Se la PA paga, il Pil sale

Sarà per il monito lanciato la scorsa settimana dal presidente della Repubblica Napolitano, sarà perché ormai imprese e cittadini sono stufi di un Paese a due velocità – dove il contribuente, persona fisica o azienda, deve pagare subito le tasse mentre lo Stato… hai voglia -, fatto sta che mai come in questi giorni si è sentito parlare di sblocco dei pagamenti della PA verso i suoi fornitori privati.

Vero, siamo ancora alla fase del parlare, fatti pochi, però è evidente che l’attenzione sul fenomeno si sta alzando. Ultimo in ordine di tempo è arrivato ieri colui che i creditori della PA ce li ha in casa: tanti, stufi e incazzati con la schiuma alla bocca. Parliamo del presidente di Confindustria Giorgio Squinzi che, dati alla mano, ha suonato la sveglia al Governo (quale??); secondo Squinzi, se si liquidassero i crediti delle imprese da parte della Pubblica Amministrazione, l’effetto domino potrebbe portare a un aumento in 5 anni di 250mila occupati e a una crescita del Pil dell’1% per i primi 3 anni, dell’1,5% nel 2018.

Secondo Squinzi,questi dati dimostrano che l’immissione di liquidità nel sistema delle imprese innescherebbe un circolo virtuoso portatore di posti di lavoro e, quindi, maggiori consumi. Confindustria auspica che il governo in carica provveda tempestivamente ad adottare, già dal prossimo Consiglio dei ministri, tutti i provvedimenti necessari per la liquidazione di quanto spetta alle imprese, così come indicato dalla Commissione europea e chiaramente emerso dalle dichiarazioni del presidente del Consiglio“.

Il gol di Squinzi è nato da un assist d’oro fornitogli dal ministro dell’Economia Vittorio Grilli proprio sul giornale di casa, Il Sole 24Ore. In una intervista al quotidiano, Grilli ha infatti dichiarato che “dopo il via libera della Commissione europea non vedo ragioni per non procedere con un provvedimento d’urgenza per sbloccare i pagamenti della pubblica amministrazione e il ministero è pronto al decreto. Penso sia giusto partire prima possibile. Ci stiamo lavorando con la massima urgenza, poi toccherà a Monti decidere quando spingere il bottone“.

Se poi Grilli mette le mani avanti ricordando come “servirà anche un consenso ampio del Parlamento, perché un eventuale decreto dovrà comunque essere convertito in legge dal Parlamento. Qui si tratta di cambiare, anche se solo una tantum, i saldi di bilancio. Non è un’operazione banale“, lascia comunque aperta una porta per i comuni, la parte della PA che si trova stretta tra l’incudine del patto di stabilità e il martello dei creditori privati: insomma, la situazione più scomoda e antipatica. Secondo il ministro, sarà possibile “l’allentamento una-tantum del patto di stabilità interno perché i Comuni che hanno fondi in cassa possano usarli“.

Staremo a vedere. In questo caso, il “purché se ne parli” non va bene: bisogna passare dalle parole ai fatti.

Campioni d’Europa! Nel ritardo…

L’allarme è uno di quelli da non prendere assolutamente sotto gamba: nelle transazioni commerciali tra Pubblica Amministrazione e imprese private, i tempi di pagamento medi presenti in Italia arrivano a 180 giorni mentre nella sanità, secondo quanto ricorda la Cgia di Mestre, si arriva a saldare i debiti anche dopo 4 se non 5 anni, soprattutto al Sud. Un dato ancora più sconfortante se si pensa che la media dei Paesi Ue è pari a 65 giorni.

Meglio, si fa per dire, la situazione dei pagamenti tra le imprese private, dove il saldo fattura avviene dopo 96 giorni, a fronte di una media europea di 52 giorni. Solo in Spagna stanno peggio di noi, mentre i tedeschi se la cavano con una media inferiore a quella europea e quasi un terzo di quella italiana: 35 giorni. I dati forniti dalla Cgia di Mestre, dunque, parlano chiaro: che tra i grandi d’Europa nessuno può vantare una simile zavorra.

Se a questa situazione aggiungiamo la stretta creditizia in atto e gli effetti della crisi economica che continuano a farsi sentire in misura sempre maggiore – commenta il segretario della Cgia, Giuseppe Bortolussi –, la tenuta finanziaria delle imprese, soprattutto quelle di piccola dimensione, è a rischio con ricadute occupazionali negative facilmente prevedibili“.

Nemmeno l’entrata in vigore del decreto di recepimento della Direttiva Europea contro il ritardo dei pagamenti, avvenuto a l’1° gennaio scorso, sembra aver sortito effetto. Lo conferma sempre Bortolussi: “Stando alle segnalazioni che ci sono giunte da molti piccoli imprenditori, la nostra Pubblica amministrazione non starebbe rispettando i tempi di pagamento previsti dalla legge. Per questo chiediamo un intervento dell’Unione europea teso a richiamare il nostro Paese affinché il saldo fattura non superi i 30/60 giorni“.

In questo senso è una buona notizia l’apertura giunta lunedì dai vicepresidenti della Commissione Ue, Olli Rehn e Antonio Tajani, per sbloccare il pagamento dei debiti della PA. I due, in una nota congiunta, hanno affermato che il saldo dei debiti commerciali da parte dello Stato a favore delle imprese “potrebbe rientrare tra i fattori attenuanti” quando sarà valutata la conformità del bilancio pubblico italiano con i criteri di deficit e debito del patto di stabilità europeo.

La Commissione europea si attende ora che l’Italia prepari un piano di smaltimento dei debiti a carico della Pubblica amministrazione verso le imprese su un arco temporale di due anni: “Sollecitiamo un piano in tempi brevi – ha detto Tajani, la forma poi è prerogativa del Paese. Ma ricordiamoci che parliamo della terza economia dell’area euro e intervenire rapidamente sarebbe importante per ridare fiato alle imprese, evitare fallimenti e far ripartire l’economia“.

Immediato il plauso di Rete Imprese Italia, che ha poi spronato, in una nota, la politica italiana: “Il Governo si affretti a preparare il piano di liquidazione che definisca chiaramente la dimensione del fenomeno sanzionando quelle amministrazioni che non collaboreranno fattivamente nella fornitura dei dati. Il pagamento dei debiti pregressi della pubblica amministrazione verso le imprese costituisce il tassello determinante per il ripristino di condizioni economiche normali per l’uscita dalla crisi“.

Bene, tutti contenti e tutti felici. Adesso vediamo se alle parole seguiranno i fatti. In tutti questi anni di chiacchiere, abbiamo un po’ perso la fiducia.

“Lo Stato ci dica a che gioco stiamo giocando”

di Davide PASSONI

Riprendiamo oggi l’intervista a  Luca Peotta, coordinatore nazionale di Imprese che Resistono, sui ritardati pagamenti da parte della Pubblica Amministrazione alle picc0le imprese.

L’ultimo a sollecitare una soluzione ai ritardati pagamenti delle PA è stato Napolitano, ma fino a che non avremo un governo ci sarà poco da fare… Che cosa chiederete al nuovo esecutivo come priorità per l’economia?
Staremo a vedere. La speranza e l’illusione. Mi pare che “di nuovi esecutivi” ce ne siano stati, non ultimo quello “tecnico”. I risultati sono sotto gli occhi di tutti e ha avuto il gran coraggio di promettere all’Europa il pareggio di bilancio dello Stato italiano proprio nel 2013, quando magari poteva dire che tutto ciò sarebbe avvenuto nel 2014/15. Da questa situazione se ne esce solo se riparte la domanda economica interna. Il nuovo esecutivo si dovrà concentrare, e anche con rapidità, a far rimanere più denaro nel portafogli degli italiani che ancora lavorano e smettere di depredare denaro, con ulteriori tasse, alle imprese. Lo Stato NON deve più elargire 30 miliardi di aiuti alle imprese sotto forma di incentivi – che drogano il mercato- o di fondi perduti: non ci possiamo permettere economicamente di perdere il fondo sempre se non l’abbiamo già perso. Quei soldi se li deve tenere, servono per pagare 1/3 del pregresso! Le aziende quest’anno l’IRAP la devono pagare in questo modo: 50% spalmato sulle buste paga nei 12 mesi a “tasse 0” e il resto del 50% reinvestito nella propria azienda su rendicontazione obbligatoria – manutenzione macchinari, opere edili, ecc… Invece la TARES è alle porte, l’aumento dell’Iva di un punto percentuale è quasi certo.

Quante sono, grosso modo, le aziende associate a Imprese che Resistono che si trovano in difficoltà per crediti con la PA non riscossi?
Non sono molte che in ICR hanno un rapporto diretto con la PA. Fanno parte spesso del cosiddetto “indotto”. Pedine della variante del gioco del “domino”, non il gioco strategico ma quello di abilità. Si dà inizio facendo cadere la prima addosso a quella successiva, causando un effetto a catena molto coreografico. Di coreografico qui non c’è nulla, se non un coreografico disastro!

Come limitare l’asimmetricità di uno Stato che se non paghi ti mette subito i sigilli all’azienda, mentre quando tocca a lui onorare i debiti si prende tutto il tempo che vuole?
Parola d’ordine “compensare crediti e debiti”, sarebbe già un passo in avanti. Sembra però un ostacolo insuperabile. L’asimmetricità non andrebbe solo limitata ma eliminata. Lo Stato visto come nemico da combattere: fino a quando questo concetto non verrà demolito da questo loop non si uscirà. Lo Stato, un buon padre di famiglia che amministra bene la “cosa” pubblica, che smettesse di dire “sì, ma io sono lo Stato!”… quando avremo il piacere di conoscerlo? Lo Stato che non perde mai l’occasione di sanzionare tutto e tutti senza neanche voler ascoltare chi non ha potuto adempiere al proprio dovere di corretto contribuente. L’IMU pagata dalle famiglie e dagli imprenditori che hanno subito il terremoto in Emilia la dice lunga. Lo Stato sa bene dove trovarti e che cosa possiedi, conosce bene il modo per colpirti e ha regole ben chiare, mentre tu di lui sai ben poco e difficilmente riesci a far valere i tuoi sacrosanti diritti!

Imprese che Resistono… ma per quanto ancora contro uno Stato ostile?
A maggio 2013 sono esattamente 4 anni che ripetiamo le stesse cose. Il declino che annunciammo 4 anni fa non era sicuramente frutto di veggenza e neppure di sesto senso. A distanza di quasi 4 anni a Milano è stata organizzata, lo scorso 13 febbraio, “la giornata della collera” che ha denunciato la perdita di 360mila posti di lavoro nel comparto edile dall’inizio della crisi economica. A noi avevano detto “no alle proteste, sì alle proposte per uscire dalla crisi economica”. Al Ministero dell’Economia – luogo di protesta di ICR nel luglio 2009 – ci avevano detto, per “tutte proposte di buon senso”, vediamo se tecnicamente sono attuabili: stiamo aspettando ancora risposta. Nel frattempo 3 milioni sono i disoccupati italiani, pari a 40 stadi di calcio da 60mila persone: ogni GIORNO si registra il tutto esaurito! Ma non per assistere alla partita di calcio, si sta in silenzio ad aspettare che il Paese Italia abbia il coraggio di cambiare veramente, che lo Stato mostri il giusto coraggio e che non resti a guardare seduto in tribuna d’onore fino a quando avremo il coraggio di resistere in queste condizioni. Lo Stato resti pure a guardare, ma stiamo aspettando da tempo, troppo tempo, che scenda in campo e ci dica prima di tutto a quale gioco stiamo giocando!

“La PA non paga? Smettiamo di rifornirla!”

di Davide PASSONI

Se le imprese sono le prime vittime dei ritardati pagamenti da parte della Pubblica Amministrazione, andiamo subito tra di loro e incontriamo Luca Peotta, coordinatore nazionale di Imprese che Resistono, network che si autodefinisce “Gruppo di imprese costituite in Comitato composto per l’80% circa da piccole aziende. Siamo trasversali alle associazioni ed apartitici. Valorizziamo la nostra ‘FORZA LAVORO’ per difendere Occupazione e Impresa”. Un’intervista che dovrebbe essere letta tutta d’un fiato ma che abbiamo deciso di dividere in due puntate: per cambiare le cose, due pugni nello stomaco sono meglio di uno.

Quanto è letale per la piccola impresa il “combinato disposto” tra ritardi nei pagamenti della PA e crisi economica?
E’ letale come un morso di un serpente: prima immobilizza e poi… Sono 90, come la paura, i miliardi che la PA deve elargire alle imprese. Quante di queste imprese oggi non riescono più a pagare stipendi ai propri dipendenti e di conseguenza la posizione contributiva degli stessi. Aziende, ditte piccole, medie, grandi che esse siano, destinate comunque alla chiusura poiché non più in grado di presentare la corretta documentazione richiesta, quindi non più in grado di affrontare il futuro. Faccio un esempio: il DURC, Documento unico regolarità contributiva. Più che “combinato disposto” direi un combinato dispetto! Altro problema deriva dal “patto di stabilità” dei comuni: quante piccole ditte operanti nei Comuni non vengono pagate per lavori eseguiti oramai da tempo? Aggiungo che il problema non è solo tra PA e privato ma anche tra aziende private.

Perché la piaga della PA morosa è una peculiarità tutta italiana?
Perché lo Stato ha un sistema forte, inattaccabile. Si dice che a pagare e a morire c’è sempre tempo! Anche se hai ragione nel vantare il tuo credito è meglio che non attacchi lo Stato, potrebbe essere pericoloso. Il sistema giustizia sappiamo bene come funziona, la tua causa potrebbe essere per lo Stato solo un vantaggio, 5/6 anni per sentirsi dire che hai ragione e altri 4/5 anni per sentirsi dire che presto sarai quietanzato. Pagare in ritardo è nel DNA di questo Paese. Altro problema sono le risorse economiche, non ci sono i soldi, si dice… Anche se ci fossero chi lo scoprirebbe?. Ma al vertice di tutto c’è un sistema bancario che non risponde più, oramai da troppo tempo, ai crediti targati PA. Hai una fattura da scontare in banca intestata Comune, Provincia, Regione? No grazie, la banca ti risponde che non può anticipare nulla e non intende finanziare il debito dello Stato nei tuoi confronti.

Perché su questa questione si chiacchiera tanto e si risolve poco o nulla?
Perché fare delle chiacchiere non costa nulla, almeno per il momento. Chiacchierando si creano illusioni, basta un mezzo annuncio che sembra che tutto è risolto. Siamo un popolo di creduloni, le campagne elettorali sono da sempre un esempio concreto. Si promette sempre di tutto e poi basta dire… sì, ma il sistema è complicato, nessuno ha la bacchetta magica, lo Stato per risolvere il problema non può ulteriormente indebitarsi. Notizia di poche ore fa è che il debito pubblico italiano ha superato di 22 miliardi i 2mila miliardi. Ma se lo Stato non paga non sarebbe meglio smettere di fornirlo? Nel privato funziona così: sei un cattivo pagatore? Ti fornisco ma solo se paghi alla consegna, poche chiacchiere.

A domani per il “secondo round”.

PA e imprese, la piaga infetta dei pagamenti ritardati

di Davide PASSONI

C’è una piaga, cattiva e tenace da sanare, nel tessuto produttivo e imprenditoriale italiano. Una piaga ormai quasi del tutto infetta: è la piaga dei pagamenti ritardati, o persino mancati, da parte della Pubblica Amministrazione verso le sue imprese creditrici.

Solo la scorsa settimana c’è stato il richiamo fermo e preoccupato del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano: “Urgente sbloccare pagamenti della PA alle imprese. Se non ci saranno interventi tempestivi, la crisi si acutizzerà. L’economia reale torni al centro dell’attenzione” aveva detto ricevendo il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi.

Bastano due dati per far riflettere sullo scandalo: ammontano a circa 90 miliardi di euro i crediti vantati dalle imprese nei confronti della PA, PA che paga mediamente a 180 giorni (quando paga…), contro una media Ue di 65. Cifre che ammazzerebbero, nel giro di pochi anni, il tessuto produttivo di qualsiasi Paese.

Abbiamo scelto di dare solo due cifre, indicative del fenomeno, per fare in modo che durante la settimana escano piano piano gli altri numeri dello scandalo attraverso le voci di chi vive d’impresa (o cerca di farlo) e attraverso dati e ricerche. Perché un Paese civile non può permettere questo scempio quando già la crisi fa strage di aziende e professionisti. Perché, in un momento nel quale la politica e la Pubblica Amministrazione sono sotto la luce costante del riflettore dell’opinione pubblica, uno Stato asimmetrico e predatore è anacronistico e intollerabile: non solo per una questione di equità, ma anche per una questione di sopravvivenza del Paese.

Un premio per gli imprenditori stranieri eccellenti

di Davide PASSONI

Che gli imprenditori stranieri siano bravi, noi di Infoiva lo abbiamo ripetuto più volte. Che questa bravura meriti un premio e un riconoscimento è un’idea che è venuta ad altri, nello specifico a MoneyGram, leader globale nel settore dei trasferimenti di denaro in tutto il mondo. Il gruppo ha istituito quattro anni fa MoneyGram Award, Premio all’Imprenditoria Immigrata in Italia, proprio per dare un riconoscimento agli immigrati che hanno saputo distinguersi nell’imprenditoria. Ce ne parla Alessandro Cantarelli, Marketing Director MoneyGram Balkans, Italy, Greece and Cyprus

Come nasce l’idea del MoneyGram Award?
L’idea del MoneyGram Award, Premio all’Imprenditoria Immigrata in Italia è nata nel 2009 con la volontà di promuovere l’eccellenza tra le aziende gestite e fondate da imprenditori stranieri nel nostro Paese. Il Premio ha l’obiettivo di raccontare e valorizzare le storie di successo dell’imprenditoria immigrata e l’integrazione tra tradizioni lavorative e culturali diverse. La nostra azienda è da sempre molto attenta al valore dell’integrazione sociale degli immigrati, che, abbiamo notato, passa sempre più spesso da un’integrazione economica, attraverso lo sviluppo di nuovi business nel nostro sistema economico.

In che cosa consiste il premio?
Il MoneyGram Award, giunto quest’anno alla sua quinta edizione, è un riconoscimento alla capacità imprenditoriale e all’impatto importante e positivo del lavoro degli immigrati sull’economia italiana. L’iniziativa è dedicata ai più brillanti imprenditori immigrati che durante l’anno hanno saputo dimostrare capacità di visione, coraggio e leadership nel fondare o condurre le proprie aziende. Il Premio prevede un riconoscimento assoluto intitolato “MoneyGram Award all’Imprenditore Immigrato dell’Anno” ed è assegnato al titolare dell’azienda che risulta eccellente in tutte le categorie di valutazione e che ha favorito l’integrazione tra la cultura nativa e quella del paese ospitante. Ci sono poi 5 Premi di categoria a seconda che l’imprenditore si sia distinto per la Crescita del Fatturato, per l’Innovazione, l’Occupazione, l’Imprenditoria Giovanile e per la Responsabilità Sociale. 

Da quali Paesi provengono, dal vostro punto di vista, gli imprenditori con maggior entusiasmo, idee e coraggio?
Nelle passate edizioni del Premio abbiamo potuto apprezzare doti manageriali in diverse nazionalità di immigrati. Non c’è un Paese particolare nel quale posso dire di aver visto imprenditori più bravi in assoluto. Sudamericani, albanesi, rumeni, marocchini, ma anche cinesi, iraniani e africani, tutti quanti, con le loro peculiarità, hanno dimostrato e continuano a dimostrare un grande impegno e forza di volontà nel portare avanti i loro progetti in Italia, superando tutti i problemi legati ai pregiudizi, che spesso ancora noi italiani abbiamo nei loro confronti.

Le imprese guidate da stranieri sembrano rispondere meglio e più rapidamente di quelle italiane alla crisi. È vero? Perché?
I dati che fotografano il fenomeno dell’imprenditoria immigrata parlano chiaro: le imprese straniere, nonostante la crisi, hanno chiuso il 2011 con un saldo positivo di oltre 26mila unità, nello stesso periodo quelle italiane sono diminuite di 28mila unità. Siamo di fronte ad un fenomeno in crescita, che ci mostra come gli stranieri siano in grado di rispondere meglio alla crisi economica, adattandosi al cambiamento del mercato e, forse, rischiando di più.

Che cosa hanno in più o in meno gli imprenditori stranieri rispetto a quelli italiani?
Coraggio, spirito di sacrificio e tenacia, sono sicuramente valori importanti, ma anche una propensione al rischio più elevata è molto importante.

La loro affermazione è solo figlia della globalizzazione o c’è qualcosa di più dietro al fenomeno?
Sicuramente la globalizzazione ha aiutato questo fenomeno ma c’è di più: c’è anche la voglia, da parte degli immigrati, di riscattarsi e di avere una seconda possibilità.

“Imprenditori immigrati, risorsa per la nostra economia”

di Davide PASSONI

Le cifre le hanno presentate loro alla fine della scorsa settimana e da lì siamo partiti per approfondire il discorso su Infoiva. Parliamo di Unioncamere e del rapporto presentato su dati Movimprese e relativo alle imprese italiane guidate da stranieri, che sfiorano ormai le 480mila unità. Oggi abbiamo chiesto direttamente al presidente di Unioncamere, Ferruccio Dardanello, di commentare con Infoiva questo fenomeno inarrestabile.

Le imprese guidate da stranieri sembrano rispondere meglio e più rapidamente di quelle italiane alla crisi. È vero? Perché?
Per molte persone che provengono da altri Paesi, soprattutto da quelli in via di sviluppo, l’impresa rappresenta la strada maestra per crearsi una occupazione, magari mettendo a frutto l’esperienza acquisita lavorando precedentemente come dipendente presso altre aziende. Sono spesso giovani e molto motivati, capaci anche di grandi sacrifici, come del resto lo sono i tanti giovani neoimprenditori italiani che anche in questa fase di crisi hanno scelto di mettersi in proprio.

In molti casi la parabola degli imprenditori stranieri ricorda quella di tanti italiani che, dopo la guerra, hanno trovato il riscatto sociale nell’imprenditoria. Concorda? Perché?
Credo che le due esperienze siano in molti punti assimilabili. Anche noi italiani abbiamo un passato da emigranti in cerca di lavoro e di fortuna in tanti Paesi del mondo. E, come avviene ora per l’imprenditoria immigrata, anche noi abbiamo creduto (e, fortunatamente, crediamo anche oggi) nel valore dell’impresa, quale scelta di vita, opportunità di realizzare le proprie aspirazioni e di valorizzare i propri talenti.

Che cosa hanno in più o in meno gli imprenditori stranieri rispetto a quelli italiani?
Oltre l’80% delle imprese gestite da immigrati sono ditte individuali, la forma giuridica meno strutturata e quindi più soggetta alle oscillazioni del mercato e dell’economia. La loro fragilità è del tutto analoga a quella delle imprese individuali gestite da italiani, le quali però, in rapporto al totale, sono molto meno numerose grazie anche alla sensibile crescita delle società di capitali verificatasi negli ultimi anni. La differenza in questo ambito, semmai, la fa l’anagrafe. Molte imprese individuali gestite da italiani hanno come titolare persone di età avanzata, mentre i titolari immigrati sono mediamente più giovani.

La loro affermazione è solo figlia della globalizzazione o c’è qualcosa di più dietro al fenomeno?
La globalizzazione certo, ma anche i fenomeni migratori che stanno portando verso l’Occidente più ricco e industrializzato tante persone provenienti da Paesi poveri.

Che cosa risponde Unioncamere a chi teme che questi imprenditori “rubino” mercato agli italiani?
Che gli imprenditori immigrati che operano rispettando le regole del mercato e della concorrenza non sono una minaccia ma una risorsa per la nostra economia.

Imprenditori stranieri: capacità, volontà ma anche formazione

Se in Italia il numero delle imprese guidate da stranieri veleggia serenamente verso il mezzo milione, come reso noto da Unioncamere, il merito è senza dubbio degli imprenditori stessi ma anche delle molte iniziative che, sull’intero territorio italiano, tendono a valorizzarne le capacità.

Una di queste è il progetto “INTERLAB – Laboratorio di mestieri e di impresa“, organizzato dalla Provincia di Firenze, che intende favorire l’occupabilità dei cittadini stranieri, in particolare donne, attraverso azioni di accompagnamento alla creazione di attività di lavoro autonomo o imprenditoriale, promuovendo inoltre la nascita e lo sviluppo di attività economiche sostenibili in campo artigianale, avviate da imprenditori o lavoratori autonomi stranieri, anche in rete con altre imprese italiane.

Un progetto in due fasi, la prima delle quali si è conclusa e ha puntato a elevare la cultura di impresa dei cittadini stranieri. In particolare, è stata realizzata una ricerca-azione delle opportunità imprenditoriali offerte dal territorio, attraverso l’acquisizione di informazioni socio-economiche di base e uno studio documentale realizzato con l’Ufficio Statistica della Camera di Commercio di Firenze.

È ora in corso di attuazione la seconda fase di progetto, relativa all’inserimento lavorativo dei migranti attraverso l’autoimprenditorialità. Sono stati infatti selezionati 25 cittadini stranieri che hanno preso parte al percorso di orientamento e formazione laboratoriale di 56 ore volto alla messa a punto del progetto imprenditoriale. Sono invece 10 i migranti che sono stati selezionati per le attività di orientamento professionale della durata di 6 mesi, per un totale complessivo di 480 ore, in settori quali pelletteria, sartoria, vetreria.

A coronamento del progetto è stato, realizzato il sito www.progettointerlab.org, che raccoglie i materiali promozionali realizzati, insieme a una video-intervista nella quale gli aspiranti imprenditori e lavoratori autonomi raccontano la loro idea di impresa, in attesa di iniziare la formazione in bottega o di mettere a punto il loro business plan. Una importante azione di supporto alla imprenditorialità straniera in una regione come la Toscana, da sempre attenta al valore della formazione e della imprenditorialità.

I nuovi imprenditori? Stranieri e rampanti

I dati sono di quelli che fanno riflettere. Per fortuna, almeno per una volta, in senso positivo. Le imprese che, in Italia, sono guidate da cittadini stranieri si avviano di gran carriera verso il mezzo milione. Nello specifico, sono poco meno di 480mila, con un aumento di 24.329 nel 2012, +5,8%. I dati sono stati diffusi da Unioncamere sulla base di Movimprese, la rilevazione statistica condotta da Infocamere. Per le imprese individuali il Paese leader rimane il Marocco, con 58.555 titolari. A seguire Cina (42.703) e Albania (30.475). In termini assoluti sono aumentati di più gli imprenditori del Bangladesh (+3.180 imprese) e in termini relativi quelli Kosovo (+37,6%).

Numeri di tutto rispetto, la cui importanza non è sfuggita a Unioncamere. Secondo l’associazione, il contributo degli imprenditori immigrati alla crescita delle imprese nel 2012 “si è rivelato determinante per mantenere in campo positivo il bilancio anagrafico di tutto il sistema imprenditoriale italiano (cresciuto, lo scorso anno, di sole 18.911 unità)“.

Secondo il Presidente di Unioncamere, Ferruccio Dardanello, “la geografia dello sviluppo dei territori e del rilancio del Paese passa anche per la valorizzazione di queste forze imprenditoriali, che scelgono la via del mercato per integrarsi prima e meglio nella nostra società. Sono per lo più forze giovani, con una grande motivazione alle spalle e dunque capaci di offrire opportunità di lavoro che, in questa fase, possono essere importanti nel recupero dei livelli occupazionali“.

Scendendo più nel dettaglio dei dati, alla fine del 2012, le 477.519 imprese a guida di cittadini stranieri rappresentano il 7,8% del totale, con punte superiori al 10% in due regioni, Toscana (11,3%) e Liguria (10,1)%, ed in dodici province tra cui spiccano Prato (23,6%), Firenze (13,6%) e Trieste (13,2%). In termini assoluti, le attività più presidiate sono quelle del commercio al dettaglio (129.485 attività) e dei lavori di costruzione specializzati (101.767). Molto distante il numero delle attività in ristorazione (31.129) e commercio all’ingrosso (29.646).

In termini di incidenza percentuale, le attività alla cui guida ci sono cittadini immigrati sono presenti soprattutto nelle telecomunicazioni (34,9%), nella confezione di articoli di abbigliamento (24%), nei lavori di costruzione specializzati (18,9%). Dal punto di vista della struttura organizzativa, come è lecito aspettarsi, nella grande maggioranza (385.769 imprese, l’80,8% del totale) le attività degli imprenditori immigrati sono costituite da imprese individuali, le più semplici, mentre le società di capitale (46.239 unità) sono il 9,7%. Interessante il dato della società cooperativa, strumento che comincia a diffondersi: sono quasi 8mila, cresciute nel 2012 al ritmo dell’8,2%.

Hanno più fame e sono più “incoscienti” di noi. Gli imprenditori immigrati ci salveranno

di Davide PASSONI

Ce lo sentiamo ripetere ormai da anni: l’Italia sarà salvata dagli stranieri. No, nessun nuovo Piano Marshall per il nostro Paese, disastrato dalle tasse, dalla mala politica, dalla burocrazia. Parliamo del fenomeno, silenzioso ma inarrestabile, degli immigrati che assumono un peso sempre più rilevante nella vita sociale ed economica italiana.

Siamo a crescita quasi zero dal punto di vista demografico e, allora, ci pensano gli stranieri molto più prolifici di noi ad aumentare la media di nuovi nati. Le imprese italiane chiudono a mazzi, strette tra crisi, fisco, folle burocrazia e allora ecco che, anche in questo caso, ci vengono in soccorso le imprese costruite e gestite da immigrati, che nascono senza paura e vivono anche più a lungo di quelle a guida italiana.

Proprio di questo aspetto vogliamo parlare questa settimana su Infoiva, partendo da una rilevazione di Unioncamere sul numero di imprese costituite e gestite da immigrati nel nostro Paese che fa pensare. Un dato di fatto, certificato dai numeri, che è quello di una grande capacità dello straniero di fare impresa e rischiare del proprio. Certo, molto spesso di tratta di imprese individuali, piccolissime, messe in piedi con un capitale minimo, frutto di risparmi e accantonamenti fatti da dipendente, ma sempre di rischio d’impresa si parla. Un iter che somiglia in molti casi a quello dei nostri padri o dei nostri nonni i quali, decenni fa, stanchi di lavorare “a padrone” e sicuri di far fruttare un capitale di esperienza e di saper fare acquisito in anni di lavoro dipendente, fecero il grande salto, si misero in proprio, allestirono la loro “fabbrichetta” che, negli anni, divenne poi l’azienda di famiglia: vanto, orgoglio, risultato tangibile della voglia di fare e di riscatto sociale.

Ecco, mentre ora centinaia di migliaia di queste chiudono tristemente i battenti, altrettante gestite da immigrati entrano con spavalderia e con un pizzico di sana follia imprenditoriale sul mercato delle imprese italiane, non solo a colmare un buco ma anche a portare una nuova filosofia d’impresa. Durante questa settimana cercheremo di capire i perché di questo fenomeno, se e quanto è destinato a durare e se, in un mondo e in un mercato sempre più globalizzati, ha senso parlare ancora di imprese straniere in Italia o se non sarebbe ora di parlare di imprese in Italia, punto e basta.