Il digitale per far crescere le imprese e l’export

Si è svolto qualche giorno fa a Roma un interessante workshop dal titolo Digital4export, durante il quale si è cercato di fare il punto sulla relazione positiva tra digitalizzazione, internazionalizzazione ed esportazione. Una relazione particolarmente significativa per le piccole e medie imprese italiane, nelle quali il digitale può essere un facilitatore nei rapporti internazionali.

Il workshop ha visto la partecipazione del ministro del Lavoro e delle politiche sociali Giuliano Poletti, del presidente di Unioncamere Ivan Lo Bello, del Country Chairman Italia di UniCredit Gabriele Piccini e del responsabile Policy and government affairs di Google, Diego Ciulli.

La tavola rotonda ha sottolineato come oggi le Pmi possono trovare un valido supporto nella collaborazione tra enti pubblici e grandi aziende, chiamati a intercettare e comprendere come le loro caratteristiche possano essere utilizzate per rilanciare, attraverso l’export e una conversione decisa al digitale, la crescita economica del Paese. Queste le voci dei partecipanti.

Giuliano Poletti, Ministro del lavoro e delle politiche sociali

La crescita economica, e la possibilità di creare nuovo lavoro di qualità, passa anche per l’aumento della capacità delle imprese di giocare un ruolo crescente sui mercati internazionali. Il digitale rappresenta una leva essenziale in questa direzione: in particolare, le pmi possono beneficiare delle opportunità offerte dall’innovazione per raggiungere nuovi clienti in tutto il mondo. Favorire la diffusione del digitale significa, naturalmente, dotare i giovani delle competenze necessarie, attraverso interventi mirati di formazione. La nostra sfida è quella di contribuire alla digitalizzazione del Paese puntando sui ragazzi di Garanzia Giovani. L’esperienza che abbiamo avviato con Crescere in Digitale, in collaborazione con Google ed Unioncamere, sta dando risultati positivi e testimonia il grande interesse dei giovani e delle imprese che, nel programma Go International di Unicredit, possono trovare un sostegno reale all’avvio di una strategia di internazionalizzazione”.

Ivan Lo Bello, presidente di Unioncamere

Tra il 2011 e il 2014, le ricerche in rete dei prodotti made in Italy sono cresciute del 22%. Ciò significa che la voglia di Italia è in continuo aumento sul web. A fronte di questo, solo una impresa manifatturiera italiana su 5 esporta. Per raggiungere i potenziali consumatori del mondo, il digitale rappresenta allora la via più rapida e praticabile per le nostre Pmi. Per attuare questa rivoluzione, insieme a Google abbiamo puntato sulla sensibilizzazione delle imprese e sulla formazione dei giovani circa i vantaggi della digitalizzazione in termini di competitività e occupabilità. Con il programma Crescere in digitale, realizzato all’interno dell’iniziativa Garanzia Giovani del Ministero del Lavoro, stiamo formando circa 50mila giovani, con l’obiettivo di portarne 6mila ad effettuare 3mila tirocini, in maniera che possano spendere, all’interno delle aziende che li ospitano, le competenze digitali acquisite. In questo contesto vedo la possibilità di sviluppare sinergie anche con Unicredit, valorizzando le opportunità offerte dall’iniziativa Go International! all’interno del progetto Crescere in Digitale per i giovani e per le imprese che vogliono sfruttare le potenzialità del web per esportare”.

Gabriele Piccini Country Chairman Italy di UniCredit

Siamo stati tra i primi a parlare alle imprese del rapporto tra export e digitalizzazione lanciando nel 2014 il programma di formazione Go International!. In poco più di un anno e mezzo quasi 6mila imprese hanno partecipato ai nostri corsi gratuiti usufruendo di 30mila ore di formazione, di cui oltre 10mila su temi di digitalizzazione, e-commerce, internazionalizzazione anche attraverso seminari realizzati in collaborazione con Google. Con UniCredit International abbiamo avviato percorsi di affiancamento e accompagnamento all’estero per le nostre imprese e organizzato incontri sia reali che virtuali tra buyer esteri e seller italiani. Dal 2009 ad oggi sono stati oltre 40 gli incontri B2B a cui hanno partecipato 3mila aziende di vari settori dal food&beverage, al sistema casa, alla moda, al turismo. Da metà 2015 abbiamo lanciato una nuova modalità virtuale di B2B con un primo pilota effettuato sul settore wine&food. Tutto questo ci ha consentito dal 2012 di accompagnare all’estero, oltre 22mila imprese e il nostro obiettivo è di accompagnarne altre 30mila al 2018”.

Diego Ciulli, responsabile Policy and government affairs di Google

L’Italia è per propria natura un Paese esportatore, ma ancora oggi soltanto una frazione del nostro sistema produttivo è internazionalizzata. Grazie alle piattaforme digitali le Pmi possono accedere a un mercato globale: analizzare i mercati, contattare i consumatori, e vendere in tutto il mondo. La principale barriera all’utilizzo del web da parte delle Pmi sta nelle competenze digitali. Per questo ci siamo impegnati a formare con competenze digitali 2 milioni di europei entro il 2017. In Italia lo facciamo anche scommettendo sui giovani disoccupati, con il programma Crescere in Digitale, insieme al Ministero del Lavoro e a Unioncamere”.

L’ agroalimentare italiano “punta” la Cina

Che cosa amano i cinesi del made in Italy? Di sicuro la moda, le auto e il lifestyle, ma non dimentichiamoci dell’ agroalimentare. Di sicuro non se ne dimentica Sace, gruppo assicurativo-finanziario attivo, tra l’altro, nell’export credit e nell’assicurazione del credito. Secondo Sace, infatti, l’export agroalimentare italiano in Cina potrebbe passare dai circa 320 milioni del 2014 a 410 milioni nel 2018.

Questa impennata dell’export agroalimentare è dovuta in gran parte, secondo Sace, al fatto che la Cina, dopo anni di crescita ininterrotta sta indirizzando la propria economia su binari più equilibrati. Una maggiore stabilità che porterà con sé maggiori stimoli ai consumi interni, produzione di beni di qualità più elevata, sviluppo dei servizi, maggior utilizzo delle rinnovabili per la produzione di energia (a oggi la Cina è uno dei maggiori utilizzatori di combustibili fossili e uno dei Paesi maggiormente inquinanti).

Secondo Sace “Il ribilanciamento cinese può rappresentare un vantaggio per i Paesi esportatori”, che hanno settori di pregio come, per esempio, quello agroalimentare. Lo studio di Sace evidenzia come la parte di popolazione più abbiente delle grandi città cinesi sia in proporzione molto numerosa, tanto che anche una piccola élite di persone ha un elevato potenziale di consumo.

Sace sottolinea anche il forte processo di occidentalizzazione dei consumi, anche nel settore agroalimentare, che si è innescato in Cina negli ultimi anni, grazie anche al fatto che i flussi turistici cinesi hanno sostenuto e sosterranno la domanda di prodotti esteri al loro rientro in patria.

A tutto questo, a vantaggio di settori come quello dell’ agroalimentare italiano, si aggiunge il fatto che il mercato continua a crescere e che la legislazione locale sarà via via semplificata, rendendo più facile l’ingresso sul mercato cinese di nuovi importatori e distributori. E l’Italia, si spera, sarà in prima fila.

Export made in Italy, un buon 2015

Il 2015 è stato un anno importante per l’export del made in Italy, che ha superato per la prima volta il record di 400 miliardi di euro di controvalore (413,7, +3,7% su base annua). Una performance aiutata soprattutto dalla crescita del settore auto, il cui export è aumentato di oltre il 30%, ma che alla cui progressione hanno contribuito anche altri settori chiave per made in Italy come l’agroalimentare, l’elettronica, la farmaceutica e la chimica.

A ben vedere, i buoni risultati dell’export made in Italy sono stati aiutati anche dalla rivalutazione del dollaro, tanto che il risultato finale sarebbe un +0,8% in volumi. Export made in Italy extra Ue nel 2015 in progresso del 3,6%, intra Ue del 3,8%.

A proposito di rivalutazione del dollaro, nel 2015 i maggiori importatori di prodotti made in Italy sono risultati gli Stati Uniti: +20,9% per un controvalore di 36 miliardi di euro e un avanzo di 22 miliardi, grazie alle buone performance di auto, farmaceutica e macchinari.

In totale, il saldo commerciale annuo per l’Italia nel 2015 ha superato i 45 miliardi, oltre 3 miliardi in più rispetto al 2014, grazie sì al buon andamento dell’export, ma anche grazie soprattutto al calo della bolletta energetica dovuto al crollo del prezzo del petrolio. Calo che ha consentito al nostro Paese un risparmio di oltre 10 miliardi.

Cresce l’ export delle micro e piccole imprese

Piccola azienda, grande export. Nel 2015, infatti, le esportazioni delle micro (meno di 10 addetti, l’86,4% delle unità produttive italiane nel 2013) e piccole imprese italiane sono aumentate, nonostante il rallentamento delle economie emergenti che rappresentano i primi mercati esteri per molte di loro.

L’andamento è stato certificato da un’indagine di Confartigianato sul made in Italy nei settori della micro e piccola impresa, dalla quale emerge che, sul totale dell’anno, il risultato dell’ export è stato positivo: tra il quarto trimestre 2014 e il terzo trimestre 2015, il valore dell’ export di queste imprese è stato pari a 114,7 miliardi di euro, il 7,1% del Pil.

Se si guarda invece al periodo gennaio-settembre 2015, l’ export è aumentato di oltre 3 miliardi di euro, +3,8% rispetto allo stesso periodo del 2014. Le esportazioni sono cresciute del 4,1% nel manifatturiero, del 6,6% nell’alimentare e del 6,4% nel legno arredo.

Nel dettaglio, l’ export è cresciuto del 5,4% verso le economie avanzate e calato dello 0,6% nei Paesi emergenti, trascinati al ribasso dalla Russia (-33,5%). Tra i principali mercati del made in Italy cresce l’ export verso Stati Uniti (+20,4%), Corea del Sud (+17%), Cina (+12,9%), Hong Kong (+10,1%), Polonia (+8,9%), Regno Unito (+8,8%), Spagna (+7,3%) e Svizzera (+5,7%). Oltre a quello verso la Russia, calano quelli verso Francia (-0,1%), Belgio (-1,2%) Emirati Arabi Uniti (-1,5%), Austria (-1,7%), Grecia (-7,2%).

Nell’indagine, Confartigianato invita a tenere sott’occhio l’andamento del prezzo del petrolio, che potrebbe condizionare le dinamiche dell’ export. Secondo gli artigiani, infatti, sia i Paesi produttori sia quelli fornitori dell’Italia potrebbero rivedere le proprie politiche di importazioni di prodotti made in Italy a causa del protrarsi della “guerra” del prezzo del greggio. E si tratterebbe di realtà importanti: Confartigianato ricorda infatti che 41 Paesi emergenti produttori di petrolio pesano per il 15,1% dell’ export italiano e i 19 emergenti fornitori del nostro Paese per il 7,7%.

I dolci natalizi made in Italy vanno forte all’estero

Le festività di Natale sono tradizionalmente un momento d’oro per l’enogastronomia italiana, tanto sul mercato interno quanto, soprattutto, su quello estero, grazie alle buone performance delle esportazioni.

Spesso, però, si parla più di specialità come cotechini, zamponi, pasta fresca, vini e spumanti e meno dei dolci natalizi. Eppure la tradizione dolciaria italiana legata al Natale è variegata e fortissima, come ben sanno anche all’estero.

Se n’è accorta anche Confartigianato, che in una ricerca ha rilevato come, nell’ultimo anno, l’export di dolci natalizi italiani ha toccato un valore pari a quasi 310 milioni di euro (309,1, per la precisione), facendo registrare un +10,2% rispetto al 2014.

I più golosi e appassionati di dolci natalizi italiani sono i francesi: il paese d’Oltralpe ha totalizzato una spesa di 75,1 milioni di euro di dolci natalizi (il 24,3% del totale del nostro export). Seguono la Germania (53,8 milioni, 17,4% del totale esportato) e il Regno Unito (34,3 milioni, 11,1% del totale).

Se invece si analizzano gli incrementi percentuali dell’export di dolci natalizi italiani, si scopre che il boom è stato registrato Stati Uniti, +45,5% rispetto al 2014, seguiti dalla Germania (+32,1%), dall’Austria (+22,2%) e dalla Spagna (+15,6%).

E siccome l’Italia è un Paese di campanili, è bene sottolineare quali sono, secondo Confartigianato, le regioni che hanno registrato gli incrementi maggiori per l’export di dolci natalizi nel primo semestre 2015. Vince la Toscana (+18,4%), seguita da Campania (+14,8%), Veneto (+11,9%), Piemonte (+5,1%), Emilia-Romagna (+ 4,7%) e Lombardia (+1,%).

Meccanica, made in Italy silenzioso e vincente

Di solito quando si pensa al made in Italy e, soprattutto, ai prodotti d’esportazione più celebri, si parla spesso delle famose “tre F”, food (cibo), fashion (moda) e furniture (arredamento). In realtà c’è un settore meno reclamizzato del made in Italy che però è trainante quasi quanto gli altri, dal momento che vale da solo il 7% delle esportazioni: la meccanica e i macchinari.

Lo sa bene Sace (società del Gruppo Cassa depositi e prestiti, specializzata in prodotti assicurativi e finanziari) che in un focus del proprio Ufficio Studi ha rilevato come l’export dei macchinari made in Italy valga 74 miliardi di euro, una cifra che fa dei cosiddetti “beni strumentali” un fiore all’occhiello delle nostre aziende all’estero, un settore strategico in molte filiere produttive dell’industria manifatturiera mondiale.

Secondo Sace, però, le potenzialità di questa industria per la promozione del made in Italy sono ancora tutte da esplorare. Se l’industria meccanica si promuovesse nello stesso modo in cui si promuovono i prodotti a valle della filiera, si potrebbero fatturare almeno 12 miliardi di euro di export in più in 4 anni, toccando quota 90 miliardi nel 2018.

Ma quali sono, secondo Sace, i mercati d’elezione per questo made in Italy non strillato ma estremamente efficace? Sono un puzzle molto variegato, che comprende tanto i principali importatori mondiali (Usa, Cina, Germania, Francia, UK), quanto i mercati che si stanno maggiormente espandendo in questi anni, in primis Messico e Turchia, ma anche Arabia Saudita, Thailandia e Polonia.

Numeri da record per l’ export italiano

Il valore aggiunto che il made in Italy dà alla nostra economia è sempre più forte quanto più forti diventano le esportazioni dei nostri prodotti di qualità. E l’ export italiano va a gonfie vele, almeno stando a un rapporto presentato nei giorni scorsi da Confartigianato.

Secondo le cifre messe insieme dall’associazione degli artigiani italiani, negli ultimi 4 trimestri l’ export italiano ha toccato quota 113,8 miliardi, cifra pari al 7,1% del Pil, con un aumento di 4,6 miliardi, +4,2% rispetto allo stesso periodo del 2014. Solo nei primi sei mesi del 2015 l’ export italiano di prodotti realizzati dalle nostre Pmi è stato di 57,1 miliardi, +2,6 miliardi e +4,9% rispetto ai primi sei mesi del 2014.

Stando ai dati di Confartigianato, l’ export italiano è andato forte soprattutto negli Usa (8,4 miliardi), a Hong Kong (3,8 miliardi), in Giappone (2,5 miliardi), negli Emirati Arabi (2,2 miliardi) e in Corea del Sud (1,4 miliardi).

Per quanto riguarda i settori campioni dell’ export italiano, le cosiddette 3F (food, fashion e furniture, cibo, moda e arredamento) si confermano saldamente al comando con un +6,7% nel primo semestre (alimentari), +5,7% (mobili) e +3,7% (abbigliamento).

I dati di Confartigianato rilevano che la geografia interna dell’ export italiano è sostanzialmente un affare a cinque. Tante sono infatti le regioni che, da sole, detengono l’80% del valore delle esportazioni delle Pmi: Lombardia (24,9%, 14.226 milioni di euro), Veneto (21,4%, 12.249 milioni), Toscana (12,5%, 7.153 milioni), Emilia-Romagna (12,2%, 6.953 milioni) e Piemonte (9%, 5.150 milioni).

Secondo il presidente di Confartigianato, Giorgio Merletti, “i piccoli imprenditori sono campioni della qualità manifatturiera italiana e contribuiscono a mantenere in attivo la nostra bilancia commerciale. L’Expo di Milano ha potenziato la propensione delle imprese artigiane a lavorare sui mercati esteri. C’è ancora molto da fare per rilanciare la nostra economia e rivitalizzare i consumi interni, ma i risultati che presentiamo oggi per l’ export italiano realizzato dalle piccole imprese devono richiamare l’attenzione del Governo: la Legge di stabilità ha aperto la strada che ora va percorsa con decisione soprattutto sul fronte della diminuzione del carico fiscale sulle imprese”.

Export verso la Cina in ribasso

Dopo che, negli ultimi anni, il Made in Italy aveva spopolato in Cina, con cifre record per l’export, ora si sta registrando una brusca inversione di tendenza, dovuta anche ai mercati finanziari internazionali che stanno vivendo un periodo burrascoso.

La svalutazione della moneta cinese, ovviamente, si fa sentire, così come il rallentamento dell’economia cinese, che finora era andata avanti a gonfie vele, e queste sono i principali fattori che hanno portato ad un improvviso stop delle esportazioni.

I dati Istat, a questo proposito, sono piuttosto chiari. Nei primi sei mesi dell’anno l’export verso la Cina è sostanzialmente statico (+0,8%), a fronte di un Made in Italy che cresce del 5,0%; la dinamica del cambio influirà negativamente sulle statistiche delle vendite in Cina relative alla seconda metà dell’anno.

Per quanto riguarda i prodotti che maggiormente sui dirigono in terra cinese, un terzo di essi è composto da macchinari, seguito dal tessile, che comprende abbigliamento e pelli, al 16,6%, poi il 9.9% da mezzi di trasporto e il 6,1% di prodotti chimici, con il 5,5% di Prodotti farmaceutici, 5,3% di Prodotti di metallo e con il 5,0% di Prodotti delle altre attività manifatturiere.

Conseguenza della staticità del mercato è stato un aumento dell’export dei prodotti delle altre attività manifatturiere, in salita del 40,3%, Articoli farmaceutici, chimico medicinali e botanici (+32,3%), Prodotti alimentari, bevande e tabacco (+31,0%) e Prodotti tessili e dell’abbigliamento, pelli e accessori (+14,4%).

All’opposto si registrano marcati cali nei settori di Macchinari ed apparecchi n.c.a. (-9,9%), Legno e prodotti in legno; carta e stampa (-14,2%) e Mezzi.

Vera MORETTI

Food Made in Italy re dell’export

Seppur siano tanti i settori di eccellenza che hanno imposto il Made in Italy oltre i confini nazionali, è ancora il food che spopola e che colloca il Belpaese ai vertici mondiali di gradimento, con ben 20 prodotti.

Sono la pasta, le conserve di pomodoro, gli insaccati, i formaggi, ma anche le verdure e gli ortaggi, i prodotti più amati dagli stranieri, in particolare nel Paesi dove l’export è cresciuto maggiormente nell’ultimo anno, come la Germania (+17,3 per cento), la Francia (+20,5 per cento), l’Inghilterra (+23,6 per cento) e gli Stati Uniti (+37,8 per cento).

Tra gli alimenti che solleticano le papille gustative in Europa e nel mondo, ci sono anche i dolci e i prodotti da forno, il caffè, le carni e i vini, immancabili quando si tratta di Made in Italy.

si tratta di un patrimonio il cui export vale 30 miliardi di euro, in crescita di un terzo rispetto a cinque anni fa, nonostante le contraffazioni e l‘italian sounding, che danneggiano pesantemente il nostro nome e le nostre tradizioni.

Le cifre sono da capogiro: si tratta di un fatturato di quasi 300 miliardi di euro, che garantisce 230mila posti di lavoro.
Considerando la qualità, altissima, dei prodotti, c’è da andarne fieri.

Vera MORETTI

La miniera d’oro dell’ export italiano

Non passa giorno che non arrivino conferme del fatto che il made in Italy è un prodotto vincente soprattutto sotto il profilo dell’ export. Secondo il recente rapporto I.t.a.l.i.a. – Geografie del nuovo made in Italy, stilato da Unioncamere, Fondazione Edison, Fondazione Symbola e Aiccon, tra il 2010 al 2014 l’ export manifatturiero del nostro Paese, compreso quello agroalimentare, è cresciuto del 18,4%, da 323 a 382 miliardi di euro, mentre l’import è leggermente calato, da 285 a 282 miliardi. Una differenza che ha fatto in modo che il surplus commerciale nel 2014 raggiungesse quasi i 100 miliardi di euro, un record.

Un trend dell’ export che non interessa solo l’Europa, sottolinea il rapporto, ma tutto il mondo occidentale “perché per trovare un attivo industriale più alto di quello italiano – che è il quinto in assoluto – bisogna spingersi in Estremo Oriente, cioé in Cina, Giappone e Corea”.

L’ export è stato quindi ancora una volta il salvagente della nostra economia, poiché settori che hanno visto crollare i consumi interni, hanno trovato nuova vita all’estero. Tre su tutti, ricorda il rapporto: il legno arredo, l’impiantistica e la meccanica. Clamoroso il caso di questi ultimi due, che nel 2014 hanno fatto registrare un surplus di 50,4 miliardi (meccanica) e di 7,2 miliardi (impiantistica).

Se in Paesi come l’Italia la crisi ha indebolito la domanda interna, all’estero vi è stata una dinamica inversa. Basti paragonare i nostri risultati con quelli dei Paesi europei più affini a noi. In Italia, nel 2014, fatturato interno -17,9%, fatturato estero +10,8%; in Germania fatturato interno -2,1%, fatturato estero +8,8%; Francia fatturato interno +4,5%, fatturato estero +3%.

Il nostro export è dunque la miniera d’oro delle imprese e, non a caso, il rapporto I.t.a.l.i.a. sottolinea come, rispetto al 2010, il nostro Paese abbia mantenuto il 95,8% delle quote di export; per dire, un Paese come il Regno Unito ha tenuto il 98,1%, la Germania il 96,9%, la Francia il 89,7% e il Giappone il 71,2%.