Cosa sono le economie di scala e perché sono vantaggiose per le aziende

Le aziende, periodicamente, al fine di mantenere un adeguato livello di redditività hanno bisogno di tagliare i costi. E nel farlo in genere ci sono tanti potenziali e possibili soluzioni. Al riguardo, quando è possibile, le aziende riescono a calmierare i costi, con benefici per gli utili futuri, attraverso le cosiddette economie di scala. Vediamo allora, nel dettaglio, quando un’economia si definisce di scala, e quali sono, di conseguenza, tutti i vantaggi che in merito un’impresa può andare a sfruttare.

Cos’è un’economia di scala e come si ottiene

Per definizione, l’economia di scala è un fenomeno che porta l’azienda ad essere più efficiente grazie alla riduzione dei costi, permettendo inoltre di vendere più prodotti o servizi generando un conseguente aumento dei ricavi.

Per l’impresa, quindi, l’economia di scala porta sempre ad un aumento dei margini di guadagno. Cosa che può avvenire attraverso gli investimenti, oppure con operazioni di trasformazione societaria. Ovverosia, per esempio, attraverso operazioni di fusione o di acquisizione. Ma anche attraverso una riorganizzazione societaria e, quindi, per linee interne.

Esempi di economie di scala attraverso investimenti in infrastrutture materiali e immateriali

Per esempio, attraverso gli investimenti, molte imprese beneficiano di economie di scala che sono derivanti dall’ammodernamento di attrezzature e di macchinari. Il che porta a rientrare dall’investimento effettuato in tempi relativamente brevi. Non solo attraverso una maggiore produzione, ma anche attraverso, spesso, un forte miglioramento della qualità dei prodotti che possono essere messi in commercio. Avere macchinari moderni ed efficienti, infatti, significa abbassare il costo unitario di un singolo prodotto, e di produrre di più andando a ridurre le inefficienze davvero al minimo.

Gli investimenti per ottenere le economie di scala, inoltre, possono essere anche immateriali. Per esempio, un’azienda che investe rinnovando il proprio portale di e-commerce o adottando dei  software evoluti che garantiscono efficienza e sicurezza ai propri sistemi informatici.

Quando mettere in atto e quando sfruttare al massimo le economie di scala

In genere le economie di scala si sfruttano quando la domanda dei beni o dei servizi proposti al mercato è elevata. E quindi c’è bisogno, al fine di massimizzare i profitti, di dover produrre sempre alla massima capacità. Quindi, nello stesso tempo, per investire al fine di avvantaggiarsi delle economie di scala la fluttuazione della domanda, in ogni caso, può essere anche un fattore di rischio.

Congiuntura, il 2016 parte bene ma il 2015 ha fatto meglio

I dati sulla congiuntura economica relativi all’inizio del 2016 indicano un avvio di anno complessivamente positivo, ma in rallentamento rispetto al 2015, a conferma di un’economia che avanza lentamente. 

I dati congiunturali derivano dall’indagine relativa al primo trimestre 2016, che ha riguardato un campione di più di 2.600 aziende manifatturiere, suddivise in imprese industriali (1.576 imprese) e artigiane (1.190 imprese).

Nel primo trimestre 2016 si registra un rallentamento della crescita della produzione industriale, con variazioni congiunturale (+0,1% dato destagionalizzato) e tendenziale (+1,3%) entrambe positive, ma inferiori ai risultati di fine 2015 (+0,4% congiunturale e +1,9% tendenziale).

Anche per le aziende artigiane manifatturiere la congiuntura a inizio 2016 registra una decelerazione della produzione rispetto ai risultati dello scorso anno, con la variazione tendenziale al +0,7% e la variazione congiunturale che torna negativa al -0,3%.

L’indice della produzione industriale non riesce a superare quota 99, mantenendo la distanza dal massimo pre-crisi intorno ai 9 punti percentuali.

Per le aziende artigiane l’indice della produzione scende a quota 70,4, ma rimane quasi tre punti rispetto al minimo di inizio 2013, recupero realizzato quasi interamente nel corso del 2015, anno caratterizzato da una discreta congiuntura economica.

Per quanto riguarda i settori produttivi, la dinamica tendenziale della produzione risulta essere ancora differenziata, con i 13 settori oggetto di analisi divisi in due tra crescita e contrazione. Guidano i settori in ripresa: chimica e mezzi di trasporto (+2,7%), seguiti da siderurgia (+2,4%), gomma-plastica (+2,3%), meccanica (+1,7%), carta-stampa e legno-mobilio (+1,0%).

Tra i settori negativi metà presenta variazioni della congiuntura di poco inferiori allo zero (abbigliamento -0,2%; tessile -0,6%; alimentari -0,8%) quasi assimilabili ad una stazionarietà dei livelli produttivi; i restanti sono i settori che più hanno risentito della crisi e ancora non accennano a riprendersi (minerali non metalliferi -3,2%; industrie varie 
-2,4%; pelli-calzature -1,4%).

Anche per l’artigianato a livello settoriale la situazione è eterogenea, con il segno positivo che caratterizza circa metà dei comparti. I cinque settori in espansione sono guidati dalle industrie varie (+6,1%), dalla gomma-plastica (+5,9%), l’alimentare (+2,4%) e la meccanica (+1,0%). In leggera crescita la carta-stampa (+0,5%). In contrazione il comparto moda (abbigliamento: -3,9%; tessile: -2,5%; pelli e calzature: -2,1%), a cui si aggiunge la siderurgia (-2,2%), i minerali non metalliferi (-1,5%) e il legno-mobilio 
(-0,4%).

Lo spaccato dimensionale presenta dati di congiuntura sulla produzione positivi per tutte e tre le classi, ma con differenti velocità: più intensa in questo trimestre per le grandi (+1,6%) e più contenuta per medie e piccole imprese (+1,2%), schema che si ripresenta anche per l’artigianato con le imprese più piccole, con un numero di addetti compreso tra 3 e 5, che registrano i risultati peggiori (-0,7%) e quelle di dimensioni maggiori che mantengono crescita tendenziale (+1,1% le imprese da 6 a 9 addetti e +1,7% quelle con più di 10 addetti).

L’occupazione per l’industria presenta un saldo positivo significativo (+0,7%) grazie a una consistente contrazione delle uscite (1,1% il tasso d’uscita) e ad una tenuta degli ingressi (1,8% il tasso d’ingresso). In rallentamento anche il ricorso alla cassa integrazione, con una quota di aziende che dichiara di aver utilizzato ore di cassa integrazione che scende al 13,2%, e la quota sul monte ore al 2,0%.

Le aspettative degli imprenditori industriali per la domanda estera e interna si stabilizzano sui livelli di fine 2015. Per la produzione il saldo rimane in area positiva ma si riduce ulteriormente a causa di un incremento dei pessimisti, mentre la quota degli imprenditori che non prevedono variazioni della congiuntura rimane stabile al 58%. In leggero miglioramento le aspettative sull’occupazione, ma rimane elevata la quota di imprenditori che non prevede variazioni nei livelli (84%).

Baretta: “Finanziamo con 2 mld l’abolizione della rata dell’Imu”

 

Sembrerebbe avere le idee chiare il viceministro dell’Economia Baretta per quanto riguarda le prossime mosse del governo sul fronte Imu. L’abolizione della rata di giugno sarà finanziata da uno stanziamento di 2 miliardi che verrà disposto dall’esecutivo entro il prossimo 30 agosto per non far scattare la clausola di salvaguardia, mentre il successivo versamento di dicembre potrà essere cancellato sostituendo l’Imu con l’entrata in vigore per decreto di una nuova imposta federale, modello “service tax”, fin dal prossimo primo settembre.

All’agenzia Agi il vice di Saccomanni dichiara: “L’agenda dei prossimi giorni è densa di impegni per il bilancio dello Stato del 2013, occorre sciogliere il nodo dell’Imu, che comporterà una spesa dai 2 ai 4 miliardi, evitare l’aumento dell’Iva con uno stanziamento di un miliardo, rifinanziare la Cassa integrazione guadagni, ancora un miliardo, trovare la copertura per l’abolizione della Tares con un altro miliardo e poi il provvedimento sugli esodati”.

Venturi bacchetta Monti: “Economia reale? L’Italia è fatta soprattutto da Pmi”

“Accogliamo con soddisfazione le parole del premier Mario Monti, che in Russia ha dichiarato che, per risollevarsi dalla crisi, occorre puntare sull’economia reale. Vorremmo, però, – dichiara il Presidente di Confesercenti Marco Venturi – che il Presidente del Consiglio tenesse conto che, in Italia, economia reale vuol dire soprattutto piccole e medie imprese, che sono più di 4 milioni e duecentomila, producono circa il 60% del valore aggiunto italiano e occupano oltre 14 milioni e mezzo di addetti. Imprese che, durante la crisi, sono state messe in difficoltà da una pressione fiscale sempre più elevata, che colpisce soprattutto PMI, cittadini e consumi interni”.

Per puntare davvero sull’economia reale, chiediamo una forte e coraggiosa inversione di tendenza, che parta da tagli sostanziali della spesa pubblica per ridurre le tasse e il costo del lavoro. Solo così sarà possibile ridare ossigeno alle piccole e medie imprese, che sono il pilastro dell’economia e che finora non hanno goduto della giusta attenzione considerando il ruolo primario da loro svolto in termini di occupazione e crescita economica”.

Confesercenti: la sfida per far ripartire il Paese

“Dobbiamo affrontare un problema urgente, sottolinea Confesercenti, riavviare il circuito della crescita: tagli coraggiosi di spesa e riduzione della pressione fiscale restano la via maestra per contrastare la recessione ed invertire un senso di marcia pericolosamente suicida.

Serve un taglio drastico di alcune voci di spesa corrente dove si annidano gli sprechi ed occorre avviare una riduzione graduale e consistente delle tasse che pesano sulle famiglie e sulle imprese, per ridare una boccata d’ossigeno all’economia e far ripartire il Paese”.

Fonte: Confesercenti.it

Il 99% degli Italiani preoccupato per il lavoro

Il futuro economico dell’Italia spaventa un po’ meno, ma sulle prospettive di lavoro l’allarme resta a livelli di guardia: il 99% della popolazione, praticamente tutti, si dice preoccupato. L’osservatorio Confesercenti-Ispo sulla crisi fotografa un’Italia ancora in affanno, con poche certezze e molte paure. Anche perché la crisi continua a colpire duramente: ormai un quarto delle famiglie (il 25%) rivela di essere stata direttamente coinvolto dalla crisi, vuoi per la perdita di posto di lavoro o per la messa in cassa integrazione di uno dei propri membri. Un dato in significativo aumento (+11%) rispetto a novembre 2011.

Le prospettive del Paese: una timida speranza
Pure in una situazione di elevatissimo allarme nei confronti della crisi economica, che certamente non è alle spalle, si comincia a intravedere qualche segnale di distensione.Il livello di preoccupazione per la situazione economica è elevato e coinvolge tutta la popolazione, ma rispetto a novembre 2011 calano di 8 punti percentuali coloro che si dicono molto preoccupati. Stesso andamento anche per l’economia della regione, con una diminuzione di 7 p.p. dei più allarmati. Questa seppur debole “boccata d’aria” si rileva anche nei confronti delle prospettive per il futuro, dove è più che raddoppiata la quota di italiani che intravede una ripresa dell’economia nel prossimo anno: dal 19% di novembre 2011 al 42% di oggi.

Il lavoro
È invece praticamente unanime il timore degli italiani sul tema lavoro del Paese. Il 99% degli intervistati si dice preoccupato per l’andamento dell’occupazione: calano leggermente i “molto preoccupati” (che passano dal 71% di novembre al 68% di oggi) ma aumenta chi si dice “abbastanza preoccupato” (dal 26% al 31%). Praticamente scomparsi i “sicuri”: adesso chi si definisce “poco preoccupato” è solo l’1%. Ad avere paura sono soprattutto i giovani: il maggior dato di “molto preoccupati” si registra infatti tra i 18-24enni (81%) e i 35-44enni (75%). Ma il timore colpisce anche le realtà più marginali del Paese, come i residenti in piccoli centri, con meno di 5.000 abitanti, con una quota del 72%, i lavoratori con qualifiche meno elevate (72%), gli studenti (73%) e, ovviamente, i disoccupati (82%), che vedono decisamente nero. Ma ha comprensibilmente paura anche chi nella propria famiglia ha vissuto la perdita del lavoro o la cassa integrazione (81%).

Chi ha paura di essere licenziato
Se la situazione generale del mercato del lavoro spaventa, è invece per la prima volta in calo, dall’inizio del 2011, la preoccupazione di chi il posto di lavoro ce l’ha già. La quota di “preoccupati” rimane comunque maggioritaria, e coinvolge 7 italiani su dieci: si passa infatti dal 77% al comunque pesante 69%. Il 37% del totale è “molto preoccupato”: soprattutto donne (41%) giovani tra i 25 e i 34 anni e tra i 35 e i 44 (rispettivamente 42% e 43%) e chi nella propria famiglia ha vissuto la perdita del lavoro o la cassa integrazione (52%).

Le famiglie sono sempre più colpite dalla crisi…
Aumentano, infatti, i nuclei familiari che hanno pagato la crisi sulla propria pelle. Il 19% (pari a 4.560.000 famiglie) dichiara di aver vissuto la perdita del posto del lavoro di un proprio caro. È un dato in deciso aumento, che segna il 7% in più rispetto a novembre. In crescita (+8%) anche i cassaintegrati: il 14% delle famiglie rivela di avere un parente che ha usufruito o prevede di usufruire degli ammortizzatori sociali, per un totale di 3.360.000 nuclei. In totale, le famiglie che risultano direttamente coinvolte dalla crisi sono il 25%, con un aumento di 11 punti percentuali rispetto a novembre. Si è tornati ad essere vicini, insomma, ai livelli di febbraio 2010. Da notare come la crisi unisca nord e sud: le aree più colpite sono il Nord Est (28%) e Sud e Isole (28%). Vanno un poco meglio Nord Ovest (23%) e Centro (22%).

…e temono per la loro situazione economica.
Ancora diffuse, quindi, le preoccupazioni delle famiglie per la propria condizione economica. Ad essere molto o abbastanza preoccupati sono l’86%: anche in questo caso, sono soprattutto 35-44enni (51%), lavoratori con qualifiche meno elevate (51%), casalinghe (53%), disoccupati o persone in cerca di 1ᵃ occupazione (60%) e chi nella propria famiglia ha vissuto la perdita del lavoro o la cassa integrazione (55%).

La stretta del Credito
Prospettive nere anche sulla situazione del credito nel Paese: il 68% degli intervistati, circa due italiani su tre, è preoccupato dalla difficoltà di ottenere prestiti e finanziamenti. Il livello massimo di timore si registra tra i lavoratori meno qualificati (86%), i giovani tra i 18 e i 34 anni (74%) e gli imprenditori (72%).

La crisi e le PMI
La preoccupazione degli imprenditori per il credito si innesta in uno stato più generale di timore fra la popolazione per l’effetto che la crisi sta avendo sulle piccole e medie imprese italiane. L’86% degli italiani, infatti, è convinto che la crisi abbia messo in ginocchio le aziende di piccole dimensioni più di quelle grandi. Un dato in crescita del 5% rispetto alle rilevazioni di novembre 2011.

Fonte: confesercenti.it

Tribunale delle imprese, i dubbi del Cnf

Avvocati contrari al disegno del Governo che mira a creare una giustizia a due velocità a vantaggio delle imprese e in danno della giustizia ordinaria, alla quale sono sottratte risorse umane e finanziarie. Stupisce e preoccupa l’identità di contenuto tra le soluzioni ora prospettate e il dossier di Confindustria n.11/2011, dal titolo “La giustizia più veloce accelera l’economia” (pagina 87). La ferma critica all’articolo 2 del decreto Cresci-Italia, che istituisce i tribunali delle imprese, è stata ribadito dal plenum del Consiglio nazionale forense, riunito in seduta amministrativa.

Secondo il Cnf, la distrazione di magistrati presso i tribunali delle imprese impoverirà ulteriormente le dotazioni organiche degli uffici giudiziari, dato che il provvedimento non destina risorse aggiuntive. Non si comprende peraltro il consistente aumento del contributo unificato, se non con l’intento non dichiarato, ma perseguito nei fatti, di conseguire l’abbattimento della domanda di giustizia agendo sulla leva economica, con una grave compromissione del diritto di difesa.

Quanto al metodo, rileva il Consiglio, non si può modificare le regole della giurisdizione a colpi di decreti legge e senza la consultazione dei soggetti interessati da parte dell’esecutivo.

Grave preoccupazione è stata espressa, a maggior ragione, in relazione alle bozze di emendamento governativo circolate in queste ore, che aggravano le originarie criticità ampliando le materie di competenza dei nuovi organi. Se permane l’inspiegabile inclusione del diritto d’autore, sono state aggiunte fumose e incomprensibili materie quali, a titolo di esempio, “le controversie relative alla violazione della normativa Antitrust dell’Unione europea”. Previsione talmente vaga e ampia da generare certamente difficoltà applicative, visto che i tre quarti della normativa europea presenta profili di rilievo concorrenziale.

Non solo. Il riferimento alle “materia connesse” rischia poi di fare esplodere in via di fatto la competenza dei tribunali delle imprese, includendovi un enorme numero di controversie per le quali i cittadini sarebbero costretti a raggiungere le poche sedi giudiziarie indicate dal decreto. In danno del valore della giustizia di prossimità. Il risultato finale di un disegno costruito in questi termini e a costo zero sembra più una operazione di marketing, destinata a produrre più danni senza peraltro recuperare efficienza e rapidità nelle decisioni giudiziarie.

Gennaio: fiducia dei consumatori stabile

A gennaio, la fiducia dei consumatori resta stabile a 91,6.

Peggiora l’indice relativo alla componente economica (da 77,1 a 75,3) e migliora quello riferito alla situazione personale degli intervistati (da 97,3 a 97,9). Scende l’indice che misura le previsioni a breve termine (da 82,5 a 78,4), mentre sale quello relativo alla situazione corrente (da 98,4 a 102,3). In particolare, si deteriorano le aspettative sull’andamento generale dell’economia Italiana (il saldo scende da -56 a -67) e crescono le aspettative di disoccupazione (da 87 a 97 il saldo delle risposte). Scende anche il saldo relativo alle valutazioni prospettiche sul risparmio (da -85 a -94).

Migliora, invece, quello sulla convenienza dell’acquisto di beni durevoli (da -99 a -88 il relativo saldo), anche se le intenzioni di acquisto futuro peggiorano significativamente (da -58 a -68). Circa i prezzi al consumo, il saldo dei giudizi sull’evoluzione recente aumenta da 65 a 69 e quello sull’evoluzione nei prossimi dodici mesi diminuisce da 58 a 57. Il clima di fiducia dei consumatori migliora nel Nord-ovest e nel Mezzogiorno e peggiora nel Nord- est e al Centro.

Il quadro economico generale 
A gennaio, migliorano i giudizi espressi dai consumatori sulla situazione economica corrente del paese, con il saldo che risale da -137 a -125, ma peggiorano le relative attese per i prossimi 12 mesi (da -56 a -67 il saldo). Le previsioni sull’evoluzione della disoccupazione segnano un netto aumento, con un saldo delle risposte che passa da 87 a 97. Per quanto riguarda i prezzi, il saldo relativo all’andamento degli ultimi 12 mesi aumenta da 65 a 69, mentre quello relativo alle previsioni per i prossimi 12 mesi diminuisce da 58 a 57.

La situazione personale
A gennaio, i consumatori esprimono giudizi leggermente meno sfavorevoli circa la situazione economica della propria famiglia (da -57 a -56 il saldo) e previsioni per i successivi mesi lievemente più negative (da -31 a -32 il saldo). Migliora in misura significativa il saldo dei giudizi sul bilancio finanziario della famiglia (da -8 a -2). Riguardo al risparmio, peggiorano sia i giudizi sull’opportunità corrente (il saldo passa da 151 a 148) sia le attese future sulle effettive possibilità di risparmiare (da -85 a -94). Per quel che riguarda i beni durevoli, migliora il saldo dei giudizi sulla convenienza all’acquisto immediato (da -99 a -88), ma peggiorano le intenzioni di acquisto futuro (da -58 a -68). Le consuete domande trimestrali circa alcune spese di particolare impegno evidenziano l’aumento delle intenzioni di ’acquisto dell’autovettura (da -187 a -183 il saldo) e dell’abitazione (da -193 a – 191), e il lieve calo di quelle relative alle spese di manutenzione straordinaria dell’abitazione (da – 163 a -164) .

Il dettaglio territoriale
Il clima di fiducia dei consumatori migliora nel Nord-ovest e nel Mezzogiorno e peggiora, invece, nel Centro e nel Nord-est. Nord-ovest: l’indice della fiducia sale da 91,3 a 92,7, grazie al miglioramento di tutte la componenti dell’indice, ad eccezione di quella relativa al clima futuro che scende da 83,0 a 80,8. Nord-est: la fiducia dei consumatori diminuisce da 93,3 a 90,6 risentendo del sensibile calo degli indici relativi alla situazione economica e a quella futura. Centro: l’indice di fiducia diminuisce passando da 91,8 a 91,5 soprattutto a causa del calo dell’indice relativo alla situazione futura. Mezzogiorno: l’indice sale da 90,9 a 91,2, spinto dall’aumento della componente corrente (da 98,7 a 102,4).
Lo rende noto l’Istat.

Fonte: agenparl.it

Come orientarsi nel mondo del lavoro

Job&Orienta, fiera di Verona conclusasi sabato scorso, ha lasciato segnali incoraggianti circa l’importanza, che ultimamente aveva forse perso considerazione, degli studi, e magari anche di una laurea, per ottenere un lavoro.

I giovani sono avvisati: benché sembra che le scorciatoie siano molto di moda in questo periodo, il “pezzo di carta” ha ancora la sua valenza positiva, anche se il rovescio della medaglia c’è. Non tutte le lauree, seppur nobili ed interessanti, hanno lo stesso peso.

Nonostante una riscoperta di quelle triennali, infatti, sono sempre le lauree specialistiche ad offrire maggiori garanzie circa un futuro lavorativamente vantaggioso e, tra queste, svettano quelle dell’ambito economico sociale, che nel 2011 hanno fruttato 25mila assunzioni, ben il 34,4% del totale e un +12% rispetto al 2010. Buone anche le probabilità di essere assunti se in possesso di una laurea in ingegneria o architettura, con oltre 23mila nuovi ingressi previsti (31,8%) e un incremento di nove punti percentuali rispetto allo scorso anno.
In terza posizione ecco l’area medica e sanitaria con più di 8mila entrate preventivate (pari all’11,6%), in crescita del 2% rispetto al 2010.

Le prime tre professioni di sbocco per i laureati italiani sono quelle di infermiere (4.700 unità), educatore professionale (circa 2.500), sportellista bancario (oltre 2mila). Seguono sviluppatore di software (quasi 2mila) e progettista meccanico (1.800).

Inoltre, le imprese ammettono la difficoltà a trovare laureati in economia bancaria, finanziaria ed assicurativa da impiegare come addetti allo sviluppo clienti nei servizi finanziari (740 su 890 le assunzioni difficili). Lo stesso discorso vale per gli ingegneri delle telecomunicazioni disposti a svolgere la professione di consulente di prodotti informatici (530 su 870 le assunzioni difficili) e per gli ingegneri civili da assumere come addetti alla logistica (280 su 480 le assunzioni difficili).

Per quanto riguarda i diplomati, i più richiesti sono i ragionieri (ai quali le imprese destinerebbero il 28% delle assunzioni previste), e i periti industriali (25,7% del totale), seguiti a distanza dagli indirizzi terziari (7% di tutte le assunzioni) e dagli indirizzi liceali e artistici (circa il 3%).

Tra le professioni con possibilità di assunzione “immediata” spiccano quelle di commessi di negozio (oltre 11mila le assunzioni programmate), segretari (quasi 11mila), addetti alla contabilità (10.500), ma anche addetti alle vendite della grande distribuzione (8.700) e addetti all’amministrazione (circa 7mila richieste).

Sul fronte della reperibilità, i diplomati interessano il 18,7% del totale delle assunzioni non stagionali, una percentuale minore di quella dei laureati, ma comunque alta. Introvabili risultano diplomati dell’indirizzo aeronautico e nautico (160 su 560 le assunzioni difficili), dell’indirizzo legno, mobile e arredamento (330 su 1.160 le assunzioni difficili) e dell’indirizzo meccanico (7mila su 25mila).

Vera Moretti

L’Italia non merita di fallire. Noi sosteniamo l’Italia

A volte dalle nostre pagine ci è capitato di non essere d’accordo con quanto affermato dai vertici di Confindustria. Ultimamente, però, su un’affermazione di Emma Marcegaglia ci troviamo d’accordo. Qualche giorno fa la leader degli industriali ha infatti affermato che l’Italia non merita di fare la fine della Grecia, ormai tecnicamente fallita. “Non merita”, appunto, non “non può”. Non merita di fallire. Per diversi motivi.

Intanto, i conti pubblici rispetto all’inizio dell’anno non hanno subito drammatici peggioramenti. Se è vero che il debito di Stato supera i 1900 miliardi di euro e ha una quota nel 2012 in scadenza, compreso il disavanzo, che si aggira intorno al 23,5% dell’ammontare – superiore a quella di ogni altro Paese dell’euroarea, Grecia compresa (che è al 16,5%) – è pur vero che la durata media del debito italiano è la più alta (7,2 anni) e la quota in mani straniere la più bassa, solo al 42%.

Poi, per quanto possa sembrare un inutile mantra, il fatto che i fondamentali economici italiani siano solidi è innegabile; del resto, siamo la prima economia europea per vocazione manufatturiera la seconda per volumi di export. Inoltre, la quota di risparmio privato nelle mani degli italiani è la più alta del mondo, un dato che ci distingue da sempre e che sbattiamo volentieri in faccia a quanti ci accusano di essere un popolo di cicale: l’italiano è formica, caso mai cicale si sono dimostrati i nostri politici negli ultimi 30 anni. Il fatto che li abbiamo votati noi non ci esime da colpe, ma il risultato è che il debito lo hanno fatto loro e quanti come loro hanno ricoperto posizioni istituzionali e amministrative di alto livello: il fatto che vogliano ripianarlo mettendo le mani nelle nostre tasche prima che nelle proprie, è solo un estremo atto di codardia intellettuale.

E ancora. L’Italia non merita di fallire perché è una fonte di contagio formidabile per il mondo e il mondo, nella veste dell’Fmi, non si farà scrupoli a intervenire con i carri armati (figurati, s’intende) per farci cambiare registro prima che sia troppo tardi per tutti. Del resto, un default italiano significherebbe il concreto deragliamento dell’euro che coinvolgerebbe gli altri Paesi in un effetto domino; prima fra tutti la Francia, le cui banche sono le più esposte in quanto a debito italiano in portafoglio e che, in questi giorni, si è sentita bruciare il fondoschiena per via dello scivolone di Standard & Poor’s che ha lasciato intendere un downgrade del Paese. Con Sarkozy terrorizzato di perdere la tripla A tanto quanto Berlusconi è terrorizzato di perdere la propria virilità. E un flop dell’euro tanto tabù non è, visto l’Europa ha una moneta unica ma non una politica economica comune e che Paesi come la grande Germania hanno già fatto i conti di quanto perderebbero o guadagnerebbero uscendo dalla moneta unica, stanchi di pagare sempre e per tutti.

Infine, l’Italia non merita di fallire perché il modo di raddrizzarne i conti e stimolarne la crescita esiste; interventi sulle pensioni di anzianità, dismissioni ciclopiche del patrimonio pubblico, taglio della spesa corrente e dei costi della politica. Interventi duri, in parte antipopolari in parte no, ma la cancrena è troppo avanzata per continuare con le aspirine: ora ci vuole la chemio, dura e aggressiva. Sperando che basti.

Per questo, perché siamo un popolo capace e tenace e per tanti altri motivi, noi pensiamo che l’Italia non meriti di fallire e non possa farlo. Siete con noi? Firmate virtualmente il nostro manifesto facendo Like sulla pagina Facebook SOSTENIAMO L’ITALIA.

ITALYNEWSWEEK