I commercialisti dicono no al condono

Il condono non piace ai commercialisti italiani, i quali la considerano una misura “iniqua e non risolutiva” e, soprattutto, stridente nei confronti del lancio, pochi mesi fa, della campagna pubblicitaria contro l’evasione firmata da Agenzia delle Entrate, Ministero dell’Economia e Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Claudio Siciliotti, presidente del Consiglio nazionale dei commercialisti, ha commentato così questa decisione da parte del governo: “Il condono è una misura una tantum che non inciderebbe in modo concreto né sulla riduzione del debito pubblico né sul reperimento di risorse da destinare alla crescita. Inoltre, per come sono da sempre strutturati i cosiddetti “tombali”, chi meno ha dichiarato negli anni precedenti, meno paga anche di condono. Oltre ad essere una misura non risolutiva per la sua natura di una tantum, quindi, il condono è anche iniquo. L’unico sviluppo che sarebbe realmente in grado di assicurare e’ quello dell’evasione. Senza contare che sarebbe oggettivamente peculiare assistere al varo di un condono fiscale a meno di quattro mesi dal lancio di una massiccia campagna pubblicitaria che descrive l’evasore fiscale alla stregua di un parassita della società”.

Ovviamente, qualora il condono venisse introdotto, i commercialisti, su richiesta dei propri clienti, lo applicherebbero, ma non è questo che si augurano.

Le scorciatoie, infatti, in questo periodo di difficoltà, servirebbero solo ad acuire problemi già esistenti e, invece di aiutare chi beneficerebbe del condono, danneggerebbero un intero paese, che fatica a riemergere.

Secondo Siciliotti, dunque, l’immagine dell’Italia, se questa decisione diventasse ufficiale, ne uscirebbe malconcia e senza più credibilità.

Vera Moretti

“Risposte o abbandono delle trattative” ecco la sfida di Emma Marcegaglia

“Siamo chiamati a cambiare passo e ad esprimere uno sforzo comune in grado di far sì che l’Italia continui ad essere uno tra i primi Paesi manifatturieri del mondo, salvare l’Italia non è uno slogan retorico”.

Questo in sintesi il contenuto del Manifesto che le imprese presenteranno al governo sottolineando le priorità: spesa pubblica e pensioni con riforma fiscale su tutte.

” Non intendiamo minimamente sostituirci ai compiti che spettano al Governo, avvertiamo però l’esigenza di non limitarci alle critiche, ma di indicare all’attenzione di tutti. Chiediamo quindi di agire senza indugi. Oggi il tempo si è fatto brevissimo. Tutte le imprese sono pronte a fare la loro parte. E’ in gioco più della credibilità del Governo e della politica. Sono a rischio anni e anni di sacrifici. E’ a rischio la possibilità di garantire ai nostri figli un Paese con diritti, benessere e possibilità pari a quelli che abbiamo avuto fino ad oggi”. E’ quanto si legge nel “Manifesto” presentato dalle imprese.

Emma Marcegaglia avverte: “la Giunta di Confindustria mi ha dato il mandato di portare avanti proposte forti e coraggiose. Se non andranno avanti ho anche il mandato di valutare se restare ai tavoli con il governo”.

Il manifesto delle imprese con le proposte al governo nasce “con uno spirito serio, severo nei contenuti, preoccupato, ma costruttivo”, dice il presidente dell’Abi Giuseppe Mussari. La leader degli industriali Emma Marcegaglia aggiunge: “non c’é più tempo, quello che ci interessa è che il governo abbia la forza di varare queste riforme”.

Marco Poggi

L’Iva al 21% preoccupa il mondo dell’auto


Non si spengono le polemiche e le perplessità suscitate dalla nuova manovra finanziaria. Questa volta a levare la propria voce di protesta è il settore dell’auto, preoccupato per i possibili contraccolpi che la decisione delle ultime ore di alzare l’aliquota ordinaria Iva al 21%.

Questa mattina il presidente di Federauto, l’associazione che raggruppa i concessionari ufficiali di tutti i marchi automobilistici commercializzati in Italia, Filippo Pavan Bernacchi auspicava “che non si percorressero le strade più facili come aumentare l’IVA, perché si metterebbe mano nelle tasche dei cittadini e si comprimerebbero i consumi, specialmente su beni costosi come immobili e autoveicoli. L’invito al Governo del presidente era a chiudersi in conclave, insieme alle parti sociali più significative, all’opposizione e ai maggiori attori coinvolti e di uscire con una manovra il più possibile condivisa ma, soprattutto: definita e definitiva. Se ci troviamo in queste condizioni di mancata crescita del PIL, mancata ripresa, debacle occupazionale, mancati introiti fiscali – precisava la nota di Federauto – è anche perché nessuno ha ancora voluto affrontare il rilancio del comparto della mobilità che in Italia fattura il 12% del PIL e interessa, nella sua globalità allargata, 1.600.000 lavoratori. Con impatti trasversali su circolazione, sicurezza e ambiente“.

Pavan ha inoltre avanzato alcune proposte per ripartire lo sforzo che in questo momento si rende necessario per la ripresa economica: l’eliminazione del doppio costo della Motorizzazione e del PRA e la cancellazione dell’aumento dell‘Imposta Provinciale di Trascrizione (IPT), che si ripercuote sempre sui cittadini per alimentare enti a suo parere inutili, ma è anche il parere di molti italiani, quali le Province.

Conclude la nota diramata stamani: “Si invita il Governo ad adottare quanto condiviso con gli attori dell’auto nell’apposito tavolo, perché aumentare questa imposta fino all’80% sarebbe profondamente ingiusto, soprattutto per i ceti più deboli che acquistano utilitarie“.

Alessia Casiraghi

CONTROCANTO – Manovra, aumentano l’IVA e la confusione

di Davide PASSONI

E alla fine arrivò. O almeno, dovrebbe essere arrivato. Parliamo dell’aumento di un punto percentuale dell’IVA (dal 20 al 21%) tra le voci che compongono una manovra finanziaria sempre più isterica, sulla quale sarà alla fine posta la fiducia. Il condizionale è d’obbligo, date le retromarce, le discese ardite e le risalite che il governo opera quotidianamente su un testo che cambia minuto dopo minuto. Ne parliamo giusto perché il nostro quotidiano si chiama Infoiva, altrimenti non avrebbe senso stare dietro alle continue modifiche di questa manovra proteiforme; meglio sarebbe commentare il testo una volta licenziato come legge dello Stato.

Ma tant’è. E allora, giusto per completezza d’informazione, ecco le altre novità dell’ultima (o penultima?) ora: abolizione delle Province (per chi ancora crede a Babbo Natale), prelievo del 3% sui redditi alti, a partire dai 300mila euro (non più 90mila secondo la versione ferragostana), ossia il cosiddetto “contributo di solidarietà“; stretta sulla pensione delle donne, con adeguamento dell’età pensionabile di chi opera nel settore privato a quello pubblico dal 2014.

Il tutto con la Merkel che, per la prima volta, ci ha scaricato paragonandoci apertamente ai derelitti greci (potere dell’ennesima stangata elettorale presa in patria); con le agenzie di rating mondiali che caricano l’artiglieria pesante contro l’Italia; con Napolitano (sant’uomo…) che non sa più con che parole invocare responsabilità e coesione; con la stampa internazionale che da giorni demolisce l’immagine della nostra classe politica.

Il tutto nel giorno in cui la Cgil ha scioperato contro la manovra, tuonando contro le misure contenute nell’articolo 8, che prevedono contratti aziendali in deroga a quelli nazionali e alle leggi in materia di licenziamento, intaccando il totem dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. “Irresponsabile”, secondo il segretario nazionale del sindacato Susanna Camusso, la manovra; irresponsabile, secondo molti, lo sciopero in un momento così delicato. Punti di vista. Mentre il baratro si avvicina e corrervi incontro in ordine sparso serve solo a dimenticare che nessuno ha un paracadute.

Bloccati 33 miliardi di euro di pagamenti dai Comuni

I Comuni bloccano 33 miliardi di euro di pagamenti, e “La causa di questo mancato pagamento  va ricercata nelle disposizioni previste dal Patto di stabilità interno, che per ragioni di contenimento della spesa pubblica, non consentono il pagamento di lavori o di forniture ricevute. Il paradosso è che in questa condizione di insolvenza si trovano molte realtà comunali che, pur avendo i soldi, non possono saldare le spettanze, altrimenti non rispetterebbero più i vincoli previsti dal Patto. Un danno economico non di poco conto, che penalizza soprattutto le piccole imprese e le aziende artigiane che devono attendere tempi biblici per ricevere le loro spettanze”, commenta il segretario della CGIA di Mestre, Giuseppe Bortolussi.

Il Comune di Roma presenta la quota di spesa non onorata più alta di tutti: l’importo, al 31 dicembre 2009 (ultimo dato disponibile), è pari a 6,26 mld di euro. Seguono Milano, con 3,85 mld di euro e Napoli, con 3,39 mld di euro. Rispetto alla fine del 2008, l’incremento percentuale medio nazionale dei residui passivi è stato del + 5,4%.

In termini pro capite,  il Comune meno virtuoso è quello di Avellino, con un ammontare complessivo di pagamenti non effettuati pari a 3.754 €.

Segue Carbonia con 3.622 €, Salerno con 3.608 € e, al quarto posto Napoli con 3.529 €.

In una fase di grave crisi economica mettere in pagamento oltre 33 miliardi di euro sarebbe una boccata di ossigeno non indifferente per migliaia e migliaia di piccole imprese. Se in questa elaborazione abbiamo analizzato solo la situazione dei Comuni capoluogo di Provincia, in capo ai Comuni non capoluogo stimiamo vi siano altri 7 mld di pagamenti non erogati. Infine, non dimentichiamo che ci sono altri 35/40 mld di euro di crediti che le imprese avanzano dalle Regioni in materia di sanità, per questo è urgente che il Governo intervenga subito per il bene delle piccole imprese e dei loro occupati”. conclude il segretario.

Marco Poggi

Fare pace con il fisco da oggi conviene meno

Dalle modifiche alle circostanze attenuanti ed alle pene accessorie dei reati tributari contenute dagli emendamenti al decreto di Ferragosto in corso di approvazione al Senato.

Attualmente, in base all’articolo 13 del decreto legislativo 74 del 2000, le pene previste per i delitti tributari sono diminuite fino alla metà, ma da ora l’estinzione del debito sarà comunque necessaria per accedere al patteggiamento e, se si è evaso più di tre milioni di euro, per beneficiare della sospensione condizionale della pena.

Non si applicano poi le pene accessorie previste se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari relativi ai fatti costitutivi dei delitti, vengono estinti mediante pagamento, anche a seguito delle speciali procedure conciliative o di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie.

Con le modifiche in corso di approvazione viene invece previsto che la diminuzione delle pene, una volta estinto il debito tributario, non sarà più fino alla metà ma solo fino a un terzo. Sotto il punto di vista penale quindi sarà meno conveniente pagare quanto contestato dal fisco.

E per ottenere il patteggiamento?

Si dovrà obbligatoriamente estinguere il debito e quindi far ricorso a questa procedura.

In sostanza, il contribuente per poter beneficiare del patteggiamento dovrà:
estinguere ai fini fiscali il debito tributario costituente delitto ricorrendo alle procedure conciliative ammesse nell’ordinamento tributario
corrispondere le sanzioni tributarie

L’irrogazione delle sanzioni avverrà in via ridotta a seconda delle regole tributarie relative allo strumento adottato.

All’articolo 12 del decreto legislativo 74/2000 viene aggiunto poi un nuovo comma: niente sospensione condizionale della pena qualora l’imposta evasa o non versata superi i tre milioni di euro.

Poiché ora nell’articolo 12 viene inserita, oltre alle altre pene accessorie già previste, anche l’impossibilità di fruire della sospensione condizionale della pena, dovrebbe dedursi che il pagamento farebbe venir meno anche tale nuova misura.

Se questa tesi interpretativa venisse confermata, sembrerebbe che le modifiche proposte dal Governo siano state introdotte non tanto per colpire gli evasori con la sanzione penale ma per far restituire i soldi allo Stato

Marco Poggi

Manovra economica: i punti salienti

Queste sono ore determinanti per l’Italia che, in attesa di risollevarsi dalla crisi economica, ha atteso i risultati della manovra finanziaria da parte del governo.

Vi riassumiamo le conclusioni emerse:

L’aumento dell’Iva è stato scongiurato, almeno per ora, e il lavoro maggiore sarà quello di contrastare gli evasori fiscali e chi, per pagare meno tasse, cercherà di appoggiarsi a società di comodo. Previsto anche un taglio dell’Ires pari a 350 milioni di Euro.

Per quanto riguarda le pensioni, punto dolente di questo accordo PdL-Lega, è previsto un “ritocco” nel 2013 e gli anni del servizio di leva e di laurea non potranno essere conteggiati per accedere alle pensioni di anzianità, ma solo per il calcolo della pensione.

L’iter per il taglio dei parlamentari sarà lungo ed articolato, perché farà parte di una vera e propria riforma costituzionale, mentre non c’è traccia, in questa manovra, di tagli economici ai ministri e al rimborso dei parlamentari.

Il contributo di solidarietà toccherà solo a parlamentari e calciatori, per i quali è stato raddoppiato, mentre non riguarderà tutti coloro che hanno un reddito superiore a 90 mila Euro.

Taglio netto per le province al di sotto dei 300 mila abitanti, che porterà ad un risparmio di 10 miliardi. D’ora in poi saranno coordinate direttamente dalle regioni di appartenenza. Ciò potrebbe rappresentare un primo passo verso l’intenzione, per ora remota, di eliminare tutte le province e delegare le competenze alle regioni, non solo per il risparmio economico notevole ma anche per dare maggior responsabilità, oltre che alle regioni, ai comuni.
Per quanto riguarda i comuni, invece, nessun taglio li colpirà, anche se i più piccoli verranno sfavoriti dalla distribuzione dei “tesoretti”.
I fondi erogati agli enti locali sono diminuiti dai 9 miliardi precedenti ai 4,5 attuali.

L’argomento festività, che aveva suscitato scalpore sui quotidiani questa estate, non è stato affrontato, forse per il desiderio di difendere l’industria del turismo, importante per il territorio italiano e che, con l’abolizione dei “ponti”, ne risentirebbe pesantemente.

Novità anche per gli immigrati, soprattutto per chi non ha un contratto di lavoro regolare o una posizione Inps: in questi casi la tassa per la spedizione all’estero dei soldi guadagnati in Italia aumenterà.

Incentivi allo studio: contributi per master e specializzazioni

E’ attesa l’entrata in vigore del decreto del Governo che disciplina le modalità di applicazione del fondo nazionale per il credito ai giovani (tra i 18 e i 40 anni). Si tratta di un fondo di 10 milioni di euro a disposizione di quanti chiedono un sostentamento per completare la propria formazione con un master o corsi di specializzazione.  Il provvedimento prevede la copertura del 70% del corso di formazione (il limite è posto a 25mila euro) che si sta seguendo con la mediazione di istituti bancari e società finanziarie per l’intermediazione.

Per conseguire il finanziamento lo studente dovrà recarsi presso le banche e società interessate (l’elenco sarà presente sul sito ministero della Gioventù quanto prima). I soldi saranno erogati annualmente con importi variabili tra i 3 e i 5mila euro e per gli anni successivi al primo saranno richiesti documenti che comprovino l’iscrizione a corsi organizzati da enti accreditati. L’accordo prevede l’estinzione del debito contratto in caso di necessità in qualsiasi momento, mentre il piano di ammortamento del prestito viene concordato direttamente con l’istituto di credito secondo modalità variabili, inserite comunque all’interno di un protocollo sottoscritto con il dipartimento per la gioventù della presidenza del consiglio dei ministri che definisce le regole per la concessione dei contributi. Condizioni economiche, modalità di adesione, tempi di restituzione (tra 3 e 15 anni) verranno anch’esse preventivamente definite.

La presentazione della domanda avverrà esclusivamente per via telematica presentando un’istanza all’ istituto di credito o società finanziaria scelta. Entro 15 giorni il richiedente verrà informato circa l’effettiva disponibilità di erogazione del prestito e potrà da subito usufruirne (in caso di ritardi per banche e finanziarie è previsto l’esclusione d’accesso al fondo stesso). Oltre ad una garanzia sul contributo nella misura massima del 70% da parte dello Stato, va aggiunto un accantonamento del 10% su ogni operazione come tutela contro eventuali rischi (i giorni massimi di ritardo ammissibili sono 90 a seguire lo Stato copre col fondo di garanzia). Sul sito del Ministero della Gioventù a breve maggiori informazioni.

Mirko Zago

Crescita economica: quest’anno +1%, nel 2012 +1,6%. Le previsioni dell’Ocse sono abbastanza positive

Secondo una stima dell’Ocse nel suo Economic Outlook, l’economia italiana ha avviato una fase di moderata ripresa che dovrebbe rafforzarsi nel corso dei prossimi due anni.

La crescita italiana si attesterà nel 2010 all’1%, nel 2011 all’1,3% e nel 2012 all’1,6%.

Le misure finora introdotte dal Governo sembrerebbero sufficiente, secondo l’Ocese,  per raggiungere nel corso dei prossimi due anni l’obiettivo sul deficit; tuttavia si tratterebbe di una ripresa più debole rispetto a quella delle proiezioni ufficiali e si rischierebbe di non riuscire a tenere il deficit sotto il 3% del prodotto interno. Il debito pubblico italiano crescerà nel 2012 a circa il 120 in rapporto al prodotto interno lordo. Secondo le ultime stime del Governo italiano, quelle contenute nella Decisione di Finanza Pubblica, il debito italiano nel 2012 dovrebbe invece cominciare a scendere e attestarsi al 117,5%. La crescita economica nell’area Ocse si attesterà quest’anno al 2,8% per scendere al 2,3% nel 2011 e risalire al 2,8% nel 2012. La ripresa globale e in corso ormai da qualche tempo anche se la disoccupazione resta ancora alta in molti Paesi.

Da Confindustria serve chiarezza per aiutare il Paese a uscire dalle secche

di Gianni GAMBAROTTA

“L’Italia è alla paralisi”, titolava in prima pagina ilSole24Ore di domenica scorsa, presentando l’intervento del presidente della Confindustria sul palco dei Giovani Industriali riuniti nel convegno di Capri. “C’è uno smarrimento forte nel Paese – ha detto Emma Marcegaglia, è necessario trovare il senso delle istituzioni e della dignità. Il parlamento non funziona più, manca ancora il presidente della Consob. Siamo alla paralisi“. E qual è la soluzione per uscire da “questa ondata di fango che investe le istituzioni“? Non le elezioni anticipate, perché “sarebbero sei mesi di campagna elettorale drammatica“. E allora? Qual è la strada virtuosa da imboccare per uscire da questo pantano, secondo il leader degli imprenditori nazionali? La Marcegaglia non lo dice perché non spetta alla Confindustriadire alla politica che cosa deve fare“, anche se – aggiunge – gli imprenditori non vedono di buon occhio “alchimie partitiche che discutano per mesi di legge elettorale“.

L’Italia ha un grave problema di leadership, la sua classe dirigente si sta dimostrando assolutamente inadeguata a fronteggiare i problemi di crescita che il Paese deve affrontare, come stanno facendo in partner europei; non sembra esserci nessuno, a destra come a sinistra, in grado di immaginare un futuro e farlo diventare un obiettivo condiviso da una parte determinante degli italiani. Il Paese è senza una guida e – fatto ancora più grave – questa situazione è chiaramente percepita.

In passato, a una simile carenza (perché non è la prima volta che si manifesta) il mondo produttivo sapeva offrire un’alternativa, una supplenza; riusciva a colmare un vuoto che veniva dalle stanze ufficiali del potere. Forse ciò non sempre è stato un bene, spesso ha anzi rappresentato un precedente che alla lunga si è rivelato scomodo. Però, nei momenti di impasse, arrivavano delle indicazioni di tendenza e di priorità che erano utili, nelle quali molti si riconoscevano.

Questo è proprio uno di quei frangenti in cui il Paese del fare dovrebbe lanciare quei segnali. Invece da viale dell’Astronomia, quartier generale degli industriali italiani, arrivano messaggi incerti, contraddittori. Emma Marcegaglia alterna momenti di affiancamento al governo (sono di pochi giorni fa le sue parole di apprezzamento per il ministro Giulio Tremonti e, in generale, per tutta la politica economica) ad attacchi aperti e severi come, appunto, quello di Capri. Sarebbe meglio una maggiore chiarezza, una scelta precisa: al Paese sarebbe utile sapere da che parte sta Confindustria che è – o almeno pretende di essere – una parte di spicco della sua classe dirigente.