo eBay.it i prodotti di punta del made in Italy commercializzati online saranno soprattutto oggetti da collezione e capi d’abbigliamento, seguiti da ricambi, accessori e prodotti di elettronica. I mercati di destinazione saranno prevalentemente, Stati Uniti, Canada, Australia e Cina al di fuori dell’Europa e Spagna, Francia, Polonia, Germania e Regno Unito in Europa.

Secondo i dati di eBay.it, il made in Italy rivela tutta la sua preziosità se si guarda al prezzo medio degli oggetti italiani acquistati. Al di fuori dei nostri confini, il made in Italy è ricercato, apprezzato e non ci si fanno troppi problemi a pagarlo il giusto. Il prezzo medio di vendita degli made in Italy, secondo i dati di eBay.it, è di circa 74 dollari, quasi tre volte quello dei prodotti esportati dai venditori inglesi (27 dollari) e molto superiore anche a quello di americani (48 dollari) e tedeschi (49 dollari).

Anche in questo caso, il mercato cinese si dimostra attento e peculiare rispetto al made in Italy. Il Paese è infatti agli ultimi posti per volume di oggetti, ma ha il prezzo medio più alto (112 dollari), segno che i consumatori cinesi apprezzano il made in Italy di alta qualità. In termini di volumi delle transazioni sul made in Italy, la classifica vede sul podio Germania, Stati Uniti e Francia.

Pmi: solo l’11% è online

Una ricerca condotta da Fondazione Nord Est insieme ad UniCredit ha fatto emergere qualcosa che, probabilmente, si sospettava già.

La percentuale delle imprese italiane che investono nel web e sono quindi presenti online con le loro proposte e i loro prodotti va di pari passo con la grandezza delle aziende stesse: più grandi sono le imprese e più è possibile trovarle in internet mentre, al contrario, la presenza delle pmi è ancora molto scarna.

Nonostante ciò, però, e nonostante la crisi, le pmi del Nordest che hanno deciso di buttarsi nell’internet economy stanno riscuotendo buoni risultati, destinati ad aumentare in futuro perché di grandi potenzialità.

L’indagine della Fondazione Nord Est ha in particolare curato l’uso delle tecnologie nel Made in Italy.
E’ emerso che nel 2014 un’azienda su quattro (25,4%, 21,6% a Nord Est) non ha un sito web aziendale e tre aziende su quattro (73,5%, 77,3% a Nord Est) non utilizzano i social network nella promozione del proprio prodotto.

Benchè i numeri non siano ragguardevoli, la distanza dalle medie imprese europee risulta assolutamente colmabile, poiché la media Ue si assesta al 14%, con la Germania che spicca al 22%, mentre la Francia è ferma all’11%.

Ma perché, dunque, la internet economy non attecchisce?
Tra le motivazioni c’è la tipologia di prodotto (52,9%), seguita dalla logistica (34,5), l’eccessivo costo di implementazione rispetto ai risultati attesi (33,4) e la mancanza di infrastrutture (29,9).

Le imprese che, invece, sono proiettate verso l’e-commerce sono soprattutto quelle di grandi dimensione (28,6%), e nell’84,2% dei casi utilizzano il proprio sito web.
Più attivi sono i settori di moda e arredamento.

Francesco Peghin, presidente di Fondazione Nord Est, ha dichiarato: “L’indagine mette in evidenza la debolezza del sistema imprenditoriale italiano rispetto all’utilizzo degli strumenti online ma anche il grande sforzo compiuto dalle piccole imprese per rimanere competitive attraverso l’apertura di nuovi mercati. Nonostante la crisi iniziata nel 2009, dal 2004 le loro esportazioni sono infatti cresciute di oltre il 30%. Un dato che mostra le notevoli capacità imprenditoriali e di innovazione presenti anche nelle piccole imprese del Nordest. Capacità spesso tarpate da un contesto Paese che ne affossa l’intraprendenza. È quindi prioritario avviare azioni di politica economico-industriale che corroborino le potenzialità di crescita di queste realtà che potrebbero essere un importante motore di sviluppo futuro“.

Ha poi aggiunto Romano Artoni, deputy regional manager di UniCredit: “Le aziende che hanno innovato non solo nella produzione ma anche nei format distributivi sono quelle che meglio competono, crescono e traguardano nuovi mercati. Condividiamo con Fondazione Nord Est un percorso teso a trasmettere fiducia, competenze e best practice nell’utilizzo delle nuove tecnologie“.

Vera MORETTI