SOS Recensioni, servizio per gli associati Fipe

TripAdvisor è spesso al centro delle polemiche per quanto riguarda recensioni non troppo veritiere e eccessivamente impietose su hotel e ristoranti.

Per questo motivo, arriva un valido ed importante sostegno in soccorso degli associati a Fipe, che dovrebbe risolvere le problematiche che ne derivano e che dovrebbe supportare la gestione di recensioni sospette o tentativi di vendita di recensioni che arrivano dalle società di ottimizzazione.

Si tratta di SOS Recensioni, rivolto a tutte le associazioni appartenenti a Fipe e realizzato da TripAdvisor, che parte da un indirizzo di posta elettronica dedicato in via esclusiva al sistema della Federazione. Con questo sistema, infatti, le Associazioni territoriali potranno aiutare il proprio associato nella gestione di situazioni che necessitano di un supporto aggiuntivo oltre a quello che deriva dall’utilizzo di TripAdvisor.

Aldo Mario Cursano, vice presidente vicario di Fipe e presidente di Fipe Toscana, ha dichiarato: “Ringraziamo TripAdvisor per aver deciso di mettere a disposizione dei nostri associati questo ulteriore strumento di supporto perché dimostra quanto TripAdvisor creda nella partnership con la nostra Federazione. Sapere di avere a disposizione uno strumento ulteriore di dialogo diretto con lo staff di TripAdvisor è per le nostre Associazioni una garanzia per gestire nel miglior modo le problematiche che i ristoratori riscontrano online. L’obiettivo finale è sempre offrire ai clienti un servizio migliore e quanto più trasparente possibile”.

Il sistema sarà ad uso esclusivo delle Associazioni di riferimento e non potrà essere utilizzato dal singolo ristoratore.
L’Associazione di riferimento, chiamata in causa dal ristoratore che avrà segnalato la problematica, invierà allo sportello SOS Recensioni una comunicazione con la quale verrà descritto il problema nel dettaglio.
Sarà poi cura di un incaricato TripAdvisor gestire al meglio la problematica ed inviare all’associato una risposta personalizzata.

Vera MORETTI

Fipe contro le agromafie in difesa dei ristoratori

Lino Stoppani, presidente di Fipe, Federazione Italiana Pubblici Esercizi, ha voluto esprimere la sua opinione sull’ultimo rapporto sulle Agromafie, che minacciano seriamente il mondo della ristorazione.

Queste le sue parole: “Il rapporto sulle Agromafie informa sulle illegalità diffuse nell’Agricoltura, confermando la gravità e la resilienza di un fenomeno che produce caporalato, manipola la formazione dei prezzi, commercializza prodotti di illecita provenienza e inquina il mercato, oltre che gravemente l’ambiente”.

Non si usano quindi giri di parole, poiché il settore della ristorazione risulta davvero essere vittima di un sistema malavitoso fatto di ricatti ed estorsioni, colpevole non solo di rovinare un comparto che potrebbe essere in ottima salute, ma anche distorcendo le dinamiche concorrenziali e producendo danni aggiuntivi relativi alla reputazione di tutto il settore. E questo è il rischio maggiore, poiché chi lavora nella ristorazione è, per la maggior parte, mosso da passione e dal desiderio di valorizzare la filiera agro-alimentare, non senza fatica e sacrificio, e certo non è disposto a mettere in discussione la sua credibilità.

I dati non sono incoraggianti perché, nonostante si tratti comunque di un numero esiguo rispetto alla totalità dei Pubblici Esercizi Italiani, si contano 5.000 ristoranti ad oggi in mano alla criminalità. Per questo motivo, occorre effettuare azioni di prevenzione e di denuncia, sempre in collaborazione con le Forze dell’Ordine, che ovviamente sanno come e quando intervenire.

Per ovviare a questa problematica davvero delicata e critica, e per evitare che altri ristoranti diventino vittime della mafia, vanno sicuramente rafforzati i controlli su tutto il territorio, ad esempio monitorando lo sviluppo delle imprese e individuando indici di allerta (socio effettivo, importo degli avviamenti pagati, corrispettivi incassati, concentrazione di attività) che evidenzino anomalie sulle quali intervenire, arrivando così a proteggere gli imprenditori del settore che sicuramente meritano di poter svolgere il loro lavoro senza dover subire ricatti ed estorsioni.

Vera MORETTI

Niente lavoro usurante per bar e ristoranti

Ha suscitato polemiche la decisione di non far rientrare nelle mansioni usuranti quelle di chi lavora nei bar o nei ristoranti, poiché, in realtà, se si tratta di rimanere in pieni per dieci ore, certo non si può dire che si tratti di lavoro sedentario.
E continuare a farlo fino a 67 anni, ovvero fino alla pensione, sembra davvero impensabile.

Aldo Mario Cursano, vice presidente vicario di Fipe, Federazione Italiana Pubblici Esercizi, ha le idee ben chiare su quanto disposto, poiché ha affermato: “Il lavoro di chi fatica tutto il giorno nei bar e ristoranti italiani merita pienamente di essere considerato nelle categorie delle mansioni usuranti, per questo dovrebbe essere esentato dall’innalzamento dell’età pensionabile, senza se e senza ma. Troviamo peraltro curioso che tra i lavori usuranti non ve ne sia neppure uno del mondo dei servizi di mercato”.

Queste sono state le parole pronunciate dopo aver sentito le ultime novità relative alla proposta del Governo di esentare quindici categorie di lavoratori dall’innalzamento automatico dell’età pensionabile a 67 anni.

Il lavoro svolto nei pubblici esercizi, infatti, implica una serie di attività e mansioni che richiedono notevoli sforzi fisici e quindi portano, alla lunga, all’usura. Pensiamo alle ore consecutive passate in piedi, a servire i clienti o preparare caffè, in cucina o in sala, ma anche la necessità di trasportare carichi pesanti.

Inoltre, lavorare nei ristoranti, ma anche nei bar, significa essere aperti sempre, anche e soprattutto sabato, domenica e durante le festività. E questo, anche quando si fa il proprio lavoro con passione, alla lunga stanca e usura, proprio come, e forse di più, per altre categorie quali insegnanti, personale infermieristico, conduttori di convogli ferroviari, personale marittimo e tutte le altre categorie contemplate dall’esenzione, sia le undici già previste dall’Ape sociale che le quattro appena incluse.

Ora la parola dovrebbe andare al Governo, al quale sono state chieste spiegazioni circa la decisione, per fare chiarezza su questa esclusione apparentemente inaspettata.

Vera MORETTI

Fipe si prepara a smascherare le sagre estive fasulle

Ora che la stagione estiva è ufficialmente partita, Fipe ha annunciato di essere particolarmente agguerrita in favore della legalità, che in estate viene sempre minacciata dall’abusivismo commerciale, a cominciare dalle sagre fasulle che in questi mesi sono presenti più o meno in tutte le località turistiche da Nord a Sud.
Si stima, infatti, che si tratti di 27.300 iniziative, per un fatturato di 558.909.000 euro, secondo i dati dell’Ufficio Studi della Federazione Italiana Pubblici Esercizi.

Ma i numeri di chi esercita attività di ristorazione senza però sottostare ai vincoli previsti dalla legge sono sicuramente molto complessi e riguardano in primis falsi agriturismi, ma anche circoli culturali e sportivo-ricreativi, che fatturano 5,2 miliardi di euro.

Ha detto Lino Enrico Stoppani, presidente di Fipe, a proposito: “Numeri davvero impressionanti che corrispondono ad una perdita di imposte dirette e contributi pari a 710 milioni di euro. Il proliferare incontrollato di queste attività e in particolare delle cosiddette finte sagre, che non promuovono prodotti tipici e non hanno legami con il territorio di riferimento, è un grave danno per l’erario e per tutti quei bar e ristoranti che operano nel pieno rispetto della legalità dando i propri servizi ogni giorno e non solo quando è più conveniente. Auspichiamo che almeno sul tema della regolamentazione e del contrasto dei finti circoli privati il decreto legislativo di riforma del terzo settore ora all’esame delle Camere possa dare un importante contributo di chiarezza”.

Per quanto riguarda le sagre, Fipe chiede che le istituzioni diano però la priorità ad eventi gastronomici con una riconosciuta valenza di tradizione, dunque che coinvolgano soprattutto gli operatori del territorio, magari creando collaborazioni con i ristoranti della zona per proporre menù tipici.

Esempio positivo di questo scambio è la Regione Lombardia, che, quando si tratta di commercio su aree pubbliche e sagre, si procede con l’invio ai Comuni di linee guida per riconoscere le sagre autentiche e che introduce un calendario annuale delle manifestazioni con multe per chi opererà senza esservi stato inserito.

Vera MORETTI

Fipe ribadisce l’errore dell’eliminazione dei voucher

Quello che si presagiva sta purtroppo accadendo: l’eliminazione dei voucher sta generando non poca confusione, e, dopo le aspre critiche dovute alla loro abrogazione, poiché considerati strumenti indispensabili in vista di collaborazioni a scadenza o stagionali, ora prevale l’incertezza, poiché, in vista dei lavori estivi, le aziende non sanno come comportarsi, senza la possibilità di usufruire di valide alternative.

Questo è quanto ha ribadito Lino Enrico Stoppani, presidente Fipe: “L’abbiamo detto e ripetuto: la cancellazione dei voucher è stata un grave errore e un grande danno per le nostre imprese. A questo si aggiunge che, a distanza di due mesi dall’abolizione dei voucher, nulla di concreto è stato fatto per permettere a tutte le imprese di avere uno strumento legale per regolamentare le prestazioni di lavoro occasionali. L’ipotesi che prevede uno strumento normativo soltanto per le imprese fino a 5 dipendenti e per soli 5 mila euro all’anno è non solo limitante, ma anche non risolutiva”.

Ma non è tutto, perché il presidente della Federazione Italiana Pubblici Esercizi ha rincarato la dose: “Il voucher rappresentava per il nostro settore e non solo, uno strumento indispensabile per mantenere nei confini della legalità prestazioni occasionali caratterizzate da alta flessibilità e stagionalità. E’ necessario, perciò, trovare al più presto uno strumento che permetta a imprese di tutte le dimensioni di tracciare queste prestazioni evitando che si alimenti il nero”.

Vera MORETTI

Ristorazione italiana e turisti stranieri

Il settore della ristorazione italiana si conferma un comparto chiave, tanto per l’economia del Paese quanto per il settore del turismo. Un ruolo di driver, quello della ristorazione, che è stato ben illustrato nei giorni scorsi dal presidente della Fipe, Lino Stoppani, durante l’assemblea annuale della Federazione Italiana Pubblici Esercizi.

Le potenzialità della ristorazione e del comparto dei pubblici esercizi è dimostrata dagli 8,4 miliardi di euro che in questo 2015 saranno spesi dai turisti stranieri in Italia, +5% rispetto al 2014.

La cucina italiana – ha sottolineato Stoppaniè la più apprezzata e la più imitata al mondo. Per i turisti stranieri è uno dei principali motivi di viaggio in Italia, addirittura il primo per ritornarci. Nonostante ciò, spesso non riusciamo a valorizzare adeguatamente le potenzialità che il settore potrebbe esprimere attraverso efficaci azioni di promozione e comunicazione”.

Nonostante questo, Stoppani ha fatto capire che nel settore della ristorazione si respira aria di ripresa: “L’ufficio studi Fipe stima per il 2015 una crescita dei consumi dello 0,8%, mentre oltre l’80% degli italiani prevede di spendere di più al ristorante nei prossimi sei mesi. Anche tra le imprese della ristorazione c’è maggiore fiducia nel futuro; nel terzo trimestre di quest’anno il sentiment è tornato ai livelli del 2007. Non tutto però va a gonfie vele: il settore è caratterizzato da forte densità e competitività imprenditoriale, non sostenute da un tessuto produttivo abbastanza robusto. Questo si traduce in un numero molto elevato di chiusure: tra gennaio e settembre del 2015 sono state aperte quasi 13mila imprese mentre ben 20mila sono quelle che hanno chiuso i battenti: un saldo negativo di circa 7mila imprese”.

L’Italia ha un modello di pubblico esercizio unico al mondo per la sua eterogeneità, qualità e diffusione – ha concluso il presidente Fipe, facendo il punto sulla ristorazione italiana -. I bar che popolano le nostre città e le nostre province fungono da luoghi di socialità, nonché di integrazione culturale, capaci di trasformarsi nel tempo insieme alle esigenze dei consumatori. Fipe celebra quindi il suo settantesimo anniversario certa della centralità del ruolo di bar e ristoranti non solo dal punto di vista economico e di immagine, ma soprattutto in quanto luoghi di aggregazione in cui si mantengono e rinvigoriscono le tradizioni gastronomiche e sociali alla base del nostro essere italiani”.

I punti deboli della ristorazione italiana

Il nostro focus sulla ristorazione italiana ci ha portati dal quadro generale del settore alle tendenze di consumo degli italiani, fino ai numeri su imprese nate, morte e produttività. Oggi invece ci focalizziamo su occupati, produttività e andamento dei prezzi nel settore della ristorazione.

L’input di lavoro del settore dei pubblici esercizi – misurato in unità di lavoro standard – conta a oggi oltre un milione  di unità. Rispetto a sei anni fa il settore della ristorazione ha assorbito circa il 5% in meno del fabbisogno delle ore complessivamente lavorate. Un fenomeno che ha interessato sia la componente del lavoro indipendente sia, soprattutto, quella del lavoro dipendente, nella quale il numero delle ore lavorate è sceso di circa il 6% tra il 2008 ed il 2014.

I pubblici esercizi impiegano, in media d’anno, 680.693 lavoratori dipendenti, pari al 71% del totale nazionale del comparto del turismo. Al tema del lavoro è direttamente collegato quello della produttività in considerazione del fatto che siamo in presenza di un settore cosiddetto labour intensive.

La produttività del settore ristorazione non soltanto è bassa ma anziché crescere si riduce. Attualmente è del 2% in meno rispetto al livello raggiunto nel 2009, pur in presenza del recupero registrato nel corso del 2014. La dinamica della quantità di lavoro utilizzato dal settore negli anni della crisi non ha favorito il miglioramento della produttività con la conseguenza che la remunerazione del lavoro e del capitale si fa sempre più problematica. Sotto questo profilo, sostiene la Fipe, la ristorazione dovrà imboccare con decisione la strada di un forte recupero di produttività.

Per quanto riguarda invece l’andamento dei prezzi, a settembre 2015 i prezzi dei servizi di ristorazione commerciale (bar, ristoranti, pizzerie, ecc.) hanno fatto registrare una variazione dello 0,1% rispetto al mese precedente e dell’1,1% rispetto allo stesso mese di un anno fa. L’inflazione acquisita per l’anno in corso si attesta all’1,1%.

Si contano aumenti inferiori all’1% in ristoranti e pizzerie, mentre una stagione estiva particolarmente brillante ha fatto salire i prezzi dei gelati industriali e artigianali. Nel corso di questi ultimi anni la dinamica dei prezzi dei servizi di ristorazione è stata caratterizzata – in coerenza con il quadro generale – da una significativa moderazione, dimezzandosi, di fatto, dal 2% del 2012 all’1% di oggi.

Imprese e valore aggiunto del settore della ristorazione

Dopo aver visto nei giorni scorsi i segnali incoraggianti per il settore della ristorazione italiana e le tendenze di consumo degli italiani che quotidianamente frequentano bar e ristoranti, oggi torniamo ad analizzare il Rapporto Fipe 2015 sulla ristorazione dal punto di vista dei numeri.

La ristorazione italiana conta 320.391 imprese, suddivise in 149.085 bar e 168.289 ristoranti di varia tipologia. Che quello italiano sia un mercato a forte densità imprenditoriale è noto. I numeri dicono che, a fronte di una densità che in Francia è di 329 imprese per 100mila residenti, in Germania di 198 e nel Regno Unito addirittura di 181, l’Italia presenta un indice di 440 imprese della ristorazione per 100mila residenti.

Il tasso di competizione del mercato della ristorazione è elevato e gli effetti sul turnover imprenditoriale sono evidenti, tendenza che conferma la sostanziale fragilità del tessuto produttivo del settore, ulteriormente accentuata dalla crisi.

Infatti, nei primi nove mesi del 2015 hanno avviato l’attività 12.726 imprese mentre 20.018 l’hanno cessata, determinando un saldo negativo di 7.292. Anche nel 2014 il saldo è stato negativo per circa 10mila unità. Tuttavia il clima di fiducia delle imprese della ristorazione migliora: nel terzo trimestre del 2015 è infatti tornato ai livelli del 2007.

Il valore aggiunto del settore italiano della ristorazione sfiora i 40 miliardi di euro ed è del 19% superiore a quello dell’agricoltura e del 52% superiore al valore aggiunto dell’industria alimentare. L’impatto della crisi sulle performance del settore è avvenuto con un certo ritardo, ma ha dispiegato i propri effetti negativi nel biennio 2012-2013, quando ha segnato una contrazione di oltre il 4%.

Vedremo domani qual è, in termini numeri, la dimensione del settore della ristorazione sul totale degli occupati nel comparto del turismo e quali sono le tendenze occupazionali degli ultimi anni, con un occhio anche agli indici di produttività e all’andamento dei prezzi del settore.

Ristorazione e consumi, le dinamiche del settore

Abbiamo visto ieri come l’annuale Rapporto Ristorazione a cura della Fipe – Federazione Italiana Pubblici Esercizi abbia scattato una fotografia tutto sommato positiva dell’andamento del settore della ristorazione in Italia nei primi mesi del 2015, con buone prospettive sulla chiusura dell’anno.

Oggi vediamo come la sintesi del Rapporto presenti una dettagliata mappa dei consumi degli italiani fuoricasa, dalla colazione al dopocena, con le tipologie di locale maggiormente coinvolte e i prodotti di maggiore preferenza.

Uno studio accurato che, per gli operatori del settore della ristorazione, può essere un punto di partenza per calibrare la propria offerta in base alle preferenze del consumatore, sia sotto il profilo della varietà alimentare che delle fasce orarie di consumo preferite. Vediamo.

Ristorazione: i consumi infrasettimanali

  • 5 milioni di persone ogni giorno (il 61,5% della popolazione) fa colazione fuori casa con predilezione per caffè, cappuccino e brioche e una spesa media di 2,50 euro;
  • 12 milioni di italiani (il 66% della popolazione) pranzano fuori casa, prevalentemente al bar, per 3-4 volte durante la settimana: panino, pizza e primi piatti le proposte di maggiore preferenza;
  • 3 milioni di italiani (59,4% della popolazione) cenano al ristorante almeno tre volte alla settimana, scegliendo soprattutto pizzerie, con una spesa media di 22,40 euro;
  • Oltre 9 milioni (il 47,7% della popolazione) si recano al bar per una pausa almeno 3-4 volte alla settimana, scegliendo soprattutto snack e gelati per una spesa complessiva di 3,20 euro.

Ristorazione: i consumi nel fine settimana

  • 6,6 milioni di italiani (il 63,6% della popolazione) pranzano fuori casa nel week end almeno 3 volte al mese, scegliendo soprattutto la pizza e spendendo indicativamente 18,60 euro;
  • 7,3 milioni (il 66,8%) cenano fuori casa nel week end almeno 3 volte al mese prediligendo ristoranti e trattorie, con una media di due portate a pasto e una spesa media di 19,10 euro.

Tutte queste cifre fanno sì il mercato della ristorazione in Italia sia al terzo posto in Europa. Nel continente il settore della ristorazione vale 504 miliardi di euro ed è concentrato principalmente in tre Paesi: Regno Unito, Spagna e Italia. In rapporto alla popolazione e a parità di potere d’acquisto, la spesa pro-capite per la ristorazione è in Italia del 22% superiore a quella media europea e del 33% alla spesa della Francia.

La ristorazione italiana torna a sorridere

Il settore della ristorazione è uno di quelli che trainano l’economia italiana e, in questo 2015, sta facendo registrare segnali incoraggianti. Di fatto, gli italiani tornano al ristorante, dicono basta alla crisi e fanno tendere al bello il barometro della ristorazione fuoricasa.

Una tendenza certificata con numeri chiari e con un trend positivo dall’ultimo Rapporto Ristorazione a cura della Fipe – Federazione Italiana Pubblici Esercizi, presentato nei giorni scorsi all’Unione del Commercio di Milano. Consumi in crescita dello 0,8% nel 2015 e prospettive in miglioramento sul fronte dell’occupazione: l’universo della ristorazione italiana, fatto di bar, ristoranti, gelaterie e pasticcerie torna a sorridere.

Una tendenza che, per il settore della ristorazione, si traduce nell’interruzione della dinamica di contrazione iniziata nel 2008. Per il 2015, infatti, la previsione del Centro Studi Fipe è di un incremento dello 0,8% che porterà la spesa nominale a 76 miliardi di euro. Nel complesso, nel 2014 la spesa delle famiglie italiane per la ristorazione si è attestata su 74.664 milioni di euro in valore e 69.473 milioni in volume, con un incremento reale sul 2013 dello 0,7%.

Del resto, ricorda la Fipe, otto italiani su dieci frequentano più o meno abitualmente bar e ristoranti a pranzo, a cena o semplicemente per una pausa. Anche tra le imprese della ristorazione si coglie maggiore fiducia verso il futuro: nel terzo trimestre di quest’anno il sentiment è tornato ai livelli del 2007. Tuttavia, il saldo tra imprese che hanno avviato l’attività e imprese che l’hanno cessata rimane negativo, a conferma del fatto che la ripresa non riguarda l’intero settore.

Il Rapporto del Centro Studi Fipe non trascura di entrare nel merito dei comportamenti di consumo degli italiani nei confronti del settore della ristorazione. Il 77% dei maggiorenni consuma più o meno abitualmente cibo al di fuori delle mura domestiche, sia che si tratti di colazioni, pranzi, cene o più semplicemente di spuntini e aperitivi. In termini numerici si tratta di 39 milioni di persone, così segmentati:

  • heavy consumer: 13 milioni che consumano almeno 4-5 pasti fuori casa in una settimana;
  • average consumer: 9 milioni che consumano almeno 2-3 pasti fuori casa in una settimana;
  • low consumer: 17 milioni che consumano almeno 2-3 pasti in un mese.

Gli heavy consumer sono in prevalenza uomini (51,3%) di età compresa tra i 35 e i 44 anni (24,8%) e residenti al Nord Ovest (29,8%), in centri abitati tra i 5mila e i 40mila abitanti (30,5%). Appartengono a un nucleo familiare composto da 3 persone (32,3%). Gli average sono in prevalenza uomini (51,9%), residenti al Centro Italia (28,9%) in centri abitati tra i 5mila e i 40mila abitanti (35,9%). In prevalenza appartengono a un nucleo familiare composto da 4 persone (26,1%). I low consumer sono in prevalenza donne (51,6%), di età superiore ai 64 anni, residenti nelle regioni del Nord Italia, in centri abitati tra i 5mila e i 40mila abitanti (34,9%). In prevalenza appartengono ad un nucleo familiare composto da due persone (35,2%).

“Già nel corso dell’anno – commenta Lino Enrico Stoppani, presidente Fipe – erano stati evidenziati segnali incoraggiantiDai dati positivi sul pranzo di Pasqua e Pasquetta fino alle ultime elaborazioni sui risultati della stagione estiva, tutti i numeri portavano a previsioni ottimistiche: l’ennesima conferma del valore di un settore, quello del fuoricasa, scelto da 39 milioni di italiani e che punta sempre di più all’innovazione, alla competenza, alla qualità delle proposte”.

Domani vedremo quali sono le dinamiche dei consumi fuoricasa da parte degli italiani e quanto incidono sul mercato della ristorazione italiana.