Filiera dell’auto, il brivido dell’ibrido

Oggi il ministero dei Trasporti renderà noti i dati sulle immatricolazioni, ma le previsioni, tanto per cambiare, sono tutt’altro che ottimistiche. Federauto prevede infatti una flessione del 5% delle immatricolazioni del mese scorso verso lo stesso periodo del 2012, quando la cifra si era collocata a poco meno di 117.400 unità. “Il panel di Federauto stimava un -9% rispetto allo stesso periodo dell’ottobre 2012. Questo, insieme ad altri dati raccolti dai concessionari ufficiali italiani, fa propendere il nostro osservatorio a prevedere per ottobre 2013 un calo complessivo del -5%“, ha detto Filippo Pavan Bernacchi, presidente di Federauto. E mentre prosegue il mercato nazionale dell’auto continua a essere uno dei grandi malati dell’economia italiana, volano le vendite di veicoli ad alimentazioni alternativa.

I dati contenuti nel IV Osservatorio Deloitte sull’Auto Elettrica presentati la scorsa settimana a Milano, in Assolombarda, durante il convegno “Come sta cambiando la mobilita” parlano da soli: le immatricolazioni sono ancora in calo (-8,4% rispetto ai primi 9 mesi del 2012), ma le vendite di veicoli ‘green’ registrano un’impennata. Da gennaio a ottobre le immatricolazioni di veicoli a metano hanno fatto segnare un aumento del 30%. Ma il vero boom è quello fatto registrare dalle auto ibride: nel giro di 9 mesi la loro presenza sul territorio nazionale è cresciuta del 141%. Bene anche i veicoli elettrici: le auto vendute sono state 588, in aumento del 64% rispetto ai primi 9 mesi del 2012.

L’Italia sembra dunque protagonista di una rivoluzione della mobilità e il settore dell’autonoleggio si prepara per intercettare questa nuova domanda. Lo studio Deloitte evidenzia che il 73% delle aziende di autonoleggio presenta veicoli elettrici e/o ibridi nella propria flotta.

Secondo il Ministro dell’Ambiente, Andrea Orlando, l’auto elettrica rappresenta ”un settore sempre più strategico per il nostro Paese” e in questo scenario ”l’auto elettrica può svolgere un ruolo cruciale perché rilancia le tecnologie italiane sostenibili e perché contribuisce a ridurre le emissioni, questione particolarmente sentita nel Nord e nella Pianura Padana”.

Quello che è certo, è che questi dati stridono con i dati relativi al mercato “tradizionale” dell’auto. Sempre secondo Pavan Bernacchi, “gli sterili numeri non danno la misura esatta dello tsunami che si è abbattuto sul nostro settore. Stiamo vendendo 750.000 vetture in meno rispetto alla media degli ultimi 5 anni e questo si traduce, in primis, in centinaia di migliaia di posti di lavoro bruciati”.

Con tanti saluti alla ripresa, che in tanti continuano a vedere.

Gli ecoincentivi? Una bufala

Filippo Pavan Bernacchi, presidente di Federauto, boccia gli ecoincentivi promossi dal Governo Monti, definendoli una vera “bufala”: “Se da una parte i circa 4,5mln di euro riservati ai privati si sono volatilizzati nel giro di un’ora, dall’altra dopo 20 giorni siamo ancora al palo per le flotte aziendali. Infatti ad oggi sono stati richiesti 300mila euro a fronte dei 35 milioni stanziati. In altre parole il 99% dei fondi destinati alle flotte aziendali è ancora disponibile”.

Questi fondi sembrerebbero inaccessibili, perché vincolati alla rottamazione di autoveicoli che abbiano più di dieci anni. E trovare auto aziendali che abbiano raggiunto questa “età” è quasi impossibile, perché le aziende tendono ad ammortizzare le spese sostituendo i beni durevoli, come le auto appunto, in tempi molto più brevi.
Proprio per questo, Federauto ha più volte chiesto ai Governo di bloccare il provvedimento, inutile e oneroso, se si pensa che per la sua realizzazione sono stati spesi 600mila euro: il doppio richiesto fino ad oggi dalle flotte aziendali.

Enzo Zarattini, presidente dei Concessionari Bmw, ha dichiarato: “Il mondo dell’automotive italiano merita un repentino cambio di rotta, a cominciare dall’adeguamento delle detrazioni del costo delle vetture aziendali alla media dei Paesi Ue, pari al 100%. Da noi era il 40%, ma l’ultimo Governo ha dimezzato la percentuale portandola al 20%. Di fatto disincentivando ulteriormente il cliente azienda a rinnovare il proprio parco”.

Vera MORETTI

Il 2013 altro annus horribilis per il mercato auto?

La situazione incerta conseguenza delle elezioni politiche sta contribuendo a peggiorare ulteriormente un mercato, quello dell’auto, che già nel 2012 ha conosciuto uno dei suoi periodi peggiori.
Ma, come detto, le cose, per ora, non sembrano destinate a migliorare, tanto che l’Italia si merita la maglia nera a livello europeo nel settore.

A fare una disamina a dir poco preoccupante è stato Filippo Pavan Bernacchi, presidente di Federauto, l’associazione che rappresenta i concessionari di tutti marchi commercializzati in Italia di auto, veicoli commerciali, camion e autobus.

Basandosi sui dati di immatricolazione di autovetture nuove a febbraio diffusi dal Ministero dei Trasporti, ovvero 108.419 pezzi, con una perdita del 17,4% rispetto a febbraio 2012, Pavan Bernacchi ha commentato: “Gli acquisti di beni e servizi sul mercato interno sono in forte contrazione e questo investe come un treno tutte le aziende italiane, tra le quali vi sono i concessionari di autoveicoli. Se la politica non si adopererà con urgenza per far ripartire l’economia, il nostro Paese andrà verso il collasso. I 3 milioni di disoccupati, per dirne una, ne sono una riprova“.

Anche Adolfo De Stefani Cosentino, responsabile per la Federazione della commissione sulla fiscalità, ha commentato la situazione: “Gli autoveicoli e la sua filiera, che dà lavoro in Italia a 1.200.000 persone, pagano un prezzo salatissimo: parliamo di circa 8,6 miliardi di euro, effetto cumulato delle varie manovre succedutesi nel 2011 e nel 2012 con aumenti di accise sui carburanti, superbollo sulle auto prestazionali, aliquota IVA, IPT, Assicurazione RC e bollo, oltre alla stretta fiscale sulle auto aziendali. Quest’ultima antitetica rispetto ai principali mercati europei. Una pressione intollerabile che schiaccia la proprietà e l’utilizzo degli autoveicoli”.

Vera MORETTI

Federauto: gettito da carburanti in calo, il Governo rifletta

Federauto tuona ancora contro il governo. Questa volta gli strali partono dopo che, a dicembre, il gettito fiscale di benzina e gasolio ha segnato un calo del 7,2%, come rilevato dal Centro Studi Promotor. Un segnale che, per Federauto, è “l’ennesima conferma di una nefasta gestione di tutto ciò che riguarda l’automotive adottata in particolare dall’ultimo Governo”.

Per Filippo Pavan Bernacchi, presidente di Federauto, l’associazione che rappresenta i concessionari di tutti i marchi commercializzati in Italia di auto, veicoli commerciali, camion e autobus “ai 2,6 milardi di euro che quest’anno rischiano di mancare all’appello come conseguenza al calo del gettito dei carburanti, si aggiungono i 3 miliardi di euro di mancati introiti per lo Stato nel 2012 (tra Iva e tasse varie) perché gli italiani non comprano più autoveicoli“.

Ai ‘signori delle tasse’ – ha aggiunto il presidente di Federautosta tornando indietro un boomerang di dimensioni colossali, e la notizia di oggi è la riprova che le tasse stanno uccidendo i consumi devastando l’occupazione nel nostro settore, fatta di 1,2 milione di addetti“.

Ci rivolgiamo perciò ai partiti impegnati nella tornata elettorale – ha concluso Cesare De Lorenzi, neo vicepresidente della Federazione – al fine di comprendere se anche dal prossimo esecutivo si persevererà con il Risiko sugli autoveicoli o qualcuno, come speriamo, abbia intenzione di attuare programmi più costruttivi in favore della nostra filiera, e quindi dell’intero Paese“.

Bus e camion, freno a mano tirato

I veicoli commerciali continuano a essere tutt’altro che commerciali. Nel senso che anch’essi seguono il trend depressivo del mercato automobilistico in generale: anche nel mese di novembre, infatti, secondo i dati diffusi da ACEA (l’Associazione dei Costruttori Europei di Automobili) il dato delle immatricolazioni rimane fortemente negativo: -27,5% rispetto a novembre 2011, dato che porta il consolidato degli undici mesi 2012 a 121mila 500 unità, ossia -32,5% rispetto al 2011.

Un dato che, spacchettato, evidenzia un calo per i veicoli industriali medi e pesanti pari al 29,8%, per gli autobus al 29,1%. Un dato che fa il paio con il calo dell’utilizzo dei veicoli commerciali e industriali in generale, come risulta dall’andamento dei consumi di gasolio, che nei primi undici mesi dell’anno sono calati del 10,1%, e dai dati sul traffico di veicoli pesanti sulle autostrade, che nei primi otto mesi dell’anno è sceso del 7,1%.

Si conferma il dato tendenziale che evidenzia una situazione italiana del mercato dei veicoli pesanti significativamente più critica della media europea, dove la perdita consolidata è dell’11,4%”, commenta Massimo Tentori, responsabile della divisione Trucks di Federauto, che prosegue: “L’andamento del mercato riflette le condizioni estremamente critiche dell’economia italiana e le conseguenze della recessione sul comparto del trasporto merci in termini di volumi di traffico”.

Tentori conclude: “Oggi non vediamo alcuna possibilità di recupero perché entriamo in una fase politica che non garantisce, se non dopo la prossima competizione elettorale, le condizioni necessarie per programmare gli interventi in grado di riattivare gli investimenti delle imprese e, quindi, il mercato”.

Veicoli commerciali: le vendite continuano a calare

Le vendite di veicoli commerciali continuano a scendere.

ACEA, l’Associazione dei Costruttori Europei di Automobili, ha infatti reso noti i dati che riguardano il mese di ottobre e che, ancora una volta, sono caratterizzati da segno negativo.
Le vendite sono a -16,4% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, con un conseguente calo a -33% del consolidato dei primi dieci mesi 2012, pari a 110.804 unità.

Massimo Tentori, responsabile della divisione Trucks di Federauto, ha definito questi dati “sconfortanti”, dovuti purtroppo ad una grave crisi di liquidità da parte delle imprese del trasporto merci.
Ciò è lo specchio di un mercato italiano dei veicoli pesanti, in vera difficoltà, che pone il nostro Paese come fanalino di coda a livello europeo.

Tentori ha dichiarato: “Le nuove disposizioni introdotte con il decreto legislativo 9 novembre 2012, n. 192 per combattere i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, costituiscono certamente un elemento di positività, considerato che l’Italia si trova all’ultimo posto nelle classifiche europee sulla tempestività dei pagamenti fra imprese e, soprattutto, di quelli della pubblica amministrazione alle imprese, ma occorre una programmazione a livello di politica centrale per stimolare una ripresa del nostro specifico comparto. La necessità di conciliare le esigenze di rinnovo del parco circolante, in chiave ambientale e di maggiore sicurezza, e di un accesso sostenibile al credito restano una priorità”.

Vera MORETTI

La crisi automobilistica colpisce anche i veicoli commerciali

Le vendite di automobili stanno conoscendo forse la loro peggiore annata e non è da meno, purtroppo, nemmeno il settore dei veicoli commerciali.

I dati, resi noti dall’ACEA, Associazione Costruttori Europei di Automobili, infatti, fotografano una situazione critica anche per quanto riguarda il trasporto merci, con un calo del 28,2% relativo solo al mese di settembre.
E, cosa ancora più drammatica, il Governo sta a guardare, senza prendere provvedimenti per risanare un settore in agonia.

Come si dovrebbe intervenire a proposito? Massimo Tentori, responsabile della divisione Trucks di Federauto, tra le altre cose, denuncia: “Da un lato, abbiamo un’offerta di veicoli commerciali e industriali Euro 6 introdotti sulle strade d’Europa ancor prima che i relativi standard di emissioni diventassero obbligatori, dall’altro mancano le opportunità di mercato per sostituzione del parco circolante e, nel contempo, strumenti di politica economica e stimoli che consentano al mondo del trasporto italiano di rinnovare il proprio parco”.

Tentori non è contrario all’innovazione, che permette ai nuovi veicoli di limitare l’emissione di sostanze inquinanti, ma è consapevole che in Italia si è ancora lontani dal raggiungimento di una vera consapevolezza ecologica: “in Italia preferiamo affidarci, specie in prossimità della stagione invernale, a provvedimenti estemporanei di blocco temporaneo della circolazione dei veicoli obsoleti, con pochi controlli e senza un adeguato e reale quadro sanzionatorio”.

Ci sono ancora in circolazione, almeno nel nostro pese, molti mezzi obsoleti che, rispetto ai mezzi di ultimissima generazione, emettono sostanze inquinanti in quantità trenta-quaranta volte maggiore rispetto ai nuovi modelli, che, crisi o no, dovrebbero essere messi al bando.

Questa potrebbe essere una spinta per risvegliare un mercato ormai stagnante, e che necessita quanto prima di efficaci contromisure.

Vera MORETTI

Auto italiana, esci dal freezer!

di Davide PASSONI

Noi di Infoiva, lo sapete, siamo degli inguaribili ottimisti. Sì, è vero, in questo periodo ci capita di dare più spesso notizie brutte (se non nere o nerissime), ma la realtà è difficile da negare e a nessuno giova nascondere la testa sotto alla sabbia.

Prendiamo la situazione del settore auto, per esempio. Dopo i dati sulle immatricolazioni in Italia diffusi una decina di giorni fa, non potevamo restare indifferenti e abbiamo deciso di approfondire i perché di un settore in crisi. Un settore che, nel nostro Paese, è fatto da un solo, grande (o ex grande…) player e da una miriade di piccoli che lavorano per lui ma anche per le grandi case estere. Un settore per il quale qualunque contrazione, grande o piccola che sia, ha delle ripercussioni immediate su aziende le quali, per quanto eccellenti e tecnologicamente avanzate, non sono sufficientemente strutturate per reggere botte di decrementi a due cifre. Con un conseguente, grave danno per l’intera economia del Paese.

Ecco il perché della nostra cavalcata attraverso le associazioni che, a vari livelli, rappresentano la filiera dell’auto italiana. Dalle bordate di Anfia ai dubbi di Federauto, dai numeri di Unrae alle rivendicazioni di Federcarrozzieri fino allo scenario fosco dei veicoli commerciali. Cifre, tendenze, scenari che dipingono una situazione in stallo ma che, da inguaribili ottimisti, ci sforziamo di proporvi perché possiate farvi un’idea di come stiamo e pensare, insieme agli attori della filiera, a come uscire dal tunnel. Parlando di auto, ci sembra un’espressione più che adeguata…

Leggi l’intervista al presidente di Anfia

Leggi l’intervista al presidente di Federauto

Leggi l’intervista al direttore generale di Unrae

Leggi l’intervista al presidente di Federcarrozzieri

Leggi le cifre sul mercato italiano dei veicoli commerciali

Crisi dell’auto, le colpe di governo e costruttori

Nell’intervista pubblicata ieri su Infoiva, il presidente di Anfia Roberto Vavassori ha fatto un’analisi cruda ma lucida e realistica delle difficolta che, in Italia, affliggono la filiera del settore auto. Uno dei protagonisti di questa filiera è senza dubbio il comparto delle concessionarie.

Federauto le rappresenta e per bocca del suo presidente, Pavan Bernacchi, lancia l’allarme sulla tenuta del sistema, avanza proposte per ridare ossigeno al mercato ma formula anche dure accuse tanto al governo quanto ai costruttori. Perché se la crisi è di sistema, per uscirne bisogna fare sistema anziché procedere in ordine sparso. E se un attore va a fondo, si trascina dietro tutti gli altri.

Leggi l’intervista al presidente di Federauto Filippo Pavan Bernacchi

Federauto al governo: via i “disincentivi” al settore

di Davide PASSONI

Dopo Anfia, riflettori puntati oggi, per il focus di Infoiva sulla filiera dell’auto italiana, su Federauto, la Federazione Italiana Concessionari Auto. Perché ogni concessionario è una piccola impresa e, come tale, soffre i morsi della crisi globale, oltre a quelli della crisi dell’automobile. La parola al presidente di Federauto, Filippo Pavan Bernacchi.

Che cosa c’è oltre i numeri freddi del mercato? Dove soffre maggiormente oggi la filiera dell’auto italiana e perché?
La filiera dell’automobile in Italia, dalla produzione alla commercializzazione, fattura l’11,4% del Pil, partecipa al gettito fiscale nazionale per il 16,6% e occupa con l’indotto 1 milione e 200mila persone. Questi dati reggono con un mercato medio di 2 milioni di vetture immatricolate all’anno. Nonostante la media degli ultimi 5 anni dia proprio 2 milioni, il 2011 è stato il primo anno dove siamo andati abbondantemente al di sotto della soglia di sopravvivenza del settore: 1 milione e 748mila unità. Il 2012 sta flettendo del 20% rispetto a un anno pessimo, il 2011, e si concluderà attorno ai 1 milione e 370mila pezzi. In questo mercato le vendite ai privati, alle famiglie, scendono sotto il milione di pezzi, il resto riguarda le vendite ad aziende, a noleggi e autoimmatricolazioni delle case e dei concessionari: i famigerati chilometri zero. Con 1 milione e 370mila pezzi crollerà la filiera; e si prevede che il 2013 si attesterà sugli stessi volumi. Chi soffre di più? I concessionari italiani di tutti i brand commercializzati in Italia che pur distribuendo per il 70% prodotto straniero, sono tutte PMI italiane che pagano le tasse in Italia, locali e nazionali, e danno occupazione. I Costruttori, tutte multinazionali, possono recuperare le perdite italiane nei mercati esteri, tipo Brasile, India e Cina, mentre i concessionari Italiani vivono o muoiono all’interno dei confini nazionali. Il problema principale è che sono a rischio ben 220mila posti di lavoro. Gli addetti passeranno così dagli ammortizzatori sociali, largamente utilizzati, alla disoccupazione. Tasse che mancano all’appello, contrazione di volumi, disoccupazione esponenziale ma lo Stato è completamente assente. Anzi, ha varato solo provvedimenti per distruggere la filiera.

Anche sul fronte dei veicoli commerciali la situazione è tutt’altro che rosea …
Se le auto sono la spesa più elevata, dopo gli immobili, che si trova ad affrontare una famiglia o un’impresa, lo stesso vale per i veicoli commerciali e industriali. Sono mezzi per il business. Ma se l’economia stagna, l’edilizia e il commercio sono in crisi nera, dei veicoli commerciali non c’è bisogno e chi ce l’ha, spesso, non può cambiarlo o preferisce stare alla finestra per capire ciò che accade. Essendo mezzi di lavoro sono i primi ad andare in crisi ma, se e quando ci sarà una ripresa, saranno i primi a ripartire. Ora fanno un -30% circa, ma erano già scesi lo scorso anno.

Com’è l’umore dei vostri associati? Che richieste o segnalazioni vi arrivano “dal basso”?
L’umore è pessimo. Siamo nel centro di un lungo tunnel buio di cui non si vede l’uscita. Questo a causa sia della crisi internazionale, sia dei “disincentivi” varati dal governo Monti. Una valanga di tasse e balzelli per colpire gli autoveicoli e gli automobilisti: aumenti di Iva, IPT, bolli, accise, Rc, pedaggi e varo del superbollo per le auto prestazionali. Sembra che si faccia di tutto per uccidere l’autoveicolo. E il primo danneggiato è lo Stato che, per effetto della contrazione dei volumi, introiterà 3 miliardi di tasse in meno dalla nostra “mucca da mungere”. Ma se ammazzano la mucca non potranno più avere latte. I concessionari sono basiti anche dall’immobilismo dei manager dei Costruttori che non riescono a convincere i loro vertici che per il mercato Italia ci vuole una ricetta diversa rispetto agli altri paesi europei, che passa attraverso l’alleggerimento o la soppressione degli standard, l’eliminazione dei meccanismi legati solo alle quantità e ai volumi, in un mercato che non tornerà più ai fasti di una volta. I concessionari da 3 anni chiedono di rivedere integralmente le regole della distribuzione ma i Costruttori pensano solo a produrre più auto di quello che il mercato può assorbire, questo perché il nostro mondo è malato da tempo. E questa è la madre di tutti i problemi. L’altra chiave di lettura, come espresso l’8 settembre su Sky dal direttore di Quattroruote, Carlo Cavicchi, è che le Case guardano solo alle quote di mercato, ossia quante vetture ogni 100 auto vende una marca, senza invece darsi obiettivi di redditività. E’ anche per questo che moltissimi producono in perdita, i casi eclatanti sono sotto gli occhi di tutti, e distruggono i margini delle reti di distribuzione. Un sistema ormai marcio fino al midollo destinato a scoppiare come una bolla finanziaria.

Quanto soffre la filiera dell’auto italiana la difficoltà di un grande player come Fiat? Come evitare che la difficoltà di un “grande” si scarichi sui “piccoli”?
Fiat soffre in Europa al pari degli altri Costruttori; ricordo che spesso anche quelli che fanno volumi non fanno utili nella zona Euro. Questo a causa di una lotta sui prezzi senza quartiere. Ci si dimentica sempre che quando è arrivato Marchionne, Fiat era un’azienda virtualmente fallita e ora ha accesso ai grandi mercati mondiali. Lo scarico delle multinazionali, tutte, sulle concessionarie è un gioco antico che si poteva praticare quando c’erano margini positivi. Ora è difficile estrarre sangue da un muro, cioè dai dealer. Inoltre se le vetture vanno distribuite attraverso i Concessionari, e si vogliono avere i clienti soddisfatti che poi possono diventare fedeli anche all’assistenza, bisogna che in primis i Concessionari siano soddisfatti, anche economicamente. Solo chi guadagna può lavorare bene, investire, e disporre di personale motivato per incontrare le aspettative della clientela.

L’auto in Germania, invece, continua a tirare. Merito anche di politiche industriali e sindacali che, negli anni pre-crisi, hanno ben “seminato”. La crisi non potrebbe essere l’occasione per intervenire anche da noi in questo senso e rivedere il sistema dalle basi?
In Germania c’è un ricorso abnorme alle chilometri zero per cui “non è tutto oro quello che luccica”. Che la crisi sia il momento per intervenire e costruire un presente e un futuro diverso non c’è dubbio. Ma i Costruttori, l’altra metà della luna, sono spesso assenti. Non vale per tutti e per tutti i marchi, ma per la stragrande maggioranza.

Va bene la crisi, va bene l’euro boccheggiante, ma leggere di un mercato ai livelli del 1964 significa che gli italiani non ne hanno più da spendere. Che fare?
Nel 1964 c’erano un’infinità di dealer e di marche in meno. Ergo: concorrenza molto blanda rispetto all’esasperazione odierna. E con gli stessi volumi i concessionari marginavano moltissimo. Il paragone quindi non tiene. Gli italiani, privati e aziende, sono da un lato uccisi dalle tasse, oramai a livelli indecenti, dall’altro colpiti dalle chiusure dei negozi, delle imprese, dalla delocalizzazione, dalla perdita, in ultima analisi, di centinaia di migliaia di posti di lavoro. Senza che i disoccupati trovino chance in altri settori. E anche chi potrebbe spendere ha paura e si è bloccato in attesa degli eventi. Che fare? Esattamente il contrario della cura Monti: meno tasse sulle aziende, perno della nostra economia, meno tasse sulle buste paga dei dipendenti, meno accise e: tagliare la spesa pubblica senza se e senza ma. Via tutte le Province, via tutte le auto blu, grigie e bianche, abbassare le RCA fissando il limite ai risarcimenti e contrastando le truffe, fissare un tetto massimo ai costi dei carburanti. Insomma: far ripartire questo paese, tenere le aziende in Italia, cercare di attrarre con degli sgravi gli investitori esteri. Ma io non sono un Professore universitario per cui se la ricetta Monti piace, avrà ragione lui. Ai posteri l’ardua sentenza.

Che cosa chiede Federauto al governo per sostenere un settore vitale come il vostro per l’economia italiana?
Che ritiri i “disincentivi”, li annulli. Che vari un piano per lo svecchiamento del circolante triennale, a scalare e non legato a un fondo a esaurimento. Piano che si autofinanzierebbe. Che annulli il porcellum varato per agevolare le auto a basso impatto ambientale che partirà il 1 gennaio 2013. Un piano che è una bufala e che farà buttare allo Stato centinaia di milioni di euro, destabilizzerà il mercato e non produrrà solo che danni e confusione. Piano varato contro tutti, dico tutti, gli attori della filiera. Che allinei la fiscalità delle auto aziendali ai principali Paesi europei. Che vari un tavolo di lavoro permanente perché la mobilità di domani va costruita con le scelte di oggi. Di considerare che occupiamo 1 milione e 200mila occupati e che versiamo il 16,6% delle tasse totali nazionali e che penalizzando noi, o non dandoci ascolto, alla fine penalizzano l’intero sistema-Paese.