Confartigianato: conferenza su come tutelare il patrimonio imprenditoriale

Confartigianato Imprese Novara, Verbano, Cusia, Ossola hanno organizzato l’incontro dedicato alla tutela del patrimonio imprenditoriale previsto per questo giovedì. Titolo dell’incontro inserito all’interno del ciclo “Giovedì dell’Impresa” è “Trust: tutela del patrimonio nell’impresa, famiglia e successione“.

Tra i relatori saranno presenti professionisti del settore che spiegheranno il valore del “Trust” come strumento giuridico che consente di risolvere in modo semplice ed efficace problematiche connesse al patrimonio, questioni finanziarie e gestionali che possono riguardare individui ed imprese. Esempi di problematiche che verranno affrontate sono “quelle legate alla conservazione dei patrimoni mobiliari ed immobiliari, alla pressione fiscale che riduce la loro redditività, alle pretese da parte dei creditori ed alla pianificazione della successione ereditaria, che può disperdere e frammentare gli stessi patrimoni, nel passaggio da una generazione alla successiva. La grande forza del Trust la sua duttilità e l’adattabilità alle più svariate esigenze“.

Ricordiamo che il  trust (letteralmente “affidamento”) è un istituto del sistema giuridico anglosassone di common law, sorto nell’ambito della giurisdizione di equity, che serve a regolare una molteplicità di rapporti giuridici di natura patrimoniale (isolamento e protezione di patrimoni, gestioni patrimoniali controllate ed in materia di successioni, pensionistica, diritto societario e fiscale).

Mirko Zago

Il sistema informativo aziendale

Il bilancio d’esercizio, il rendiconto finanziario e il business plan previsionale e consuntivo descrivono l’attività di un’impresa. Alcuni di questi prospetti sono obbligatori per disposizioni legislative; altri, invece, sono essenziali da tenere per poter prendere delle decisioni strategiche ed esercitare le attività di controllo operative.

La redazione chiara, tempestiva e completa di questi documenti è la cartina di tornasole per l’impresa che vuole avere accesso ai prestiti bancari o che vuole attrarre nuovi soci e quindi nuovi capitali.

Il bilancio d’esercizio, il rendiconto finanziario e il business plan richiedono l’elaborazione sia dei dati e delle informazioni interne all’azienda sia dei dati e delle informazioni provenienti dall’ambiente esterno.

Alla base di questa complessa attività di stima e valutazione ci deve essere il supporto di un sistema informativo aziendale complesso, cioè capace di analizzare numerosi dati e informazioni tenendo conto delle relazioni di interdipendenza tra le variabili.

Molte realtà aziendali, soprattutto quelle di dimensioni medio piccole, non hanno al loro interno dei sistemi informativi avanzati, in grado di analizzare in ogni momento la situazione dell’impresa.

Gli investimenti nei sistemi informativi, se si possono definire tali, si basano solamente sull’acquisto di programmi di contabilità necessari per poter redigere il bilancio d’esercizio, documento obbligatorio per legge.

Non è pensabile, però, poter gestire l’impresa basandosi su quello che è già successo; il bilancio d’esercizio, infatti, fotografa lo stato di salute economico e patrimoniale dell’impresa che però fa parte ormai di un tempo già trascorso.

Come può il management dell’impresa fissare delle linee guida sulla conduzione dell’azienda ed esercitare le attività di controllo se non ha elaborato un business plan o un sistema di benchmarking?

Come può il management dell’impresa, basandosi solamente su informazioni storiche, poter capire se l’azienda si sta muovendo sulla traiettoria prescelta nei modi e nei tempi definiti?

Se un’impresa vuole crescere in modo controllato, cercando di prevenire e di correggere la rotta, allora deve essere consapevole che la progettazione e la realizzazione di un sistema informativo è indispensabile.

La tecnologia informatica, al giorno d’oggi, offre soluzioni hardware e software in grado di rispondere a qualsiasi esigenza. Si tratta di un investimento costoso, oggetto di continui adattamenti e manutenzione, ma che nel tempo aiuta l’impresa a ridurre le inefficienze e quindi i costi di gestione.

Dott. Giovanni DE LORENZI | g.delorenzi[at]infoiva.it | www.gdlstudio.it | Padova

Padovano, classe ’73, laurea in Discipline Economiche e Sociali e master in Economics presso l’Università Bocconi di Milano. Prima dell’esame di abilitazione all’esercizio della professione di Dottore Commercialista ha lavorato come analista dei processi informativi bancari. Attualmente collabora con la società Advance Group Srl per la consulenza nel campo della finanza agevolata e con la società AD Soluzioni Avanzate Srl per la consulenza nel campo dell’informatizzazione dei processi aziendali.
E’ iscritto all’Albo dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili di Padova, all’Albo dei Consulenti Tecnici d’Ufficio del Tribunale di Padova e al Registro dei Revisori dei Conti.
Dal 2007 è titolare di gdl Studio, che fornisce attività di consulenza in campo fiscale, dei processi informativi e dell’organizzazione aziendale e della finanza agevolata.

Il benchmarking: crescere confrontandosi

Ci sono modi di dire come “chi va con lo zoppo, impara a zoppicare” e “dimmi con chi vai e ti dirò chi sei“, che ognuno di noi si è sentito dire almeno una volta durante la fase della propria educazione.

Trovare in altre persone dei punti di riferimento è un elemento essenziale per il proprio sviluppo e per la propria crescita umana e professionale.

Anche le imprese, per poter crescere e adattarsi ai cambiamenti, hanno bisogno di trovare in altre imprese dei punti di riferimento.

Per il management, pertanto, è utilissimo conoscere come si stanno comportando le imprese concorrenti, per poter trovare conferma o smentita delle proprie decisioni.

Le imprese sono realtà complesse dove è praticamente impossibile stimare quanto e quando si è nel giusto, proprio perché i parametri che vengono analizzati sono frutto di stime e congetture, cioè del tentativo di rendere oggettivo ciò che oggettivo non può essere.

Il benchmarking, come tecnica di management, è un processo che deve incidere continuamente sui processi aziendali, mettendo a disposizione una serie di dati e informazioni aggiornati e aderenti alla realtà competitiva.

Prendere come riferimento i prodotti, processi e servizi dei migliori concorrenti è senz’altro uno stimolo a far meglio e, soprattutto, a vedere se le decisioni prese sono corrette dal punto di vista gestionale.

Bisogna stare attenti, però, a non trasformare lo strumento del benchmarking in una mera corsa a copiare semplicemente quello che fanno gli altri. Non si tratta, infatti, di questo. Fissare delle misure di riferimento, benchmarking, vuol dire provare ad adattare nella propria realtà d’impresa soluzioni simili a quelle intraprese dalle imprese che sono punti di riferimento per il proprio settore di mercato.

Affinché la tecnica del benchmarking sia efficace è necessario che il management abbia la volontà di acquisire le informazioni e, soprattutto, di imparare dagli altri. E la cosa non è così scontata, soprattutto nelle imprese di stampo padronale dove permangono abitudini consolidate ben radicate e difficili da scalzare per imporre i cambiamenti.

Un sistema per eliminare l’inerzia delle persone al cambiamento, potrebbe essere quello di correlare i risultati conseguiti con il benchmarking al sistema degli incentivi, favorendo una migliore accettazione e assimilazione di quanto fatto esternamente.

Dott. Giovanni DE LORENZI | g.delorenzi[at]infoiva.it | www.gdlstudio.it | Padova

Padovano, classe ’73, laurea in Discipline Economiche e Sociali e master in Economics presso l’Università Bocconi di Milano. Prima dell’esame di abilitazione all’esercizio della professione di Dottore Commercialista ha lavorato come analista dei processi informativi bancari. Attualmente collabora con la società Advance Group Srl per la consulenza nel campo della finanza agevolata e con la società AD Soluzioni Avanzate Srl per la consulenza nel campo dell’informatizzazione dei processi aziendali.
E’ iscritto all’Albo dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili di Padova, all’Albo dei Consulenti Tecnici d’Ufficio del Tribunale di Padova e al Registro dei Revisori dei Conti.
Dal 2007 è titolare di gdl Studio, che fornisce attività di consulenza in campo fiscale, dei processi informativi e dell’organizzazione aziendale e della finanza agevolata.

Prevedere e controllare la crescita dell’impresa: il business plan

Nel mondo dell’economia e della finanza fare previsioni è diventato sempre più difficile. La globalizzazione e internet hanno incrementato in modo esponenziale lo scambio di informazioni, di beni e di servizi; sono aumentate le relazioni tra le persone, tra le imprese e, quindi, gli imprevisti.

Il piano strategico, industriale e finanziario, cioè il business plan, è uno strumento molto importante per le imprese nell’ambito del processo di controllo previsionale della gestione della loro attività; serve per descrivere un progetto imprenditoriale e capire se è fattibile, in un’ottica di medio periodo, analizzandone i punti di debolezza e di forza.

Il business plan guida l’imprenditore nel fare delle scelte precise in presenza di determinati presupposti, senza essere travolto dagli eventi. Deve essere uno strumento attendibile, costruito sulla base di un’analisi della struttura patrimoniale e finanziaria dell’impresa, dei mercati attuali e potenziali in cui collocarsi.

Il business plan è necessario che venga condiviso anche con gli altri operatori del mercato: soci attuali e potenziali, banche, altri finanziatori.

I soci attuali e potenziali sono chiamati a sottoscrivere un aumento del capitale sociale e a confermare la loro intenzione a sostenere lo sviluppo della società; se il business plan manca di prospetti chiari con diversi scenari di previsione economica, allora i soci non possono appoggiare il progetto imprenditoriale, in quanto non riescono a valutare quale sarà la redditività futura del loro capitale investito.

Le banche intervengono nella concessione dei prestiti per finanziare il progetto imprenditoriale; se il business plan non analizza la struttura patrimoniale e finanziaria di partenza dell’impresa, allora le banche non riescono a valutare il rischio di credito.

Gli altri finanziatori, ad esempio le istituzioni pubbliche, concedono finanziamenti a tasso zero e contributi a fondo perduto attraverso la partecipazione dell’impresa a dei bandi di finanza agevolata; se la descrizione del progetto imprenditoriale non risponde ai requisiti previsti dal bando e se gli scenari economici riportati nel business plan non sono reputati attendibili, l’istituzione governativa non può concedere il contributo.

Sono poche in Italia e nel resto del mondo le imprese in grado di sviluppare e dare attuazione a dei progetti di sviluppo attingendo solo a risorse interne. E allora, se si vuole crescere, si deve condividere con altri il progetto imprenditoriale, descrivendolo e motivandolo in modo chiaro e con dovizia di particolari.

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Padovano, classe ’73, laurea in Discipline Economiche e Sociali e master in Economics presso l’Università Bocconi di Milano. Prima dell’esame di abilitazione all’esercizio della professione di Dottore Commercialista ha lavorato come analista dei processi informativi bancari. Attualmente collabora con la società Advance Group Srl per la consulenza nel campo della finanza agevolata e con la società AD Soluzioni Avanzate Srl per la consulenza nel campo dell’informatizzazione dei processi aziendali.
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Guidare l’impresa tra pianificazione e controllo

Ognuno di noi avrà provato, almeno una volta, a pianificare le attività da svolgere nell’arco di una giornata e a fare delle scelte; tante sono le cose da fare e, molto spesso, ci si trova di fronte a degli imprevisti che ci costringono a rinunciare a un appuntamento o a posticiparlo.

Una realtà complessa come quella d’impresa pianifica le sue attività per valutare tra alternative decisionali.

Il management dell’impresa elabora degli scenari indicando le attività e le risorse umane, tecnologiche e finanziarie, da impiegare nelle scelte da fare per il raggiungimento degli obiettivi: aumento del fatturato, innovazione tecnologica, riduzione dei costi fissi, eccetera.

Gli scenari devono essere attendibili e costruiti tenendo conto dell’effettiva struttura dimensionale dell’impresa, della sua storia passata, del tipo di attività che svolge e dei mercati di sbocco dei propri prodotti.

Se un’impresa che produce macchine agricole decide di raddoppiare il fatturato entrando nel mercato della moda, allora sta costruendo degli scenari che non corrispondono alla realtà.

La costruzione di scenari fatta in modo razionale è molto importante per poter esercitare una corretta funzione di controllo delle attività dell’impresa e, quindi, per intervenire in modo tempestivo ogniqualvolta si presentino delle criticità gestionali.

Il controllo di gestione è necessario per poter utilizzare al meglio le risorse umane, tecnologiche e finanziarie dell’impresa, in modo da consentire il raggiungimento degli obiettivi stabili e verificare che la gestione si svolga secondo criteri di economicità al fine di consentire il perdurare dell’impresa nel tempo.

È necessario formulare degli obiettivi intermedi di breve periodo per analizzare eventuali scostamenti della gestione operativa dalle linee stabilite in sede di pianificazione strategica.

Una pianificazione fatta tenendo conto della storia passata e del presente dell’impresa consente di individuare gli elementi che disturbano e ostacolano il raggiungimento del profitto.

Lo strumento del controllo di gestione deve vestire l’impresa come un abito sartoriale. L’efficacia del controllo di gestione, infatti, dipende dai legami con la struttura organizzativa dell’impresa.
Soltanto se costruito come un abito su misura, allora il controllo di gestione potrà agire in modo efficace sui processi gestionali dell’impresa, regolandoli in tutti quelle situazioni dove si sono manifestati gli scostamenti tra gli obiettivi e i risultati effettivamente conseguiti.

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Padovano, classe ’73, laurea in Discipline Economiche e Sociali e master in Economics presso l’Università Bocconi di Milano. Prima dell’esame di abilitazione all’esercizio della professione di Dottore Commercialista ha lavorato come analista dei processi informativi bancari. Attualmente collabora con la società Advance Group Srl per la consulenza nel campo della finanza agevolata e con la società AD Soluzioni Avanzate Srl per la consulenza nel campo dell’informatizzazione dei processi aziendali.
E’ iscritto all’Albo dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili di Padova, all’Albo dei Consulenti Tecnici d’Ufficio del Tribunale di Padova e al Registro dei Revisori dei Conti.
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Gli indici di bilancio: il termometro per l’impresa

Anche i numeri hanno un’anima; in apparenza freddi e insignificanti, nascondono tantissime informazioni. I numeri sono razionali e la loro obiettività è di grande aiuto per le persone che hanno in mano la gestione di realtà complesse come quella d’impresa.

Se il bilancio d’esercizio è una sommatoria di numeri ognuno dei quali rappresenta il valore di una determinata voce o aggregato (ad esempio i costi per le materie prime, i costi per le consulenze, i beni materiali), gli indici di bilancio sono dati da relazioni tra voci e/aggregativi di bilancio: pensiamo all’indice che misura la redditività d’impresa, il grado d’indebitamento, il livello di giacenza delle materie prime nel magazzino.

La redditività d’impresa è misurata dal rapporto tra l’utile e il capitale sociale e rappresenta il grado di remunerazione del capitale di rischio. Per un’attività di impresa avviata da pochi anni questo indicatore, in molti casi, ha un valore negativo. Questo deriva dal fatto che un’impresa, con alti livelli di investimento iniziale, difficilmente raggiunge in pochi anni una situazione di pareggio.

Se l’impresa è sana e il mercato di sbocco offre opportunità di sviluppo, i margini di guadagno inizieranno a vedersi dopo diversi anni di attività.

Per crescere e svilupparsi, oltre all’apporto di capitale da parte dei proprietari e all’autofinanziamento, un’impresa ricorre al mercato del debito. Il capitale di terzi è da sempre un’arma a doppio taglio, da gestire con prudenza e perizia.

L’indice di indebitamento, dato dal rapporto tra il capitale investito e il patrimonio netto, aiuta l’impresa nelle scelte finanziarie. Il capitale investito rappresenta la ricchezza impiegata per acquistare i beni materiali e immateriali e corrisponde alla somma tra il capitale proprio e il capitale dei soggetti esterni all’impresa. Un rapporto pari a 2, ad esempio, indica che un’impresa è finanziata per il 50% con il capitale proprio e per il 50% con il capitale di terzi.
L’indebitamento è visto come uno dei mali delle nostre economie: basti pensare al debito pubblico che grava sul bilancio del nostro Paese.

Ma non è sempre e soltanto così: se il costo del capitale di terzi preso a prestito è minore della redditività dell’impresa allora conviene indebitarsi in quanto si attirano capitali che generano un effetto leva positivo per l’impresa. Certo che per avere redditività un’impresa deve adottare anche politiche di contenimento dei costi. Per le imprese che hanno un magazzino, ad esempio, avere un indice di rotazione delle materie prime basso significa costi fissi elevati per la merce che rimane in giacenza per lunghi periodi di tempo.

Gli indici di bilancio sono un ottimo strumento per capire come sta andando l’impresa nel tempo perché sintetizzano le diverse dinamiche che si sviluppano all’interno di organizzazioni complesse.

Dott. Giovanni DE LORENZI | g.delorenzi[at]infoiva.it | www.gdlstudio.it | Padova

Padovano, classe ’73, laurea in Discipline Economiche e Sociali e master in Economics presso l’Università Bocconi di Milano. Prima dell’esame di abilitazione all’esercizio della professione di Dottore Commercialista ha lavorato come analista dei processi informativi bancari. Attualmente collabora con la società Advance Group Srl per la consulenza nel campo della finanza agevolata e con la società AD Soluzioni Avanzate Srl per la consulenza nel campo dell’informatizzazione dei processi aziendali.
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L’Italia? Rassegniamoci, non è un Paese per imprenditori

di Gianni GAMBAROTTA

Non è un Paese per imprenditori“, si potrebbe dire dell’Italia parafrasando il titolo di un film di qualche anno fa dei fratelli Cohen. E sì, a chi vuole fare industria il nostro Paese proprio non piace da qualche tempo a questa parte. Gli investitori stranieri ormai lo evitano e gli italiani non sono da meno. Chi può (per dimensioni, cultura, appoggi finanziari) preferisce andarsene da un’altra parte. 

L’ultimo caso, eclatante, è quello di Sergio Marchionne. L’amministratore delegato della Fiat, nei giorni scorsi ha detto che molto probabilmente nel giro di qualche anno il baricentro del gruppo automobilistico nato dall’integrazione fra la Fiat e la Chrysler, si trasferirà oltreoceano, a Detroit. Torino rimarrà, certo, ma non sarà più il quartier generale, la testa della multinazionale, il luogo dove vengono prese le decisioni strategiche. D’accordo, nell’atteggiamento di Marchionne c’è qualche elemento strumentale: l’amministrazione di Barack Obama ha concesso prestiti da miliardi di dollari e vuole che questi soldi non solo vengano restituiti al più presto, ma anche che siano serviti per salvare un’azienda americana, e non italiana. In più, la Fiat ha finora il 25 per cento di Chrysler: se vuole salire e consolidarla, deve passare attraverso i sindacati, ora azionisti di maggioranza. E anche loro – ovviamente – vogliono che Detroit prevalga su Torino.

Quindi ci sono questi oggettivi argomenti tattici che influenzano le dichiarazioni del capo del Lingotto. Ma non è solo questo. Marchionne ha dimostrato chiaramente di non amare il clima sociale e sindacale che si vive in Italia. Lui è di cultura americana e si trova molto più a suo agio dall’altra parte dell’Atlantico. Il rischio che finisca per portare lì la stanza dei bottoni non è da sottovalutare.

Chi invece si trova benissimo in Italia è la famiglia Benetton. Nei giorni scorsi è stato annunciato che aumenterà la sua presenza azionaria nella Gemina, la finanziaria cui fanno capo gli Aeroporti di Roma. Ecco: questa famiglia diventata famosa nel mondo con le sue magliette, ora nel fashion è in difficoltà, non riesce a reggere la concorrenza di nuovi protagonisti come Zara e H&M. Così si è ritirata nelle nicchie protette: Autostrade, Grandi stazioni e aeroporti. Qui la competizione è quasi inesistente: una volta vinta la gara per assicurarsi il business (e qui ci vogliono buone relazioni e ottimi lobbisti) basta di anno in anno andare a batter cassa e chiedere aumenti tariffari (e anche questo è lavoro da lobbisti). Essere buoni imprenditori non ha molta importanza. Che volete? La cosa potrà non piacere, ma oggi l’Italia funziona così.

Iva per cassa : Effetti su altre fattispecie

La norma sull’esigibilità differita prevista dall’art. 7 del decreto legge n. 185 del 2008 non interferisce con la disciplina dettata per altre fattispecie ad esigibilità differita, per i quali non è stabilito nessun limite temporale.
Si ricordano tra l’altro:
le cessioni dei prodotti farmaceutici indicati nel numero 114) della terza parte dell’allegata tabella A effettuate dai farmacisti;
le cessioni o prestazioni fatte allo Stato, agli organi dello Stato ancorché dotati di personalità
giuridica, agli enti pubblici territoriali e ai consorzi tra essi , alle camere di commercio, istituti universitari, unità sanitarie locali, enti ospedalieri, enti pubblici di ricovero e cura aventi prevalente carattere scientifico, enti pubblici di assistenza e beneficenza e a quelli di
previdenza.

Entrata in vigore
L’opzione per l’IVA di cassa di cui all’articolo 7 del decreto legge n. 185 del 2008 può essere esercitata, con riguardo alle operazioni effettuate a partire dal 28 aprile 2009, ossia dal giorno successivo alla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del decreto del Ministro dell’economia e delle finanze del 26 marzo 2009.

Iva per cassa : Adempimenti cedente/prestatore – cessionario/committente

Adempimenti del cedente o prestatore

La volontà del cedente o prestatore di avvalersi del differimento si manifesta
mediante apposita annotazione in fattura per evidenziare che si tratta di una operazione con imposta ad esigibilità differita ai sensi dell’articolo 7 del decreto legge n. 185 del 2008. In mancanza di tale annotazione, l’imposta si considera esigibile secondo le regole ordinarie, di cui all’articolo 6 del D.P.R. n.633 del 1972.

L’imponibile indicato nelle fatture emesse, ancorché l’IVA non sia immediatamente esigibile,
rileva anche ai fini della determinazione del volume di affari.

L’Iva relativa alle operazioni per le quali il cedente/prestatore ha esercitato l’opzione dovrà essere versata mensilmente o trimestralmente secondo la periodicità scelta dal contribuente.

Per individuare il momento del pagamento non effettuato per contanti, al verificarsi del quale l’imposta diventa esigibile, il cedente o prestatore farà riferimento alle risultanze dei propri conti dai quali risulta l’accreditamento del corrispettivo (es. assegni bancari, RI.BA, RID, bonifico bancario).

Adempimenti del cessionario o committente

Il cessionario o committente che riceve la fattura ad esigibilità differita deve numerarla e annotarla nel registro degli acquisti, anche se il diritto alla detrazione dell’imposta sorge solo a partire dal momento in cui il corrispettivo dell’operazione viene pagato.
Poiché infatti l’esigibilità dell’imposta per il cedente o prestatore è differita al momento del pagamento del corrispettivo, anche la detrazione per il cessionario o committente, se e nei limiti in cui spetti, è differita sino a tale momento.
A tale proposito, sarà cura del soggetto che intende effettuare la detrazione dare evidenza della data del pagamento. Se il pagamento è parziale il diritto alla detrazione spetta nella proporzione esistente fra la somma pagata ed il corrispettivo complessivo dell’operazione.

Il diritto alla detrazione sorge nel momento in cui l’imposta diviene esigibile e pertanto, essendo per il cedente o prestatore questo momento stabilito al massimo decorso un anno dall’effettuazione dell’operazione, si ritiene che il diritto alla detrazione potrà essere comunque esercitato, dal cessionario o committente, qualora entro l’anno dalla emissione della fattura non sia stato effettuato il pagamento.

Iva per cassa : Limite temporale

L’imposta diviene, comunque, esigibile dopo il decorso di un anno dal momento di effettuazione dell’operazione. Il termine decorre dal “momento di effettuazione dell’operazione” da determinare secondo le regole generali previste
dall’articolo 6 del D.P.R. n. 633 del 1972 e cioè:
– Per le cessioni di beni al momento della stipula se riguardano i beni immobili o al momento della consegna o spedizione se riguardano beni mobili.
Se prima del verificarsi dei predetti eventi viene emessa fattura, l’operazione si considera effettuata, limitatamente all’importo fatturato, alla data della fattura; da tale data decorre l’anno di differimento dell’esigibilità.
Nel caso di fattura emessa entro il giorno 15 del mese successivo a quello di consegna o spedizione con riguardo alle cessioni effettuate nel corso del mese solare precedente, la cui consegna o spedizione risulti da documento di trasporto (c.d fattura differita), si ritiene che il termine di un anno decorra comunque dalla data di effettuazione delle singole operazioni riepilogate nella fattura differita.
Questo è un chiarimento fornito dalla circolare 20/2009 che complica notevolmente le cose: per la stessa fattura si possono avere decorrenze diverse………….!

Il limite annuale in esame non si applica con riguardo alle operazioni effettuate nei confronti di cessionari o committenti che, prima del decorso di un anno, siano stati assoggettati a procedure concorsuali o esecutive.

Le procedure concorsuali si considerano avviate nel momento in cui l’organo competente emette il provvedimento di apertura della procedura (ad esempio, per il fallimento, la data della sentenza dichiarativa di fallimento pronunciata dal tribunale), mentre l’esecuzione forzata in forma generica inizia con l’atto di pignoramento, ai sensi dell’articolo 491 C.p.c.
Nel caso di procedure esecutive l’esigibilità dell’IVA rimane sospesa, anche dopo il decorso di un anno, limitatamente alle operazioni per le quali sia stata avviata l’esecuzione forzata, così come risultano dalle fatture indicate nel titolo esecutivo.

Casi di esclusione

Sono esclusi dalla facoltà di differimento i soggetti che si avvalgono di regimi speciali di applicazione dell’imposta, le cui disposizioni siano evidentemente incompatibili con il
predetto differimento.
In particolare, la facoltà del differimento non può essere esercitata in relazione alle operazioni soggette ai seguenti regimi speciali:
– regime “monofase” (articolo 74, primo comma, del D.P.R. 633 del 1972);
– regime del margine per beni usati (articolo 36 del decreto legge n. 41 del 1995);
– regime delle agenzie di viaggi e turismo (articolo 74-ter, del D.P.R. n. 633 del 1972).
– soggetti che assolvono l’imposta con il meccanismo del reverse charge.
– cessioni intracomunitarie o non imponibili art. 8, 8bis e 9 – esportazioni e assimilate .