In arrivo le pensioni per gli esodati?

Sembrava che fosse avvenuto un miracolo, ma, a dir la verità, non è accaduto nulla di così sorprendente.

Antonio Mastrapasqua, presidente dell’INPS, aveva infatti parlato di salvaguardia di 220mila lavoratori, coloro che erano rimasti senza pensioni né lavoro in seguito alla riforma Fornero sulle pensioni.
Ma ciò, almeno per ora, non trova fondamenti al Governo, oltre a fornire dati sbagliati.

Il presidente INPS, a questo proposito, secondo quanto detto da Vera Lamonica, segretario confederale Cgil, ha inserito nei 220mila anche 80mila futuri pensionati che non sono stati colpiti dalla riforma e quindi non rientrano nella nuova schiera di salvaguardati.
Tolti questi, ne rimangono 140mila, di cui 120mila sono già salvaguardati da due decreti, uno per i primi 65mila, l’altro per 55mila, ai quali si aggiungono 10mila esodati che verranno salvaguardati con un ulteriore fondo, annunciato dalla stessa Elsa Fornero.

Mastrapasqua ha poi sciorinato una serie di dati che riguardano il 2012: -35,5% di lavoratori andati in pensione, per un’età media di uscita dal lavoro di 61,3 anni, contro i 60,3 del 2011. E le previsioni dicono che l’anno prossimo si arriverà a 61,7, come accade già in Germania.

E a proposito di conti, sembra che le casse dell’INPS godano di ottima salute, come anche il sistema, considerato “stabile ed in sicurezza”.

Speriamo bene.

Vera MORETTI

Accordo raggiunto a Bruxelles sulla vigilanza unica bancaria

Un accordo che mette d’accordo i leader delle maggiori nazioni europee: è quello che è stato siglato a Bruxelles sulla vigilanza unica bancaria, da affidare alla Bce dal 2013.
Il compromesso è stato raggiunto dopo l’ennesimo braccio di ferro tra la Francia di Hollande e la Germania della Merkel, ma l’importante è che l’obiettivo dell’intesa sul quadro legislativo sia stato centrato.

Si partirà da qui per arrivare in seguito ad una ricapitalizzazione diretta delle banche da parte del Meccanismo europeo di stabilità (Esm), come ha anche confermato il presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy: “Oggi abbiamo deciso di precisare il calendario assicurando che la Bce si è impegnata a lavorare il più velocemente possibile per un’entrata un vigore del meccanismo nel corso del 2013“.

Angela Merkel si è mostrata soddisfatta, anche se ha subito messo le mani avanti perché il meccanismo unico di supervisione bancaria diventi del tutto operativo perché, ha precisato: “la qualità è più importante della rapidità, perché l’obiettivo è una supervisione bancaria degna di questo nome“.

A questo proposito, Francois Hollande sembra concordare con la cancelliera tedesca, poiché ammette come fosse impossibile sperare in tempi più brevi, anche e non solo a causa delle divergenze tra i due Paesi. Alla fine, però, il capo dell’Eliseo ha dichiarato: “Con gli amici tedeschi, c’è stato un accordo perfetto perché Berlino ha capito, come noi, che l’unione bancaria deve avere delle tappe“.

L’ipotesi di un supercommissario europeo, che abbia anche diritto di veto sui bilanci nazionali, non è stata per ora presa in considerazione, e pare che si tratti di un’idea che non piace nasce a Mario Monti. Il nostro presidente del Consiglio si è soffermato, invece, sull’accordo raggiunto, puntualizzando che “non è possibile dire con esattezza quando potranno essere ricapitalizzate direttamente le banche in difficoltà”.

Anche il presidente spagnolo Mariano Rajoy ha usato parole soddisfatte dei risultati ottenuti durante il vertice “perché sono stati fatti progressi nel processo di integrazione europea e nell’unione bancaria, con l’accordo di avere una legislazione alla fine dell’anno per poi attuarla nel corso del 2013“.

Vera MORETTI

Ceramiche, il made in Italy che incanta l’estero

Le presenze di buyers e compratori stranieri alledizione 2012 di Cersaie ha raggiunto la quota record di oltre 30.000, ovvero il 32% del totale dei visitatori che hanno partecipato alla fiera di riferimento a livello internazionale della ceramica per l’architettura e dell’arredobagno. Numeri che trovano una perfetta corrispondenza nei dati export per il 2012 dell’industria della ceramica in Italia: circa l’80% della produzione made in Italy è destinata infatti a mercati extranazionali.

Ma qual è la geografia dei Paesi compratori delle ceramiche prodotte nei distretti industriali del Modenese e del resto d’Italia? Qual è il segreto delle ceramiche italiane apprezzate in tutto il mondo? Quanto l’export ha permesso una rinascita del settore, messo a durissima prova dalla crisi della domanda interna e dagli sfortunati eventi sismici che hanno messo in ginocchio le aziende del modenese?

Leggi i dati sull’export dell’industria della ceramica italiana

Le ceramiche italiane puntano sull’export

Oltre 2 miliardi di euro di fatturato nel primo semestre del 2012, grazie soprattutto al giro d’affari dell’export. L’industria della ceramica made in Italy reagisce con grinta alla crisi, segnando solo una leggera flessione (-0,56%) rispetto allo stesso periodo del 2011. Il risultato nasconde però luci e ombre su un comparto dell’industria nazionale che resta il principale player del settore ceramiche a livello internazionale (36,8%):  se la domanda del mercato interno, e in parte di quello Ue, ha subito un forte ridimensionamento, a farla da padrone sono i Paesi extra Ue che registrano aumenti a due cifre.

In Italia si produce, guardando ai metri quadrati, il 20,8% della quota mondiale di ceramica,  superata solo dalla Cina che ne produce il 29,5%. Le posizioni si invertono però se si guarda alla quota export: l’Italia è il principale esportatore internazionale con oltre il 36%, seguito dalla Cina, con il 20,1%, e dalla Spagna che si ferma al 14,9%.

Ma come si sono suddivise le fette di mercato interno ed export nella prima parte di 2012? Le vendite domestiche, riferite al territorio nazionale che ricoprono una fetta pari al 21,2% delle vendite totali, si sono fermate nel 2012 a 501 milioni, con una diminuzione del 16,2% rispetto al 2011. Estendendo lo sguardo al mercato Ue, che vale per il 42,4% delle vendite totali del comparto,  la flessione si arresta invece al -1,4%.

Nel dettaglio, il mercato che maggiormente ha risentito della crisi è stato quello greco (-40,9%), ma va specificato che l’export ellenico riguarda una fetta esigua del fatturato totale (1%). Maglia nera anche a Portogallo, Irlanda e Spagna, con flessioni stimate tra il -25 e il -16%. Il rigore imposto dal governo tedesco ha garantito un +9% nelle vendite del comparto ceramica in Germania che, un mercato che rappresenta una quota pari 10,5% delle vendite totali, performance positiva doppiata solo in Europa dall’Austria, che ha segnato +13,6%, ma che dispone di una fetta più esigua nella quota export (2,7%).

Estendendo lo sguardo fuori dal mercato Ue e verso i Paesi Emergenti, il dato che maggiormente colpisce riguarda l’area del Golfo Persico: il Medio Oriente segna un balzo in avanti del +43,7%, seguito a distanza solo dai mercati di Australia e Oceania, che hanno invece registrato nei primi 6 mesi del 2012 una crescita  pari al +20,3%. Ottime performance anche per il continente Africano che ha chiuso con un +16,5%, mentre al secondo posto fra i mercati più interessanti per l’export di ceramiche made in Italy si confermano il Sud America (+18,4%) e gli Usa (+17,8%).  A registrare la crescita più contenuta infine, come era facilmente prevedibile, il mercato del Far East (11,2%), principale produttore di ceramiche nel mondo.

Alessia CASIRAGHI

 

L’Ue di Draghi: come difendere i capitali privati

Nonostante la Bce non possa finanziare gli stati membri dell’Eurozona, pare che Draghi intenda stampare nuova moneta per salvare l’insalvabile, per andare incontro alle banche spagnole e forse anche italiane. Sostiene che è suo compito far funzionare la politica monetaria, anche in questo modo. In pratica, però, si creerebbe ricchezza dal nulla, semplicemente stampando carta/denaro.

Il sistema bancario compra quindi titoli di Stato, che, per ricapitalizzarsi, rivende alla Bce in cambio di denaro fresco; la Bce così si troverebbe in portafoglio titoli di Stato a rischio default, fallimento che a quel punto sarebbe a carico dei contribuenti dell’intera Unione Europea e non più dei singoli Paesi che hanno generato il debito. Chi ha più crediti, ha più da perderci, chi ha debiti ha solo da guadagnarci. Tra noi, gli spagnoli e i tedeschi, questi ultimi sono certamente i maggiori creditori.

E’ una strategia semplicistica, ma contorta: pare, però, sia questa la strada indicata da Draghi.

La Bundesbank è ovviamente contraria a questa politica, ritenendola non coerente con le prerogative della Banca centrale europea, mentre la Merkel è incredibilmente d’accordo sia con Draghi  sia con la Bundesbank!

Sarà il preludio degli Stati Uniti d’Europa, a cui Angela si sta candidando alla Presidenza? Quanti e quali Stati accetteranno di rinunciare alla loro sovranità fiscale in favore di quella europea? Quali Paesi vorranno vedersi sottratte le decisioni di spesa del gettito fiscale? Ci immaginiamo un’Italia così? Forse sarebbe auspicabile per risanare una volta tanto la situazione, ma dubito che i nostri politici rinunceranno al loro strapotere.

Sarà più probabile che si abbandoni l’Europa, reclamando a gran voce il diritto di spendere (o sprecare) come si ritiene più opportuno le entrate fiscali.

Ecco quindi sorgere un nuovo motivo di frattura nella Ue. Il problema è che chi ha debiti probabilmente non avrà molta voglia di accettare la severità dei provvedimenti Merkel, chi ha crediti invece è molto bendisposto verso questa rigidità.

Tutto ciò ha ovviamente ha a che fare con le decisioni di investimento dei risparmi e del capitale familiare, poiché un’uscita dall’Area Euro potrebbe causare riduzioni del potere di acquisto della nostra nuova moneta (un ritorno alla lira?) e dei beni reali connessi (in primis gli immobili). Se gli italiani, poco avvezzi ad un approccio comportamentale alla gestione del denaro, vorranno almeno mantenere intatto il valore del proprio patrimonio, sarà sempre più necessario il supporto di un financial planner indipendente.

dott. Marco Degiorgis – Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis

Dall’Europa un finanziamento per i giovani

Che fosse l’Europa a ridare speranza all’occupazione giovanile, forse non lo immaginava nessuno, ed invece è così.
All’interno del piano di ricollocazione dei giovani a livello Ue, infatti, sono 8 miliardi quelli che sarebbero da destinare alle politiche di impiego e, di questi, 128 mila sarebbero in viaggio per l’Italia.

Non si tratta che di un timido inizio, ma, come ha anche ricordato Mario Draghi, presidente della Bce, la disoccupazione giovanile rappresenta un problema serio per tutta l’Ue, ad eccezione della sola Germania, dove il tasso di disoccupazione tra i giovani tra i 15 e i 24 anni sfiora appena l’8%. Cifra irrisoria, se si pensa che in Italia siamo arrivati alla cifra record del 34,2% (con punte di molto maggiori nel Mezzogiorno) e in Spagna già si supera il 50%, mentre la media Ue si colloca attorno al 22%.

Per fare qualcosa di concreto a proposito si sta attivando Fabrizio Barca, ministro per la Coesione territoriale, al quale è stato affidato il compito di dirottare i fondi europei in favore dei giovani disoccupati.
A beneficiare degli otto miliardi complessivi (3,7 dal Fondo sociale europeo e 4,3 dal Fondo europeo per lo sviluppo regionale) saranno le regioni del Mezzogiorno, dove la disoccupazione giovanile già supera il 50%.

In primo piano sono i progetti dal carattere “privato sociale”, ovvero iniziative che coniughino lo spirito di imprenditorialità con la vocazione socio-assistenziale.
Ma non solo, perché a beneficiare di questo finanziamento saranno anche l’informatica e la famosa Agenda digitale, che, nonostante se ne parli da anni, in Italia stenta a decollare.
Un progetto mirato, inoltre, riguarda i giovani che vivono nelle zone ad alto rischio di criminalità, dove si sta pensando a progetti formativi verso gli antichi mestieri. In questo modo, oltre a creare lavoro, si riuscirebbe a salvaguardare la tradizione artigiana in via di estinzione.

Vera MORETTI

In Italia gli stipendi più bassi d’Europa

Un lavoratore italiano guadagna in media la metà che un dipendente in Germania, Lussemburgo e Olanda. Lo dicono i dati nell’ultimo rapporto diffuso da Eurostat “Labour market Statistics”, prendendo come riferimenti gli stipendi lordi annui del 2009: il Bel Paese si piazza al 12° posto nell’area euro, più in basso di Irlanda, Grecia, Spagna e Cipro.

“In Italia abbiamo salari bassi e un costo del lavoro comparativamente elevato. Bisogna scardinare questa situazione, soprattutto aumentando la produttività” ha commentati il Ministro del Lavoro, Elsa Fornero, che si è detta però fiduciosa sulla possibilità di un’intesa sulla riforma del lavoro e del temuto articolo 18.

Ma veniamo ai dati emersi dall’indagine Eurostat: il valore medio dello stipendio annuo in Italia per un lavoratore di un’azienda dell’industria o dei servizi (ovvero con almeno 10 dipendenti) è pari a 23.406 euro.
In Lussemburgo il medesimo valore medio si attesta a quota 48.914 euro, in Olanda 44.412 euro e in Germania a 41.100 euro. L’Italia è prima solo su il Portogallo (17.129 euro l’anno).

Il rapporto diffuso da Eurostat amplia lo sguardo anche sui dati di crescita delle retribuzioni lorde annue dell’Eurozona: l’avanzamento per l’Italia risulta però tra i più ridotti. Dal 2005 al 2009 il rialzo è stato del 3,3%, molto distante anche dai dati sulla crescita riportati da Spagna ( +29,4%) e Portogallo (+22%).

Una buona notizia per l’Italia, arriva quantomeno dalle differenze di retribuzioni tra uomini e donne, quello che Eurostat chiama “unadjusted gender pay gap”. Ma si tratta solo di un’illusione: l’Italia, con un gap tra uomini e donne attorno al 5% è di gran lunga sotto la media europea, pari invece al 17%, risultando seconda solo alla Slovenia.

FACTA: mandato internazionale contro l’evasione fiscale

Si chiama Foreign Account Tax Compliance Act (FATCA) e ha riunito intorno un tavolo ben 6 Paesi: Italia, Francia, Germania, Spagna, Regno Unito e Stati Uniti. Si tratta della nuova normativa volta alla definizione di un approccio Intergovernativo per supportare e migliorare la Compliance Fiscale Internazionale.

In poche parole, la caccia all’evasione diventa intercontinentale. Lo scopo della FACTA è di attuare un approccio comune volto a “favorire la compliance fiscale internazionale e facilitare l’applicazione della legislazione fiscale a beneficio di entrambe le parti (i Paesi ndr )coinvolte”.

Il FACTA è già in vigore negli Stati Uniti dal 18 marzo del 2010, è solo dal 2012 che il Ministero dell’Economia e delle Finanze italiano ha annunciato la volontà, insieme agli altri Paesi europei, di aderire al FACTA, con lo scopo di “intensificare la lotta all’evasione fiscale internazionale”.

Dopo lo spesometro, il redditometro, in arrivo a giugno, e il nuovo database Serpico , l’Italia si mette in prima nella lotta all’evasione fiscale grazie all’accesso alla Foreign Account Tax Compliance Act, che permetterà allo Stato di ottenere la comunicazione delle informazioni da parte delle istituzioni finanziarie estere (Foreign Financial Institutions – FFIs), in relazione a conti correnti esteri, fondi di investimento e movimenti bancari.

L’ approccio intergovernativo adottato dagli Usa permetterà dunque ai 6 Paesi dell’Europa di dare il via ad uno “scambio automatico di informazioni in due direzioni”, ovvero da e verso gli Stati Uniti e l’Europa. In particolare, non sfuggiranno all’occhio vigile del fisco i conti aperti dai cittadini europei negli istituti finanziari statunitensi.

Grazie al FACTA, Italia, Francia, Germania, Spagna, Regno Unito e Stati Uniti si sono poi impegnati a collaborare sul lungo termine allo scopo di lavorare al raggiungimento di standard comuni in materia di obblighi dichiarativi e di due diligence.

Il Made in Italy è senza rivali

di Alessia CASIRAGHI

Sarà per la buona tavola, sarà per il nettare di Bacco fra i migliori (e più amati) al mondo, sarà per l’impegno delle aziende nell’innovazione tecnologica e nel settore green, senza dimenticare il ruolo chiave giocato dal fashionbiz. Quello che è certo è che l’Export in Italia continua a crescere. Il made in Italy seduce il mondo.

A rivelarlo un’indagine condotta dall’Istat, che ha registrato una crescita del +2,3% nel solo 2011. Tra settembre e novembre dello scorso anno infatti le esportazioni sono cresciute dell’1% rispetto al trimestre precedente, con maggiore impulso sempre sui mercati Extra Ue (+1,4%).

I dati rilevati a novembre 2011 per esempio, registrano per l’export un aumento del 3.1 % dei paesi Ue e dell’ 11.3% degli Stati Extra Ue. Tra gennaio e novembre 2011 il tasso di crescita tendenziale è stato dell’11.9%.

Ma qual è stato il prodotto più venduto? Prendendo come campione sempre il mese di novembre del 2011, i prodotti più richiesti sono quelli in metallo e gli apparecchi elettronici e ottici, pronti a emigrare verso Svizzera, Stati Uniti, Germania e Turchia.

Segnali positivi, anche se con minore incidenza, si registrano anche nel campo delle importazioni. Per l’Import infatti l’aumento è dello 0,5%, differenziato tra il -2,1% per i Paesi all’interno della Comunità Europea, e il +3,9% per quelli extra Ue. Nel periodo gennaio-novembre 2011 il valore complessivo raggiunto in materia di import si è fermato al +10,6%.

I settori più esposti all’importazione riguardano i prodotti energetici, con un aumento nel 2011 del +17,2%) e i beni di consumo non durevoli (+8%).

I tassi d’interesse si impennano a dicembre

di Vera MORETTI

La vita reale è sempre più influenzata dalla crisi finanziaria e colpisce in modo preoccupante la routine della gente comune.

Un esempio concreto di ciò è l’aumento dei costi di finanziamento per gli immobili e i tassi di interesse dei mutui. A dicembre, infatti, secondo quanto riporta il bollettino mensile dell’Abi, i tassi di interesse sui mutui per l’acquisto di una abitazione hanno subito un aumento pari al 3,83% rispetto al 3,7% del mese precedente ed al 2,7% del dicembre 2010.

Perché questo? Pare che il motivo sia una crescita di finanziamenti a tasso fisso, passata dal 37,3% al 37,6%, ma anche l’innalzamento del costo del denaro, che va ad influire sui prestiti bancari ad imprese e famiglie.

In questa congiuntura “catastrofica”, comunque, qualcosa di positivo c’è, perché i primi 11 mesi dell’anno sono stati caratterizzati da una crescita dei prestiti bancari alle imprese di circa il 5%, un valore positivo soprattutto se lo si paragona con l’1% dell’anno prima. Ciò aveva portato, a fine novembre, ad un ammontare dei prestiti che superava i 915 miliardi di euro, quasi 43 miliardi in più rispetto a novembre 2010.

Questi dati avevano fatto salire l’Italia oltre la media euro con un +1,4% a fine novembre, superando anche i principali paesi europei come Germania, Spagna e Francia.