Un buon 2015 per le imprese giovanili

Solo l’altro ieri vi avevamo parlato della previsione dell’Osservatorio di Confesercenti che vede una frenata delle imprese giovanili nel primo trimestre del 2016, a smorzare gli entusiasmi per una possibile ripresa per l’imprenditoria in erba. Oggi, per provare a rinfrancare gli animi, ci concentriamo sulle dinamiche che hanno caratterizzato le imprese giovanili nel 2015.

Per farlo, ci affidiamo alle rilevazioni di Movimprese, indagine condotta da Unioncamere-Infocamere sulla base del Registro delle Imprese delle Camere di Commercio. Secondo questi dati, i giovani imprenditori hanno registrato una forte crescita lo scorso anno. Le imprese giovanili guidate da under 35 hanno infatti aperto lo scorso anno 120mila nuove imprese, 46mila delle quali (il 37% del totale) al Sud.

Le chiusure sono state, invece, 53mila con un saldo positivo di 66mila unità. Senza l’apporto delle imprese giovanili guidate da under 35, lo stock complessivo delle imprese in Italia avrebbe fatto segnato una perdita di 21mila unità.

La forza di questo risultato è da leggere soprattutto nel fatto che le imprese giovanili sono solo il 10,3% degli oltre 6 milioni di imprese italiane: alla fine dello scorso anno, infatti, le aziende guidate da under 35 erano poco più di 623mila (623.755).

Come detto, il Sud è stata la vera sorpresa a livello di imprese giovanili. Dopo le 46mila del meridione, vengono le 28.500 del Nord-Ovest, le 25.800 del Centro e le poco meno di 19mila del Nord-Est. Al livello regionale, la performance migliore è stata quella della Calabria, che da sola ha il 40,9% di nuove imprese giovanili.

Secondo il presidente di Unioncamere, Ivan Lo Bello, “i giovani stanno dimostrando di saper giocare un ruolo determinante per la crescita del nostro tessuto produttivo. Le numerose nuove realtà imprenditoriali targate under 35 che abbiamo registrato lo scorso anno ce lo confermano. Ora è necessario che queste giovani iniziative di business siano in grado di superare la fase inziale e affermarsi sul mercato. Un obiettivo al quale il sistema camerale lavora per permettere a queste promettenti realtà di nascere più forti e diventare grandi prima”.

Nuova piattaforma online per UniCredit

UniCredit lancia DigitalB2B, una piattaforma ideata per favorire l’export, rendendo più semplice l’incontro tra seller di tutta Italia e buyer esteri, che conferma la strategia della banca di affiancamento alle imprese italiane per consentire loro di essere al passo con la tecnologia e aiutarle a cogliere le opportunità provenienti dai mercati internazionali.

La piattaforma online di UniCredit consente l’interazione in videoconferenza con controparti distribuite globalmente, è fruibile attraverso un pc, un tablet o uno smartphone e consente di tagliare costi e tempi, due voci alle quali le imprese italiane sono molto attente.

All’interno della piattaforma DigitalB2b by UniCredit, seller e buyer potranno iscriversi compilando un form con informazioni descrittive della propria attività. Una volta iscritte, le aziende disporranno di una vetrina visibile alle controparti e avranno l’opportunità di prenotare meeting accedendo direttamente all’agenda dell’interlocutore di interesse.

I meeting avverranno tramite videoconferenze della durata massima di 45 minuti, in stanze virtuali accessibili online con un link creato ad hoc. Sarà possibile dialogare con le controparti in inglese e in italiano e, su richiesta, sarà disponibile anche un servizio di interpretariato.

L’economia italiana – commenta Gabriele Piccini, Country Chairman Italy di UniCredit – annovera eccellenze riconosciute a livello mondiale in settori come l’enogastronomia, il turismo e la moda. Il nostro obiettivo è continuare a supportare queste aziende, sfruttando anche gli importanti investimenti che UniCredit sta facendo in tema di digitalizzazione a vantaggio dei propri clienti. Vogliamo così dar seguito alle numerose iniziative già intraprese dalla banca per le imprese interessate a cogliere i vantaggi dell’internazionalizzazione: solo negli ultimi 3 anni, UniCredit ha organizzato 40 incontri B2B e coinvolto partner in 26 paesi, registrando la partecipazione e l’interesse di 2.300 aziende italiane clienti e di 600 top buyer internazionali. Complessivamente sono stati organizzati 14.500 meeting one to one”.

Imprese italiane in lenta ripresa

I dati che vengono diffusi dai vari istituti sullo stato di salute delle imprese italiane sono spesso contradditori. Prendiamo, per esempio, i dati Cerved che riguardano i fallimenti e i bilanci delle imprese italiane nel 2014. I primi sono inquietanti, i secondi beneauguranti. Possibile? Sì, vediamo perché.

Secondo l’Osservatorio Cerved, il numero di imprese italiane fallite lo scorso anno è stato di ben: 15mila, ossia il +10,7% rispetto all’anno precedente e il risultato peggiore da oltre dieci anni. I bilanci delle imprese italiane, invece, nel 2014 sono migliorati, arrivando al 6,5% del patrimonio netto, dal 5,7% del 2013, mentre sono calati del 4,5% i debiti finanziari.

Il contesto economico ancora debole ha fatto sì che, nel 2014, l’andamento delle vendite e dei ricavi delle imprese italiane siano cresciuti solo dell’1% sul 2013. Ma da un’analisi dei 133mila bilanci depositati entro giugno 2015, Cerved ha rilevato che le imprese italiane sono riuscite a migliorare la propria redditività, contenendo i costi e aumentando la produttività.

In sostanza, il numero delle aziende italiane che hanno chiuso il bilancio in rosso è sceso nel 2014 del 27,7%: 25 società su 100. Con un incremento generale degli indici di redditività netta.

Rispetto al periodo pre-crisi, le imprese italiane sono comunque meno redditizie ma, secondo Cerved, le società analizzate nel rapporto hanno debiti più sostenibili. Nel 2014 i debiti finanziari si sono contratti (-4,5% dopo il -6% del 2013), con gli imprenditori che hanno fatto maggiormente ricorso a mezzi propri per finanziare le aziende, con il capitale netto su del 4,2% rispetto al 2013 e un incremento complessivo rispetto ai livelli pre-crisi del +51,3%.

Sul versante dei fallimenti, la situazione delle imprese italiane è in miglioramento. I dati raccolti da Cribis D&B, a giugno 2015 risultano 808 casi in meno rispetto a giugno 2014. Nei primi sei mesi del 2015 sono fallite mediamente 53 imprese al giorno, un dato da non sottovalutare ma che è comunque in calo rispetto alla crescita costante e continua che si registrava dal 2009.

Le imprese eccellenti italiane

L’Italia non è solo il Paese di Pulcinella ma, specialmente per quello che riguarda le piccole e medie imprese, è un Paese di eccellenze dalle quali c’è solo da imparare. Lo testimonia il rapporto annuale dell’Osservatorio Pmi di GlobalStrategy – società di consulenza strategica -, che ha individuato nello Stivale ben 483 “imprese eccellenti italiane”, dalle 327 della precedente edizione.

Le quasi 500 imprese eccellenti italiane emergono da un database di quasi 40mila aziende appartenenti ai settori dei servizi e del manifatturiero. Tra queste, la selezione si restringe a quelle che rendono disponibili i bilanci completi degli ultimi 5 anni: una prima scrematura che porta a circa 24mila aziende superstiti.

Ma per diventare imprese eccellenti italiane c’è ancora da superare diverse barriere. Tra le 24mila si selezionano quelle che hanno un fatturato tra i 5 e i 250 milioni di euro, e si arriva a circa 7mila imprese. Tra le quali si selezionano solo quelle non controllate da multinazionali, ossia totalmente made in Italy, e i cui dati finanziari rientrino all’interno di una serie di rigidi parametri.

Ma che cosa hanno di particolare queste imprese eccellenti italiane? Innanzitutto uno sviluppo più che proporzionale di redditività e di solidità patrimoniale, un ebitda più che doppia rispetto al 2009 e performance di crescita superiori rispetto alla media del proprio settore da 2 a 10 volte. Inoltre, le imprese eccellenti italiane hanno ulteriori aspettative di sviluppo in termini di crescita e di margini operativi.

Quello che caratterizza tutte le imprese eccellenti italiane è la forte tendenza all’internazionalizzazione, a conferma del fatto che le imprese che meglio resistono alla crisi sono quelle maggiormente esposte sull’export. La quota di export di queste imprese eccellenti italiane è infatti oltre il 40%: 44,8% per le aziende con più di 50 milioni di fatturato, 40,8% per quelle tra i 20 e i 50 milioni.

Ma dove esportano principalmente queste imprese eccellenti italiane? Soprattutto in Europa (47%), poi Far East, Cina e India (19%) e Nord America (14%), mercati che vengono aggrediti anche con filiali commerciali, siti produttivi o partecipazioni in imprese estere.

Imprese italiane, imprese nane

Alla crisi abbiamo imputato un sacco di colpe e disastri perpetrati verso le imprese italiane, ma su una cosa, almeno, è stata magnanima: non ha modificato in maniera sensibile le dimensioni medie delle imprese italiane né la struttura produttiva della nostra economia.

È una delle evidenze emerse dal rapporto annuale dell’Istat relativo al 2012, secondo il quale le imprese italiane hanno mantenuto la loro dimensione media, una tra le più basse d’Europa: 3,9 addetti per ciascuna, con il 47,5% degli occupati che lavora in imprese che contano meno di 10 addetti. Percentuale invariata rispetto al 2007, anno di inizio della crisi, quando era al 47,4%.

Secondo l’Istat, le imprese italiane con meno di 10 addetti sono 2,2 milioni, generano il 10% del valore aggiunto del sistema produttivo del Paese e spesso sono realtà che si presentano come forme di autoimpiego, con scarsi obiettivi di produttività e crescita. Basti ricordare che nel 2012 le imprese italiane hanno investito in ricerca e sviluppo solo lo 0,7% del Pil nazionale, contro l’1,3% dell’Unione Europea a 28.

Se non altro, però, il numero di imprese italiane innovatrici e di quelle che registrano nuovi marchi e nuovi prodotti di design industriale è di gran lunga superiore a quello di tutta Europa: 41,5% contro il 36% dell’Unione Europea a 28.

Se le imprese italiane, prese singolarmente, rimangono micro, cresce invece il numero dei gruppi di imprese: nel 2012 ne risultavano oltre 90mila, dai 76mila nel 2008 e davano lavoro a 5,6 milioni di persone in 206mila imprese.

Le prospettive, però, sono andate migliorando dal momento che, secondo l’Istat, nel 2014 i segnali di ripresa hanno coinvolto un numero rilevante di imprese italiane. Un’impresa con almeno 20 addetti su due del manifatturiero ha visto infatti crescere il proprio fatturato totale di quasi 1 punto (0,8%) mentre, rispetto al 2013, sono aumentati sia i ricavi esteri (almeno +1,6%) sia quelli interni (+0,1%) e il fatturato interno è aumentato per la prima volta da oltre tre anni.

Insomma, se è nel dna delle imprese italiane il fatto di essere micro, le dimensioni contenute possono anche essere un vantaggio competitivo, specie se si fa in modo di aggregarsi in gruppi più strutturati.

Piccole imprese uccise dai mancati pagamenti

Le piccole imprese italiane vivono e lavorano in un campo minato. Tra burocrazia, costo del lavoro, tasse, difficoltà di accesso al credito, fare impresa è davvero un’impresa e gli ostacoli aumentano sempre e si rinnovano. Uno di questi è la difficoltà a farsi pagare.

Secondo un’indagine svolta da Adnkronos, in Italia è sempre più difficile onorare i debiti da parte delle piccole imprese soprattutto perché non paga più nessuno, oppure, se lo fa, sfora regolarmente i tempi stabiliti da contratto.

Lavorare gratis sembra essere un trend consolidato e mortale per le piccole imprese, almeno stando allo studio dell’agenzia di stampa che ha coinvolto oltre mille aziende, interpellate con la collaborazione di diverse associazioni di categoria in tutta Italia.

I dati di Adnkronos dicono che, nell’ultimo anno, tre piccole imprese su quattro (il 61%, per l’esattezza) non hanno onorato almeno un contratto per crediti non esatti. Ben l’80% di queste ha dovuto transare almeno una volta, come creditore o debitore, per chiedere un contenzioso che altrimenti sarebbe finito davanti agli avvocati.

Sempre secondo il sondaggio, il persistere della crisi negli ultimi tre anni ha di fatto reso il ritardato o il mancato pagamento, tanto tra le medie quanto tra le piccole imprese, una pratica istituzionale. In tal modo si è abbassato in maniera sensibile il tasso di affidabilità dei contratti, sceso al di sotto del 50%.

Una situazione, questa delle piccole imprese, che viene confermata dal rapporto 2014 redatto da Unirec, l’associazione che rappresenta le società di recupero credito, secondo il quale crescono o debiti non onorati e diventa più difficile recuperare i crediti. Lo scorso anno il numero di pratiche gestite ha superato i 40 milioni (+4% sul 2013) e i debiti affidati hanno toccato quota 56,2 miliardi (+16%). Di contro, cala la capacità di recupero, ferma al 17,2% (-12%), con 9,67 miliardi di somme recuperate (+2%) e quasi 17 milioni di soluzioni trovate per i debitori.

Italiani, popolo di imprenditori

Gli imprenditori sono una categoria di persone votate al martirio. Martirio di tasse, di burocrazia, di costo del lavoro, di leggi sul lavoro, di costi delle materie prime. Martirio, però, anche di qualcosa che si ama fare fino alla follia, l’impresa. Che si ama così tanto da sacrificarvi la propria vita privata, se non la vita tout court.

Sarà per questo che, stando a un’elaborazione della Camera di commercio di Milano sui dati del registro delle imprese al terzo trimestre 2014 e Istat 2014 per la popolazione, gli italiani non smettono di essere imprenditori: lo è infatti un italiano su dodici pari all’8,5%.

A Cuneo e Bolzano va il primato per imprenditorialità: più di un cittadino su dieci, l’11%, ha aperto un’attività in proprio, considerando i centri con oltre 50mila imprese. Tra le prime, considerando le province con più imprese, anche Milano, Torino e Brescia con poco meno di un decimo dei cittadini imprenditori.

Le prime quattro province per numero di imprese, Roma, Milano, Napoli e Torino, superano il milione di attività, una su cinque su un totale italiano di oltre cinque milioni. Le imprese si concentrano nelle prime venti province, che assorbono circa la metà di tutte le imprese italiane.

Per imprese femminili il primato va a Benevento, Avellino e Frosinone, con circa un terzo di tutte le imprese del territorio. Per le imprese di giovani imprenditori sul totale imprese, prima è Crotone col 17%, affiancata da Vibo Valentia e Caserta. Per gli imprenditori stranieri, il primato va a Prato col 27% di tutte le imprese, seguono Firenze, Trieste  e Roma con il 15%.

Per i settori con oltre 100mila imprese a livello nazionale, a Matera e Benevento va il primato per il peso dell’agricoltura sul totale delle imprese – è specializzata nel settore quasi una su due – a Lecco e Brescia per i prodotti in metallo (circa una su venti), a Caserta e Sassari per le costruzioni (un decimo), a Reggio Emilia e Imperia per le costruzioni specializzate (una impresa su cinque), a Palermo e Napoli per il commercio al dettaglio (una su quattro), a Bologna e Forlì per i trasporti (quasi una su venti), a Savona, Trieste, Verbania e Aosta per la ristorazione (una su dieci), a Biella e Milano per l’immobiliare (una su dieci), a Varese, Pescara, Lodi e Novara per i servizi alla persona (una su venti).

Italiani, popolo di santi, poeti e imprenditori.

Imprese italiane in tempo di crisi

È interessante notare come le imprese italiane negli anni della crisi si muovano in maniera prevedibile e, purtroppo, poco brillante, anche se con qualche sorpresa. Lo certifica anche l’Annuario statistico dell’Istat, che scatta una fotografia impietosa delle dinamiche di natalità e mortalità delle imprese italiane in uno degli anni più neri della crisi, il 2011.

Secondo l’Istat, le imprese italiane nate nel 2011 sono state circa 265mila, 389 in meno rispetto al 2010. Il tasso di natalità si attestava al 6,7%, il più basso registrato negli ultimi sei anni insieme a quello dell’anno precedente, mentre il tasso di mortalità era all’8%.

In questo conteggio, però, erano comprese tanto quelle individuali, quanto i lavoratori autonomi e i liberi professionisti, quanto le imprese italiane con dipendenti; queste ultime erano poco meno di 133.500, ma con la loro dinamica demografica era sorprendentemente positiva: il tasso di natalità era del 9,1%, mentre il tasso di mortalità si attestava all’8,4%.

Delle imprese italiane nate nel 2010, a fine 2011 l’83,1% era ancora attivo (ma nel 2010 erano l’85,8%). Erano di più nell’industria (88,4%), meno nel settore degli altri servizi (80,6%) e delle costruzioni (79,9%).

A tal proposito, l’Istat ricorda come quello delle costruzioni sia stato il settore produttivo con la dinamica demografica più negativa, con un alto tasso di natalità accompagnato a un altissimo tasso di mortalità. Tassi alti che, sottolinea l’Istat, si rilevano soprattutto tra le imprese italiane del Sud e delle Isole.

L’Istat si sofferma poi sulle cosiddette imprese “high-growth”, le imprese italiane con un alto tasso di crescita; imprese che nascono con almeno 10 dipendenti e, in tre anni consecutivi, fanno registrare una crescita media annua in termini di dipendenti e/o di fatturato superiore al 20%.

Ebbene, secondo l’Istat la percentuale delle imprese high-growth sul totale delle imprese italiane è calato, rispetto al 2010, dello 0,1%. Dato incoraggiante: la percentuale più alta di imprese high-growth è nel Sud e nelle Isole (rispettivamente 3,3% e 3).

Le imprese italiane provano a crederci

Una ventata di ottimismo per le imprese italiane in questa alba di 2015 che guarda al futuro dell’economia ancora con incertezza. E la ventata viene da Unioncamere, che ha interpellato le imprese italiane nell’ambito dell’Eurochambres Economic Survey 2015, l’indagine realizzata ogni anno dai sistemi camerali europei.

Ebbene, dal sondaggio di Unioncamere emerge che quasi il 48% delle imprese italiane interpellate pensa che nel 2015 avrà una sostanziale stabilità degli affari, il 27,7% crede che le cose andranno meglio, mentre la percentuale dei pessimisti si ferma al 24,4%, poco meno di un quarto.

In sostanza, sembra che il sistema produttivo italiano inizi a credere, anche se timidamente, nella ripresa economica per il 2015. Un segnale di incoraggiamento per le imprese italiane.

Secondo Unioncamere, dunque, il sentiment complessivo torna positivo, dal momento che per le imprese italiane la differenza tra attese di aumento e di diminuzione del giro d’affari è del 3,3%. Se si considera che un anno fa la percentuale era del -12,8%, il recupero è spettacolare. Ma se si pensa che la media dei Paesi che hanno partecipato al sondaggio è del 10,6%, si capisce che di lavoro da fare ce n’è ancora tanto.

Ne è consapevole il presidente di Unioncamere, Ferruccio DardanelloLe imprese italiane, soprattutto quelle internazionalizzate, sperano davvero che il 2015 sia l’anno conclusivo di questa lunga e difficile crisi. Quest’anno l’Italia avrà appuntamenti importanti, primo tra tutti l’Expò, una straordinaria vetrina che proietterà l’immagine del nostro Paese nel mondo. Mi auguro che essa contribuisca a rilanciare anche il mercato interno, che mostra ancora grandi segni di sofferenza”.

Imprese italiane fanno affari all’estero

Le imprese italiane sono sempre più propense a fare affari all’estero.
Complice la crisi, che ha reso stagnante il mercato interno, per sopravvivere spesso spingersi oltre i confini italiani può rappresentare una vera ancora di salvezza.

E questa mossa è anche avvantaggiata dall’euro, reso debole dalla situazione negativa, e quindi accessibile dalle monete estere.

Lo dimostrano i dati resi noti in occasione della presentazione del Position Paper “Accelerare sull’internazionalizzazione per uscire dalla crisi”, redatto ad Ancona nel corso della 23^ Convention delle Camere di Commercio Italiane all’Estero.

Ecco le parole di Ferruccio Dardanello, presidente di Unioncamere: “L’Italia vanta oggi un esercito di 214mila imprese esportatrici, aumentate di oltre 2mila unità nell’ultimo anno anche grazie al sostegno del sistema camerale. Questi campioni del Made in Italy hanno puntato sulla qualità e sulla rappresentazione dei valori della nostra tradizione per affermarsi sui mercati mondiali anche grazie al prezioso impegno del Sistema delle Camere di commercio. Un’attività di supporto alle imprese che oggi è messa a rischio dai tagli imposti dal DL sulla Pubblica amministrazione della scorsa estate. E sulla quale incombono anche le ipotesi di una radicale ristrutturazione e revisione delle funzioni, contenute nel disegno di legge di riorganizzazione delle Amministrazioni pubbliche, attualmente in discussione in Parlamento, con il rischio di compromettere il lavoro e il successo di decine di migliaia di imprese che hanno come riferimento principale le Camere di commercio italiane”.

Vera MORETTI