Investimenti finanziari e tassa sul capital gain: aliquote e curiosità

Sono sempre più numerose le persone che fanno degli investimenti finanziari e questo perché gli italiani sono un popolo di risparmiatori e perché nel tempo il trading online ha dato la possibilità a persone che prima avevano difficoltà ad accedere ai mercati finanziari di investire in azioni, obbligazioni e materie prime e ottenere anche dei buoni guadagni. Chi investe nei mercati finanziari deve però sapere che sui guadagni è necessario pagare delle tasse, si parla in questo caso di tassa sul capital gain, ecco come funziona e quanto si paga.

La tassa sul capital gain

La tassa sul capital gain è anche conosciuta come tassa sulle plusvalenze finanziarie, a esse si applica un’aliquota al 26% come stabilito dal Decreto Legge n. 66 del 24/04/2014 che ha portato l’aliquota dal 20% al 26%.

Come si paga la tassa sul capital gain? Abbiamo visto in precedenza che la maggior parte delle entrate sono tassate, ad esempio in caso di vincite alle lotterie nazionali, viene effettuata la ritenuta alla fonte e di conseguenza non sarà necessario dichiarare ulteriormente tali somme. Non è invece così per la tassa sulle plusvalenze finanziarie, infatti, sebbene spesso si associno tali guadagni a una vincita, non è questo il trattamento fiscale che viene riservato. Per pagare la tassa sul capital gain al momento della dichiarazione dei redditi, qualunque sia il modello adottato, è necessario compilare il quadro RT dedicato alle plusvalenze di natura finanziaria. Il quadro RT contiene diverse voci:

  • RT21: somme ricevute come corrispettivo degli investimenti (quindi la somma tra quanto investito e i guadagni)
  • RT22: somme investite
  • RT23: guadagni generati (differenza RT21 ed RT22)
  • RT24, 25 e 26: minusvalenze anche degli anni precedenti
  • RT27: imposta dovuta

Le minusvalenze degli anni precedenti, naturalmente non generano imposte, ma possono essere utilizzate come credito d’imposta e di conseguenza possono portare a una diminuzione delle imposte da pagare. Le minusvalenze non si possono recuperare nel caso in cui siano state generate da ETF o da fondi comuni di investimento.

Per indicare la compensazione deve essere utilizzato il riquadro RT28

Il riquadro RT29 contiene invece la differenza tra il riquadro RT27e RT28.

Naturalmente per un corretto calcolo dell’imposta sul capital gain è bene avvalersi della consulenza di un esperto, solo in questo modo si può evitare di pagare più del dovuto o meno del dovuto.

Ulteriori informazioni sulla tassa sul capital gain

Il capital gain sui Titoli di Stato si calcola in modo diverso, o meglio si applica un’aliquota molto più bassa, al 12,50% questa si applica a BOT, BTP, CCT e CTZ. La tassazione agevolata si applica anche a titoli emessi da enti pubblici, ad esempio regioni, province e comuni e alle obbligazioni emesse da organismi internazionali di Paesi rientranti nella white list, cioè nell’elenco dei Paesi con i quali c’è lo scambio di informazioni.

Se vuoi conoscere quali sono i Paesi appartenenti alla white list e quelli della black list, leggi l’articolo: Fiscalità privilegiata: i Paesi della Black list e White list

Nel caso in cui gli investimenti che hanno generato guadagni sono in fondi che contengono anche Titoli di Stato, la tassazione si applica al 26%, ma con riduzione dell’importo al 48,8%.

Naturalmente una volta calcolati gli importi dovuti, sommati quelli per i reddito ordinari, se dovuti, sarà necessario effettuare il versamento.

Cosa sono le Utility e perché molti investono in questo settore?

Si sente spesso parlare nel settore dell’economia e delle finanze di Utility, è arrivato il momento di capire di cosa si tratta e quali prospettive di investimento può offrire tenendo in considerazione che da molti il settore delle Utility è parificato ai beni rifugio, come l’oro.

Cosa sono le Utility?

Per Utility si intendono società quotate in Borsa che lavorano nel settore dell’energia e dell’elettricità. Il termine oggi è molto usato perché c’è un numero elevato di persone che decide di investire in questo settore che con la privatizzazione ha visto la diversificazione dei prodotti disponibili. I motivi degli investimenti sono evidenti, si tratta di settori che generalmente sono abbastanza stabili, e infatti hanno retto bene anche allo shock pandemico. Tra le utilities più conosciute e che hanno attirato numerosi investimenti ci sono sicuramente A2A, Hera, Acea, ma anche Ibedrola.

Quando si parla di Utility del settore energetico non si deve incorrere nell’errore di pensare che si tratti solo del settore dell’energia elettrica, infatti, tra le società quotate in Borsa che rientrano in questo settore vi sono anche i titoli petroliferi, come Repsol.

Perché molti investono in Utilities?

Una caratteristica che rende molto appetibili gli investimenti in questi settori è il fatto che le Utilities tendono a distribuire i dividendi agli azionisti e quindi vi possono essere dei ritorni di risparmio abbastanza costanti con pagamento semestrale o annuale. Infatti è possibile fare leva sullo scambio delle azioni e quindi su acquisto e vendita, oppure sulla distribuzione di dividendi. Per partecipare alla distribuzione dei dividendi di solito è chiesto un periodo minimo di possesso delle azioni.

I motivi per cui sono in tanti a investire nel settore delle Utility sono numerosi, quindi non c’è solo una buona tenuta e la distribuzione dei dividendi, ma anche il fatto che è un mercato poco speculativo, cioè è un mercato dove i valori sono abbastanza costanti, con rendimenti non elevatissimi, in media il 2%, ma non utilizzati per compiere operazioni speculative ad alto rischio al solo scopo di guadagnare sulla differenza di prezzo tra costo di acquisto e di vendita delle azioni.

Chi decide di investire nel settore delle Utility deve anche considerare che è preferibile mettere in conto investimenti di lungo periodo e non di breve periodo e questo appunto perché si tratta di un mercato non particolarmente speculativo, allo stesso tempo non particolarmente rischioso, ecco perché l’investimento può essere inserito in un piano di diversificazione del proprio portafoglio.

Affidabilità, possibilità di fare investimenti di lungo periodo, possibilità di fare previsioni sull’andamento andando a studiare un po’ i mercati, fanno in modo che questo settore sia particolarmente apprezzato anche da chi vuole costruire una rendita per il momento in cui si vuole godere della pensione.

Varie possibilità di investimento nel settore Utility

Il settore delle Utility può essere utilizzato anche per il trading online che prevede investimenti ridotti, visto che non è necessario acquistare pacchetti azionari. Naturalmente le oscillazioni non particolarmente elevate del prezzo non porteranno guadagni di tipo speculativo, ma sicuramente possono esserci guadagni interessanti anche per chi non è espertissimo di trading. Infine, è un ottimo mercato per i fondi di investimento, in questo caso si possono diversificare le azioni delle società che andranno a formare il fondo e allo stesso tempo si potranno tenere al sicuro i risparmi.

Per chi decide invece di investire su una sola società è bene tenere in considerazione alcuni principi, in particolare reggono meglio le Utilities che riescono a diversificare la proposta di fonti energetiche e sono aperte alle novità derivanti dalla transizione ecologica, ad esempio una società che propone anche energie da fonti rinnovabili. Hanno minore stabilità le società quotate che si specializzano in un unico settore e che si basano su tecnologie inquinanti.

Naturalmente queste sono linee guida molto generiche per coloro che sono attratti dagli investimenti nel settore Utility, ma è sempre bene affidarsi a consulenze di professionisti, diversificare e non correre troppi rischi con il proprio portafoglio di investimento.

Fondi comuni d’investimento mobiliare: chi li gestisce?

I fondi comuni di investimento mobiliare sono organismi di investimento collettivo in valori immobiliari. Ecco come vengono organizzati e chi li gestisce.

Fondi comuni di investimento mobiliare: ecco come funzionano

I fondi comuni di investimento mobiliare sono istituti di intermediazione finanziaria che hanno lo scopo di raccogliere denaro nel pubblico dei risparmiatori per impiegarlo nell’acquisto di titoli azionari. Ma anche acquisto di obbligazioni del debito pubblico. Il denaro raccolto e i titoli acquistati formano un fondo di proprietà comune dei partecipanti che resta depositato presso una banca. Oppure viene amministrato da una società di gestione che assume l’iniziativa della costituzione del fondo. Ma chi gestisce oppure organizza i fondi comuni di investimento mobiliare.

L’organizzazione del fondo da parte di soggetti differenti

L’organizzazione di un fondo d’investimento mobiliare si basa su tre figure: le società di gestione, la banca depositaria e i partecipanti al fondo. La società di gestione assume l’iniziativa della costituzione del fondo tramite la pubblicazione del regolamento del fondo stesso. La società provvede all’amministrazione investendo in titoli le somme raccolte tra i partecipanti al fondo, vendendo al momento giusto i titoli acquistati. La banca depositaria raccoglie le somme tra i partecipanti, i titoli acquistati e i denari ricavati dalla rivendita dei titoli. Mentre i partecipanti al fondo sono i risparmiatori che investono il proprio denaro. Basta aderire alla proposta della società di gestione formulata nel regolamento del fondo. I risparmiatori affidano il denaro alle decisioni dell’investimento che prenderà la società di gestione.

Fondi comuni di investimento mobiliare: le caratteristiche di quelli aperti

In Italia esistono i fondi aperti ed i fondi chiusi. I fondi comuni sono previsti dalla legge 77/1983 sono principalmente aperti. Ciò significa che da un lato la società di gestione può reclutare un numero illimitato di partecipanti al fondo. Dall’altro che i partecipanti possono sempre chiedere il rimborso della quota. Al momento dell’adesione la società di gestione rilascia un certificato di partecipazione, che rappresenta la quota di partecipazione. Le quote devono essere di uguale valore e attribuiscono gli stessi diritti. I fondi aperti garantiscono:

  • il rimborso in denaro della quota sottoscritta;
  • il diritto di esaminare il rendiconto annuale e una relazione semestrale;
  • il diritto della ripartizione periodica dei proventi, se previsto nel regolamento del fondo. Se invece, il regolamento non prevede questa possibilità, si tratta di fondo di accumulazione.

Le caratteristiche dei fondi chiusi

A differenza dei fondi aperti, nei fondi chiusi i partecipanti al fondo non hanno diritto al rimborso della quota in ogni momento. Infatti il fondo chiuso ha una durata stabilita al termine del quale il fondo è liquidato. In quel momento i soldi vengono dati ai soci. Di solito la durata è tra i 5 e i 10 anni. I fondi chiusi hanno un capitale indicato, pertanto una volta raggiunto, le sottoscrizioni sono bloccate. La sottoscrizione delle quote deve avvenire entro 18 mesi dalla data di approvazione del regolamento del fondo o, nel caso in cui le quote siano offerte al pubblico, dalla data di pubblicazione del prospetto informativo. Fanno eccezione i fondi semi-chiusi per i quali è prevista la possibilità di chiedere il rimborso delle quote anche in corrispondenza di nuove emissioni.
Per tale motivo il patrimonio del fondi chiusi risulta essere fisso o semi-fisso.

Chi controlla queste operazioni?

Le attività svolte da questi soggetti sono sottoposte al controllo pubblico attraverso il Ministero dell’Economia, la Consob e la Banca d’Italia. Inoltre, nei fondi comuni di investimento vi è una netta separazione giuridica e sostanziale tra il patrimonio del fondo, patrimonio della società e patrimonio dei partecipanti. Infine i fondi comuni di investimento mobiliare chiusi operativi sul mercato italiano possono essere classificati in funzione del loro grado di specializzazione. In particolare con riferimento a: allo stadio di sviluppo aziendale (early stage financing, expansion financing); Ma anche tenendo conto del settore industriale di riferimento e l’area geografica di destinazione dell’investimento. In ogni caso nel caso in cui si decida di partecipare ad un fondo comune di investimento mobiliare è sempre bene studiare con attenzione il regolamento che lo gestisce. Almeno così vi è la possibilità di non commettere errori nell’investimento del proprio capitale o risparmi.

Armonia Italy fund, un private equity per il made in Italy

Il made in Italy è una bandiera, un’eccellenza ma anche e soprattutto una formidabile fonte di business. Tanto che a qualcuno, ogni tanto, viene in mente di lanciare un fondo di private equity con un target specifico sulle imprese made in Italy.

È accaduto 25 anni fa con Investindustrial di Andrea Bonomi, nel 2003 con il Fondo Clessidra di Claudio Sposito e accade oggi, quando la famiglia Rovati (ex del ramo farmaceutico con Rottapharm), Sigieri Diaz Della Vittoria Pallavicini, l’ex vice di Marco Tronchetti Provera in Telecom e Pirelli Francesco Chiappetta, Alessandro Grimaldi (ex fondatore proprio di Clessidra) hanno creato insieme ad altri soci il nuovo fondo italiano di private equity Armonia Italy fund, che debutterà in primavera con una dotazione di 700 milioni di euro.

Di fatto, Armonia Italy fund sarà il braccio finanziario nel private equity del gruppo Gwm fondato da Sigieri Diaz, il quale sarà il presidente, affiancato da Luca Rovati e Chiappetta come vice e da Grimaldi come amministratore delegato.

Per esplicita ammissione del presidente Diaz Della Vittoria Pallavicini, il fundraising di Armonia Italy fund si rivolgerà ai grandi fondi pensione, agli hedge fund, alle assicurazioni, alle Fondazioni bancarie e ai fondi universitari. “Abbiamo l’ambizione di creare un’istituzione finanziaria che sappia attrarre capitali esteri. Per questo partiremo con un road show per presentarci agli investitori stranieri a Londra, New York, Hong Kong, Dubai, Abu Dhabi e Zurigo“.

Il futuro ad di Armonia Italy fund, Grimaldi, dà sostanza alle parole del presidente: “La focalizzazione sarà su quei gruppi che hanno bisogno di crescere con il consolidamento ma anche su tutte le aziende di medie dimensioni orientate all’export. Potremo investire in settori come l’alimentare, il fashion e lusso, il farmaceutico ma anche in campi finora trascurati che hanno grosse potenzialità di crescita“.

Nasce il fondo che valorizza le esportazioni italiane

Se le esportazioni italiane sono una delle voci più pesanti e d’eccellenza della nostra economia, perché non farne anche una fonte di investimento? È quello che deve essersi chiesto Comoi Group, che ha infatti attivato Italy Export Credit, un fondo di investimento specializzato che investe nelle esportazioni italiane.

Il fondo è destinato esclusivamente a fondazioni, compagnie assicurative e fondi pensione – tipicamente i grandi investitori istituzionali – e dà valore alle esportazioni italiane investendo in obbligazioni di pagamento che vengono rilasciate dalle banche dei Paesi importatori, le quali operano nelle transazioni commerciali con le aziende italiane esportatrici; in questo modo smobilizzeranno i propri crediti liberandosi del rischio correlato.

Il valore delle imprese e delle esportazioni italiane è stato sottolineato dal direttore generale di Comoi Sim, Gerardo Stigliani, in occasione della presentazione di Italy Export Credit: “Italy Export Credit è la prima iniziativa di questo tipo in Europa e si pone come un fondo di sistema in grado di creare finalmente un ponte tra il risparmio previdenziale e assicurativo raccolto dagli investitori istituzionali e l’economia produttiva più vitale rappresentata dalle imprese che esportano”.

L’Agenzia delle Entrate fa chiarezza sui fondi di investimento

di Vera MORETTI

L’Agenzia delle Entrate con circolare del 15 febbraio 2012 n. 2 spiega come comportarsi per quanto riguarda i fondi comuni d’investimento immobiliare.
L’articolo 32 del decreto legge 31 maggio 2010, infatti, ha introdotto alcune disposizioni che mutano l’attuale assetto normativo di tali fondi.

Secondo le disposizioni più recenti, coloro che investono in fondi beneficiano del regime fiscale agevolato con una tassazione del 20%.
Le modifiche che riguardano i redditi conseguiti dai partecipanti ai fondi immobiliari, invece, prevedono l’imputazione per trasparenza dei redditi conseguiti dal fondo e rilevati nei rendiconti di gestione in capo ai partecipanti che possiedono quote di partecipazione al fondo superiori al 5% del valore dello stesso.

Per i partecipanti non istituzionali che possiedono quote di partecipazione al fondo superiori al 5 per cento, inoltre, è prevista l’applicazione di un’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi nella misura del 5% sul valore medio delle quote detenute entro la data del 31 dicembre 2010.

I fondi immobiliari in cui almeno un partecipante non istituzionale possedeva una quota superiore al 5% al 31 dicembre 2010 potevano essere messi in liquidazione entro il 31 dicembre 2011.
In questo caso l’imposta sostitutiva dovuta è pari al 7% del valore netto del fondo risultante dal prospetto redatto al 31 dicembre 2010. Tale imposta deve essere versata dalla società di gestione del risparmio nella misura del 40 per cento entro il 31 marzo 2012 e la restante parte in due rate di pari importo da versarsi entro il 31 marzo 2013 e il 31 marzo 2014.

Riepilogando, le scadenze sono queste:

  • Importo della rata 40% dell’imposta dovuta – Scadenza 31 marzo 2012
  • Importo della rata 30% dell’imposta dovuta – Scadenza 31 marzo 2013
  • Importo della rata 30% dell’imposta dovuta – Scadenza 31 marzo 2014

E’ prevista un’ulteriore imposta sostitutiva delle imposte sui redditi e dell’IRAP nella misura del 7% sui risultati conseguiti dal 1° gennaio 2011 e fino alla conclusione della liquidazione. Questa va versata dalla società di gestione del risparmio entro il 16 febbraio dell’anno successivo rispetto a ciascun anno di durata della liquidazione, ma, in considerazione delle condizioni di incertezza che caratterizzano la specifica disciplina, l’imposta sostitutiva sui redditi conseguiti dal 1° gennaio al 31 dicembre 2011 può essere versata entro il 31 marzo 2012 maggiorata dei relativi interessi e senza applicazione delle sanzioni.

Nell’ipotesi in cui il fondo sia di nuova istituzione e alla data del 31 dicembre 2010 non era ancora operativo l’imposta sostitutiva del 7 per cento sul patrimonio netto non è dovuta.